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Forum “Sbilanciamoci! 2012”: Quale welfare per il futuro ?

di Chiara Parisi e Johannes Steger
L’aria del Forum di Sbilanciamoci! 2012, tenutosi dal 7 al 9 settembre a Capodarco di Fermo, dal titolo “Cambio di rotta: Uscire dalla crisi e cambiare l’Italia e l’Europa”, era densa di aspettative. C’erano persone in cerca di risposte concrete ai problemi odierni; studenti pieni voglia di fare e proporre, ma nel contempo intimoriti dalla stessa precarietà e vulnerabilità che vogliono combattere. C’erano anche attivisti, operatori del sociale, accademici, politici, comuni cittadini che partecipavano con il loro vissuto, il loro contatto concreto con la società e le loro esperienze derivanti dalle sfide che colpiscono le categorie più deboli: i giovani, i disabili, gli anziani, i migranti e, soprattutto, le donne.

A tale proposito le riflessioni venute fuori dal tavolo intitolato “La crisi e la sofferenza della società: povertà, solitudine, precarietà. Perché il welfare non è un costo, ma una risorsa.” sono da tenere in considerazione.

Come ha ricordato Grazia Naletto, presidente di Lunaria, è consueto, soprattutto in tempi di crisi, sostenere in campo liberista che l’efficienza economica contrasti con il sistema di welfare e che sia necessario “scaricare” sui privati i costi del benessere. Tuttavia, a parere di Naletto, l’allocazione dei soldi pubblici rimane pur sempre una scelta politica, alla quale appartiene la responsabilità di rendere la società più produttiva e coesa (investimenti nella ricerca, sostegno a chi non è autosufficiente, ecc.). Certo, occorre trovarli i fondi e, come risulta anche dal documento finale del forum, Naletto propone, tra le varie indicazioni, un sistema fiscale maggiormente ispirato ai principi di progressività ed equità, che vada a tassare i redditi più alti in modo da permettere una redistribuzione delle risorse. Sbilanciamoci! chiede, quindi, di non pensare soltanto all’aumento della produttività, ma lancia l’immagine di una società basata su valori non riducibili al profitto, rimanendo, però, possibilmente, nell’ambito della sostenibilità.

Pietro Vittorio Barbieri, Presidente della Federazione Italiana per il superamento dell’Handicap, lamentando che spesso la spesa sociale venga intesa come spreco, ha rilevato le conseguenze di tale affermazione: maggiori responsabilità per le famiglie, e quindi in primis, per le donne. Per spiegare quanto poco l’Italia investa sul benessere dei cittadini, è stato evidenziato che nel nostro paese, al netto della crisi, mancano, rispetto all’Europa a 15, due punti di PIL sulle spese sociali. Nell’Europa a 27 il Bel Paese praticamente scompare in investimenti per ridurre la povertà. Il welfare deve essere, quindi, ripensato come una risorsa, sulla quale spendere proprio delle risorse in quanto utile alla società. Le risorse ci sarebbero, posto che si riducano i fondi in altri settori di maggior visibilità, ma di minore impatto sociale – come quello militare. Il welfare, secondo Barbieri, all’interno di una società che vede notevoli cambiamenti deve essere sempre di più uno strumento che tuteli veramente le categorie più vulnerabili. Una nota positiva in tal senso è l’inserimento nella Spending Review di un fondo per l’autosufficienza.

Interessante è stata anche l’analisi suggerita da Linda Laura Sabbadini, Direttrice del Dipartimento Statistiche Sociali dell’Istat. L’esperta nota che, pur se la disoccupazione nel nostro paese sia in notevole aumento, essa non abbia causato un’eccessiva dilatazione del livello di povertà. Come si può spiegare questo fenomeno paradossale? La risposta va cercata proprio nella situazione delle giovani generazioni. I giovani, infatti, sono la fascia più colpita dalla crisi in quanto spesso non riescono ad accedere al mondo del lavoro oppure, quando la porta gli si apre, sono costretti a impieghi poco remunerativi e di breve durata che non offrono garanzie e tutele economiche. Il loro reddito così all’interno del nucleo familiare continua a essere secondario, avendo genitori ultracinquantenni che fortunatamente godono di una certa stabilità lavorativa. Questa osservazione va a supportare quello che è il tipico modello italiano di welfare, di stampo familistico, dove mamma e papà continuano a supportare i figli. Quei giovani che qualcuno definì “bamboccioni”, spesso sono quindi costretti a restare legati alle famiglie e a non “emanciparsi” proprio perché il mondo del lavoro non permette una scelta diversa.

