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La precarietà non crea lavoro (crea emigrazione)

Intervista a Emiliano Brancaccio: “La flessibilità fa aumentare i profitti e riduce i salari, non aumenta l’occupazione” (aumenta, piuttosto, la nuova emigrazione, come mostra la crescita dei flussi emigratori verso l’estero negli ultimi 15 anni, ndr)

Roberta Lisi (da Collettiva)

Negli ultimi venticinque anni sono state molte le leggi che hanno favorito la precarizzazione del lavoro in Italia. L’ultima, forse la più crudele, è il Jobs Act. Tutto questo è stato contrabbandato come strumento per favorire l’occupazione, in realtà determina un calo delle retribuzioni reali e della quota salari sul prodotto interno lordo e, contemporaneamente, un aumento della quota profitti e della quota rendite sul prodotto interno lordo. E per di più, forse soprattutto, ha indebolito fortemente il sistema produttivo italiano. Emiliano Brancaccio, docente di Politica Economica presso l’Università del Sannio, autore di ricerche sugli effetti della precarietà del lavoro pubblicate da varie riviste accademiche internazionali, illustra come sia la ricerca scientifica a certificare che i fautori della precarietà avevano e hanno obiettivi diversi dal creare lavoro di qualità. E i referendum della Cgil sono un utile strumento per cominciare a cambiare modello sociale ed economico.

* * * *

È vero, come dicono i sostenitori del Jobs Act, che la libertà di licenziamento crea lavoro?

I sostenitori del Jobs Act si basano sul fatto che negli anni successivi all’approvazione di quella legge si è verificato un incremento dell’occupazione. A loro avviso, questo sarebbe in quanto tale sufficiente per sostenere che queste norme che precarizzano il lavoro creano occupazione. Questo modo di ragionare è totalmente estraneo al metodo scientifico. Non sta in piedi perché trascura tutte le altre variabili che sono in gioco e che concorrono a determinare l’occupazione. Non tiene conto, ad esempio, del fatto che dopo l’approvazione del Jobs Act si è messa in campo una politica economica sempre più espansiva, che chiaramente ha favorito l’occupazione. In un certo senso, il modo di pensare degli apologeti del Jobs Act somiglia al discorso dello stregone. Uno stregone dice: se fai la danza della pioggia e magari subito dopo cade la pioggia, allora deve essere la danza ad aver provocato la pioggia. Un ragionamento ridicolo, eppure molto diffuso. 

Se invece guardiamo alle evidenze scientifiche?

La letteratura scientifica, che cerca di capire se la precarizzazione del lavoro abbia accresciuto i livelli di occupazione, ci dice che una relazione statistica tra precarizzazione e maggiore occupazione non esiste. L’88% degli studi scientifici pubblicati su riviste accademiche internazionali nega che il precariato crea posti di lavoro. È un risultato empirico talmente forte che persino istituzioni notoriamente favorevoli alla liberalizzazione del mercato del lavoro come il Fondo Monetario Internazionale, l’OCSE e la Banca Mondiale, magari a denti stretti e malvolentieri, lo hanno dovuto ammettere. 

Se non è funzionale all’occupazione, allora a che cosa serve la precarietà e a chi conviene?

L’evidenza empirica anche su questo punto è lampante: ogni volta che si riducono le tutele delle lavoratrici e dei lavoratori, cioè ogni volta che si accresce la flessibilità e la precarizzazione del lavoro, si verifica anche un calo delle retribuzioni reali e una diminuzione della quota salari sul prodotto interno lordo, il che comporta pure un aumento della quota profitti e della quota rendite sul prodotto interno lordo. Richard Freeman, dell’autorevole National Bureau of Economic Research, sintetizza questi risultati empirici dichiarando che la flessibilità del lavoro non aiuta l’efficienza della produzione, non accresce i volumi di produzione, ma determina semplicemente la distribuzione del reddito tra capitalisti e lavoratori che si crea con quella produzione. In altre parole, la flessibilità del lavoro non ha a che fare con l’efficienza del capitalismo ma con la lotta di classe nel capitalismo, che è cosa ben diversa.

Si può affermare, allora, che l’aumento della precarietà nel lavoro è una delle ragioni per le quali in Italia i salari sono saliti meno che in altri Paesi europei e sono comunque sono tra i più bassi?

In un quarto di secolo, l’Italia ha visto precipitare gli indici di protezione del lavoro in misura molto più accentuata rispetto alla media dei Paesi europei. Questo è certamente uno degli elementi che hanno concorso alla stagnazione salariale italiana. Però il problema è per certi versi più generale. Di fatto, in Italia abbiamo adottato una politica economica che ha assecondato lo sviluppo di un sistema di piccole imprese frammentate, scarsamente efficienti, molto spesso capaci di restare sul mercato solo grazie a prebende pubbliche, evasione fiscale, bassa sicurezza e precariato. Da qui è scaturita la crisi di produttività, il declino competitivo e quindi anche i bassi salari. 

I referendum della CGIL, oltre a restituire maggiori tutele e maggiore e dignità al lavoro, possono essere anche un elemento di contraddizione in questo meccanismo perverso del capitalismo italiano, un modo per invertire la tendenza?

Da decenni abbiamo a che fare con una tendenza al degrado del capitalismo nazionale. Potremmo dire che è tempo di mettere “una zeppa” nell’ingranaggio, un “granello” di sabbia nel meccanismo generale della crisi di produttività. Possiamo interpretare l’iniziativa referendaria anche in quest’ottica. 

E potrebbero anche innescare quel movimento che contribuisce a svegliare un po’ le coscienze?

Indubbiamente le giovani generazioni stanno offrendo testimonianze di un risveglio delle coscienze, delle iniziative politica, delle istanze di lotta. I referendum della Cgil potrebbero rappresentare anche un modo per intercettare questo nuovo vento di rinnovamento, di ripresa di lotte di emancipazione che vengono dai più giovani. Sarebbe una delle rare occasioni in cui, come dire, gli adulti si mettono in sintonia con questo nuovo vento che viene dai più giovani. Sarebbe anche ora, direi.

Invito alle Regioni a presentare ricorso alla Corte Costituzionale contro l’autonomia differenziata

Coordinamento per la Democrazia Costituzionale Facebook 18/5/2024

Pubblichiamo il testo della lettera inviata da La Via Maestra, che riunisce oltre 160 associazioni e organizzazioni, a tutte le Regioni per chiedere loro di presentare ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge sull’autonomia regionale differenziata se sarà definitivamente approvata dal parlamento. Questa lettera accoglie la proposta del nostro Coordinamento che appunto chiedeva alle Regioni di presentare immediato ricorso alla Corte Costituzionale se il Parlamento non riuscisse a bloccarne l’approvazione. Il ricorso può essere proposto anche da una sola Regione entro 60 giorni dall’eventuale approvazione definitiva della legge con l’obiettivo di bloccarne l’attuazione e di contestarne la costituzionalità. Questa iniziativa non preclude la possibilità del referendum abrogativo che però ha tempi più lunghi e questo potrebbe lasciare campo libero all’attuazione, per questo è importante che tutta La Via Maestra abbia assunto l’iniziativa per spingere le Regioni ad agire immediatamente.

Presidenza CDC

Al Presidente della Regione……………

Gentile presidente,

come rappresentanti delle oltre cento realtà associative che hanno dato vita alla “Via Maestra”, da tempo impegnata – nel dibattito pubblico, nelle manifestazioni di piazza e nelle iniziative territoriali – in difesa della Costituzione repubblicana, le esprimiamo tutta la nostra preoccupazione per la possibile, e prossima, approvazione definitiva del DdL sull’Autonomia differenziata da parte della Camera dei Deputati.

Si tratta, a nostro avviso, di un progetto che – se realizzato – metterebbe a rischio l’unità nazionale.

Dare attuazione all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – nelle condizioni date, con le modalità proposte e a risorse invariate – costituirebbe un attacco all’unitarietà dei diritti civili e sociali fondamentali delle cittadine e dei cittadini, destinato ad ampliare in maniera irreversibile le diseguaglianze e i divari esistenti e a ridurre ulteriormente la capacità del sistema pubblico di garantire servizi essenziali e universali alla popolazione.

Così come riconoscere una competenza regionale esclusiva su materie di rilevanza strategica, e non suscettibili di frazionamento territoriale, rappresenterebbe la rinuncia ad un governo nazionale e unitario delle politiche economiche, industriali e di sviluppo del Paese.

Viviamo una fase storica drammaticamente turbolenta, segnata da crisi geopolitiche che si moltiplicano anziché risolversi e dalle gravi conseguenze sul piano umanitario, economico e sociale che nemmeno la dimensione nazionale è in grado di risolvere.

Abbiamo, inoltre, da affrontare sfide cruciali come la transizione digitale e la urgente riconversione ecologica del nostro sistema produttivo per contrastare la crisi climatica, e non possiamo certo farlo frantumando le politiche pubbliche territorio per territorio.

Infine, riteniamo profondamente sbagliato minare tre pilastri, su cui si fonda la coesione e la tenuta stessa nostra società, come l’Istruzione e la Sanità pubblica oltre che il Contratto collettivo nazionale di lavoro.

In definitiva, siamo convinti che solo rinsaldando l’unità nazionale, valorizzando l’interdipendenza tra economia settentrionale ed economia meridionale, rafforzando il welfare pubblico e universalistico, e proiettandoci come unico grande “Sistema Paese” in un’Europa sempre più unita, potremo giocare un ruolo nel mondo complicato in cui ci è toccato di vivere. Una nuova distribuzione delle materie e dei diritti fondamentali tra territori che certamente andrebbe a ledere molte delle competenze attualmente esercitate delle singole Regioni. Per queste ragioni, riteniamo che vadano attivati tutti gli strumenti democratici a disposizione per evitare che le prospettive dell’Italia siano compromesse in maniera irrimediabile. Le chiediamo, dunque, di valutare ogni iniziativa istituzionale utile a questo scopo, a cominciare dalla possibilità di promuovere, sulla base dell’articolo 127, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale a tutela della sfera di competenza della sua Regione, nel caso l’Autonomia differenziata diventasse legge.

Certi della sua attenzione, la salutiamo cordialmente.

Per il coordinamento della Via Maestra

Maurizio Landini – Segretario Generale CGIL

Raffaella Bolini – Vicepresidente ARCI

Giulio Marcon – Portavoce campagna Sbilanciamoci!

Andrea Morniroli – Forum Diseguaglianze Diversità

Avanza la guerra sucia delle élites occidentali

In parallelo con lo svolgimento delle due guerre in Ucraina e in Palestina si susseguono fatti sempre più inquietanti in diversi paesi europei e anche in Italia. Dalla repressione delle manifestazioni pro-Palestina in Germania e in Francia, all’arresto di singoli militanti in possesso della bandiera palestinese, al divieto di manifestare in ricordo del giorno della vittoria il 9 maggio a Berlino, a singole azioni di intimidazione di chi prova ad esporre liberamente il proprio pensiero considerato “divergente” e non in linea con la narrazione dei maggiori media (ma minoritaria nelle società), fino all’attentato terroristico subito dal premier slovacco Robert Fico. In Italia, l’aggressione e il pestaggio a Chef Rubio da parte di un gruppo di 5 persone nella notte romana per le sue affermazioni sul massacro in corso a Gaza e nei territori occupati. L’avvitamento autoritario a livello istituzionale e politico, la propaganda di guerra e per il riarmo in Europa, vanno di pari passo con la crescita di azioni squadriste di vario genere rivolte contro chi dissente. Pubblichiamo di seguito una analisi della situazione tratta dalla pagina facebook dell’Osservatorio italiano sul neoliberalismo.

I media stanno minimizzando la gravità e la portata di quello che è un vero e proprio attentato omicida di matrice estremista liberale nei confronti del premier slovacco Fico, con articoli che descrivono in modo negativo le sue posizioni politiche non liberali e non atlantiste (come a dire: “insomma, la violenza è brutta senza dubbio, però…”) e arrivando addirittura a insinuare che persino dietro ad un attentato alla vita di un politico accusato di essere ”filorusso” e “nemico dell’Occidente” ci sia Putin (e vabbè, ormai siamo in una fase in cui vale tutto e il contrario di tutto, e anche la propaganda vive alla giornata). I liberal-atlantisti ridacchiano ed esultano sguaiati negli ambienti virtuali “sicuri”: ieri hanno avuto anche la gioia dell’assalto squadrista nei confronti di Chef Rubio, che è stato riempito di botte (“se l’è meritato”). Sono tutti segnali, ulteriori, della lenta ma inesorabile involuzione antidemocratica ed autoritaria del mondo “liberale”, che quando si sente sotto attacco toglie la maschera civile e presentabile e ricorre alla violenza e allo strumento della paura per mantenere l’ordine del sistema di potere esistente.

Il clima è destinato a peggiorare: gli ambienti liberal-atlantisti odiano, nel vero e proprio senso della parola, coloro che sono critici del sistema di potere ”occidentale” (che poi sarebbe meglio chiamare: ”atlantista a guida Usa”), li considerano veri e proprio “nemici interni” e veicolano la retorica violenta e le pulsioni repressive in particolar modo verso i “comunisti antimperialisti” che sono quel soggetto politico che va dritto al cuore della questione politica e che tentano di rendere le persone consapevoli del filo rosso che collega lo sterminio dei palestinesi, la guerra in Ucraina e l‘escalation della tensione politica nel mondo. Questo filo rosso, in poche parole, è la volontà delle èlites occidentali (statunitense, europee, israeliana) di evitare lo scivolamento del mondo verso un multipolarismo in cui le potenze principali dei Brics, Russia e Cina, gli impediranno di comandare sul pianeta e diventare così sempre più ricche e potenti attraverso lo sfruttamento dei popoli di tutto il mondo. Non solo: Cina e Russia sono i massimi esponenti di un modello politico che, nella sua caratteristica più generale, è l’opposto di quello liberal-capitalistico occidentale: nel mondo dei Brics non è l’economia che domina sulla politica, e cioè non sono le aristocrazie capitalistiche che governano il sistema a fini di accentramento ulteriore della ricchezza e del potere, all’interno di un modello di relazioni internazionali in cui la sovranità nazionale è negata e c’è un centro imperialistico che domina su un insieme di vassalli; nei Brics l’economia, e quindi le èlites, sono integrate all’interno della politica e di finalità pubbliche generali, al vertice dei sistemi vi è la classe dirigente politica (fenomeno in cui è la Cina a spiccare, ovviamente) e le relazioni internazionali tra i Brics sono ispirate a criteri di bilateralità e rispetto delle sovranità nazionali.

Il filo rosso, insomma, è la crisi del sistema imperialistico a guida Usa e il pericolo che incombe sul sistema politico che permette ad una ristretta oligarchia economica di comandare sul 99% della popolazione: proprio verso chi vede positivamente, per varie ragioni, questa crisi, e agisce politicamente per accompagnarla e accelerla, la violenza repressiva degli ambienti liberal-atlantisti è destinata ad aumentare fino ad una soglia critica che rischia di far saltare in aria l’assetto politico-istituzionale delle democrazie occidentali.

Chi è critico dell’imperialismo atlantista a guida Usa e del modello liberal-capitalistico, nonché desideroso di vedere il crollo del potere delle oligarchie che oggi governano l’Occidente, è considerato dai liberali atlantisti come un vero e proprio “nemico interno”, un nemico della “civiltà occidentale”: la retorica bellica della guerra in Ucraina non è semplicemente strumentale a distruggere le possibilità di un dibattito razionale sui contenuti, è proprio funzionale a costruire la legittimità dell’esclusione sociale e politica e della repressione autoritaria verso il “nemico interno”. Ovviamente, chi è critico dell’imperialismo Usa, del modello liberal-capitalistico e delle èlite che lo guidano non è “nemico della civiltà occidentale”, ma è un oppositore politico di un sistema di potere e di un’ideologia politica ben precisa all’interno del contesto occidentale, in cui esisteva, esiste ed esisterà un’alternativa: chi “critica l’Occidente” lo fa non per distruggerlo, ma per riformarlo e salvarlo dall’involuzione antidemocratica, antiegualitaria e suprematista (negatrice della giustizia sul piano internazionale) causata dal capitalismo neoliberale e predatorio sostenuto dalla peggiore èlite della storia occidentale.

Siamo entrati in una fase storica e politica in cui, per cause sistemiche ed esterne ben più che politiche interne, il sistema di potere occidentale sta iniziando a scricchiolare: a livello politico si inizia a fare davvero sul serio, non è più uno scambio retorico e propagandistico in un’arena democratica tenuta in piedi per una questione di forma e di rispettabilità di un sistema che, quando è saldissimo sulle proprie fondamenta, può permettersi di far scannare dialetticamente la gente mentre nulla cambia e nessuna prospettiva altra appare all’orizzonte.

È questa la ragione profonda per cui la retorica violenta contro i “nemici interni”, gli atti di squadrismo contro singole persone (nel futuro prossimo, anche contro organizzazioni?) e l‘involuzione autoritaria del sistema politico sono destinate ad aumentare e incancrenirsi: il sistema di potere occidentale è realmente in crisi, per la prima volta dopo decenni, e si trova ad affrontare attori esterni che lo stanno mettendo seriamente in discussione e in pericolo e stanno agendo (con elevate probabilità di successo) verso una ristrutturazione del sistema internazionale dannosa per le oligarchie occidentali. Chi, tra i cittadini delle società occidentali, vede positività e giustizia in questa crisi del sistema imperialistico occidentale e del potere dell’èlite che lo guida, è considerato un vero e proprio nemico e un pericolo, da gestire con la propaganda mediatica fin quando è possibile, da reprimere con la violenza (pubblica e privata) quando sarà necessario. Stiamo entrando in una vera e propria fase ”fascista”, e cioè in una fase di autoprotezione autoritaria e violenta del sistema capitalistico e dei suo agenti, le èlites nazionali e i suoi scagnozzi diffusi nella società che sono disposti a tutto, pur di tenere in piedi un sistema sfruttatore e predatorio che gli consente di vivere “al di sopra delle possibilità”.

Libertà di espressione e censura mediatica

di Marco Consolo

Lo scorso 2 maggio, Nasser Abu Baker, Presidente del Sindacato dei Giornalisti della Palestina, ha ricevuto a Santiago del Cile il “Premio Mondiale della libertà di Stampa” dell’UNESCO (l’Agenzia dell’ONU), intitolato a Guillermo Cano. A nome di tutti-e i-le giornalisti-e palestinesi, Abu Baker ha ricordato le più di 135 vittime tra i-le colleghi-e che documentavano il genocidio israeliano a Gaza.

L’immediata rappresaglia mediatica israeliana è stata la chiusura di Al Jazeera ed il furto delle sue apparecchiature. Per i più smemorati, nel 2021, con un bombardamento, Israele aveva raso al suolo il grattacielo sede di Al Jazeera e dell’ Associated Press a Gaza.

Argentina e Telesur

In America Latina, la capa del Comando Sud degli Stati Uniti, la sorridente generale Laura Richardson, nella sua recente visita in Argentina aveva puntato il dito sui canali TV di Russia Today e di TeleSUR. La loro “colpa” è quella di avere un diverso punto di vista sul declinante strapotere USA nella regione.  Detto (ordinato) e fatto. Il 3 maggio, in Argentina, il “fedele scudiero” neo-sionista Milei ha oscurato il segnale di TeleSUR, nella griglia della Televisione Digitale Aperta. Poche settimane fa, il presidente Milei aveva già chiuso TELAM, la storica agenzia pubblica di notizie.

Nel 2018, il governo degli Stati Uniti ha silenziato diversi media, come il canale turco TRT World, quello russo Russia Today America, due canali cinesi CGTN1 e CGTN2, un canale sudcoreano Arirang, e poi Africa Today, France 24, TeleSUR, la tedesca Deutsche Welle,  in quanto “agenti stranieri”. Più recentemente il governo statunitense ha chiuso Press TV e sta dando l’assalto alla cinese TikTok (con 170 milioni di utenti negli States), mentre la “democratica” Unione Europea ha da tempo oscurato il segnale di Russia Today.

Per non rimanere indietro, la piattaforma X di Elon Musk ha censurato l’iraniana Hispan TV ed altri media “scomodi”.

E nell’Italia del governo neo-fascista, la RAI si è trasformata in “Tele Meloni”, umiliando il servizio pubblico, chi ci lavora e i-le cittadini-e.

Censura mediatica, democrazia e libertà di espressione

Il veto dei canali russi in Occidente o la costrizione a riferire su temi sensibili come il conflitto in Ucraina, il massacro in corso a Gaza, la pandemia del COVID-19 o la corruzione, hanno evidenziato il modo in cui i “latifondi mediatici” cercano di censurare e manipolare, mentre pretendono dare lezioni al mondo sui diritti e le libertà.

In nome del genocidio e della guerra, del turbo-liberismo e delle “magnifiche sorti” del capitalismo, censurano la tanto declamata libertà di espressione. Hanno paura di voci fuori dal coro, tra le altre quella dello stesso Papa, evidentemente non abbastanza “arruolato”. Nella battaglia mediatica per conquistare i cuori e le menti, la voce del padrone, “il pensiero unico del Ministero della Verità” non ammette controcanto, solo i cori ipocriti e stonati dei suoi sostenitori.

Nel mondo al rovescio, avanza la censura mediatica in nome della “democrazia” e della “libertà di espressione”.

FONTE: https://marcoconsolo.altervista.org/liberta-di-espressione-e-censura-mediatica/

Libertà accademica I ragazzi lo sanno: la ricerca va decolonizzata (cioè de-sionizzata)

di IAIN C HAMBERS

Forse, di fronte a uno Stato che persegue la pulizia etnica con intenzioni genocide, che rifiuta il diritto internazionale e si considera al di sopra delle decisioni delle Nazioni unite comportandosi come uno «Stato canaglia», è giunto il momento di parlare di come affrontare direttamente Israele. Se appartiene all’Occidente moderno e democratico, come sostiene, ha bisogno di una seria riforma o altrimenti di essere messo in quarantena.