Altro soggetto sul quale occorre soffermarsi è la donna, storico cardine della nostra società e principale caregiver. Con l’aumento del tasso di occupazione femminile e soprattutto con l’innalzamento dell’età pensionabile, sempre più donne sono costrette a tralasciare quello cui tradizionalmente si sono dedicate, la famiglia e la cura degli anziani, rompendo la consueta catena di solidarietà madri-figlie. Obbligate a restare nel mondo del lavoro più a lungo, hanno sempre meno tempo da dedicare a nipoti o genitori ultrasettantenni. Ciò rende necessario l’utilizzo di crescenti risorse monetarie per impiegare e retribuire personale atto a sopperire queste carenze. Nel nostro paese occorrerebbero, quindi, riprendendo la Sabbadini, politiche di conciliazione più serie e garantiste, puntando con forza sui congedi parentali, sullo sviluppo dei nidi, permettendo anche una distribuzione “intergenere” delle responsabilità, e soprattutto si rendono necessari crescenti investimenti nei servizi sociali locali, vicini ai cittadini e strumento di inclusione e coesione per la popolazione. Tagliare la spesa sociale, infatti, significa renderla insostenibile, e non il contrario. Lo Stato, quindi, non può nello stesso tempo chiedere più ore lavorative alle donne e mandare – o tenere che dir si voglia – a casa anziani, disabili, e giovani. Ci troviamo realmente di fronte a una crisi strutturale, che a lungo non può che ridurre l’efficienza del nostro sistema produttivo.

Questo tipo di analisi è estendibile a minori e giovani provenienti da contesti familiari difficili. Proprio a costoro e a chi loro garantisce accoglienza e servizi occorrerebbe dare più credito e sostegno, affinché queste generazioni che sembrano “perdute” possano tornar a diventare una risorsa per la società – in primis per esempio all’interno di cooperative sociali che offrono servizi utili alla collettività.

Lo stesso ragionamento vale anche per i migranti, il cui ruolo è sempre più rilevante e che concretamente sopperiscono a una vasta gamma di bisogni cui ci troviamo di fronte, ma che contemporaneamente sono sempre più osteggiati a permanere in Italia – basti solo ricordare gli alti costi previsti per chiedere e prolungare i permessi di soggiorno.

Se non si adotta, quindi, un cambio di rotta sostanziale, dando visibilità alle categorie più deboli e impegnandosi per attuare un sistema di welfare che le tuteli veramente, esse continueranno il loro percorso di declino e ne pagheremo tutti le conseguenze. Il sistema di welfare italiano, così come è adesso, non è sostenibile. L’obiettivo, quindi, riprendendo l’intervento di Alessandro Montebugnoli, docente dell’Università La Sapienza, non possono essere che maggiori e più mirati investimenti. Solo essi, permetterebbero di riuscire nel duplice compito di rendere più efficiente il sistema economico e contemporaneamente rendere più coesa la società.

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Lo spreco di forza lavoro

di Johannes Steger e Chiara Parisi

I fondamentali dell’economia non variano tra Cernobbio e Capodarco. Variano però le ricette proposte per uscire dal cul de sac di un’economia in recessione. Il forum di Sbilanciamoci!, noto anche come il contro-Cernobbio, si è svolto dal 7 al 9 settembre a Capodarco ed è ormai alla sua decima edizione. Svolgendosi in concomitanza con il forum Ambrosetti l’esperienza di Capodarco ha arricchito l’armamentario di politica economica, ridotto all’osso dall’ideologia liberista.

Il Forum di Sbilanciamoci! ha fatto un grande sforzo ad andare oltre alla consueta retorica antagonista (e forse anche un po’ anacronistica), e ha riconosciuto l’assoluta priorità di rimettere l’Italia su binari macroeconomici sostenibili. Ammettendo la necessità dei tagli alla spesa pubblica, le proposte del forum si sono differenziate rispetto alle scelte del governo e gli auspici di Bruxelles, ovviamente, riguardo all’allocazione di tali fondi.

Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci!, ha sottolineato come i tagli dovrebbero riguardare innanzitutto la spesa militare e non andare a scapito della spesa sociale. E la spesa pubblica dovrebbe essere indirizzata maggiormente verso la tutela del lavoro, la protezione sociale e il diritto allo studio. Marcon ha anche auspicato una maggiore sensibilità verso l’economia reale tramite il finanziamento di tante piccole opere, piuttosto che di poche grandi opere con dubbio beneficio economico, definendo così la strada per porre le fondamenta di un nuovo modello di sviluppo economico reale e sostenibile.

Proprio l’assenza di tale modello di sviluppo progressista viene criticata da Pier Paolo Baretta, esponente del PD. La sinistra avrebbe lasciato fin troppo spazio, e per troppo tempo, al processo di accumulazione di tipo liberista, concentrandosi invece a “tappare i buchi” della rete sociale con la redistribuzione. Così, una volta messi con le spalle al muro dalla crisi e senza proposte concrete e attuabili per un processo di produzione più sostenibile e un’economia più equa, il campo non poteva che essere occupato da vecchie ricette d’austerità. Tale ritardo lo scontano ora i giovani, gli immigrati e i precari, i maggiori perdenti della crisi.

L’emergenza, accentuata dalla crisi economica, era già presente prima. La misura più eclatante a questo riguardo la forniscono i dati sull’occupazione. Andrea Fumagalli, dell’Università di Pavia, fornisce un quadro sulla situazione lavorativa in Italia. Per avere una misura realistica della disoccupazione bisogna mettere assieme disoccupati, “scoraggiati” e anche i lavoratori in cassa integrazione. Il tasso delle persone in età lavorativa non impiegate sale così al 22% della forza lavoro, che corrisponde ca. a 5 milioni e mezzo di persone. Tali tassi di disoccupazione reale ed effettiva mettono l’Italia al pari di Spagna e Grecia. Egli evidenzia come la prima “scoperta” tutta italiana della crisi siano i cosiddetti “scoraggiati”, anche noti con l’acronimo inglese di NEET (Not in Education, Employment or Training). Secondo i dati dell’EUROSTAT, essi si sarebbero raddoppiati nell’arco degli ultimi 5 anni. Categoria quella dei NEET che fino al 2011 non veniva rilevata dalle indagini ISTAT, in quanto riferita a coloro che non sono in ricerca di lavoro e quindi non compresi nella definizione di “disoccupato”.

Inoltre, secondo gli ultimi dati trimestrali ISTAT, il 33,9% dei disoccupati in cerca di lavoro sono giovani tra i 15 e 24 anni. Il picco della disoccupazione giovanile viene raggiunto nel Mezzogiorno con il 46,6%. Il dizionario del Corriere della Sera definisce lo spreco come “consumo eccessivo, scriteriato o inutile”. Rapportato ai dati della disoccupazione in generale, e alla disoccupazione giovanile in particolare, converrebbe aggiungere il “non consumo” come elemento della definizione di spreco.

Di fronte a tali numeri l’innalzamento dell’età pensionabile non può che stupire. Angelo Marano di Sbilanciamoci!, infatti, insiste sull’assurdità di tenere gli anziani più lungo al lavoro di fronte a tanti giovani capaci e preparati. Nonostante l’effetto sostituzione tra impiego giovanile ed età pensionabile non sia provato, non meraviglia la perplessità di Gianni Speranza, sindaco di Lamezia Terme, di fronte ai tagli del governo Monti. Egli vorrebbe che fosse rilanciato il progetto di Riqualificazione delle Pubbliche Amministrazioni (RIPAM), il quale tramite agevolazioni al prepensionamento volontario di una parte del personale comunale permetterebbe di assumere giovani laureati qualificati.

Michele Raitano dell’Università La Sapienza di Roma pone l’attenzione su un ulteriore dato preoccupante dell’assetto lavorativo italiano. L’accesso a un contratto a tempo indeterminato per chi è in possesso di contratti atipici non è per nulla scontato. Solo il 49% dei dipendenti a termine, e il 23% dei parasubordinati entrano in regime di contratto a tempo indeterminato nel giro di 5 anni rispetto all’entrata nella forza lavoro. La precarietà, quindi, non ha nulla di transitorio, ma assume carattere assai più strutturale. Il problema della produttività del lavoro in Italia risiede proprio nella precarietà, come ricorda Andrea Fumagalli. Bisognerebbe, infatti, mettere i giovani in condizioni di essere produttivi. E questo, di sicuro non è possibile con impieghi saltuari e assunzioni a tempo determinato in aziende non disponibili a investire nel proprio capitale umano.