La questione non deve essere semplicemente dominata dalle relazioni internazionali, richiede una risposta etica e democratica. Siamo chiari. Il sionismo, in quanto impresa esplicitamente coloniale – e i suoi fondatori non hanno avuto remore a riconoscerlo – non può essere democratico nelle sue intenzioni. La protezione del suo dominio etnocratico richiede la purezza razziale e l’apartheid, ora incarnati nel suo apparato giuridico e nella sua costituzione.

L’opposizione a questa critica di Israele, invariabilmente etichettata come antisemitismo, è essa stessa un attacco alla democrazia e alla ricerca della giustizia storica nell’analisi sociale e politica.

In questo momento, l’ideologia sionista e la sua occupazione militare della Palestina stanno perseguendo, come in tutti i colonialismi, l’eliminazione dei nativi, proprio come in precedenza nell’imperium anglofono del Nord America, dell’Australia e del Sudafrica.

La formazione violenta delle identità occidentali produce storie taciute e geografie dimenticate. Tuttavia, come ci insegnano i palestinesi, queste storie resistono e persistono.

All’Orientale di Napoli il 23 aprile scorso si è tenuto un importante seminario su «Israele, l’industria delle armi e il ruolo dell’università». Tra i contributi, c’era la presentazione dell’accademica israeliana Nurit Peled el-Hanan sul genocidio simbolico dei palestinesi nei libri scolastici israeliani. In questi testi, controllati e approvati dal ministero dell’Istruzione israeliano, non ci sono singoli palestinesi, ma solo una categoria anonima e disumanizzata chiamata arabi.

Tra i palestinesi non ci sono scienziati, artisti, accademici o politici, ma solo un gruppo etnicamente distinto che minaccia la vita di Israele con il suo sottosviluppo e il suo terrorismo: il nemico del moderno Israele e del progetto sionista di civiltà occidentale. Questa semiotica pedagogica, come ha illustrato in dettaglio Nurit Peled el-Hanan, è centrale nei meccanismi di razzializzazione di uno Stato di apartheid, nella sua educazione fascista (parole sue) e nel suo dominio militare sui colonizzati. Dire la verità al potere in questo modo ha un prezzo.

Nurit Peled el-Hanan è stata recentemente sospesa dal suo incarico universitario. Oggi le università israeliane si dichiarano esplicitamente sioniste. Insistono sul fatto che il loro ruolo è quello di difendere il sionismo e la narrativa dello Stato etnonazionalista. Alla faccia della scientificità e della neutralità accademica.

Ora, questa narrazione non è limitata a un piccolo ma potentissimo Stato del Mediterraneo orientale. È stata adottata per decenni in tutto l’Occidente. Anzi, è stata storicamente coltivata fin dalle prime mappature del mondo all’inizio del XIX secolo, soprattutto da parte della Londra imperiale.

Quello che l’intellettuale palestinese Edward Said, formatosi a Princeton e Harvard, ha definito in tempi più recenti «orientalismo», si è sedimentato nel senso comune dei pronunciamenti politici e culturali in Europa e Nord America: dalla Casa Bianca agli studi televisivi e ai giornali. Contestare questa configurazione di conoscenza e la sua gestione del globo significa inevitabilmente impegnarsi in una discussione con la nostra società e con la creazione di noi stessi.

Come ha detto acutamente James Baldwin: «Proprio nel momento in cui inizi a sviluppare una coscienza, devi trovarti in guerra con la tua società».
Mi piace pensare che questo sia un riassunto preciso di quello che è il lavoro critico e analitico. È anche il momento in cui si devono fare i collegamenti impensabili, ormai che la cortina di fumo liberale evapora e assistiamo all’esercizio brutale del potere nudo, tra il campo di sterminio di Gaza e l’esecuzione giuridica dei migranti nel Mediterraneo.

La conclusione è che le istituzioni occidentali, gli enti governativi, le agenzie di ricerca e le università, insieme alla più ovvia partecipazione dei produttori di armi, delle aziende tecnologiche e dei servizi finanziari, sono parte integrante di un apparato coloniale. Se la trasformazione del conflitto in capitale è una cosa, sostenuta in modo ipocrita dalla ricerca del benessere economico, la sua analisi critica è un’altra. Gli studenti qui in Italia e, soprattutto, nei campus americani, stanno giustamente insegnando ai loro insegnanti e amministratori quest’ultima prospettiva. Per evocare Hannah Arendt, stanno tirando fuori dai denti della storia ufficiale una narrazione più onesta e democratica della condizione umana.

FONTE: Il Manifesto del 27.04.2024

Nuova Patto di stabilità EU: “Serve una vera Liberazione, contro il fascismo politico, ma anche contro il fascismo dei mercati finanziari”

di MARCO BERSANI

«L’ Europa è preoccupata? Se vinciamo noi è finita la pacchia!». Così urlava Giorgia Meloni all’ultimo comizio elettorale del settembre 2022. Siamo nell’aprile 2024, Meloni ha vinto e l’Unione Europea ha approvato il “nuovo” patto di stabilità dopo la sospensione triennale post pandemia.
Guardando le misure introdotte, si può dire che Meloni avesse ragione dal punto di vista letterale, ma avendo invertito soggetti attivi e soggetti passivi dell’affermazione.

Perché la pacchia -peraltro mai pervenuta dalle parti delle fasce deboli e medie della popolazione- è davvero finita e ritorna in grande stile la gabbia del debito e delle politiche di austerità.

Cosa prevede infatti il nuovo patto di stabilità? Intanto ripropone i numeri magici (60% rapporto debito/Pil e 3% rapporto deficit/Pil) i cui stessi ideatori dichiararono a più riprese di averli letteralmente inventati senza alcuna base scientifica. Su come raggiungerli e sulle procedure d’infrazione nel caso di mancato risultato, i mass media e le elite politiche si sbracciano per dire che c’è un allentamento rispetto alle misure previste in passato. Ma il focus è ancora una volta sbagliato.

Vediamo i dettagli. Per quanto riguarda il rapporto debito/Pil, i Paesi con un debito tra il 60% e il 90% del Pil dovranno ridurlo dello 0,5% ogni anno, mentre i Paesi con un debito superiore al 90% del Pil (è il caso dell’Italia) dovranno ridurlo dell’1% annuo. Se è vero che il patto di stabilità precedente prevedeva un rientro del 5% all’anno, è altrettanto vero che prima tutti i Paesi erano consapevoli della totale impossibilità di un rientro così drastico, mentre ora il risultato è esigibile e quindi con conseguenze reali in termini di impatto economico e sociale. Per quanto riguarda il deficit, le nuove misure sono drasticamente peggiorative, perché, pur mantenendo il 3% come tetto non soggetto a procedura d’infrazione, spinge i Paesi ad arrivare all’1,5%, in modo da avere una più cogente stabilità finanziaria che consenta di affrontare eventi straordinari (vedi pandemia) senza mai superare il mitico 3%.

E come si raggiunge questo risultato? Con un miglioramento del saldo primario strutturale (entrate maggiori delle uscite) del 0,4% annuo del Pil nel caso di un percorso di aggiustamento di quattro anni o del 0,25% annuo del Pil nel caso il percorso sia di sette anni. Come riporta uno studio della Confederazione europea dei sindacati (Ces) basato sui calcoli del centro studi Bruegel (https://www.etuc.org/en/pressrelease/100bn-cuts-next-year-under-council-aust erity-plan), si tratta per l’Italia di tagli al bilancio di 25,4 mld/anno (percorso quadriennale) o di 13,5 mld/anno (percorso settennale). E se il buongiorno si vede dal mattino, segniamoci la data del 19 giugno (post-elezioni) perché sarà allora che si aprirà la prima procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per il deficit eccessivo registrato nel 2023.

Non di soli numeri si parla nel “nuovo” patto di stabilità, bensì anche di democrazia. Già perché l’altra novità è che per i Paesi con debito alto sarà direttamente Bruxelles “a indicare la traiettoria di riferimento della spesa primaria netta”, ovvero a decidere quanti soldi andranno alla sanità, all’istruzione, alla transizione ecologica, mentre un occhio di riguardo nei conteggi sarà riservato per tutti gli investimenti che riguardano il bilancio della Difesa e le spese militari.

Torna la gabbia, dunque, e la ridicola astensione al voto da parte della maggioranza di governo di destra, così come quella del Pd, hanno il sapore della foglia di fico pre-elettorale.

Oggi più che mai serve una vera Liberazione: contro il fascismo politico, ma anche contro il fascismo dei mercati finanziari.

FONTE: Il Manifesto del 27 Aprile 2024

Yanis Varoufakis: Il discorso che mi ha fatto bandire dalla Germania

Olaf Kosinsky, CC BY-SA 3.0 DE , via Wikimedia Commons

Oggi, a Yanis Varoufakis è stato vietato non solo di visitare la Germania, ma anche di partecipare a videoconferenze sulla politica ospitate in Germania. Ecco l’appello per l’umanità e la giustizia in Palestina che lo ha portato al bando.

di Yanis Varoufakis

Oggi, il ministero degli Interni tedesco ha emesso contro di me un “betätigungsverbot”, un divieto di qualsiasi attività politica, non solo di visitare la Germania, ma anche di partecipare a eventi Zoom ospitati nel paese. Non posso nemmeno avere un mio video registrato riprodotto agli eventi tedeschi.

I problemi sono iniziati sul serio ieri, quando la polizia tedesca ha fatto irruzione in una sede di Berlino per sciogliere il nostro congresso sulla Palestina, ospitato dal Movimento per la Democrazia in Europa 2025 (DiEM25). Giudicate voi stessi che tipo di società sta diventando la Germania se la sua polizia mette al bando i sentimenti riportati di seguito.

Congratulazioni e ringraziamenti di cuore per essere qui – nonostante le minacce, nonostante la polizia corazzata fuori da questa sede, nonostante la panoplia della stampa tedesca, nonostante lo Stato tedesco, nonostante il sistema politico tedesco che ti demonizza per essere qui.

“Perché un congresso palestinese, signor Varoufakis?” mi ha chiesto recentemente un giornalista tedesco. Perché, come disse una volta Hanan Ashrawi, “non possiamo fare affidamento sul fatto che coloro che sono messi a tacere ci parlino della loro sofferenza”.

Oggi, la ragione di Ashrawi è diventata tristemente più forte, perché non possiamo fare affidamento sul fatto che coloro che vengono messi a tacere, anch’essi massacrati e affamati, ci parlino dei massacri e della fame.

Ma c’è anche un’altra ragione: perché un popolo orgoglioso e rispettabile, il popolo tedesco, viene condotto lungo una strada pericolosa verso una società senza cuore, essendo costretto ad associarsi a un altro genocidio compiuto in suo nome, con la sua complicità.

Non sono né ebreo né palestinese. Ma sono incredibilmente orgoglioso di essere qui tra ebrei e palestinesi – per unire la mia voce per la pace e i diritti umani universali con le voci ebraiche per la pace e i diritti umani universali, con le voci palestinesi per la pace e i diritti umani universali. Essere qui insieme oggi è la prova che la convivenza non solo è possibile, ma che esiste già.

“Perché non un congresso ebraico, signor Varoufakis?” mi ha chiesto lo stesso giornalista tedesco, immaginando che facesse il furbo. Ho accolto con favore la sua domanda.

Perché se un singolo ebreo viene minacciato, ovunque, solo perché è ebreo, indosserò la Stella di David sul bavero e offrirò la mia solidarietà, qualunque sia il costo, qualunque sia il costo.

I diritti umani universali o sono universali oppure non significano nulla.

Quindi cerchiamo di essere chiari: se gli ebrei fossero sotto attacco, in qualsiasi parte del mondo, sarei il primo a sollecitare un congresso ebraico in cui registrare la nostra solidarietà.

Allo stesso modo, quando i palestinesi vengono massacrati perché sono palestinesi – secondo il dogma secondo cui per essere morti e palestinesi devono essere stati Hamas – indosserò la mia kefiah e offrirò la mia solidarietà a qualunque costo, a qualunque costo.

I diritti umani universali o sono universali oppure non significano nulla.

Con questo in mente, ho risposto alla domanda del giornalista tedesco con alcune delle mie:

  • Due milioni di ebrei israeliani, che furono cacciati dalle loro case e rinchiusi in una prigione a cielo aperto ottant’anni fa, sono ancora tenuti in quella prigione a cielo aperto, senza accesso al mondo esterno, con cibo e acqua minimi, senza alcuna possibilità? di una vita normale o di viaggiare ovunque, pur essendo bombardato periodicamente per questi ottant’anni? NO.
  • Gli ebrei israeliani vengono fatti morire di fame intenzionalmente da un esercito di occupazione, mentre i loro figli si contorcono sul pavimento, urlando dalla fame? NO.
  • Ci sono migliaia di bambini ebrei feriti senza genitori sopravvissuti che strisciano tra le macerie di quelle che erano le loro case? NO.
  • Gli ebrei israeliani vengono bombardati dagli aerei e dalle bombe più sofisticati del mondo? NO.
  • Gli ebrei israeliani stanno vivendo un totale ecocidio di quella piccola terra che possono ancora chiamare propria, senza un solo albero sotto il quale possano cercare ombra o di cui possano gustare i frutti? NO.
  • I bambini ebrei israeliani vengono uccisi oggi dai cecchini per ordine di uno stato membro delle Nazioni Unite (ONU)? NO.
  • Oggi gli ebrei israeliani vengono cacciati dalle loro case da bande armate? NO.
  • Israele sta lottando per la propria esistenza oggi? NO.

Se la risposta a una qualsiasi di queste domande fosse sì, oggi parteciperei a un congresso di solidarietà ebraica.

Oggi ci sarebbe piaciuto avere un dibattito dignitoso, democratico e reciprocamente rispettoso su come portare la pace e i diritti umani universali a tutti – ebrei e palestinesi, beduini e cristiani – dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo con persone che la pensano diversamente da noi. noi.

Purtroppo l’intero sistema politico tedesco ha deciso di non permetterlo. In una dichiarazione congiunta alla quale partecipano non solo la CDU-CSU (Unione Cristiano-Democratica-Unione Cristiano-Sociale della Baviera) e il FDP (Partito Democratico Libero), ma anche l’SPD (Partito Socialdemocratico), i Verdi e, sorprendentemente, due leader del partito Die Linke (La Sinistra), lo spettro politico tedesco ha unito le forze per garantire che un dibattito così civile, sul quale possiamo essere piacevolmente in disaccordo, non abbia mai luogo in Germania.

Dico loro: volete metterci a tacere, metterci al bando, demonizzarci, accusarci. Pertanto non ci lasci altra scelta se non quella di rispondere alle tue ridicole accuse con le nostre razionali accuse. Hai scelto questo, non noi.

Ci accusate di odio antisemita. Ti accusiamo di essere il migliore amico dell’antisemita equiparando il diritto di Israele a commettere crimini di guerra con il diritto degli ebrei israeliani a difendersi.

Ci accusate di sostenere il terrorismo. Ti accusiamo di equiparare la legittima resistenza a uno stato di apartheid alle atrocità contro i civili che ho sempre e sempre condannerò, chiunque le commetta: palestinesi, coloni ebrei, la mia stessa famiglia, chiunque. Vi accusiamo di non riconoscere il dovere del popolo di Gaza di abbattere il muro della prigione a cielo aperto in cui è stato rinchiuso per ottant’anni – e di equiparare questo atto di abbattere il muro della vergogna, che non è più difendibile di fu il Muro di Berlino, con atti di terrore.

Ci accusate di banalizzare il terrorismo di Hamas del 7 ottobre. Vi accusiamo di banalizzare gli ottant’anni di pulizia etnica dei palestinesi da parte di Israele e l’erezione di un ferreo sistema di apartheid in tutto Israele-Palestina. La accusiamo di banalizzare il sostegno a lungo termine di Benjamin Netanyahu a Hamas come mezzo per distruggere la soluzione dei due Stati che lei sostiene di favorire. Vi accusiamo di banalizzare il terrore senza precedenti scatenato dall’esercito israeliano sulla popolazione di Gaza, in Cisgiordania. e Gerusalemme Est.

Lei accusa gli organizzatori del congresso di oggi di essere, cito testualmente, “non interessati a parlare delle possibilità di coesistenza pacifica in Medio Oriente nel contesto della guerra a Gaza”. Sei serio? Hai perso la testa?

Vi accusiamo di sostenere uno Stato tedesco che è, dopo gli Stati Uniti, il più grande fornitore delle armi che il governo Netanyahu usa per massacrare i palestinesi come parte di un grande piano per realizzare una soluzione a due Stati e una coesistenza pacifica tra ebrei e Palestinesi, impossibile. La accusiamo di non aver mai risposto alla domanda pertinente a cui ogni tedesco deve rispondere: quanto sangue palestinese dovrà scorrere prima che il suo giustificato senso di colpa per l’Olocausto venga lavato via?

Cerchiamo quindi di essere chiari: siamo qui a Berlino con il nostro congresso palestinese perché, a differenza del sistema politico tedesco e dei media tedeschi, condanniamo il genocidio e i crimini di guerra indipendentemente da chi li sta perpetrando. Perché ci opponiamo all’apartheid nella terra di Israele-Palestina, non importa chi abbia il sopravvento, proprio come ci siamo opposti all’apartheid nel Sud americano o in Sud Africa. Perché sosteniamo i diritti umani universali, la libertà e l’uguaglianza tra ebrei, palestinesi, beduini e cristiani nell’antica terra di Palestina.

A differenza del sistema politico tedesco e dei media tedeschi, noi condanniamo il genocidio e i crimini di guerra indipendentemente da chi li perpetra.

E così abbiamo ancora più chiare le domande, legittime e maligne, a cui dobbiamo essere sempre pronti a rispondere:

Condanno le atrocità di Hamas?

Condanno ogni singola atrocità, chiunque ne sia l’autore o la vittima. Ciò che non condanno è la resistenza armata a un sistema di apartheid concepito come parte di un programma di pulizia etnica a combustione lenta ma inesorabile. In altre parole, condanno ogni attacco ai civili e, allo stesso tempo, celebro chiunque rischi la propria vita per abbattere il muro.

Israele non è forse impegnato in una guerra per la sua stessa esistenza?

No non lo è. Israele è uno stato dotato di armi nucleari con forse l’esercito tecnologicamente più avanzato del mondo e con la panoplia della macchina militare statunitense alle sue spalle. Non c’è simmetria con Hamas, un gruppo che può causare gravi danni agli israeliani ma non ha alcuna capacità di sconfiggere l’esercito israeliano, o anche solo di impedire a Israele di continuare ad attuare il lento genocidio dei palestinesi sotto il sistema di apartheid che è stato eretto con sostegno di lunga data da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.

Gli israeliani non sono forse giustificati a temere che Hamas voglia sterminarli?

Certo che lo sono! Gli ebrei hanno subito un Olocausto che è stato preceduto da pogrom e da un radicato antisemitismo che ha permeato per secoli l’Europa e le Americhe. È naturale che gli israeliani vivano nel timore di un nuovo pogrom se l’esercito israeliano dovesse piegarsi. Tuttavia, imponendo l’apartheid ai propri vicini e trattandoli come subumani, lo Stato israeliano sta alimentando il fuoco dell’antisemitismo e rafforzando palestinesi e israeliani che vogliono solo annientarsi a vicenda. Alla fine, le sue azioni contribuiscono alla terribile insicurezza che divora gli ebrei in Israele e nella diaspora. L’apartheid contro i palestinesi è la peggiore autodifesa degli israeliani.

E l’antisemitismo?

È sempre un pericolo chiaro e presente. E deve essere sradicato, soprattutto tra le fila della sinistra globale e tra i palestinesi che lottano per le libertà civili palestinesi in tutto il mondo.

Perché i palestinesi non perseguono i loro obiettivi con mezzi pacifici?

Loro fecero. L’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) riconobbe Israele e rinunciò alla lotta armata. E cosa hanno ottenuto in cambio? Umiliazione assoluta e pulizia etnica sistematica. Questo è ciò che ha nutrito Hamas e lo ha elevato agli occhi di molti palestinesi come l’unica alternativa a un lento genocidio sotto l’apartheid israeliano.

Cosa si dovrebbe fare adesso? Cosa potrebbe portare la pace in Israele-Palestina?

  • Un cessate il fuoco immediato.
  • Il rilascio di tutti gli ostaggi: quelli di Hamas e le migliaia detenuti da Israele.
  • Un processo di pace, sotto la guida delle Nazioni Unite, sostenuto dall’impegno della comunità internazionale a porre fine all’apartheid e a salvaguardare pari libertà civili per tutti.
  • Per quanto riguarda ciò che dovrà sostituire l’apartheid, spetta a israeliani e palestinesi decidere tra la soluzione dei due Stati e la soluzione di un unico Stato federale laico.

Amici, siamo qui perché la vendetta è una forma pigra di dolore.

Siamo qui per promuovere non la vendetta ma la pace e la coesistenza in tutto Israele-Palestina.

Siamo qui per dire ai democratici tedeschi, compresi i nostri ex compagni di Die Linke, che si sono coperti di vergogna abbastanza a lungo – che due errori non fanno una cosa giusta – e che permettere a Israele di farla franca con i crimini di guerra non migliorerà la situazione l’eredità dei crimini della Germania contro il popolo ebraico.

Al di là del congresso di oggi, in Germania abbiamo il dovere di cambiare il discorso. Abbiamo il dovere di persuadere la stragrande maggioranza dei tedeschi perbene che ciò che conta sono i diritti umani universali. Questo mai più significa mai più per nessuno. Ebrei, palestinesi, ucraini, russi, yemeniti, sudanesi, ruandesi: per tutti, ovunque.

In questo contesto, sono lieto di annunciare che il partito politico tedesco MERA25 di DiEM25 sarà sulla scheda elettorale delle elezioni del Parlamento Europeo del prossimo giugno, cercando il voto degli umanisti tedeschi che desiderano un membro del Parlamento Europeo che rappresenti la Germania e che chieda all’UE complicità nel genocidio, una complicità che è il più grande dono dell’Europa agli antisemiti in Europa e oltre.

Saluto tutti voi e suggerisco di non dimenticare mai che nessuno di noi è libero se uno di noi è in catene.

DISCORSO DEL DR. GHASSAN ABU SITTAHALLA SUA NOMINA DI RECTOR DELL’UNIVERSITA’ DI GLASGOW

Dr. Ghassan Abu-Sittah during his address at the University of Glasgow following his landslide victory as Rector with 80% of the vote, April 11, 2024. (Photo: The University of Glasgow)

L’11 aprile, il dottor Ghassan Abu-Sittah è stato nominato Rector dell’Università di Glasgow dopo la sua elezione schiacciante con l’80% dei voti.

Di seguito è riportata una trascrizione del discorso del Dr. Abu-Sittah.

“Ogni generazione deve scoprire la sua missione, compierla o tradirla, in relativa opacità”.

Frantz Fanon, I dannati della terra

Gli studenti dell’Università di Glasgow hanno deciso di votare in memoria dei 52.000 palestinesi uccisi. In memoria di 14.000 bambini assassinati. Hanno votato in solidarietà con i 17.000 bambini palestinesi rimasti orfani, i 70.000 feriti – di cui il 50% bambini – e i 4-5.000 bambini a cui sono stati amputati gli arti.
Hanno votato per solidarizzare con gli studenti e gli insegnanti di 360 scuole distrutte e 12 università completamente rase al suolo. Hanno solidarizzato con la famiglia e la memoria di Dima Alhaj, un’ex alunna dell’Università di Glasgow uccisa con il suo bambino e con tutta la sua famiglia.

All’inizio del XX secolo, Lenin predisse che il vero cambiamento rivoluzionario nell’Europa occidentale dipendeva dal suo stretto contatto con i movimenti di liberazione contro l’imperialismo e nelle colonie di schiavi. Gli studenti dell’Università di Glasgow hanno capito cosa abbiamo da perdere quando permettiamo alla nostra politica di diventare disumana. Capiscono anche che ciò che è importante e diverso di Gaza è che è il laboratorio in cui il capitale globale sta esaminando la gestione delle popolazioni in eccesso.
Si sono schierati accanto a Gaza e hanno solidarizzato con il suo popolo perché hanno capito che le armi che Benjamin Netanyahu usa oggi sono le armi che Narendra Modi userà domani. I quadricotteri e i droni equipaggiati con fucili da cecchino – usati in modo così subdolo ed efficiente a Gaza che una notte all’ospedale Al-Ahli abbiamo ricevuto più di 30 civili feriti colpiti fuori dal nostro ospedale da queste invenzioni – usati oggi a Gaza saranno usati domani a Mumbai, a Nairobi e a San Paolo. Alla fine, come il software di riconoscimento facciale sviluppato dagli israeliani, arriveranno a Easterhouse e Springburn.

Quindi, in realtà, per chi hanno votato questi studenti? Il mio nome è Ghassan Solieman Hussain Dahashan Saqer Dahashan Ahmed Mahmoud Abu-Sittah e, ad eccezione di me, mio padre e tutti i miei antenati sono nati in Palestina, una terra che è stata ceduta da uno dei precedenti rettori dell’Università di Glasgow. Tre decenni prima che la sua dichiarazione di quarantasei parole annunciasse il sostegno del governo britannico alla colonizzazione della Palestina da parte dei coloni, Arthur Balfour fu nominato Lord Rettore dell’Università di Glasgow. “Un’indagine sul mondo… ci mostra un vasto numero di comunità selvagge, apparentemente in uno stadio di cultura non profondamente diverso da quello che prevaleva tra l’uomo preistorico”, disse Balfour durante il suo discorso rettorale nel 1891. Sedici anni dopo, questo antisemita ideò l’Aliens Act del 1905 per impedire agli ebrei in fuga dai pogrom dell’Europa orientale di mettersi in salvo nel Regno Unito.

Nel 1920, mio nonno Sheikh Hussain costruì una scuola con i suoi soldi nel piccolo villaggio in cui viveva la mia famiglia. Lì ha gettato le basi per una relazione che ha reso l’istruzione centrale nella vita della mia famiglia. Il 15 maggio 1948, le forze dell’Haganah fecero pulizia etnica in quel villaggio e spinsero la mia famiglia, che aveva vissuto su quella terra per generazioni, in un campo profughi a Khan Younis che ora si trova in rovina nella Striscia di Gaza. Le memorie dell’ufficiale dell’Haganah che aveva invaso la casa di mio 1nonno furono trovate da mio zio. In queste memorie, l’ufficiale nota con incredulità come la casa fosse piena di libri e avesse un certificato di laurea in legge dell’Università del Cairo, appartenente a mio nonno.

L’anno dopo la Nakba, mio padre si laureò in medicina all’Università del Cairo e tornò a Gaza per lavorare nell’UNRWA nelle sue cliniche appena formate. Ma come molti della sua generazione, si è trasferito nel Golfo per aiutare a costruire il sistema sanitario in quei paesi. Nel 1963 si trasferì a Glasgow per proseguire la sua formazione post-laurea in pediatria e si innamorò della città e della sua gente.
E fu così che nel 1988 venni a studiare medicina all’Università di Glasgow, e qui scoprii cosa può fare la medicina, come una carriera in medicina ti pone al freddo volto della vita delle persone, e come, se sei dotato delle giuste lenti politiche, sociologiche ed economiche, puoi capire come viene modellata la vita delle persone e molte volte contorta, da forze politiche al di fuori del loro controllo.

Ed è stato a Glasgow che ho visto per la prima volta il significato della solidarietà internazionale. Glasgow in quel periodo era piena di gruppi che stavano organizzando solidarietà con El Salvador, Nicaragua e Palestina. Il consiglio comunale di Glasgow è stato uno dei primi a gemellarsi con le città della Cisgiordania e l’Università di Glasgow ha istituito la sua prima borsa di studio per le vittime del massacro di Sabra e Shatila. È stato proprio durante i miei anni a Glasgow che è iniziato il mio viaggio come chirurgo di guerra, prima da studente quando sono andato alla prima guerra americana in Iraq nel 1991; poi con Mike Holmes nel Libano del Sud nel 1993; poi con mia moglie a Gaza durante la Seconda Intifada; poi alle guerre condotte dagli israeliani a Gaza nel 2009, 2012, 2014 e 2021; alla guerra di Mosul nel nord dell’Iraq, a Damasco durante la guerra siriana e alla guerra in Yemen. Ma è stato solo il 9 ottobre che sono arrivato a Gaza e ho visto il genocidio svolgersi.

Tutto quello che sapevo sulle guerre era paragonato a niente di quello che vedevo. Era la differenza tra alluvioni e uno tsunami. Per 43 giorni ho visto le macchine di morte fare a pezzi le vite e i corpi dei palestinesi nella Striscia di Gaza, metà dei quali erano bambini. Dopo il mio coming out, gli studenti dell’Università di Glasgow mi hanno contattato per candidarmi alle elezioni come rettore. Poco dopo, uno dei selvaggi di Balfour ha vinto le elezioni.

Che cosa abbiamo imparato dal genocidio e sul genocidio negli ultimi 6 mesi? Abbiamo imparato che lo scolasticidio, l’eliminazione di intere istituzioni educative, sia di infrastrutture che di risorse umane, è una componente fondamentale della cancellazione genocida di un popolo. 12 università completamente rase al suolo. 400 scuole. 6.000 studenti uccisi. 230 insegnanti uccisi. Uccisi 100 professori e presidi e due rettori di università.

Abbiamo anche imparato, e questo è qualcosa che ho scoperto quando ho lasciato Gaza, che il progetto genocida è come un iceberg di cui Israele è solo la punta. Il resto dell’iceberg è costituito da un asse di genocidio. Questo asse del genocidio è costituito dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dalla Germania, dall’Australia, dal Canada e dalla Francia. paesi che hanno sostenuto Israele con le armi – e continuano a sostenere il genocidio con le armi – e hanno mantenuto il sostegno politico al progetto genocida in modo che continuasse. Non dobbiamo lasciarci ingannare dai tentativi degli Stati Uniti di umanitarizzare il genocidio: uccidendo persone mentre lanciano aiuti alimentari con il paracadute.
Ho anche scoperto che parte dell’iceberg del genocidio sono i facilitatori del genocidio. Piccole persone, uomini e donne, in ogni aspetto della vita, in ogni istituzione. Questi facilitatori di genocidio sono di tre tipi.

  1. I primi sono quelli la cui razzializzazione e la totale alterità dei palestinesi li ha resi incapaci di provare qualcosa per i 14.000 bambini che sono stati uccisi e per i quali i bambini palestinesi rimangono insopportabili. Se Israele avesse ucciso 14.000 cuccioli o gattini, sarebbero stati completamente distrutti dalla barbarie di Israele.
  2. Il secondo gruppo è costituito da coloro che, secondo Hannah Arendt ne “La banalità del male”, “non avevano alcun motivo, se non la straordinaria diligenza nel prendersi cura del proprio avanzamento personale”.
  3. I terzi sono gli apatici. Come diceva Arendt, “Il male prospera sull’apatia e non può esistere senza di essa”

Nell’aprile del 1915, un anno dopo l’inizio della Prima guerra mondiale, Rosa Luxemburg scrisse della società borghese tedesca. “Violati, disonorati, guadati nel sangue… La bestia famelica, il sabba delle streghe dell’anarchia, una piaga per la cultura e l’umanità”. Quelli di noi che hanno visto, annusato e sentito ciò che le armi da guerra fanno al corpo di un bambino, quelli di noi che hanno amputato le membra irrecuperabili di bambini feriti non possono mai avere altro che il massimo disprezzo per tutti coloro che sono coinvolti nella fabbricazione, nella progettazione e nella vendita di questi strumenti di brutalità. Lo scopo della produzione di armi è quello di distruggere la vita e devastare la natura.

Nell’industria degli armamenti, i profitti aumentano non solo a causa delle risorse catturate durante o attraverso la guerra, ma anche attraverso il processo di distruzione di tutta la vita, sia umana che ambientale. L’idea che ci sia la pace o un mondo incontaminato mentre il capitale cresce con la guerra è ridicola. Né il commercio di armi né il commercio di combustibili fossili hanno posto all’Università.
Allora, qual è il nostro piano, questo “selvaggio” e i suoi complici?

Faremo una campagna per il disinvestimento dalla produzione di armi e dall’industria dei combustibili fossili in questa Università, sia per ridurre i rischi dell’Università a seguito della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che questa è plausibilmente una guerra genocida, sia per l’attuale causa intentata contro la Germania dal Nicaragua per complicità nel genocidio.
Il denaro del sangue genocida ricavato come profitto da queste azioni durante la guerra sarà utilizzato per creare un fondo per aiutare a ricostruire le istituzioni accademiche palestinesi. Questo fondo sarà intestato a Dima Alhaj e in memoria di una vita stroncata da questo genocidio.

Formeremo una coalizione di gruppi e sindacati studenteschi e della società civile per trasformare l’Università di Glasgow in un campus libero dalla violenza di genere.
Ci batteremo per trovare soluzioni concrete per porre fine alla povertà studentesca all’Università di Glasgow e per fornire alloggi a prezzi accessibili a tutti gli studenti.
Faremo una campagna per il boicottaggio di tutte le istituzioni accademiche israeliane che sono passate dall’essere complici dell’apartheid e della negazione dell’istruzione ai palestinesi al genocidio e alla negazione della vita. Ci batteremo per una nuova definizione di antisemitismo che non confonda l’antisionismo e il colonialismo genocida anti-israeliano con l’antisemitismo.
Combatteremo con tutte le comunità altre e razzializzate, compresa la comunità ebraica, la comunità rom, i musulmani, i neri e tutti i gruppi razzializzati, contro il nemico comune di un fascismo di destra in ascesa, ora assolto dalle sue radici antisemite da un governo israeliano in cambio del suo sostegno all’eliminazione del popolo palestinese.

Solo questa settimana, proprio questa settimana, abbiamo visto come un’istituzione finanziata dal governo tedesco ha censurato un’intellettuale e filosofa ebrea, Nancy Fraser, a causa del suo sostegno al popolo palestinese. Più di un anno fa, abbiamo visto il Partito Laburista sospendere Moshé Machover, un attivista antisionista ebreo, per antisemitismo.

Durante il volo di andata ho avuto la fortuna di leggere “Siamo liberi di cambiare il mondo” di Lyndsey Stonebridge. Cito da questo libro: “È quando l’esperienza dell’impotenza è più acuta, quando la storia sembra più cupa, che la determinazione a pensare come un essere umano, in modo creativo, coraggioso e complicato conta di più”.

90 anni fa, nella sua “Canzone di solidarietà”, Bertolt Brecht si chiedeva: “Di chi è domani domani? E di chi è il mondo?” Bene, la mia risposta a lui, a voi e agli studenti dell’Università di Glasgow: è il vostro mondo per cui lottare.

È il tuo domani da costruire. Per noi, tutti noi, parte della nostra resistenza alla cancellazione del genocidio è parlare del domani a Gaza, pianificare la guarigione delle ferite di Gaza domani. Saremo proprietari di domani. Domani sarà una giornata palestinese.

Nel 1984, quando l’Università di Glasgow nominò Winnie Mandela suo rettore nei giorni più bui del governo di P. W. Botha sotto un brutale regime di apartheid, sostenuto da Margaret Thatcher e Ronald Reagan, nessuno avrebbe potuto immaginare che in 40 anni uomini e donne sudafricani avrebbero potuto trovarsi di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia a difendere il diritto del popolo palestinese alla vita come cittadini liberi di una nazione libera.
Uno degli scopi di questo genocidio è quello di affogarci nel nostro stesso dolore. Da un punto di vista personale, voglio mantenere lo spazio in modo che io e la mia famiglia possiamo piangere per i nostri cari.

Lo dedico alla memoria del nostro amato Abdelminim ucciso a 74 anni il giorno della sua nascita. Lo dedico alla memoria del mio collega, il dottor Midhat Saidam, che era uscito per mezz’ora per portare sua sorella a casa loro in modo che potesse essere al sicuro con i suoi figli e non è più tornato. Lo dedico al mio amico e collega, il dottor Ahmad Makadmeh, che è stato giustiziato dall’esercito israeliano nell’ospedale Shifa poco più di 10 giorni fa con sua moglie. Lo dedico al sempre sorridente dottor Haitham Abu-Hani, capo del Pronto Soccorso dell’ospedale Shifa, che mi ha sempre accolto con un sorriso e una pacca sulla spalla.

Ma soprattutto lo dedichiamo alla nostra terra. Nelle parole dell’onnipresente Mahmoud Darwish, “Alla nostra terra, ed è un premio di guerra, la libertà di morire per il desiderio e l’incendio e la nostra terra, nella sua notte insanguinata, è un gioiello che brilla per il lontano sul lontano e illumina ciò che è al di fuori di esso…

Quanto a noi, dentro, soffochiamo di più!” E così voglio concludere con la speranza. Per dirla con le parole dell’immortale Bobby Sands, “La nostra vendetta sarà la risata dei nostri figli”.

HASTA LA VICTORIA SIEMPRE!

FONTE: https://mondoweiss.net/2024/04/dr-ghassan-abu-sittah-tomorrow-is-a-palestinian-day/

La lunga notte della Repubblica

di Domenico Gallo

Da molto tempo il modello di democrazia che i costituenti hanno consegnato al popolo italiano, traendo lezione dalle dure esperienze della Storia, è percorso da una crisi di identità e di valore, sferzato da un vento di contestazione che punta ad immutare i caratteri originali e il volto stesso della Repubblica generata dalla lotta di liberazione.

Noi sappiamo quando è iniziata questa bufera: il 26 giugno del 1991, quando il  Presidente della Repubblica dell’epoca, Francesco Cossiga, mandò un formale messaggio alle Camere (ex art. 87, secondo comma della Costituzione) pressando il Parlamento ad attuare una profonda riforma della Costituzione, che avrebbe dovuto portare ad una modificazione della forma di Governo, della forma di Stato, del sistema dell’indipendenza della magistratura, il tutto con l’ ausilio di una riforma elettorale volta a superare il sistema proporzionale a favore di un sistema maggioritario.

Secondo Cossiga, il disegno di democrazia costituzionale delineato dai padri costituenti non funzionava perché aveva creato un’architettura dei poteri che, attraverso il ruolo centrale del Parlamento e l’autonomia delle istituzioni di garanzia (magistratura e Corte costituzionale), impediva la nascita di un “potere forte” e di un Governo “stabile” (per legge). Per raggiungere questo risultato occorreva modificare la natura del Parlamento e rafforzare l’esecutivo attraverso una legge elettorale maggioritaria che facesse prevalere la “governabilità” sulla rappresentatività; era necessario, inoltre, mettere le briglie alla magistratura riportando la funzione del Pubblico Ministero nell’alveo dei poteri di maggioranza. La totale delegittimazione della Costituzione del 48 veniva suggellata dalla richiesta di un’Assemblea costituente che avrebbe dovuto dar vita ad un nuovo ordinamento.

Nei 33 anni che sono passati da quel messaggio, la profezia nera di Cossiga ha gettato la sua ombra sulla vita politico-istituzionale ed ha effettuato un percorso di attuazione che – tuttavia – è rimasto parzialmente incompiuto, grazie alle garanzie e ai meccanismi di resistenza interni al disegno costituzionale. Il primo passo verso la demolizione dell’edificio della democrazia costituzionale è avvenuto con l’introduzione del sistema elettorale maggioritario che è stato salutato dai suoi sostenitori come il passaggio alla “seconda Repubblica”.  L’espressione “seconda Repubblica”, pur nella sua ridondanza retorica, segnalava che il mutamento del sistema elettorale aveva incidenza diretta sulla Costituzione, modificando il quadro istituzionale. Il primo tentativo abortito di grande riforma, volto a immutare la forma di Stato e la forma di Governo, avvenne con la riforma Bossi Berlusconi, approvata dal Parlamento nel novembre 2005 e bocciata dal popolo italiano con il referendum   del 25/26 giugno 2006.

La sconfitta referendaria segnò solo una battuta d’arresto ma non fermò quel processo di verticalizzazione del potere che veniva da lontano e, non soltanto in Italia, insidiava le conquiste degli ordinamenti democratici nati dopo la Seconda guerra mondiale. Il peso crescente dei poteri finanziari e dei potentati economici, oltre a dettare l’agenda politica, ormai puntava direttamente alla delegittimazione delle Costituzioni.

Il capitolo più eclatante è  rappresentato dal documento di analisi economico-politica pubblicato il 28 maggio 2013  dalla JPMorgan. La società  con sede a New York, leader nei servizi finanziari globali, giudicava le Costituzioni antifasciste del sud dell’Europa osservando che: “. I sistemi politici dei paesi del sud e le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire un’ulteriore integrazione dell’area europea -questo perché -I sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo». In particolare la JP Morgan identificava come caratteristiche negative “esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti…tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori.. . la licenza di protestare”. Il merito di questo documento è quello di identificare chiaramente il rapporto necessario fra la verticalizzazione del potere e la demolizione dei diritti sociali e quindi di dimostrare il nesso inscindibile fra lo Stato sociale, che promuove l’eguaglianza e i diritti, e l’ordinamento politico che garantisce il pluralismo e la distribuzione dei poteri. Riferito alla Costituzione italiana il nesso inscindibile è fra la prima parte che tratta i diritti civili, politici e sociali e la seconda parte che definisce l’architettura dei poteri.

L’insegnamento impartito da JP Morgan ha guidato le scelte del governo Renzi, che si è dedicato con pari zelo a smantellare i diritti sociali, aggredendo direttamente i diritti dei lavoratori attraverso il c.d. Job’s act. e a mutare la forma di Governo e la forma di Stato attraverso un’ambiziosa riforma della Costituzione, che introduceva una sorta di premierato assoluto, agevolato da una legge elettorale (l’Italicum) ricalcata sul modello della legge Acerbo. Anche in questo caso, le garanzie interne al sistema costituzionale hanno fatto fallire il progetto istituzionale di Renzi poiché il popolo italiano ha cancellato la riforma costituzionale con il referendum del 4 dicembre 2016 e la Corte costituzionale ha bocciato l’Italicum (con la sentenza n. 35/2017).

Tuttavia sono rimasti in vigore i provvedimenti che incidono sui diritti sociali, rispetto ai quali la CGIL, in questi giorni, ha attivato un rimedio costituzionale promuovendo 4 referendum abrogativi. Malgrado il chiaro risultato del 4 dicembre, non si sono fermati i venti di tempesta. Un’altra aggressione alla Repubblica è venuta da un’istanza politica, in origine agita, con riti istrioneschi, come progetto di secessione della “Padania”, ma successivamente incanalata in una dimensione più strettamente istituzionale, nascosta nelle pieghe della riforma del titolo V della Costituzione, approvata nel 2001 da un centro-sinistra inconsapevole delle sue molteplici implicazioni negative. Le mine, sepolte sotto la sabbia della riforma, hanno cominciato ad esplodere nel 2018 quando il 28 febbraio il Governo Gentiloni rimasto in carica per l’ordinaria amministrazione, a pochi giorni dalle elezioni politiche fissate per il 4 marzo, firmò un pre-accordo con le Regioni Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna per la concessione dell’Autonomia differenziata.