L’invito è, quindi, a investire in politiche attive e passive del lavoro. In rapporto alla media dell’ UE a 15, evidenzia Raitano, la spesa italiana in tale ambito è di molto inferiore. Anche per Claudia Pratelli, della CGIL, le politiche del lavoro, così come le politiche industriali, andrebbero riviste urgentemente. L’abuso di contratti atipici andrebbe maggiormente controllato e sanzionato, mentre le politiche industriali dovrebbero favorire le eccellenze e la qualità del nostro paese, favorendo imprese che creano occupazione innovativa e sostenibile e le quali danno spazio ai giovani cervelli. La maggiore critica verso la riforma del ministro Fornero è proprio di non avere ridotto le tipologie del contratto atipico e di non averlo reso più costoso alle aziende come disincentivo al suo abuso.

Varie proposte riguardanti l’introduzione di un reddito minimo sono poi emerse ai tavoli del forum. Un primo calcolo, citato da Raitano, stima che la spesa per supportare questa misura ammonterebbe a circa 15 miliardi di euro (al netto dei sussidi già esistenti), cifra che equivale, per esempio, all’importo stanziato per l’acquisto, da parte del ministero della Difesa, dei cacciabombardieri F35. Il reddito minimo dovrebbe garantire coloro che si trovano in fase di ricerca di lavoro ed evitare che siano costretti ad accettare offerte di lavoro non corrispondenti alle qualifiche.

Una proposta più concreta e realizzabile, invece, potrebbe consistere nell’obbligatorietà di retribuzione di tutte le tipologie di tirocinio e di incentivi all’impresa per investire su chi tiene in prova in vista dell’assunzione. Quest’ultima opzione potrebbe esser più viabile, dato che l’assunto di porre lo Stato come garante di chi è in ricerca di lavoro deresponsabilizza le imprese e in secondo luogo il finanziamento di tale reddito minimo si baserebbe sui guadagni derivanti dalla lotta all’evasione, alla corruzione e dalla dimissione del demanio pubblico, le cui entrate però non sono sicure e possono costituire solo un obiettivo da raggiungere nel medio termine.

Questa carrellata è utile a evidenziare come dal Forum di Sbilanciamoci! sia emersa la forte volontà di battere vie nuove, di superare barriere teoriche e di proseguire, nonostante le inevitabili contraddizioni ideologiche, in un percorso che raccoglie esperienze multicolori e multiclasse. Questo modello di sviluppo non è anticapitalistico, ma vuole mettere il profitto al suo posto: a servizio dell’uomo.

 

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L’impresa di un’economia diversa

Il documento finale decimo forum di Sbilanciamoci! tenuto a Capodarco di Fermo 7-9 settembre 2012 e il link ai video degli interventi

da: http://www.sbilanciamoci.info

La crisi italiana si fa più grave, la recessione è estesa in tutta Europa, la disoccupazione supera il 10% e colpisce un terzo dei giovani. È questo il risultato di cinque anni di crisi e delle politiche di austerità imposte dalla finanza e dall’Europa. Il governo Monti le sta realizzando in Italia all’insegna di un neoliberismo ideologico che non risolve i problemi, aggrava la crisi, minaccia la democrazia. È necessario un cambio di rotta.

Dalle iniziative di questi mesi e dalle discussioni alla “contro-Cernobbio” di Sbilanciamoci di Capodarco sono emerse sette proposte:

1. L’Europa. È essenziale che l’Europa fermi la speculazione e ridimensioni la finanza, vietando le operazioni ad alto rischio, tassando le transazioni finanziarie; il problema del debito si può affrontare con la Banca Centrale Europea che assuma il ruolo di prestatore di ultima istanza e introducendo gli eurobond; lo scudo anti-spread introdotto di recente non risolve i problemi ed espone i paesi fragili al ricatto di un Memorandum che renderebbe permanenti le politiche di austerità; per le stesse ragioni va rifiutato il “Fiscal compact” che impone pareggio di bilancio e taglio del debito. L’Europa deve ritrovare la strada della democrazia.

2. La crisi e il lavoro. Per uscire dalla recessione è necessaria una ripresa della domanda con un maggior ruolo della spesa pubblica, da utilizzare per affrontare l’emergenza occupazione. Dobbiamo difendere i lavoratori che rischiano di perdere il posto nelle 161 crisi industriali del paese. E si possono creare 500 mila nuovi posti di lavoro attraverso investimenti sociali e migliaia di “piccole opere” di cui il paese ha bisogno: infrastrutture di base, messa in sicurezza delle scuole, riassetto idrogeologico, tutela del territorio, mobilità ed energia sostenibile, welfare e salute, istruzione e ricerca. Sono necessarie politiche che tutelino i diritti del lavoro e combattano la precarietà. La legge Fornero va rifiutata.

3. La protezione sociale. Chi è colpito dalla crisi e dalla precarietà, chi è senza lavoro deve disporre di una rete di protezione sociale e tutela del reddito, dall’estensione degli ammortizzatori sociali per i lavori atipici, fino all’introduzione del reddito di cittadinanza. Bisogna difendere la spesa sociale dalle riduzioni dei trasferimenti agli enti locali, ristabilendo i fondi per le politiche sociali; bisogna difendere i diritti dei migranti e chiudere i CIE.

4. Giovani, formazione, conoscenza. Abbiamo bisogno di un “piano giovani” che progetti il futuro di questo paese. L’accesso e la diffusione della conoscenza sono la base per offrire ai giovani nuove possibilità di lavori di qualità. Per l’istruzione e la conoscenza serve un miliardo di euro per migliorare la scuola pubblica – tagliando i 700 milioni di sussidi alle scuole private – assicurare l’obbligo formativo, finanziare università e ricerca, estendere le borse di studio per gli studenti universitari, bloccando gli aumenti delle tasse d’iscrizione e le barriere poste dal numero chiuso nell’accesso all’università.

5. Cambiare produzioni. Il vecchio modello di sviluppo non può più funzionare, lo dimostra il tramonto della Fiat e i problemi dell’Ilva. Serve una politica industriale che orienti le scelte pubbliche e private su che cosa e come produrre, riservando incentivi e riduzioni del cuneo fiscale alle imprese che investono e creano occupazione in produzioni di qualità, con nuovi prodotti e servizi, sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. Va sostenuto l’impegno per la produzione e l’accesso ai beni comuni, il ruolo dell’economia solidale e di relazioni sociali fondate su sobrietà e solidarietà.

6. Tagliare la spesa militare. All’interno della spesa pubblica i tagli vanno fatti sulla spesa militare, non quella sociale: si possono risparmiare 12 miliardi di euro cancellando il programma di acquisizione dei 90 cacciabombardieri F35 e riducendo di un terzo le Forze Armate.

7. Redistribuire il reddito. Nuove risorse per la spesa pubblica si devono trovare tassando la ricchezza finanziaria e immobiliare e riducendo le imposte sul lavoro. I patrimoni superiori al milione di euro vanno tassati con un’aliquota progressiva che parta dal 5 per 1000. Va innalzata al 23% l’imposizione fiscale sulle rendite e bisogna tassare i redditi superiori ai 200 mila euro con l’aliquota del 50%. Serve una lotta sistematica all’evasione fiscale. La legalità è un fondamento essenziale per ricostruire il paese: servono misure contro la corruzione e fermare l’espansione dell’economia criminale.

È questo il “cambio di rotta” che Sbilanciamoci! chiede alla politica e all’economia italiana. È in questo modo che si può uscire dal paradigma neoliberista e dalle politiche di austerità. È in questo modo che si può estendere la partecipazione politica e rinnovare la democrazia. È questa l’agenda che deve essere al centro della discussione politica nelle prossime elezioni italiane.

 

I VIDEO DEGLI INTERVENTI AL FORUM

 

Discussione

Un pensiero su “Forum “Sbilanciamoci! 2012”: Quale welfare per il futuro ?

  1. ha ragione Fumagalli, non solo disoccupati, ma cassaintegrati e scoraggiati Il sogno di Dario Francshini, mi pare, tra gli altri, uno stato sociale universale. Utopia? Falsa promessa ? I soldi? Eqitò fiscale, caccia all’evasione, lotta alla mafia, alla corruzione , agli sprechi…..potrebbero portare ad un walfare ch enon sia assistenzialismo, ma soprattutto uno sprone per gli scoraggiati, ovviamente con regole giuste da rispettarsi tssativamente

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    Pubblicato da valeria manini | 12/09/2012, 13:15

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