Nel nuovo clima politico determinato dalle elezioni del 25 settembre del 2022, il ciclone dell’Autonomia differenziata, che punta alla rottura dell’unità della Repubblica e dell’eguaglianza dei diritti, e quello della verticalizzazione del potere, che punta alla instaurazione di una autocrazia elettiva, si sono rafforzati e hanno preso terra nel contesto di una nuova maggioranza animata da una cultura estranea e opposta ai valori costituzionali. Ed è proprio questo contesto politico culturale che ha reso possibile l’incontro fra questi due cicloni, apparentemente guidati da ragioni confliggenti. Si è creata così una situazione che i metereologi definiscono come una “tempesta perfetta”. Una “tempesta perfetta” con la quale coloro che hanno vissuto l’avvento della Costituzione repubblicana come frutto di una loro sconfitta storica possono vendicarsi di quella sconfitta e travolgere il frutto della lotta di liberazione, cancellando, con l’unità della Repubblica, l’architettura dei poteri e la garanzia dei diritti.

La Costituzione italiana, forte del suo impianto antifascista, ha resistito ad un’aggressione durata oltre trent’anni e ad una serie di riforme sbagliate che hanno sfigurato l’ordinamento democratico e minato la fiducia dei cittadini nelle istituzioni rappresentative, ma adesso siamo arrivati all’assalto finale.

Ci troviamo ad un appuntamento con la Storia. Dobbiamo mobilitare tutte le energie per difendere la cittadella della nostra democrazia. Altrimenti usciremo sconfitti tutti e sarebbero sconfitte la fede e le speranze, della gioventù europea che hanno animato la Resistenza. Dobbiamo chiederci, con Thomas Mann: “tutto ciò sarebbe stato invano? Inutile, sciupato il loro sogno e la loro morte?”

(Intervento al convegno del Coordinamento per la Democrazia costituzionale che si è tenuto il 23 aprile a Roma. Un estratto è stato pubblicato sul Fatto Quotidiano del 24 aprile con il titolo: Una tempesta perfetta contro la Costituzione)    

FONTE: https://www.domenicogallo.it/2024/04/la-lunga-notte-della-repubblica/

Gli Usa e il “metodo Giacarta”: il massacro delle popolazioni come politica estera

di Piero Bevilacqua

Chi legge il libro di Vincent Bevins, Il metodo Giacarta, La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo (Einaudi, 2021) ne uscirà con una visione rovesciata della storia mondiale dopo il 1945, e con l’animo sconvolto. È successo anche a me, storico dell’età contemporanea, e testimone del mio tempo, a cui tanti fatti e vicende qui raccontate erano noti. L’autore è un prestigioso giornalista americano, che è stato corrispondente del Washington Post, del Los Angeles Times, del Financial Times, ha scritto per il New York Times e tanti altri giornali americani e inglesi. Già questa appartenenza al giornalismo USA, per quel che racconta di gravissimo in danno dei governi del proprio paese, costituisce una prima garanzia di imparzialità e obiettività. D’altra parte non sarebbe la prima volta. Quello dei giornalisti americani che scavano nelle carte segrete e denunciano le malefatte dei loro governanti è un fenomeno non raro, che fa onore a quei professionisti. È sintomatico dell’onestà di fondo dell’animo e della cultura antropologica di gran parte del popolo americano, comunque ormai ampiamente manipolati. È così clamorosa la contraddizione con gli ideali democratici della loro formazione, che non pochi giornalisti, allorché scoprono azioni omicide segrete del loro Stato, sono spinti a una ribellione morale che li porta a intraprendere vaste indagini e a scrivere libri come questi.

Ma l’autorevolezza del Metodo Giacarta si fonda sullo scrupolo scientifico di Bevins, sulla vastità e rilevanza documentaria delle sue fonti, che sono carte desecretate degli archivi americani e di vari paesi del mondo, pubblicazioni di altri studiosi, registrazioni dirette di riunioni segrete, telegrammi, testimonianze rese dai protagonisti e soprattutto dai sopravvissuti ai massacri ecc. Grazie a questi materiali l’autore ci fa entrare spesso direttamente nel tabernacolo del potere americano, facendoci assistere a conversazioni inquietanti, come quella del 1963, in cui John Kennedy ordina agli uomini della sua amministrazione, che lo informano sulla condotta non gradita del presidente del Vietnam del Sud, Ngo Dinh Diem: «fatelo fuori». «Diem venne rapito insieme a suo fratello. I due vennero uccisi a colpi i pistola e a pugnalate nel retro di un furgone blindato». E non meno sconcertanti sono le informazioni che si ricevono su personaggi ai quali, ad esempio, è andata per decenni la nostra simpatia umana e politica. Non si può rimanere indifferenti quando si apprende che dopo il fallito tentativo USA di invadere Cuba alla Baia dei Porci, nel 1961, Robert Kennedy «suggerì di far esplodere il consolato americano per giustificare l’invasione».

Ma in che cosa consiste il rovesciamento della storia ufficiale, da tutti accettata, degli ultimi 70-80 anni di storia mondiale? In breve, a partire dal dopoguerra, gli USA mettono in atto una strategia sempre più perfezionata per controllare e dominare economicamente e militarmente il maggior numero possibile dei paesi che si stavano liberando del colonialismo della Gran Bretagna, della Francia e dell’Olanda. Giova ricordare che in quei paesi, quasi ovunque, si affermano in quegli anni forze politiche nazionaliste che tentano di recuperare e gestire le proprie risorse, con processi di nazionalizzazione, ad esempio delle compagnie petrolifere (come fa in Indonesia il presidente Sukarno), delle miniere, delle piantagioni ecc. A queste riforme di solito si accompagnano programmi di alfabetizzazione della popolazione, costruzione di scuole pubbliche, distribuzione delle terre ai contadini, riforme agrarie. Tali strategie riformatrici di governi che intendono affacciarsi allo sviluppo economico dopo la guerra, seguono una politica equidistante tra Washington e Mosca, anche se talora sono appoggiati dai partiti comunisti nazionali. Ma essi sono guardati con sospetto e ostilità dagli USA che tramano segretamente per il loro rovesciamento. Talora è proprio la scoperta di tale ostilità che porta i dirigenti nazionalisti a guardare con favore e a chiedere appoggio a Mosca o a diventare comunisti, come accadde a Fidel Castro, dopo la fallita invasione americana di Cuba nel 1961.

Spesso a dare il via ai progetti dei colpi di stato sono le pressioni sulle amministrazioni americane delle compagnie petrolifere, o dei grandi proprietari terrieri, che vedono anche semplicemente contrastato il loro vecchio modello di sfruttamento coloniale delle risorse locali. Nel 1954 in Guatemala è il caso della United Fruit Company, sospettata di frodare il fisco. La pretesa del Governo guatemalteco di far rispettare gli obblighi fiscali alla ditta monopolista costò cara al Guatemala. Dopo due falliti colpi di Stato, «la Cia piazzò casse di fucili con l’effige della falce e del martello in modo che fossero “scoperti” e costituissero la prova della infiltrazione dei sovietici». Da li cominciò l’ingerenza armata degli USA, con varie vicende e campagne di terrorismo psicologico, di diffamazione dei comunisti come agenti di Mosca, a cui qui non possiamo neppure accennare. Il colpo di Stato si concluse con l’insediamento di Castillo Armas, il favorito degli USA. «In Guatemala tornò la schiavitù. Nei primi mesi del suo governo, Castillo Armas istituì il Giorno dell’anticomunismo e catturò e uccise dai tre ai cinquemila sostenitori di Arbenz» (il presidente deposto, che aveva avviato la riforma agraria).

Qui davvero è impossibile dar conto delle trame ingerenze messe in atto da tutte le amministrazioni USA degli ultimi 70 anni per controllare i paesi che uscivano dalle antiche colonizzazioni europee, spesso con l’aiuto del Regno Unito, maestro secolare di dominio coloniale, che in tanti casi rese onore alla sua tradizione sanguinaria. Lo fecero spesso con colpi di Stato poche volte falliti, ma spesso ripetuti fino al finale cambio di regime: in Iran (1953), Guatemala (1954), Indonesia (1958 e 1965), Cuba (1961), Vietnam del Sud (1963), Brasile (1964), Ghana (1966), Cile (1973) e un numero incalcolabile di sabotaggi, uccisioni, condizionamenti delle politiche del vari governi. Senza mettere nel conto la guerra contro il Vietnam, scatenata con il falso pretesto dell’“incidente del Tonchino”, che provocò 3 milioni di morti, oltre ai vasti bombardamenti con gli elicotteri dei villaggi contadini «in Cambogia e Laos [dove] ne morirono molti di più». Ricordo che dopo il colpo di stato in Brasile non ci furono più elezioni per 25 anni e la violenta dittatura di Suharto, in Indonesia, durò 32 anni.

Gli strumenti di queste politiche erano – come scrive lapidariamente Bevins – «esercito e finanza». I capi di tanti eserciti nazionali si erano formati spesso nelle scuole militari degli USA, e comunque venivano corrotti da ingenti finanziamenti americani, donazioni e vendite di armi, manovrati dalla Cia. In tante realtà si creò una scissione tra i governi indipendenti, che spesso venivano economicamente strozzati dai sabotaggi commerciali e finanziari, e i sistematici finanziamenti segreti forniti agli eserciti. Ma il cemento ideologico più determinante, e forse in assoluto la leva più potente che rese possibile l’intero progetto, fu la propaganda anticomunista, con tutto il repertorio di orrori fasulli di cui venivano ritenute responsabili le forze che vi si ispiravano. La minaccia del comunismo, oltre ad essere una formidabile arma di controllo sociale interno dei gruppi dirigenti americani, fu il fondamento psicologico e culturale, potremmo definirlo egemonico, su cui i vari golpisti riuscirono a coinvolgere nei massacri anche pezzi di popolazione civile. Uno strumento di persuasione di massa reso possibile dal fatto che in quasi tutti i paesi “attenzionati” dagli USA, la stampa era in mano ai grandi proprietari terrieri, o alle compagnie petrolifere, ostili alle riforme agrarie e alle nazionalizzazioni, in grado di imbastire campagne di falsificazione su larga scala, fondate su racconti di storie inventate, riprese dalle radio, talora trasformati in film e documentari.

Che cosa è il Metodo Giacarta? In breve. L’Indonesia, il quarto paese più popoloso del pianeta, che ospitava il terzo più grande Partito comunista del mondo (PKI), sostenuto da milioni di militanti, non poteva restare indipendente. Dopo vari tentativi falliti, uno riuscì e fu il più sanguinoso dei piani messi in atto dagli USA. Il pretesto definitivo fu un oscuro episodio ancora oggi non chiarito. Alcuni militari sequestrarono cinque generali dell’esercito indonesiano che poi furono trovati uccisi. Fu lanciata allora una campagna su larga scala di terrore psicologico, attraverso la stampa, la radio, i comizi. Venne sparsa la voce che i cinque uomini fossero stati oggetto di sevizie, mutilati dei genitali e poi massacrati, mentre alcune donne danzavano nude intorno a loro, svolgendo riti satanici. Nel 1987, quando tutto era ormai dimenticato, venne alla luce che la storia era un falso, i generali, secondo l’autopsia fatta eseguire allora da Suharto, il golpista a servizio degli USA che estromise il presidente Sukarno, aveva rivelato che erano tutti morti per colpi di arma da fuoco, eccetto uno, ucciso da una lama di baionetta, probabilmente durante il sequestro nel suo appartamento. Quel che seguì a Giacarta e in tutte le isole dell’arcipelago, dopo quella provocazione e quella campagna di caccia ai terroristi comunisti, è difficile da immaginare e da raccontare: «Le persone non venivano ammazzate nelle strade, non venivano giustiziate ufficialmente, le famiglie non erano sicure che fossero morte: venivano arrestate e poi scomparivano nel cuore della notte». Solo giorni dopo, come si vide ad esempio nel fiume Serayu, «gli omicidi di massa divennero evidenti: i corpi ammassati erano così tanti da ostacolare il corso del fiume e il tanfo che emanavano era orribile». In proporzione agli abitanti, l’isola che che subì la quota maggiore di uccisioni fu Bali, il 5% della popolazione, oltre 80 mila persone finite a colpi di machete. Non andò bene alle indonesiane: «Circa il 15% delle persone prese prigioniere furono donne. Vennero sottoposte a violenze particolarmente crudeli e di genere», ad alcune «tagliarono i seni o mutilarono i genitali; gli stupri e la schiavizzazione sessuale erano diffusi ovunque». Alla fine i morti complessivi, secondo calcoli necessariamente sommari, si aggirarono tra 500 mila e 1 milione di persone, mentre un altro milione venne rinchiuso nei campi di concentramento. Il PKi, cui non poté essere addebitata nessuna sommossa o violenza, venne sterminato. A compiere i massacri furono i militari indonesiani, le squadre armate dei proprietari terrieri, bande di persone comuni assoldate o sobillate dalla propaganda. «Le liste delle persone da uccidere non furono fornite all’esercito indonesiano soltanto dai funzionari del governo degli Stati Uniti: alcuni dirigenti di piantagioni di proprietà americana diedero i nomi di sindacalisti e comunisti “scomodi” che poi furono uccisi». Più tardi il Tribunale internazionale del Popolo per il 1965 convocato all’Aja nel 2014, dichiarò i militari indonesiani colpevoli di crimini contro l’umanità, e stabili che il massacro era stato realizzato allo scopo di distruggere il Partito comunista e «sostenere un regime dittatoriale violento» e che esso venne realizzato con il supporto degli USA, del Regno Unito e dell’Australia. Dopo il 1965 il Metodo Giacarta venne teorizzato da molti dirigenti filoamericani dell’Asia e dell’America Latina e usato anche come parola d’ordine con cui venivano terrorizzati i dirigenti comunisti e i politici nazionalisti che proponevano riforme e nazionalizzazioni. Venivano minacciati facendo circolare la voce: «Giacarta sta arrivando» .

Alcune considerazioni per concludere. Noi conosciamo da tempo molte delle operazioni, spesso ben documentate, condotte dagli USA in giro per il mondo almeno a partire dal dopoguerra. Nel voluminoso William Blum, Il libro nero degli Stati Uniti (Fazi, 2003, ed. orig. Killing Hope. U.S. Military and CIA Interventions Sine World War II, 2003, che meglio rispecchia contenuto del volume e intenzioni dell’autore), se ne trova, da oltre 20 anni, un repertorio vastissimo e di impeccabile serietà storiografica. Ma il libro di Bevins ha qualcosa in più. Esso non mostra soltanto come gli USA abbiano condotto una politica estera fondata sulla violazione sistematica del diritto internazionale, spesso calpestando il diritto alla vita di milioni di persone. Non è solo questo, che sarebbe sufficiente per illuminare di luce meridiana le ragioni dell’attuale “disordine” mondiale. Il Metodo Giacarta mostra che cosa ha prodotto quella guerra segreta, che ha impedito l’emancipazione dei popoli usciti dal dominio coloniale e la nascita di un terzo polo mondiale dei paesi cosiddetti “non allineati”: cioè equidistanti rispetto a Washington e Mosca. Il grande progetto di mutua cooperazione avviato con la Conferenza di Bandung nel 1955, di cui Sukarno era stato uno dei protagonisti, si dissolse. I paesi del Sud del mondo vennero ricacciati nella loro subalternità che in tanti casi si è protratta fino quasi ai nostri giorni.

Perciò Bevins può scrivere, alludendo ai colpi di stato in Brasile e Indonesia: «La cosa più sconvolgente, e la più importante per questo libro, è che i due eventi in molti altri paesi portarono alla creazione di una mostruosa rete internazionale volta allo sterminio di civili – vale a dire al loro sistematico omicidio di massa – e questo sistema ebbe un ruolo fondamentale nel costruire il mondo in cui viviamo oggi». È, infatti, il nostro tempo che questo libro rende comprensibile. Alla luce di quanto accaduto, le guerre intraprese dagli USA, da soli o con la Nato, ispirate alla retorica delle lotta al terrore o all’esportazione della democrazia, in Jugoslavia, Afganistan, Iraq, Libia, Siria e ora in Ucraina, non sono una svolta aggressiva della politica estera USA nel nuovo millennio, ma la continuazione coerente del perseguimento del proprio dominio globale, da mantenere con ogni possibile mezzo.

FONTE: https://volerelaluna.it/mondo/2024/04/22/gli-usa-e-il-metodo-giacarta-il-massacro-delle-popolazioni-come-politica-estera/

LE RICETTE FALLITE DEI 7 NANI E I DUE PESI SU IRAN E ISRAELE

di Elena Basile

Sembra un film distopico. I leader dei Sette Paesi, che un tempo erano i più sviluppati del mondo e oggi costituiscono una minoranza arroccata alla propria potenza militare e in declino economico, diffondono sui media la loro fotografia in una giornata di sole con lo sfondo dei Faraglioni di Capri. E noi abbiamo l’impressione che il genere umano sia ostaggio di politiche deliranti, senza veri scopi strategici, terribilmente dannose per i cittadini occidentali in quanto causano povertà, disparità sociale, recessione, distruzione dell’industria e della transizione verde, negazione dello stato sociale, guerra e rischio di conflitto nucleare.

Si sono riuniti per confermare la strategia che per due anni è risultata perdente: armare l’Ucraina per condurre la Russia a una “pace giusta”. Giusta per chi?
Per Zelensky o per le popolazioni russofone? Giusta per noi occidentali o per i russi? Che significa pace giusta? La pace è stata storicamente il risultato della diplomazia che ha dovuto necessariamente tenere in conto gli opposti interessi in gioco e le forze in campo. Era giusto considerare la Russia il perdente della Guerra fredda?
No, era una constatazione di fatto. Dal 1989 al 2007 Mosca ha dovuto ingoiare le prepotenze occidentali, inclusi i bombardamenti su Belgrado e due allargamenti della Nato. Poi ha rialzato la testa, notando che il mondo cominciava a cambiare e gli emergenti si organizzavano intorno alla Cina. Si è opposta al colpo di Stato ucraino di piazza Maidan e ha conservato le basi di Sebastopoli sul mar Nero annettendo la Crimea. Erano giusti il colpo di Stato a Kiev e la reazione russa di annettere la Crimea senza spargimenti di sangue?

La giustizia nelle relazioni internazionali è una categoria discutibile. Il diritto internazionale dal 1989 in poi, per non andare troppo indietro negli anni, è stato violato ripetutamente dagli Stati Uniti, da Israele e dall’Occidente con le guerre “umanitarie” (Bel grado, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia). Come ricorda Piergiorgio Odifreddi, dal 1991 si contano 250 interventi militari Usa al di fuori dei loro confini. In tutto il mondo abbiamo 800 basi militari Usa (la Cina ne ha una sola a Gibuti). In Italia ve ne sono 35, anche nucleari. Come possono i politici delle democrazie europee balbettare parole senza senso che poco hanno a che vedere con la storia e con la realtà? Si creano categorie morali funzionali ai nostri interessi. L’opinione pubblica introietta luoghi comuni che distorcono le vere dinamiche internazionali.

Al G7, su proposta di Ursula von der Leyen – presidente della Commissione che dovrebbe incarnare il pilastro comunitario, la base dei sogni dei federalisti europei – si avallano nuove sanzioni all’Iran, colpevole dopo due attacchi terroristici con centinaia di morti e la violazione israeliana della loro rappresentanza diplomatica, di reagire simbolicamente, concordemente con la Cia, senza provocare morti. I difensori della democrazia liberale e dei diritti umani non impongono alcuna sanzione a Israele che, oltre a violare il diritto internazionale e umanitario, a rendersi colpevole di crimini di guerra a Gaza e in Cisgiordania, con l’attentato all’ambasciata iraniana di Damasco, ha confermato di avere un governo terrorista. Il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, artefice dell’attacco alla Libia, ha avuto la sfrontatezza di affermare che la risposta senza danni e morti di Teheran era sproporzionata rispetto all’attacco all’ambasciata iraniana in Siria con numerose vittime. Mai la classe dirigente è sembrata così lontana dal senso comune, dalla morale comune, come oggi.

Due italiani, Mario Draghi ed Enrico Letta – e dovremmo pure esserne fieri – hanno stilato vecchie proposte in nuovi documenti sul mercato comune, sugli investimenti nei beni comuni, sul debito comune, sulla politica industriale europea, sulla crescita di ricerca e sviluppo, sull’Europa della difesa. Un parziale scimmiottamento di quanto Mario Monti aveva già scritto e i “riformisti” dell’Europa hanno ripetuto per anni senza che nulla mutasse. Ma oggi la dissonanza è più grave. Essi hanno sbagliato previsioni sulla fine della guerra in Ucraina, sono complici del massacro dei diciottenni ucraini e della crisi economica europea, della fine di una voce in grado di proteggere le finalità europee in ambito Nato. A riprova che non esiste la responsabilità per le proprie azioni e i propri sbagli, ritornano sul palco per venderci il sogno di un’Europa unita, indipendente, in grado di investire nei beni comuni, nella sua industria, nella sua ricerca, nella sua difesa.
Già: la difesa in un quadro di autonomia strategica dagli Usa o come braccio armato degli interessi di oltreoceano? Domande ignorate da Tajani e dagli altri esponenti di una Ue che ha sdoganato il mostro fascio-nazista affinché, una volta al potere, si allinei ai voleri delle oligarchie.

FONTE: Il Fatto Quotidiano, 20 Aprile 2024

Regressione europea targata Draghi

di Barbara Spinelli

Già alcuni salutano festosi Mario Draghi, autore di uno dei tanti rapporti che l’esecutivo europeo affida a tecnici esterni, e cadendo subitamente in estasi lo incoronano re, per grazia ricevuta non da Dio o dall’Ue o magari dal popolo, ma dalla grande stampa italiana sempre bramosa di recitare in coro gli stessi copioni.
C’è chi canta fuori dal coro, come l’economista Fabrizio Barca su questo giornale, ma il boato degli osanna ne sommerge la voce. Ha fatto bene Giorgia Meloni a dire quello che dovrebbe essere ovvio: non è questo il momento di nominare il presidente della Commissione o del Consiglio europeo. Le elezioni europee devono ancora cominciare e il popolo elettore non conta niente nelle nomine, ma un pochettino magari sì, se il futuro Parlamento europeo oserà ascoltarlo.

Quanto a Draghi, non dice né sì né no: lui scende dalle stelle, non sa cosa sia il suffragio universale, già una volta disse – quando guidava la Banca centrale europea e in Italia irrompevano in Parlamento i 5 Stelle – che le votazioni vanno e vengono ma non importa, per fortuna c’è il “pilota aut o m at i c o ” che impone quel che s’ha da fare: austerità, privatizzazioni, compressione dei redditi, pareggio dei bilanci iscritto nella Costituzione come in Germania (la Germania già sembra pentita). Era il 2013 e un anno prima Draghi si era detto “pronto a fare qualsiasi cosa per preservare l’euro”. Il whatever it takes fu accolto come salvifico dagli incensatori, specialmente a Berlino. Il prezzo, tristissimo, lo pagò la Grecia che venne tartassata e umiliata .
Anni dopo, nel 2018, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker riconobbe l’errore: “La dignità del popolo greco è stata calpestata” dall’Unione. Sono patemi estranei a chi si affida ai piloti automatici.

Forse per questo ora Draghi preconizza “cambiamenti radicali” e trasformazioni che “attraversino tutta l’economia europea”, e mette sotto accusa le strategie che fin qui hanno frammentato l’Unione, inducendo gli Stati membri a “ridurre i costi salariali l’uno rispetto all’altro”. Fa un po’ specie una denuncia simile (l’Europa ha sbagliato quasi tutto), come se negli ultimi decenni lui fosse vissuto sulla Luna, mentre è stato direttore generale del Tesoro responsabile delle privatizzazioni, managing director in Goldman Sachs, governatore della Banca d’Italia, presidente della Bce, capo del governo italiano. Forse vuol abbassare Ursula von der Leyen, cui potrebbe eventualmente succedere. Ma il discorso tenuto a Bruxelles non è diverso da quello di Von der Leyen.

La concorrenza fra le due persone è finta. A chi legga il discorso dell’ex presidente del Consiglio, tutto verrà in mente tranne che un pensatore e un protagonista politico. Draghi è un tecnico, impermeabile per via del pilota automatico alle sorprese di un voto nazionale o europeo. Nelle parole che dice e nel rapporto sulla competitività che presenterà a giugno, si mette al servizio di un’Europa-fortezza ineluttabilmente in guerra, e che lo sarà a lungo visto che le parole “pace” e “diplomazia” sono spettacolarmente assenti. Abbonda invece, sino a divenire filo conduttore, la parola “difesa”, che appare ben nove volte.

Prima di credere nel “cambiamento radicale” che Draghi promette, varrebbe la pena capire quel che intende quando suggerisce di competere più efficacemente con Stati Uniti e Cina, indossando gli abiti e le abitudini di un’Europa più compatta, economicamente, industrialmente e tecnologicamente. Se i Paesi rivali sono più forti, dice, è anche perché sono “soggetti a minori oneri normativi e ricevono pesanti sovvenzioni”. L’Europa soffre di troppe norme (immagino parli di clima, welfare, commercio) e le converrà adattarsi.

Passando alla crisi demografica, non è in vista alcun “cambio radicale”, ma l’accettazione condiscendente, passiva, dell’esistente: l’avanzata di una destra al tempo stesso sia neoliberista sia neoconservatrice. Ragion per cui è accettata per buona un’Europa che diventi fortezza non solo armandosi, ma anche chiudendosi a migranti e rifugiati. Draghi volonterosamente prende atto senza batter ciglio che la fortezza è ormai una realtà: “Con l’invecchiamento della società e un atteggiamento meno favorevole nei confronti dell’immigrazione , dovremo trovare queste competenze (lavoratori qualificati mancanti) al nostro interno”.

Dicono gli osannanti che Draghi è il glorioso erede dei padri fondatori dell’Europa, e infatti l’ex presidente del Consiglio promette una “ridefinizione dell’Unione europea non meno ambiziosa di quella operata dai Padri Fondatori”. Ma il suo non è un ritorno all’Europa della pianificazione industriale e dello Stato sociale, tanto è vero che l’Europa da “trasformare” viene da lui definita come “nuovo partenariato tra gli Stati membri” o come “sottoinsieme di Stati membri”, da cui sono esclusi coloro che non ci stanno: una Coalizione di Volonterosi insomma, formula usata nelle tante guerre di esportazione della democrazia.
Dopo la scomparsa della Comunità, scompare anche il termine che l’aveva sostituita: Unione. Un partenariato siffatto, una Difesa Comune senza politica estera europea e senza Stato europeo, è di fatto – e inevitabilmente – al servizio della Nato e della potenza politica Usa che la guida. L’Europa ai tempi della fondazione era innanzitutto un progetto di pace. Fingere di tornare a quei tempi è pura prestidigitazione. Si alleano fra loro i tecnici, le élite che mai si misurano alle urne. Sono loro ad aderire al cosiddetto ordine internazionale basato sulle regole (rules-based international order) propagandato da Washington da quando Unione europea e Nato son diventate sinonimi e hanno ufficialmente adottato l’economia di guerra contro la minaccia russa e cinese.

Secondo Draghi, tale ordine globale è stato corroso da forze esterne al campo euro-atlantico. “Credevamo nella parità di condizioni a livello globale e in un ordine internazionale basato sulle regole, aspettandoci che gli altri facessero lo stesso. Ma ora il mondo sta cambiando velocemente, e siamo stati colti di sorpresa“. Neanche un minuto il sorpresissimo Draghi è sfiorato dal sospetto che i primi a violare le regole internazionali, i patti sulla non espansione della Nato, le convenzioni sulla guerra, la tortura, il genocidio, sono stati gli occidentali, a partire dagli anni 90, e con loro lo Stato di Israele. Ci limitiamo agli ultimi casi: l’Amministrazione Usa che giudica “non vincolante” una risoluzione Onu sulla guerra di Gaza che è a tutti gli effetti un vincolo; le violazioni del diritto internazionale nelle ripetute guerre di regime change, la mancata condanna dell’assassinio di alti dirigenti militari iraniani nell’annesso consolare dell’ambasciata di Teheran in Siria, cioè in territorio iraniano (attentato terroristico a cui Teheran ha reagito con l’invio di droni e missili).
Da bravo tecnico, Draghi ignora volutamente queste quisquilie e resta convinto che le regole – non quelle Usa, ma le uniche globalmente legittime: quelle dell’Onu – non siamo mai stati noi a infrangerle.

FONTE: Il Fatto Quotidiano del 20 Aprile 2024

“Israele ha ucciso operatori umanitari a Gaza per fermarci”: il racconto di Oscar Camps (Open Arms) a Fanpage

Òscar Camps, fondatore e direttore della Ong Proactiva Open Arms, in un’intervista a Fanpage.it ripercorre il bombardamento con cui l’esercito israeliano ha ucciso sette operatori umanitari che stavano portando alimenti a Gaza. Ora i viaggi si sono fermati: “Non posso mettere a rischio la vita dei miei operatori, se non c’è un cessate il fuoco”.

A cura di Elena Marisol Brandolini

Òscar Camps è un soccorritore, attivista e imprenditore catalano, fondatore e direttore della Ong spagnola Proactiva Open Arms. Assieme alla Ong americana World Central Kitchen dello chef spagnolo José Andrés, Open Arms ha realizzato una missione a Gaza, aprendo per la prima volta, dopo trent’anni, un corridoio marittimo, per portare viveri alla popolazione palestinese. In questa occasione, sette attivisti della WCK sono rimasti uccisi sotto le bombe sganciate dagli israeliani, mentre portavano a termine l’operazione di sbarco dei viveri sulla Striscia. Ne parliamo con Camps, presso gli uffici della sua Ong, nel porto di Badalona.

Ci racconta la sua missione via mare a Gaza?

Pensavo che bisognasse fare qualche cosa per aiutare la popolazione palestinese, ma non sapevo come. Alla fine dello scorso novembre, mi telefonò José Andrés, con lui e la sua Ong, World Central Kitchen, avevamo fatto una missione in Ucraina al principio della guerra, partendo dalla Romania, attraversando il Mar Nero e risalendo il Danubio. Ed era andata molto bene, avevamo fatto quattro viaggi per portare viveri alla popolazione.

E nel caso di Gaza come avete operato?

Andrés voleva fare qualcosa anche a Gaza, mi disse che lì aveva 60 cucine con 300 persone che vi lavoravano per offrire pasti caldi. Era già intervenuto prima in occasione dell’attentato di Hamas e poi, quando sono cominciati i bombardamenti su Gaza, si era spostato sulla Striscia. Ma i camion di viveri non potevano entrare via terra e allora mi propose di allestire una via marittima. Cominciò quindi a muovere tuti i suoi contatti diplomatici, era stato consulente di Obama e ora lo è di Biden alla Casa Bianca, in materia alimentare; Andrés è una persona molto conosciuta, è stato presente in tutti i conflitti in giro per il mondo. Si mise quindi a cercare la maniera di ottenere i permessi per aprire una via marittima. Il 20 dicembre, il ministro degli Esteri israeliano annunciava l’apertura di un corridoio umanitario marittimo dal porto di Larnaca a Cipro fino a Gaza. Pensammo allora che avremmo potuto utilizzare quel corridoio per fare entrare i viveri nella Striscia e cominciammo a prepararci per il viaggio. Noi eravamo in Italia in quel momento, ci avevano bloccati da venti giorni a Crotone.

Cosa aveva mosso Israele ad annunciare l’apertura del corridoio?

Non era stato certo per i contatti di Andrés, capimmo solo più avanti come fosse andata. Appena ci lasciarono partire da Crotone, viaggiammo alla volta di Larnaca con tutti i viveri a bordo. Arrivati, chiedemmo del corridoio, parlammo col governo di Cipro, Andrés andò in Israele a incontrare il ministro degli Esteri. E ci rendemmo conto che era un corridoio finto, perché aveva un porto di uscita ma non di attracco a Gaza, ossia il corridoio non esisteva. E qui cominciò la prima difficoltà: dovevamo fare un progetto per sbarcare sulla spiaggia i viveri. Dal momento che noi siamo esperti di spiagge, abbiamo allestito un progetto di carico, trasporto e sbarco sulla spiaggia, che includeva la costruzione di un piccolo frangiflutti per poter portare una piattaforma flottante trainata da Open Arms con 200 tonnellate di viveri, accostarla al frangiflutti e da lì scaricare i viveri con i camion. Allora, mettemmo in campo tutta la pressione politica necessaria.

In che modo?

José Andrés andò in Giordania per incontrare il re, dicendogli che stavamo presentando un progetto per rendere effettivo il corridoio di Israele e chiedendone il sostegno. Andò a cercare l’appoggio anche degli Emirati Arabi e degli Stati Uniti, conseguendo una pressione diplomatica tale che Israele ci propose di presentargli il progetto. Ci furono molte riunioni, rimanemmo un mese a Larnaca per preparare tutto e alla fine Israele autorizzò la missione: d’altronde non potevano fare altrimenti, perché avevano annunciato il corridoio. Andrés, allora, inviò gente sua a Gaza per realizzare il frangiflutti, mentre Israele cercava di rendere difficile l’operazione con ispezioni continue, rallentando i tempi dei lavori. Magari pensavano che non ne saremmo stati capaci e invece ci riuscimmo.

Come si arriva all’attentato in cui vengono uccisi sette cooperanti della WCK?

Non appena Israele approva il progetto, Biden annuncia che una Ong e gli Stati Uniti avrebbero fatto un porto: rimaniamo molto sorpresi, perché il porto lo avevamo costruito noi… Allora, Ursula von del Leyen arriva a Cipro e, senza neppure passare a salutarci, informa in conferenza stampa che il corridoio umanitario europeo sarà presto in funzione… Ossia, tutti si ascrivono il merito dell’operazione. Facciamo il primo viaggio e rientriamo con l’idea di farne altri. A quel punto, gli Emirati Arabi affittano un’imbarcazione, la Jennifer, con 600 tonnellate di viveri per partecipare alla missione. Ovviamente, in una situazione del genere, conta molto l’elemento meteorologico, perché col mare cattivo diventa impossibile sbarcare i viveri. Appena il tempo si ristabilisce ci muoviamo tutti per il secondo viaggio, con l’Open Arms, la Jennifer e un altro rimorchiatore ad accompagnarci.

Prima però va rimesso a posto il frangiflutti che era stato danneggiato dal maltempo e Andrés invia dei lavoratori apposta a Gaza. Ricominciano le difficoltà messe in atto per rallentare i lavori da parte delle autorità israeliane, che ci avevano contingentato i tempi dell’operazione. Comunque ci riusciamo, la Jennifer rimane in acque internazionali e noi entriamo con la piattaforma a Gaza con i viveri, la svuotiamo e torniamo a ricominciare, per finire col trasportare tutte le tonnellate di cibo. Ossia, il corridoio comincia a essere aperto stabilmente, vi è la presenza di altri paesi, con una quantità di viveri consistente: a quel punto, credo che Israele si renda conto che è un processo che si va consolidando. Finiamo di scaricare i viveri e mentre ce ne stiamo andando verso le acque internazionali per un altro carico, cominciano a bombardare gli operatori della WCK che erano rimasti a terra, ammazzandoli tutti.

Avete assistito alla tragedia?

Non l’abbiamo vista ma l’abbiamo sentita, eravamo in mare, abbiamo sentito il bombardamento e le grida per radio, hanno sganciato tre bombe…

Hanno ucciso intenzionalmente?

Certo, hanno attaccato prima la terza macchina dove c’era il personale addetto alla sicurezza, erano state rispettate tutte le richieste avanzate dalla autorità israeliane, la rotta era stabilita, avevano i passaporti di tutti noi, tutto era in regola, eravamo in zona di controllo dell’esercito israeliano. Avrebbero potuto attaccare loro come noi, che eravamo molto vicini. Hanno bombardato la macchina come avrebbero potuto bombardare la nostra imbarcazione.

Perché lo hanno fatto?

Io credo che volessero fermare tutto. Aprire una via umanitaria per mare e non metterci un porto è già un modo per generare una falsa aspettativa, poi arrivano questi da Badalona e risolvono il tema del porto mancante, riescono a sbarcare i viveri nonostante le difficoltà una, due volte… Quando l’operazione si va consolidando, bombardano e finisce tutto.

Pensate di tornarci?

Non posso mettere a rischio la vita dei miei operatori, se non c’è un cessate il fuoco. Questa via non era la soluzione, era solo una via in più. La soluzione è un cessate il fuoco e la pace. E adesso è tutto fermo.

E la WCK?

Hanno fermato tutto. Loro a Gaza hanno dei collaboratori locali, il resto è tutto fuori ormai. E a Cipro io ho l’imbarcazione e ci sono ancora tonnellate di cibo non distribuito, dovremo vedere cosa farne.

Conosceva le persone che sono state uccise?

Sì, avevamo lavorato insieme. Eravamo a Cipro all’inizio per preparare tutto e poi avevamo viaggiato verso il frangiflutti. Quando erano a Gaza già non ci vedevamo più, ma ci parlavamo per telefono.

Le è parso sufficiente il cordoglio espresso dalle cancellerie europee e dagli Stati Uniti per la strage?

Non capisco come la presidente della Commissione possa venire a Larnaca ad annunziare che rappresentiamo la prova pilota del corridoio umanitario europeo e quando poi vengono uccisi gli operatori umanitari della prova pilota europea, si limiti a esprimere le condoglianze. Mi sembra un livello di ipocrisia così alto che mi defrauda.

Borrell ha detto che Israele sta utilizzando la fame come un’arma di guerra, che ne pensa?

Quello che sta succedendo a Gaza è un genocidio pensato per eliminare il massimo di gente possibile, davanti alla passività degli Stati. Non posso capacitarmi che si ammazzino oltre 30.000 persone, che si permetta in pieno secolo XXI a uno Stato di comportarsi così. Ci sono norme che il diritto internazionale impone anche alle guerre.

Che ne pensa del cessate il fuoco che si sta discutendo all’Onu?

Credo che la situazione richieda un intervento, se non si arriva al cessate il fuoco. Va fermata immediatamente. La Spagna vende armi a Israele, tutti esprimono cordoglio ma vendono armi, c’è un alto grado di cinismo e di ipocrisia nella classe politica mondiale. Incriminare Netanyahu per crimini di guerra non è un’assurdità, a lui interessa far crescere il conflitto per mantenersi nel potere. La stessa società israeliana sarebbe dovuta intervenire. È una vergogna globale.

continua su: https://www.fanpage.it/politica/israele-ha-ucciso-operatori-umanitari-a-gaza-per-fermarci-il-racconto-di-oscar-camps-open-arms-a-fanpage/
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L’oasi felice cilena: destre e poteri forti

di Marco Consolo

C’era una volta un’oasi felice (l’ex presidente Sebastian Piñera dixit), una specie di castello incantato, idilliaco e magico. Un Paese di cui molti si vantavano per essere un esempio di onestà e trasparenza, dove la corruzione non arrivava in Parlamento, meno tra le Forze Armate, i Carabineros, gli imprenditori e tra i professionisti meno esposti come gli avvocati. Si guardava con una certa superiorità e un po’ di disprezzo fuori dai confini di un “Paese civile” come il Cile, circondato da vere e proprie “Repubbliche delle banane”. Un Paese che nella narrazione interessata della dittatura civile e militare di Pinochet, anche grazie alla sua “mano dura” aveva messo al bando il “malcostume” della corruzione nelle istituzioni pubbliche e la criminalità organizzata. Le Forze Armate, i Carabineros e la Chiesa cattolica erano le istituzioni che più godevano di credibilità da parte dei cittadini.

Poi, piano piano, il miraggio è svanito, la realtà ha superato l’immaginazione e il castello incantato è cominciato a crollare, sotto i colpi delle inchieste giudiziarie di quella parte della magistratura cilena non legata a doppio filo con il potere e grazie ai procedimenti dagli stessi Stati Uniti e dalla Spagna. All’inizio, le inchieste misero in luce i numerosi e milionari conti bancari all’estero del dittatore (a partire dal “Caso Riggs” [1]) e la trama di corruzione nelle FF.AA..

Poi, negli anni, i vertici apicali sia delle FF.AA. che dei Carabineros sono stati travolti da inchieste giudiziarie note come “Milicogate” [2] e Pacogate” [3], per appropriazione indebita di fondi pubblici, uso improprio di fondi riservati, arricchimento illecito, sottrazione dei fondi pensioni interni all’istituzione con l’inganno, etc.

Da ultima, la Chiesa cattolica ha iniziato a perdere colpi e credibilità per i numerosi scandali di pedofilia coperti dalle gerarchie locali (e non solo) con la migrazione di molti fedeli verso le Chiese evangeliche, in diversi casi vere e proprie “sette personali” di qualche predicatore in cerca di adepti e fondi.

Ma in queste settimane, è scoppiato uno scandalo che non ha precedenti, visto che non si tratta di qualche “mela marcia”. I massimi vertici delle due istituzioni principali di pubblica sicurezza, ovvero la Polizia di Investigazioni (PDI) e Carabineros,  sono sotto i riflettori, proprio quando la campagna contro il “dilagare della delinquenza” è il cavallo di battaglia della destra locale. Il Direttore Generale della PDI, Sergio Muñoz, si è appena dimesso, travolto da intercettazioni telefoniche in cui si è scoperto che filtrava informazioni riservate su procedimenti giudiziari in corso a Luis Hermosilla, un avvocato di lungo e complesso corso, ben collocato nel potere politico, finanziario e giudiziario.

Ed il Generale Ricardo Yáñez, a capo dei Carabineros, traballa per le accuse relative alla violazione dei diritti umani durante la “rivolta sociale” del 2019. Rimane in sella almeno fino al prossimo 7 maggio, data in cui saranno probabilmente formalizzate le accuse nei suoi confronti. Mentre il governo di Gabriel Boric non si pronuncia formalmente e non lo rimuove, Partito Comunista e Frente Amplio (entrambi parte integrante del governo) ne chiedono a gran voce le dimissioni. Ma andiamo con ordine.

La “porta giratoria”

Anche in Cile, le “porte giratorie” garantiscono influenza e potere. Alla fine del proprio mandato, pochi privilegiati passano allegramente a ricoprire cariche nel settore privato o anche in quello pubblico. Gli ex comandanti in capo delle Forze Armate, dopo aver gestito informazioni sensibili, spesso “arrotondano” la pensione ed i loro numerosi privilegi istituzionali: entrano nei consigli di amministrazione di consorzi privati, rilasciano interviste su temi di sicurezza e politici, ricoprono incarichi pubblici e sono candidati ed eletti, finora sempre nei partiti delle destre. Per chi ha ricoperto posizioni sensibili e di grande responsabilità nel campo della difesa e della sicurezza nazionale non ci sono limiti di tempo o di spazio. Al contrario, sono più che benvenuti.

Diversi ex capi delle Forze Armate e dei Carabineros sono stati eletti a destra in Parlamento, e non bisogna dimenticare i “senatori designati” dalla “costituzione” della dittatura, mantenuti per molti anni dopo il periodo post-dittatoriale.

L’ex capo dell’Aeronautica, Ricardo Ortega Perrier, è stato eletto consigliere costituzionale del Partito Repubblicano, partito nostalgico della dittatura. Prima di lui, l’ex comandante in capo della Marina, Jorge Arancibia, è stato membro della Convenzione costituzionale per l’Unione Democratica Indipendente (UDI) nochè senatore del partito che per anni è stato il “braccio politico” della dittatura. Oscar Izurieta, ex capo dell’esercito, è stato sottosegretario alla Difesa con l’ex presidente Sebastián Piñera. E, dulcis in fundo, un ex comandante in capo, Juan Emilio Cheyre, è stato presidente del Servizio elettorale, promosso da Piñera, con l’approvazione di vari partiti politici.

Per quanto riguarda l’esercito, ad oggi, sei dei sette ex comandanti in capo del periodo post-dittatura sono stati processati per reati finanziari, corruzione e violazione dei diritti umani.

Le uniformi macchiate dei Carabineros

Gli ultimi tre direttori generali dei Carabineros sono stati indagati e/o processati per reati finanziari, frodi e violazioni dei diritti umani. L’attuale direttore dei Carabineros, il Generale Ricardo Yáñez, è sotto accusa per violazione dei doveri d’ufficio in casi di arresto illegale e violazioni dei diritti umani durante la “rivolta sociale”. In uno dei tanti episodi “anomali”, alcuni dirigenti politici e parlamentari dell’opposizione democristiana e di destra hanno fatto visita pubblica al generale nella sede istituzionale per dargli sostegno politico. Il generale ha posato con loro per le foto, in un’operazione mediatica a dir poco anomala per un’autorità di polizia di alto rango e non deliberante.

Gli scheletri nell’armadio della PDI 

Gli ultimi due direttori generali della Polizia di Investigazioni (PDI) sono processati per appropriazione indebita, falsificazione di documenti pubblici, riciclaggio di denaro, fuga di informazioni da casi riservati e riciclaggio di attivi. Ad essi vanno sommati gli ufficiali e i funzionari dei Carabineros indagati e processati per falsificazioni, false testimonianze, irregolarità, abusi, mancato rispetto dei protocolli e violazioni dei diritti umani.

I casi del “Pacogate” e del “Milicogate”, in cui ufficiali, sottufficiali e funzionari dei Carabineros e dell’esercito hanno effettuato operazioni finanziarie fraudolente a spese dell’erario, per importi multimilionari, hanno occupato le prime pagine negli anni scorsi.

Poteri forti, magistratura e Servizio elettorale

La crisi politica ed istituzionale coinvolge anche altri settori, in particolare la magistratura, in un quadro rarefatto i cui contorni vengono alla luce poco a poco. Al centro ci sono i poteri forti, un’oligarchia di poche famiglie che muove i fili del potere, del denaro, della politica, dei mezzi di comunicazione e delle istituzioni. Una élite che piazza loschi personaggi in posti pubblici grazie a quote politiche.

È il caso dell’attuale Procuratore nazionale del Cile, Ángel Valencia Vásquez, fresco di nomina parlamentare piena di polemiche. Già consigliere parlamentare della destra di Renovación Nacional (RN), eletto Procuratore come “terza scelta” dopo che le destre avevano affondato altre due candidature “scomode”. Consulente diretto del senatore di RN Alberto Espina (ex ministro della Difesa nel governo di Sebastián Piñera), Valencia ha lavorato nel suo studio legale, legato alle inchieste giudiziarie dei comuni di Vitacura, Lo Barnechea e Ñuñoa, per casi di irregolarità e corruzione, quando erano in mano a sindaci di destra. Una foto in una cena conviviale, insieme all’ex ministro degli Interni e “colonnello” dell’Unione Democratica Indipendente (UDI), Andrés Chadwick, mostra i rapporti di Valencia con gruppi dell’élite cilena. Facile prevedere il suo scrupolo protettivo verso personaggi di quel settore legati ad atti illeciti. Eclatante il suo recente intervento “a gamba tesa” contro la portavoce del governo, la comunista Camila Vallejo, che ha parlato di una possibile rete di corruzione basata sulle intercettazioni giudiziarie del capo della PDI, mettendola in discussione ed entrando in un dibattito politico. Lungi dall’ “eseguire i corrispondenti atti di indagine”, il Procuratore nazionale appare coprire e servire altri interessi, grazie ai suoi legami con l’élite politica conservatrice.

Ma non è il solo caso. Andrés Tagle Domínguez dal 2021 è il presidente del Consiglio di amministrazione del Servizio elettorale del Cile (Servel), l’organismo incaricato di garantire la trasparenza e il corretto svolgimento delle elezioni. Tagle era membro della Commissione politica della UDI e “l’esperto elettorale” del partito. Durante il governo Piñera è stato consulente per le questioni elettorali della Segreteria della Presidenza, per poi diventare presidente del Servel nel secondo governo Piñera, sostenuto dalla maggioranza di destra del Senato, secondo la logica delle quote politiche binominali. Ingegnere commerciale dell’Università Cattolica, Tagle è stato direttore della potente Corporazione del rame (Codelco), direttore e consulente di aziende e società finanziarie e vicepresidente dell’influente Associazione delle assicurazioni sanitarie private (Isapres). Un uomo legato a doppio filo alle élite politiche e finanziarie del Paese è quindi oggi responsabile del Servizio Elettorale.

Prossime sorprese ?

Le intercettazioni del telefono dell’avvocato Hermosilla hanno avuto un forte impatto sull’opinione pubblica, confermando il controllo dei “poteri forti”, come élite politica e finanziaria che tira i fili del potere. L’indagine è ancora in corso e ci si aspettano molte altre sorprese potrebbero uscire dalle intercettazioni telefoniche e dalla rete di contatti per gestire e/o disturbare casi giudiziari, intervenire nell’operato di organi dello Stato, influenzare decisioni sulla nomina di giudici, ricevere illegalmente rapporti riservati della polizia.

Finora nei messaggi del suo cellulare appaiono menzionati tutti personaggi legati alla destra economica e politica cilena: l’ex presidente Sebastián Piñera (di cui Hermosilla sosteneva essere l’avvocato), l’ex ministro degli Interni di Piñera, Andrés Chadwick, l’ex sovrintendente Felipe Guevara, l’ex sindaco Raúl Torrealba, alcuni giudici e casi giudiziari relativi a temi come la compravendita dell’azienda mineraria Dominga e del Casinò Enjoy.

Finora, la rivelazione più delicata è che l’ex direttore del PDI, Sergio Muñoz, ha fornito informazioni riservate a Hermosilla. Quest’ ultimo era appena stato coinvolto nella fuga di notizie di una conversazione audio in cui si parlava, tra l’altro, di tangenti a funzionari dell’Agenzia delle Entrate e della Commissione per il Mercato Finanziario. Nell’audio sono citati più di 50 uomini d’affari e personaggi dell’élite. Le intercettazioni e l’audio di quella conversazione sono un esempio plastico di come funziona la ristretta oligarchia al potere in Cile. Con i cittadini come spettatori, all’oscuro di ciò che accade realmente nei “salotti che contano”.

Liberi tutti

Anche in Cile l’impunità regna campante. Hermosilla è ancora libero, non è nemmeno ricercato per traffico di influenze o gestione illegale di informazioni riservate di polizia. È in buona compagnia, visto che in Cile grandi uomini d’affari e capi di gruppi finanziari processati per casi di corruzione, irregolarità, finanziamento illegale di campagne politiche, continuano a ricoprire le loro cariche. Uno dei casi più eclatanti è quello di Ponce Lerou (genero di Pinochet) presidente per più di venti anni dell’azienda chimica Soquimich (privatizzata con il golpe e regalatagli da Pinochet), coinvolto direttamente in casi di delitti tributari e corruzione (Caso Cascadas [4]). La Soquimich recentemente ha addirittura chiuso accordi strategici con lo Stato per lo sfruttamento del litio, di cui il Cile è tra i principali produttori.

Ad oggi, nessuno di questi grandi uomini d’affari e finanzieri ha scontato pene di carcere, ad eccezione di qualche risoluzione giudiziaria per frequentare “corsi di etica”. Mentre le galere si riempiono come sempre soprattutto di “poveri cristi” (magari colpevoli di commercio ambulante), sono decine i dirigenti di grandi aziende coinvolti in casi di corruzione, concussione, frode e collusione, allegramente a piede libero.

Con l’ombra della criminalità organizzata, del narco-traffico e della corruzione finanziaria che si allunga sul Paese, la Corte Suprema ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che “l’attuale sistema costituzionale e giuridico potrebbe consentire alcuni spazi di opacità”.

Con un governo senza la maggioranza in Parlamento, una quasi inesistente mobilitazione di piazza ed una crisi sociale che non accenna a diminuire, la crisi di credibilità istituzionale  e la destabilizzazione continuano.

NOTE

[1] https://ciperchile.cl/wp-content/uploads/CASO-RIGGS-SENTENCIA.pdf

[2] https://www.theclinic.cl/2019/08/20/milicogate-la-historia-de-la-investigacion-publicada-por-the-clinic-que-noqueo-al-ejercito/

[3] https://cooperativa.cl/noticias/pais/ff-aa-y-de-orden/carabineros/pacogate-fiscalia-pide-mas-de-20-anos-de-carcel-para-exdirectores-de/2023-10-24/070028.html

[4] https://www.ciperchile.cl/2014/10/20/caso-cascada-asi-se-perdio-la-plata-de-los-afiliados-a-las-afp/

Fonte : https://elsiglo.cl/notas-del-reporteo-pais-con-anomalias/


FONTE: https://marcoconsolo.altervista.org/loasi-felice-cilena-destre-e-poteri-forti/

F-16, “bersagli legittimi” e NATO. Cosa ha detto (veramente) Vladimir Putin

di Marinella Mondaini (da l’AntiDiplomatico)

Il presidente russo Vladimir Putin ha visitato il 344esimo Centro Statale Addestramento e Riqualificazione del personale dell’aviazione militare del Ministero della Difesa russo e ancora una volta ha chiarito le motivazioni dell’Operazione Speciale Militare russa in Ucraina, che in Occidente vogliono far passare come “invasione” e “aggressione”, ha parlato della NATO e della sorte ineluttabile che aspetta gli F16 se verranno forniti all’Ucraina:

“Nel 2022, gli Stati Uniti hanno speso 811 miliardi di dollari e la Federazione Russa 72 miliardi. La differenza è evidente, più di dieci volte. Le spese per la Difesa degli Stati Uniti corrispondono a circa il 40% della spesa di tutto il mondo per la difesa globale,  la Russia il 3,5%. Perciò, tenendo presente questo rapporto, noi avremmo in mente di combattere con la NATO ?? Questo è semplicemente un delirio! Noi adesso durante l’Operazione Militare Speciale stiamo proteggendo la nostra gente che vive nei nostri territori storici. Se dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si fossero costruite, come aveva proposto la Russia, delle relazioni di sicurezza completamente nuove in Europa, oggi non sarebbe successo niente di quello che sta succedendo, non ci sarebbe stata nessuna Operazione Speciale.

Loro avrebbero dovuto tenere conto dei nostri interessi nel campo della sicurezza, noi abbiamo cercato di parlarne, anno dopo anno, decenni dopo decenni,  ma le nostre richieste sono state sempre completamente ignorate e adesso loro sono arrivati direttamente ai nostri confini. Forse siamo noi che ci siamo mossi verso i confini di quei paesi che facevano parte del blocco Nato?? Noi ci siamo avvicinati alla Nato?? Noi abbiamo attraversato l’oceano fino al confine degli Stati Uniti?? Sono loro che si sono avvicinati a noi e hanno attraversato l’oceano per farlo! Quindi noi stiamo proteggendo il nostro popolo nei nostri territori storici.  Pertanto, ciò che stanno dicendo sul fatto che la Russia attaccherà l’Europa dopo l’Ucraina è una assurdità colossale. 

Ma loro dicono questo per intimidire la popolazione allo scopo di estorcerle denaro, hanno bisogno di giustificarsi e quindi spaventano la loro popolazione con la “minaccia russa”, mentre dettano al mondo intero i loro voleri. La Nato adesso si sta allargando nella regione dell’Asia-Pacifico, nel Medio Oriente, in altre regioni del mondo, stanno già entrando in America Latina. E tutto questo con vari pretesti, sotto diverse salse, è sempre la stessa cosa: stanno promuovendo la Nato e trascinando con sé i loro satelliti europei, quelli che a quanto pare credono che tutto ciò corrisponda ai loro interessi nazionali, hanno paura di una Russia grande e forte, ma sbagliano. Noi non abbiamo intenzioni aggressive nei confronti di questi Stati. Non avremmo mai fatto nulla in Ucraina se non ci fosse stato il colpo di Stato e se non avessero poi iniziato la guerra nel Donbass. Sono stati loro a scatenare la guerra nel 2014, dove hanno usato persino l’aviazione, tutti hanno visto le immagini di quando bombardavano Doneck dagli aerei, una città pacifica è stata bombardata con i missili dal cielo! Ma siete diventati pazzi?? Noi abbiamo comunque accettato di fare gli accordi di Minsk. Si è scoperto che ci hanno ingannato, l’hanno tirata lunga per otto anni alla fine e ci hanno costretto a passare a un’altra forma di protezione dei nostri interessi e della nostra gente. Perciò è una totale assurdità che la Russia attacchi gli altri paesi, la Polonia, gli Stati baltici, spaventano persino la popolazione della Repubblica ceca, ma queste sono semplicemente follie, è un altro modo di ingannare la propria popolazione, di estorcere soldi alla gente che porterà questo peso di spesa sulle proprie spalle”.

Poi a Putin viene rivolta questa domanda: “I paesi della NATO stanno pianificando di fornire i loro caccia all’Ucraina. I media stanno discutendo del fatto che gli aerei F-16 saranno utilizzati nella zona dell’Operazione Militare Speciale contro truppe e strutture russe, anche dal territorio dei paesi della NATO. Ci sarà permesso di colpire questi obiettivi negli aeroporti della NATO?  

La risposta del presidente russo: “se consegneranno gli F-16, pare anche che stiano addestrando i piloti, ciò non cambierà la situazione sul campo di battaglia. Noi distruggeremo i loro aerei, proprio come oggi distruggiamo i loro carri armati, i veicoli corazzati e altre attrezzature, compresi i sistemi di razzi a lancio multiplo. Naturalmente, se vengono utilizzati da aeroporti di paesi terzi, diventano per noi un obiettivo legittimo, non importa dove si trovino. E gli F-16 sono anche portatori di armi nucleari, certamente di questo terremo conto quando organizzeremo il lavoro di combattimento”.

Intanto le indagini sulla strage del Crocus City Hall proseguono. I primi risultati confermano pienamente la natura pianificata delle azioni dei terroristi, l’attenta preparazione e il sostegno finanziario da parte degli organizzatori del crimine. In base alle dichiarazioni rilasciate dai 4 terroristi detenuti, allo studio dei dispositivi tecnici che sono stati a loro sequestrati e all’analisi delle informazioni sulle transazioni finanziarie, sono state ottenute prove del loro legame con i nazionalisti ucraini.

L’indagine ha a disposizione dati confermati secondo cui gli autori dell’attacco terroristico hanno ricevuto ingenti somme di denaro e criptovalute dall’Ucraina, che sono state utilizzate per preparare la strage.Un altro sospettato coinvolto in un piano di finanziamento del terrorismo è stato identificato e arrestato. L’indagine chiederà al tribunale di scegliere una misura preventiva sotto forma di detenzione nei suoi confronti.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-f16_bersagli_legittimi_e_nato_cosa_ha_detto_veramente_vladimir_putin/40832_53855/

GAZA – Il Cessate il fuoco non è un optional: è un obbligo!

il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una Risoluzione (n.2728) che chiede un immediato cessate il fuoco “per la durata del mese di Ramadan, che porti a un cessate il fuoco duraturo e sostenibile”. Le autorità israeliane devono fermare immediatamente la loro brutale campagna di bombardamenti su Gaza e facilitare l’ingresso degli aiuti umanitari

di Domenico Gallo

Il 25 marzo dopo 170 giorni, durante i quali Israele ha messo a ferro e a fuoco la Striscia di Gaza provocando sofferenze inenarrabili alla sua sfortunata popolazione, finalmente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una Risoluzione (n.2728) che chiede un immediato cessate il fuoco“per la durata del mese di Ramadan, che porti a un cessate il fuoco duraturo e sostenibile”, così come il ritorno in libertà immediato e senza condizioni degli ostaggi e un maggiore accesso degli aiuti umanitari a Gaza.

“Non c’è un momento da perdere – ha scritto la Segretaria Generale di Amnesty International Agnés Callamard- le autorità israeliane devono fermare immediatamente la loro brutale campagna di bombardamentisu Gazafacilitare l’ingresso degli aiutiumanitari.

Israele, Hamas e gli altri gruppi armati devono operare perché il cessate il fuoco duri. Gli ostaggi civili devono tornare immediatamente in libertà. Tutti i palestinesi arbitrariamente detenuti in Israele, compresi i civili arrestati a Gaza, devono essere a loro volta scarcerati”.

Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono immediatamente esecutive e vincolanti per tutti gli Stati, eccetto – evidentemente – Israele, che non accetta alcun vincolo fondato sulle regole del diritto. Infatti, Netanyahu non ha battuto ciglio ed ha celebrato le prime 24 ore di “cessate il fuoco” con bombardamenti che hanno provocato 76 morti e nei giorni successivi ha continuato come se niente fosse.

Israele, non ha avuto alcuna remora a continuare l’attacco agli ospedali ed a portare nuovamente la morte all’interno dell’Ospedale Al Shifa di Gaza City.

L’esercito israeliano, infatti, ha comunicato (il 28 marzo) di aver ucciso 200 persone in una settimana di operazioni dentro e attorno all’Ospedale.

Ovviamente si trattava di “terroristi”, anche se medici, pazienti, personale sanitario o giornalisti: il fatto stesso che siano stati uccisi è la prova regina della loro qualità di terroristi.

Malgrado i moniti dei suoi stessi alleati, Israele sta continuando i preparativi per l’assalto finale a Rafah, l’ultima città a confine con l’Egitto, dove sono concentrati 1.500.000 palestinesi sfollati dal centro e dal nord di Gaza.

Il rigetto dell’ordine di cessate il fuoco del Consiglio di Sicurezza ed il rifiuto -nei fatti- di adempiere alle misure dettate dalla Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennai, ribadite con l’ordinanza emessa il 28 marzo, pongono lo Stato di Israele in una condizione veramente singolare nell’ordinamento internazionale. Si tratta dello Stato che realizza (e rivendica) la massima ribellione possibile alle regole che governano la vita della Comunità Internazionale, uno Stato fuorilegge, nel senso letterale del termine.

Eppure tutta la comunità degli Stati occidentali, si è mobilitata per “punire” la Russia, nell’adempimento di un imperativo indiscutibile, quello che Stoltenberg/Stranamore, ha definito: “un mondo fondato sulle regole.”

Che fine fa quest’imperativo del “mondo fondato sulle regole”, che giustifica la guerra da remoto che stiamo conducendo contro la Russia col sangue degli ucraini, di fronte all’aperta ribellione di Israele alle regole fondanti della Comunità internazionale che interdicono la violenza brutale ed il genocidio.?

Se Israele non si sente vincolato al rispetto del diritto internazionale, avendo sperimentato almeno 56 anni di violazione delle regole del diritto internazionale, specialmente il diritto umanitario, senza conseguenza alcuna, sono gli altri Stati che devono agire adottando delle misure adeguate, ai sensi del Cap. VII della Carta dell’ONU, per convincere/costringere Netanyahu a rispettare le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e i provvedimenti della Corte internazionale di Giustizia che ha ordinato ad Israele di smettere di uccidere le persone protette e di far soffrire la fame al gruppo etnico palestinese, a rischio di genocidio.

L’Unione europea ha adottato una caterva di sanzioni a danno della Russia per sanzionare la “violazione delle regole”. Ricordiamo sommessamente che in un documento del Parlamento Europeo (29/2/2024) si rinfaccia alla Russia di aver provocato la morte di 520 minori ucraini: il fatto che Israele, in soli cinque mesi di guerra abbia causato la morte di 13.000 minori a Gaza, non ha provocato alcun turbamento nelle bronzee facce dei leader politici italiani ed europei, mentre un silenzio di tomba è caduto di fronte all’aperta ribellione di Israele all’ordine di cessate il fuoco.

Si tratta di uno scandalo che non può essere tollerato oltre.

E’ questo il momento di agire, l’Unione Europea, e tutti i suoi Stati membri devono deliberare delle misure urgenti volte a far valere l’obbligo di cessare il fuoco. Per quanto riguarda l’Italia, la fornitura di armi ad Israele (per 2,1 milioni dall’inizio del conflitto) ed il definanziamento dell’UNRWA ci rendono complici delle stragi compiute dall’esercito israeliano e dello strangolamento della popolazione di Gaza attraverso la privazione dei beni essenziali per la vita.

FONTE: https://www.domenicogallo.it/2024/04/il-cessate-il-fuoco-non-e-un-optional-e-un-obbligo/

Il popolo russo, Putin, la democrazia

di Piero Bevilacqua

Pensare con idee ricevute. E’ davvero stupefacente leggere o ascoltare intellettuali e studiosi democratici e di sinistra, talora di sinistra avanzata o radicale (cioè di sinistra, ma il termine è stato infamato dal cosiddetto centro-sinistra) che ancora oggi, dopo due anni di guerra in Ucraina, dopo tutte le rivelazioni di fonti americane, le ricostruzioni storiche dei precedenti che hanno preparato quel conflitto, continuano a ripetere lo slogan << la brutale invasione russa>> , <<l’occupazione violenta della Crimea>>, ecc. Gli stessi stereotipi e retoriche si ripetono per il massacro in corso nella martoriata Gaza. I combattenti di Hamas sono terroristi perché hanno ucciso civili israeliani con il progrom del 7 ottobre (cosa, ahimé, terribilmente vera e ovviamente da condannare, ma non bisognerebbe mai dimenticare la storia che la precede e predispone) mentre  i soldati di Israele che di civili palestinesi, e soprattutto di bambini, ne hanno ucciso e ne vanno ammazzando un numero spaventosamente superiore, restano soldati. Intendiamoci, la guerra è sempre un errore, è l’ingresso al più grande degli orrori. Quindi condanniamo quella scelta di Putin. Ma chi non riconosce che la Russia è stata trascinata in quel massacro è persona non informata dei fatti.

Svolgo le considerazioni che seguono non solo per il dispiacere che provo a sentire anche tanti amici e studiosi di valore ripetere queste espressioni che sono il calco della vulgata occidentale, ma perché ovviamente tale subalternità interpretativa all’informazione corrente indebolisce gravemente l’opposizione politica all’atlantismo, che ci chiama alla guerra, all’involuzione antidemocraitca dell’UE, frena l’azione a favore delle trattative e della pace. Le svolgo anche perché mi vado convincendo di un fenomeno culturale che meriterebbe di essere approfondito e che qui accenno appena.Le sempre più spinte specializzazioni scientifiche del nostro tempo –  per cui chi si occupa di sociologia finisce col sapere tanto del suo specifico campo sociologico, ma poco del resto, e così   chi si occupa di fisica, di diritto, economia,  ecc –  espone la mente di tanti studiosi a dipendere, per la propria visione della situazione politica mondiale, dalla idee circolanti e inverificate elaborate dai media dominanti. Media, come sappiamo, che orchestrano campagne di persuasione  sistematiche e di vasta portata ormai da decenni. Se non si conoscono  in maniera circostanziata le questioni, la comodità di avere, con poco sforzo e a portata di mano, una spiegazione semplice e rassicurante  fa perdere la libertà di un giudizio indipendente. Credo di poter parlare anche a nome personale. Chi conosce un po’ la mia biografia intellettuale sa che non mi sono mai rinchiuso nella mia specializzazione di storico. Eppure, anche io ero convinto di tante verità che erano idee ricevute accettate passivamente, spesso purissime menzogne. Superate solo dopo aver studiato su libri e documenti come sono andate realmente le cose. Purtroppo bisogna constatare che non si possono capire anche i gravi fatti del nostro tempo se ciascuno non compie uno sforzo supplementare di studio e di analisi, fuori dal proprio specialismo e non confidando nel giornalismo corrente. Troppo potenti e ben confezionate sono le falsificazioni che si respirano nell’aria per restare indenni. Quante prove ulteriori noi italiani dobbiamo avere, per come è stata raccontata la  guerra in Ucraina, per riconoscere che i nostri media sono una fabbrica di contraffazioni della realtà? Senza, dunque, uno sforzo di documentazione supplementare si resta vittime di una versione costruita da interessi  potenti.Perché forse mai, come oggi, le élites dominanti sono in grado di sovrapporre alla realtà effettiva la loro manipolata narrazione, puntello fondativo del loro dominio, imponendola come un qualunque seducente prodotto di consumo.

Un’altra ragione di stupore è l’evidente pregiudizio antirusso che in Italia circola in ogni canto di strada.E il fenomeno, quando vede protagonisti sinceri democratici, è davvero incomprensibile o comprensibile assai bene, quale prova della forza del punto di vista americano che è diventato anche il nostro.Ma come facciamo a giudicare la Russia prescindendo completamente dal popolo russo, dalla sua storia, dai sacrifici immani che credo nessun popolo ha dovuto sostenere in età contemporanea? Come può accadere che c’è così poca empatia e curiosità storica disinteressata per la sua storia? Nessuno trae ragione di ammirazione da quel che questo popolo è stato in grado di fare per difendere il proprio paese da forze sovrastanti?  Chi si ricorda che i russi hanno dovuto dare alle fiamme Mosca, la loro amata città, per  poter resistere all’invasione dell’esercito napoleonico? Qualcuno   rammenta battaglia di Stalingrado, la carneficina urbana durata quasi 6 mesi che ha inflitto la più grave sconfitta strategica all’esercito di Hitler? Quell’esercito che nessuna potenza europea aveva potuto fermare? Uno sforzo bellico che costò alla Russia circa 20 milioni di morti. Oggi nell’immaginario collettivo americanizzato sono stati gli USA a vincere la guerra, cancellando la vittoria russa a Stalingrado, dimenticando che l’Armata Rossa è arrivata Berlino, nel cuore dell’invincibile Reich, nell’aprile del 1945, precedendo addirittura gli eserciti alleati. Se la Russia fosse crollata Hitler avrebbe  molto probabilmente vinto la guerra e avrebbe imposto all’Europa il suo feroce dominio.  Chi ha liberato i lager dove si era consumato l’olocausto? Eppure persino un comico geniale come Benigni ha messo le divise americane  ai soldati che entrano nei campi di concentramento ne La vita è bella.

La rivoluzione d’Ottobre

Meno stupore desta l’oblio o perfino la dannazione della rivoluzione d’Ottobre. Essa viene fatta sparire sotto la facile demonizzazione dello stalinismo e dei suoi crimini, sotto la burocratizzazione elefantiaca dello stato russo del dopoguerra, sino alla sua finale dissoluzione nel 1991. Sappiamo quanto diffusa sia l’opinione, soprattutto nel campo un tempo di sinistra, che quella vicenda sia stata nient’altro che un  unico e  prolungato errore. Eppure non c’è giudizio più superficiale ed erroneo di questo. La rivoluzione del 1917, la prima rivoluzione proletaria della storia, a dispetto dei suoi errori e del sangue fatto scorrere, ha cambiato il corso della storia contemporanea. Qui basti ricordare, a parte l’eversione, spesso con prezzi umani drammatici, delle strutture feudali della Russia, che essa fin da subito ha avuto effetti di radicale trasformazione  nella società del tempo spesso ignoti. Chi sa, ad esempio, che per effetto della rivoluzione, nell’Europa Centrale tra le due guerre, vennero avviate ampie riforme agrarie con divisione  e distribuzione dei latifondi ai contadini  per timore delle rivolte  che avevano rovesciato gli Zar? Quelle riforme che in Italia spezzarono il latifondo solo nel 1950? Ma la rivoluzione, che già nel 1918 gli occidentali, compresi gli USA ( situati al di là dell’oceano), cercarono di soffocare sul nascere, ebbe effetti sotterranei nelle campagne dell’Asia e mise in moto vari movimenti contadini da cui prese slancio anche la Rivoluzione cinese.

Nel dopoguerra  

il sostegno economico, militare, politico dell’URSS rese possibile e comunque facilitò enormemente la lotta anticoloniale dei Paesi del Sud del mondo, la liberazione di numerosi popoli da una dominazione secolare.Un stato burocratico e autoritario, che espresse anche dirigenti nefasti come Breznev, tuttavia, anche quando si muoveva per interessi geopolitici di potenza, svolgeva un ruolo prezioso per il processo di emancipazione  dei paesi poveri.

Ma non si può tacere un altro esito che ci riguarda. La Rivoluzione d’ ottobre rese possibile la nascita dei partiti comunisti dell’Occidente – fenomeno represso sul nascere negli USA democratici – forze politiche moderne che non solo hanno concorso alla lotta antifascista nel dopoguerra, ma hanno svolto un ruolo decisivo nel processo di  sviluppo sociale  e di costruzione di stati democratici moderni, dotati di un costituzione.Il caso del Partito comunista italiano  costituisce un capitolo  esemplare di questa storia. Come si sarebbe potuto affermare il welfare – teorizzato peraltro da capi di stato lungimiranti come Roosevelt o da economisti come   William Beveridge – senza il concorso e le lotte dei partiti comunisti e socialisti, la  grande forza popolare e la mobilitazione dei sindacati? La storia non è una partita di calcio in cui si vince o si perde, e nulla accade mai invano.

Basterebbero questi brevi cenni per far  comprendere quanto diversamente siano andate le cose rispetto alle convinzioni interessate e  false che si sono affermate, specie negli ultimi decenni in cui la Verità Neoliberista ha riscritto il nostro passato. Del resto, una volta tanto, la storia offre la possibilità di una verifica, per così dire controffattuale, per giudicare il valore della Rivoluzione d’ottobre e di quel che ne è seguito. Che cosa è accaduto alle società occidentali dopo il crollo dell’URSS, quando è venuto a mancare un antagonista al capitalismo occidentale? Che cosa è accaduto al pensiero politico, diventato pensiero unico?  Che cosa al welfare, al lavoro, ai sistemi politici, alla democrazia, agli equilibri mondiali? Chi di noi avrebbe mai immaginato il ritorno in grande stile del lavoro schiavile nelle campagne? Eppure, dalla California all’Italia, passando per il Regno Unito e la Spagna, questa è diventata una gloria tangibile dell’Occidente.E’ stata dunque un’errore la Rivoluzione d’ottobre?

E’ questa falsa coscienza, radicata nelle menti, che non consente di ragionare, che porta  a guardare alla Russia come un ostacolo all’avanzare della democrazia nel mondo,  e a Putin come un mostro assetato di sangue. Cosi dobbiamo sentire in TV, ormai Ministero della Verità, giornalisti anche intelligenti e non faziosi, come ad esempio Corrado Augias, i quali si chiedono che cosa accadrà agli altri territori contermini << se si cede sull’Ucraina>>. Un’espressione che mostra l’assoluta ignoranza delle ragioni di questa guerra, che in parte  è una guerra civile, ma che riduce la Russia attuale a una caricatura. Ma quali interessi dovrebbero  spingere la Russia ad espandersi ulteriormente ? Il suo territorio statale è <<la più vasta entità territoriale del mondo>> (Treccani)  e assomma a 17.075.400 km2, con una popolazione intorno ai 160 milioni di abitanti. L’Europa, tanto per fare un raffronto eloquente, è estesa 4.950.000 km2 ed è popolata da circa 500 milioni di persone. Quale dissennato uomo di stato può spingere un tale paese, letteralmente spopolato, a occupare nuovi territori portando a morire un buona parte dei suoi scarsissimi giovani? Possibile che così pochi, in Italia e in Europa, sono  in grado di sospettare che la dirigenza Russa non aveva nessuna convenienza a invadere l’Ucraina, con cui aveva convissuto per decenni, se non fosse stata minacciata dalla Nato ai suoi confini, se gli USA non si fossero mostrati indegni di qualunque fiducia, se la popolazione russofona non fosse stata sottoposta a ripetute persecuzioni? Ma chi grida al pericolo di un’espansione imperialistica ha una idea salottierea della guerra. Dimentica che essa costa la vita di migliaia e migliaia di soldati. Quanta intelligenza c’è nel pensare che anche un’autocrate come Putin può sacrificare, spensieratamente e senza conseguenze, la propria gioventù (sottratta peraltro a un’economia che ne necessita incessantemente) per astratti disegni di dominio?

Putin come Hitler?

Per finire alcune considerazioni su Putin. Ho da poco ascoltato in TV Massimo Giannini, un giornalista democratico e intelligente (a dispetto dei giornali padronali per cui scrive) lanciare grida di dolore di fronte alla notizia  che Putin era stato riconfermato presidente con un’affermazione plebiscitaria di quasi il 90% dei votanti.<< Una grave sconfitta per l’Occidente >> l’ha definita con tono angosciato. Espressione che costituisce un involontario smascheramento dell’immagine caricaturale che i media, a partire dai giornali per cui Giannini scrive, hanno deliberatamente costruito della Russia e di Putin. Le nostre  élites si rivoltolano negli errori e nelle finzioni che essi stessi propagandano. Esse hanno infatti inventato l’immagine di un dittatore sanguinario che estorce il consenso  al suo popolo con il terrore. A questo servono pagine e pagine dedicate alla morte di Alexej Navalny, le decine e decine di trasmissioni televisive in cui si ricostruisce e ripete fine all’esaurimento lo stesso evento. Se avessero un approccio meno propagandistico alla realtà  potrebbero capire come stanno realmente le cose.  Ricordo che dagli elettori residenti all’estero Putin ha ricevuto il 72, 1% dei voti. E costoro certamente non subivano nessuna pressione o condizionamento. So che dispiace a tantissimi, ma quello del presidente russo è un autentico consenso popolare, dipendente da ragioni molto solide, che il giornalismo democratico dovrebbe avere l’onestà di ricostruire. Onestà di cui è gravemente sguarnito. Putin, agli occhi del  suo popolo ha il grande merito di aver sottratto il paese all’anarchia, alla spaventosa povertà di massa creata dal decennio dei governi di Eltsin, rimettendolo sulla strada di uno sviluppo sempre più ordinato e apportatore di benessere. Sviluppo capitalistico, beninteso, in un’economia di libero mercato, con una forte presenza statale. Quella che servirebbe tanto all’Italia e all’ Europa. A lui riconosce il merito di aver domato in gran parte  lo strapotere degli oligarchi, di aver limitato la corruzione dilagante, di  aver soffocato il terrorismo ceceno che  faceva esplodere bombe nei locali pubblici delle città e persino a Mosca. Repressione dolorosamente  sanguinosa, certo, ma contro un nemico anch’esso sanguinario  che  prendeva di mira i civili. A Putin il popolo russo è grato  per avergli restituito, dopo l’umiliazione del crollo dell‘URSS, l’orgoglio della propria storia, della propria identità. Questo rinato patriottismo – certo, spesso condito da Putin con improbabili e inopportuni richiami retorici alla Russia degli zar – viene demonizzato in Occidente per poterlo trasformare in imperialismo aggressivo. Eppure non si capisce perché il patriottismo sia invece considerato lecito e benefico per la Francia di Macron, che vuole inviare truppe europee contro la Russia, o per l ‘Italia del governo di guerra della sovranista Meloni, che lo ha preventivamente ceduto agli USA per ragioni di legittimazione politica. Ma il  popolo russo ha rafforzato il suo consenso a Putin negli ultimi  anni perché ancora una volta avverte i venti di guerra che soffiano contro di lei. La Nato  e l’intero Occidente minacciano di “sconfiggerla” sul suo territorio, cioè ancora una volta di invaderla,  e noi  ci stupiamo che il suo popolo moltiplichi il proprio appoggio al leader che si è mostrato più capace di difenderlo da questa minaccia mortale?  Ma come pensano i nostri analisti?

Infine, sempre dedicato agli intellettuali democratici e di sinistra, qualche considerazione su Putin dittatore spietato, argomento impervio, ma che credo di poter affrontare col dovuto equilibrio e freddezza. E’ un compito  sgradevole che mi assumo non certo per difendere Putin, ma perché attraverso la sua demonizzazione si fa strada la propaganda bellicista dell’esportazione della democrazia e del regime change: il vero obiettivo per cui gli USA hanno provocato la guerra in Ucraina. Confido perciò nell’intelligenza del lettore. Comincio col dire che io immagino Putin come uomo di grande intelligenza politica, ma sicuramente spietato. Lo credo anche capace di ispirare l’eliminazione di qualche avversario politico. La sua provenienza e la sua esperienza autorizzano questa visione. D’altra parte, è noto, come qualche volta sosteneva Marx, che gli uomini fanno la storia, ma anche l’inverso, che cioé è la storia a fare gli uomini. Del resto come avrebbe potuto rimettere in piedi un moderno stato, in un paese sprofondato nel caos, senza un certo grado di spietatezza? Nella patria di Machiavelli queste considerazioni non dovrebbero destare stupore. Tuttavia quando gli si attribuiscono responsabilità dirette nella morte di un oppositore come Navalny o nell’uccisione della giornalista Anna Politkovskaja, ogni serio analista, che non può contare su nessuna prova che non siano le opinioni dei nostri giornalisti, dovrebbe avere l’intelligenza di porsi delle domande. Occorre sempre esaminare le “convenienze” degli attori in campo per comprendere le dinamiche della politica. E’ davvero giovata a Putin la morte del prigioniero Navalny? Abbiamo poi saputo, del resto, che era destinato a uno scambio di detenuti. E Putin temeva a tal punto la giornalista Anna Politkovskaja, da farla assassinare in  quel modo plateale, esponendosi alla condanna universale dei paesi occidentali?

Quel che appare inaccettabile in queste ricostruzioni inverificate e spesso infondate è la rappresentazione del presidente russo come un signorotto feudale, che comanda a piacimento i propri sudditi, riducendo la Russia a un villaggio rurale dell’ ‘800. Si dimentica che anche in quel paese esiste una magistratura che gode di una relativa indipendenza, formata da magistrati che vi accedono per concorsi. Si sopprime interamente la complessità di quella società, al cui interno operano servizi segreti, anche stranieri, criminalità organizzata, fazioni politiche in lotta reciproca, ecc.. L’assassino della Politkovskaja, è stato infatti individuato e condannato a 20 anni di carcere. Come si fa a rappresentare Putin come un grande burattinaio se non per legittimare un suo rovesciamento progettato negli studi degli strategici americani? E infatti non si fanno campagne diffamatorie contro il turco Erdogan, l’egiziano Abdel al Sisi,  l’indiano Modi, il saudita Mohammed bin Salman, com’è noto campioni di democrazia liberale.

La democrazia e il popolo russo

In una delle tante interviste rilasciate da Giulietto Chiesa prima di morire questo grande esperto delle cose russe e amico di quel paese, pur riconoscendo a Putin molti meriti, gli rimproverava di non aver fatto avanzare il processo di democratizzazione e liberalizzazione di quella società. La giusta critica che tutti gli rivolgeremmo se la propaganda USA non lo avesse trasformato nel nemico numero uno dell’Occidente. E tuttavia una riflessione sulle difficoltà di fare avanzare il processo di democratizzazione in Russia andrebbe fatto, coinvolgendo il suo passato storico e l’antropologia del suo popolo. Certo, il processo di espansione della Nato e la continuazione della guerra fredda da parte degli USA, anche dopo il crollo dell’URSS, ha ostacolato i processi di democratizzazione interni di quel paese. I dirigenti russi sanno bene quanto danaro e forza organizzativa i servizi segreti USA sono in grado di impiegare per  dar vita a formazioni politiche eversive, organizzare rivolte e colpi di stato. Non avevano bisogno di aspettare il rovesciamento del  legittimo governo di Kiev nel 2014. D’altra parte non bisogna dimenticare che dopo Eltsin la Russia si è aperta a un’economia di mercato, capitalistica, in cui operano liberi imprenditori,  che godono più o meno delle stesse libertà che in Occidente. Dunque l’evoluzione in senso democratico del sistema politico sarebbe naturale, se le relazioni internazionali fossero meno minacciose e agitate. E tuttavia l’inimicizia ricercata e orchestrata dagli USA e dalla Nato per ragioni geopolitiche non basta a spiegare la lentezza dei processi di democratizzazione, anche se appare sufficiente per giustificare la loro recente involuzione.

La democrazia non è un semplice costrutto giuridico, non si esaurisce nella sua architettura istituzionale. E’ una forma di organizzazione della società frutto di un lungo processo storico. Perciò la storia appare come la disciplina chiave per avvicinarsi con meno superficialità ai fenomeni complessi che riguardano questo sconosciuto paese.

E anche in questo caso guardare il corso delle cose dal lato del popolo è importante. Non bisogna dimenticare che in Russia la  servitù della gleba è stata abolita, sul piano giuridico, solo nel 1861. Quindi mentre in Italia si avviava il processo di unificazione del paese la Russia, ma solo sul piano meramente formale, cominciava a uscire dal Medioevo. Era una società dominata da una immobile burocrazia imperiale con alla base l’immenso popolo dei contadini, un mondo ai margini della modernità,  che noi conosciamo grazie  a narratori giganteschi, alla più grande letteratura dell’età contemporanea. La Rivoluzione d’ottobre mandò in aria quel pachiderma e vide  per qualche tempo il protagonismo delle masse popolari sino a che la dittatura del proletariato non si trasformò in dittatura tout court. Per oltre 40 anni il sistema di potere dominato da Stalin tolse al popolo ma anche all’intelligentija ogni possibilità di iniziativa e di creatività. Le cose non cambiarono di molto dopo la morte del dittatore e l’esplosione della guerra fredda, la corsa agli armamenti, ecc., non aiutarono l’evoluzione liberale di quella società-apparato. Il tentativo di Kruscev, com’è noto, venne risucchiato dagli elementi conservatori che puntarono al rafforzamento della difesa e agli armamenti per fronteggiare gli USA. Da qui ovviamente le tragedie delle repressioni, prima in Ungheria nel 1956, l’occupazione di Praga nel 1968. Dunque sin quasi all’avvento di Gorbaciov alla dirigenza del paese, il controllo burocratico della popolazione russa è stato sistematico, spesso soffocante. Come si fa a non comprendere la passivizzazione civile  della popolazione che ne è derivata, la sua scarsa confidenza con la democrazia, la sua apatia partecipativa?  Come si poteva costruire la democrazia con tali precedenti storici se non attraverso un lungo processo?  Bruno Giancotti, un italiano che ha lavorato nello staff giornalistico di Gorbaciov e vive in Russia da 40 anni, mi ha spiegato che tra i russi domina una particolare attitudine a demandare il potere a chi sta più in alto, si sentono rassicurati dalla protezione del  “Nachalnik”, che vuol dire il “tuo capo”.

Non è un caso che il processo di democratizzazione della Perestrojka, avviato da Gorbaciov forse con non piena consapevolezza della complessità del compito, crollò in poco tempo, trascinando l’URSS nel collasso. Ma come era possibile trasformare in una democrazia liberale, nel giro di mesi, un società senza stato, surrogato da un partito burocratizzato e in parte corrotto, priva di  un vero parlamento, di partiti indipendenti, magistratura, sindacati e corpi intermedi autonomi, senza una libera stampa, una tradizione popolare di partecipazione alla vita politica? Perciò il decennio di Eltsin fu una fase fra le più dolorose nella storia del popolo russo in tempo di pace. Dunque, Putin – che, come è emerso nella recente intervista al giornalista Dmitrij Kisilev, aveva rifiutato, in un primo tempo, di fronte alle difficoltà immani del compito, di  assumere la responsabilità della presidenza, offertagli da Jeltsin, – dovette ricostruire uno stato che non c’era e ricomporre un’organizzazione economica e sociale devastata dall’improvvisa apertura al mercato, di una società che nelle sue strutture amministrative e rappresentative non doveva essere molto  più dinamica di quella zarista. E dunque solo uno statista privo di senno poteva cercare di rimettere  in piedi una società interamente collassata – forse un caso unico  per dimensioni nell’età contemporanea – ripercorrendo la strada fallimentare di chi l’aveva preceduto. E infatti lo avrebbero preteso, dai loro tranquilli studi, le anime belle del giornalismo occidentale. Senza un elevato tasso di governo autoritario dei processi di riorganizzazione, visto tra l’altro la forza eslege che avevano guadagnato moltitudini di oligarchi, il terrorismo nelle regioni del Caucaso (che si è tragicamente rifatto vivo il 22 marzo) e la corruzione dilagante,  il tentativo era destinato al fallimento.

E’ dunque questa, per brevissimi cenni, la storia, sono questi i processi che spiegano Putin  e la sua gestione autoritaria che i democratici dovrebbero considerare. La sua demonizzazione non serve né a comprendere le cose, né a favorire il processo di democratizzazione della società russa. Giova   all’atlantismo e all’imperialismo guerriero della dirigenza USA, che ha un interesse supremo nel costruire un nemico impresentabile per tenere unita la propria società lacerata un sistema politico esaurito. Quella dirigenza che oggi mostra al mondo la sua feroce capacità di mentire, fingendo di opporsi a Netanyahu, ma continuando a inviargli armi perché completi il massacro a Gaza. Capire dunque  un un po’ meglio la storia giova alla causa ragionevole della pace.

FONTE: https://transform-italia.it/il-popolo-russo-putin-la-democrazia/

Organizzare la battaglia contro il progetto di sconvolgimento del quadro istituzionale

Sintesi dell’introduzione di Alfiero Grandi al consiglio direttivo del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, del 15/3/2024

“Nell’ultimo consiglio direttivo, dicembre 2023, avevamo messo al centro 2 temi di fondo: Autonomia regionale differenziata e elezione diretta del Presidente del Consiglio su cui il Governo ha presentato in prima persona proposte di legge e sta gestendo direttamente anche le modifiche. Consapevoli che argomenti universali come questi debbono essere oggetto di una formidabile campagna di informazione e di orientamento – tanto più se dovessero evolvere come auspichiamo, soprattutto nel caso del cosiddetto “premierato”, verso consultazioni referendarie che sono l’ultima possibilità per bloccarne l’entrata in vigore – abbiamo indicato nella Via Maestra la sede politica necessaria per affrontare queste sfide.
Per questo abbiamo scritto insieme a Libertà e Giustizia e al Presidente di Salviamo la Costituzione una richiesta a La Via Maestra di affrontare questi temi, cosa che è avvenuta il 3 febbraio 2024 e ha trovato una prima sostanziale condivisione della centralità di questi temi, a cui giustamente sono stati intrecciati altri temi di enorme valore come ad esempio la precarietà, gli incidenti sul lavoro, gli appalti senza regole.

Il 2 marzo scorso una nuova assemblea nazionale de La Via Maestra ha non solo confermato l’orientamento di costruire a livello territoriale dei coordinamenti locali, facendo perno sulla diffusione organizzativa della Cgil ma ha approvato una sintesi conclusiva chiara che indica anche l’uso dei referendum sia nella materia costituzionale (elezione diretta del Presidente del Consiglio) che su Autonomia differenziata e temi sociali di fondo, senza trascurare strumenti diversi come leggi di iniziativa popolare, petizioni e altre iniziative per porre la questione dell’emergenza sanitaria, del rinnovo dei contratti di lavoro, tanto più indispensabile a fronte dell’erosione del potere d’acquisto e dei diritti dei lavoratori.

Noi che abbiamo dall’inizio ritenuto la Via Maestra la sede più opportuna per affrontare battaglie di grande impegno politico e sociale abbiamo anche posto il problema di allargare ulteriormente l’area dei soggetti impegnati e per questo abbiamo chiesto un incontro con la Uil nazionale e proveremo a organizzare iniziative verso i giovani, verso i quali c’è un lavoro ancora insufficiente.

Occorre avere la dimensione politica dello scontro che si prepara, perché se si arriverà ai referendum occorrerà cercare di vincerli, De Coubertin non basta. Per reggere un impegno come questo occorre un movimento che si estende e dura nel tempo perché la destra farà di tutto per assestare i suoi colpi nei momenti a lei più convenienti e oggi non è del tutto chiaro cosa intende fare nei prossimi mesi.

Per di più è in corso un’iniziativa cosiddetta bipartisan che anziché avere al centro i pericoli che rappresentano le iniziative del governo sembra più rivolta a cercare di bloccare il referendum costituzionale, cioè il diritto dei cittadini di esprimersi sulle modifiche della Costituzione, considerato evidentemente il vero avversario.

Dovrebbe essere l’iniziativa del governo sotto accusa ma al contrario è il referendum, cioè il diritto delle elettrici e degli elettori di pronunciarsi e decidere. Questa iniziativa cosiddetta bipartisan per ora è esplicitamente rinviata a dopo le elezioni europee.

Deve essere chiaro che qualunque sia l’intenzione vera del governo il referendum costituzionale può essere evitato solo se una parte dell’opposizione accetta di andare in soccorso della destra e questo per chi dichiara di volere chiarezza e trasparenza sarebbe il massimo del trasformismo politico, da cui non può venire nulla di buono.

A nostro avviso questa iniziativa non fa altro che confermare che c’è ancora molto da fare per informare, chiarire, mobilitare. Siamo convinti che la posta in gioco è enorme. Le destre hanno ottenuto il 44 % dei voti nel 2022, conquistando il 59 % dei deputati e dei senatori, con un premio di maggioranza del 15 %, un’enormità. Questa esagerata maggioranza parlamentare viene oggi usata come una clava per portare avanti un patto scellerato nella maggioranza fondato su due leggi di iniziativa del governo: elezione diretta del Presidente del Consiglio e Autonomia differenziata.

Se andassero in porto gli effetti sarebbero uno sconvolgimento della nostra Costituzione antifascista e della nostra democrazia fondata sul ruolo del parlamento e su un equilibrio tra i poteri dello stato e il loro reciproco controllo.

Democrazia non si riduce a votare ogni 5 anni ma è una complessa e continua dialettica politica e sociale e rispetto dei diritti a partire da quello di manifestare, contraddetto a Pisa nei giorni scorsi.

Occorre preparare e organizzare un movimento all’altezza di una sfida di fondo che riguarda la democrazia e la Costituzione e quindi puntando a vincere i referendum, quando ci saranno, in particolare quello costituzionale.

Per questo occorre coordinare le forze in campo, mobilitare le energie più diverse e perfino distanti, sapendo che un movimento ampio e variegato ha bisogno anche di consapevolezza che si lavora per un obiettivo di fondo comune, superando concorrenzialità inutili e distinguo.

Sul premierato. Non si capisce perché mai settori dell’opposizione dovrebbero entrare in una logica di trattativa (subalterna) in presenza di un ddl del Governo, le cui modifiche sono gestite da emendamenti del governo, senza alcuna possibilità di mettere in discussione la linea di fondo di questa proposta. Del resto è – purtroppo – lo stesso metodo usato da Renzi che portò al referendum del 2016.

L’asse della proposta del governo è un Presidente del Consiglio eletto direttamente, che taglia di netto i poteri del Presidente della Repubblica e riduce il parlamento alla subalternità, anche perché se si ribella, e cade il governo, si torna a votare, quindi vivrebbe sotto un ricatto permanente. E’ una proposta presentata fingendo di cambiare poco, ma in realtà scassa l’assetto fondamentale della nostra Repubblica, tagliando in modo sostanziale i poteri del Presidente della Repubblica, oggi indispensabile figura di garanzia ed equilibrio, e stabilendo un rapporto con il parlamento del tipo “simul stabunt simul cadent”, con il corollario di un’elezione maggioritaria di fedeli di chi viene eletto Presidente del Consiglio, una sorta di guardia del pretorio.

Alla proposta di eleggere direttamente il Presidente del Consiglio, avviando la costruzione di una sorta di capocrazia, occorre contrapporre l’elezione diretta di tutti i deputati e senatori da parte delle elettrici e degli elettori, anziché farli scegliere dall’alto, dai capi, sulla base della loro fedeltà. E’ incredibile che sia chi è capo del partito, della formazione politica europea e presidente del Consiglio che dica sfrontatamente che propone agli elettori di scegliere il Presidente del Consiglio, contrapponendo i vertici dei partiti agli elettori come se lei non fosse segretaria del maggior partito. 

E’ poi curioso che la maggioranza stia lavorando alacremente per aumentare in ogni occasione i poteri della Presidenza del Consiglio, evidentemente in vista di questa modifica della Costituzione.

Con questa modifica la Costituzione del 1948 verrebbe stravolta, cambierebbe il suo impianto democratico ed antifascista e l’Italia si avvierebbe verso una nuova Costituzione e una nuova Repubblica. Del resto la destra al governo sta cercando una nuova legittimazione che la affranchi da domande scomode sul suo rapporto con il passato. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, in futuro con queste modifiche La Russa potrebbe essere il successore di Mattarella e non è uno scherzo.

Costruiamo informazione, orientamento, costruiamo un No di massa e prepariamoci al referendum costituzionale, se in parlamento non si riuscirà a fermare questo provvedimento.

L’altro corno è l’Autonomia regionale differenziata. Rivendico il ruolo importante della nostra proposta di legge di iniziativa popolare per modificare gli articoli 116 e 117 della Costituzione per interrompere in modo netto la possibilità di una interpretazione del titolo V a cui dichiara di agganciarsi la proposta Calderoli. Quando siamo partiti abbiamo avuto resistenze e critiche ma poi grazie al sostegno dei sindacati scuola siamo arrivati a 106.000 firme e la proposta è stata presentata al Senato e grazie ad un regolamento più aperto alle lip abbiamo ottenuto di incardinarlo in commissione e poi di portarlo in aula. Certo la maggioranza lo ha messo in discussione dopo l’approvazione al Senato del ddl Calderoli, ma il suo contributo è stato di fare riflettere tutta l’opposizione, anche quella che non riusciva a fare i conti con formulazioni del titolo V approvato nel 2001 dal centro sinistra. Quando è stata discussa la nostra Lip ormai tutta l’opposizione aveva compreso che solo liberandosi da eredità del passato era possibile opporsi con nettezza al ddl Calderoli, che ad ogni piè sospinto dichiara di volere attuare la Costituzione. Noi abbiamo sempre sostenuto che in realtà non è così ma anche se fosse basta cambiare alcuni punti del titolo V per correggere la situazione.

Ora il testo sull’ A. D. è alla Camera e sono in corso molte audizioni che come già al Senato confermano le peggiori preoccupazioni sul ddl Calderoli. Sta crescendo nel Mezzogiorno la consapevolezza delle conseguenze di questa proposta, con il rischio concreto che la secessione dei ricchi non sia solo uno slogan. Occorre insistere, ma bisogna porsi l’obiettivo di spiegare anche al Nord come è stato fatto già in alcune realtà che la frantumazione del nostro paese e dei diritti dei cittadini è un danno per tutti e prelude alla privatizzazione dei servizi che rispondono a diritti fondamentali  come sanità, scuola, lavoro,ecc. L’obiettivo è fermare l’approvazione della proposta Calderoli, o almeno ritardarla compreso un rinvio al Senato se si riuscirà ad introdurre modifiche. Se l’A.D. dovesse diventare legge ci sarà ancora tanto da fare, Villone si è esercitato con altre proposte importanti, dai ricorsi delle Regioni alla Corte costituzionale a consultazioni popolari che potrebbero promuovere direttamente i comuni che hanno questa previsione nello statuto per allargare il dissenso sull’A. D.. Naturalmente continuando a fare crescere la mobilitazione e le iniziative.

A nostro avviso se dei parlamentari ripresenteranno alla Camera la lip potranno usarla per arricchire le motivazioni e le occasioni di contrasto al ddl Calderoli.

Quando i tempi dei provvedimenti si allungano non è semplice mantenere la mobilitazione in modo continuativo, ma dobbiamo proseguire con impegno e fantasia.

In particolare consideriamo possibile tentare anche la strada del referendum abrogativo del ddl Calderoli che con una furbata è stato connesso alla legge di bilancio ma è in realtà un provvedimento che non c’entra con la spesa, infatti non prevede un intervento a favore delle regioni più deboli e recita più volte che non ci saranno aumenti di spesa, quindi c’è lo spazio per sostenere che un referendum abrogativo è possibile anche prima che intervengano i decreti attuativi.

Premierato e Autonomia regionale differenziata pongono il problema generale che occorre recuperare errori del passato che hanno portato a sottovalutare il ruolo strategico della Costituzione e il valore dell’assetto democratico che essa prevede.

Oggi va rilanciata l’attuazione e la difesa della Costituzione e questo va fatto come ha deciso la Via Maestra, mettendo in collegamento temi sociali e sostanza della democrazia, unificando le iniziative referendarie quando è possibile.

Con questo indirizzo organizzeremo un appuntamento il 23 aprile pomeriggio nella sala Capitolare del Senato, che verrà trasmessa in diretta dalla Tv del Senato, con l’obiettivo di fare sentire forte e chiara la contrarietà a queste proposte e insieme per contribuire a rilanciare un grande movimento sulle questioni di fondo della democrazia in Italia. Non ci rassegniamo al declino della partecipazione, vogliamo contribuire a dimostrare che si può rilanciare il protagonismo dei cittadini.

Infine sulla legge elettorale. Certo, è necessaria una nuova legge elettorale fondata su proporzionale ed elezione diretta dei parlamentari da parte di elettrici ed elettori, ma dobbiamo riconoscere che tuttora ci sono pareri diversi anche dentro l’opposizione, che peraltro ha perso l’occasione che ha avuto prima della vittoria delle destre per cambiare una legge sbagliata ed erratica come il rosatellum. Il maggioritario resiste malgrado le evidenze contrarie anche in una parte dell’opposizione e c’è ancora molto lavoro da fare per superare le difficoltà attuali. Oggi è difficile immaginare di affrontare con un referendum abrogativo il superamento del rosatellum e la discussione sui quesiti mi sembra francamente prematura, tanto più che si rischia di dividere lo schieramento unitario che occorre costruire e rafforzare sulla Costituzione e l’Autonomia differenziata.

Certo occorre evitare di tornare a votare con il rosatellum ma prima occorre fermare l’attacco alla Costituzione e nel frattempo costruire un orientamento che oggi non ha abbastanza forza per affrontare una prova difficile. Non tutto si può affrontare per via referendaria, ci sono altri strumenti da usare, al limite in vista di questo obiettivo, per fare crescere la consapevolezza sull’esigenza di arrivare ad una nuova legge elettorale. Ci sono oggi posizioni interessanti con cui confrontarsi per fare crescere la consapevolezza.

La nostra organizzazione è a rete, non ha sovraordinati, e ovviamente c’è piena libertà di assumere iniziative ma dobbiamo avere la consapevolezza che il coordinamento oggi non avrebbe la forza e le risorse umane e materiali, nemmeno volendo, per andare nella direzione di un referendum abrogativo sulla legge elettorale.
Non manca la convinzione che il problema della legge elettorale è fondamentale per contrastare l’astensionismo ma occorre perseguire l’obiettivo con consapevolezza delle risorse e delle energie disponibili.  

(Alfiero Grandi)

Ucraina: colta da improvviso panico, l’Europa flirta con ipotesi futili quanto avventate

di Roberto Iannuzzi

Dalla Francia di Macron alla Germania di Scholz, l’Europa a fari spenti di fronte a scelte chiave per il futuro della stabilità continentale

Isteria e allarmismo dominano il dibattito europeo sulla crisi ucraina e sullo scontro con la Russia. “Ciò che guida la politica europea in questo momento è la paura”, ha scritto recentemente il Telegraph in un articolo che tradiva tanto la russofobia britannica quanto l’irritazione di Londra nei confronti della Germania e del suo cancelliere Olaf Scholz.

I dissapori fra le varie capitali europee sono tuttavia conseguenza di un improvviso “risveglio”. Dopo essere cadute vittima della loro stessa propaganda, le élite politiche europee si stanno riavendo dalla sbornia, per scoprire che Kiev sta effettivamente perdendo la guerra.

“La guerra è persa ma i nostri governi rifiutano di ammetterlo. Invece, fingono che si possa ancora vincere – anzi, bisogna vincere per evitare che “Putin” marci verso la Finlandia, la Svezia, gli Stati baltici, e infine Berlino. Due anni fa ci fu promesso che oggi al più tardi la Russia sarebbe stata completamente sconfitta, economicamente, militarmente e politicamente. Ma le sanzioni si sono rivelate un boomerang, e i carri armati Leopard II non erano sufficienti…”

A scrivere queste parole è Wolfgang Streeck, direttore emerito dell’Istituto Max Planck di Colonia. Il quale prosegue:

“È ora di chiedersi chi ha messo gli ucraini in questo pasticcio – chi ha detto all’estrema destra ucraina che la Crimea sarebbe tornata in mano loro? Per evitare tali domande, la classe politica europea è disposta a lasciare che il massacro continui sulla linea congelata del fronte ucraino – cinque anni, dieci anni – nessun problema, tanto saranno solo gli ucraini a combattere. Ma cosa succederà se si rifiuteranno di stare al gioco e di morire per i “nostri valori”?

Streeck è per certi versi una voce fuori dal coro, in quanto lascia trasparire segni di ripensamento dai quali la maggioranza dell’intellighenzia europea sembra tuttora immune.

A titolo di esempio, nella stessa miscellanea di riflessioni sulla guerra, raccolte dal britannico New Statesman in occasione del secondo anniversario dello scoppio del conflitto, Ivan Krastev, presidente del Centro per le Strategie Liberali con sede a Sofia, in Bulgaria, scrive:

“Ciò che rende il momento attuale radicalmente diverso dall’inizio della guerra o addirittura dalla situazione di un anno fa è che, ora, i governi e un numero crescente di cittadini europei hanno iniziato a percepire la guerra non in termini di solidarietà con l’Ucraina, ma di difesa dei fondamentali interessi di sicurezza dei vicini europei della Russia”.

L’opinione di Krastev non va scartata troppo frettolosamente come il punto di vista di un esponente dell’Europa dell’Est. E’ proprio tale punto di vista, infatti, che sta prendendo il sopravvento, con la complicità di Washington, all’interno dell’UE e della NATO.

Lo conferma il recente viaggio a Praga del presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha accettato il piano ceco di acquistare 800.000 proiettili d’artiglieria da paesi non appartenenti all’UE per rifornire l’Ucraina.

Inizialmente Parigi si era detta contraria a spendere denaro europeo al di fuori dell’Unione, affermando che sarebbe stato preferibile investirlo nell’industria della difesa del vecchio continente. Ma il nuovo ordine di scuderia a livello europeo è che non c’è tempo, bisogna soccorrere Kiev.

Politica perdente non si cambia

In linea di principio, di fronte all’improvvisa realizzazione che l’Ucraina sta perdendo la guerra, l’Europa potrebbe scegliere fra due opzioni strategiche: tagliare le perdite imboccando la strada del compromesso con Mosca, oppure aumentare nuovamente la posta in gioco. La fazione che propende per la seconda ipotesi è tuttora dominante nel dibattito politico europeo.

Preso atto dell’impossibilità di recuperare i territori ucraini perduti, la nuova priorità europea ed occidentale è preservare lo Stato ucraino e consolidarne la sua posizione all’interno del blocco euro-atlantico.

Come scrive sul Financial Times lo stesso Krastev (che è anche membro del Consiglio di fondazione dell’ European Council on Foreign Relations, e del comitato consultivo dell’ Open Society Foundations, istituto fondato da George Soros), “ciò che è non-negoziabile non è tanto l’integrità territoriale dell’Ucraina, quanto il suo orientamento democratico e filo-occidentale”.

Krastev traccia quindi un parallelo fra l’Ucraina e la Germania Ovest durante la Guerra Fredda. L’analogia è illustrativa perché implica la possibilità di una riunificazione alla prima occasione.

Ma, fino a quando l’Occidente si ostinerà a voler inserire l’Ucraina nell’architettura di sicurezza occidentale – osserva il noto analista russo Fyodor Lukyanov – Mosca sarà costretta a rispondere, a prescindere dal fatto che Kiev aderisca ufficialmente alla NATO o meno.

Le conseguenze sono ovvie: siamo tuttora di fronte a una prospettiva di escalation.

Fermare il nemico russo alle porte

Alla base del tambureggiante allarmismo europeo sulla possibilità che Mosca non limiti i propri obiettivi all’Ucraina, ma intenda attaccare un paese NATO nei prossimi anni, sono poi da ravvisare due esigenze: rilanciare l’industria bellica europea, e consolidare la nuova cortina di ferro che dividerà l’Europa dal Mar Nero al Baltico, fino all’Artico.

Nel quadro del rafforzamento di quest’ultima, spicca l’ossessione NATO per la protezione di quello che è considerato il suo punto più debole, il corridoio di Suwalki (in inglese, Suwalki gap), un lembo di terra lungo circa 65 km che corre sul confine tra Lituania e Polonia, separando la Bielorussia alleata di Mosca dall’exclave russa di Kaliningrad.

L’assillo della NATO, alimentato dalla presa di coscienza della propria debolezza militare a seguito dello scontro non vittorioso con Mosca in Ucraina, è che le forze russe possano occupare questa striscia di terra con un’azione fulminea, ponendo così il blocco atlantico di fronte al fatto compiuto, e isolando le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) dal resto dell’Alleanza.

Chiamata francese alle armi

Di fronte all’esigenza di “salvare” lo Stato ucraino e la sua appartenenza al blocco occidentale, ecco allora la proposta, fino a poco tempo fa ritenuta impensabile, di inviare truppe NATO in Ucraina. Ad avanzarla è stato Macron a una conferenza di leader europei riuniti a Parigi, ispirando, a stretto giro di posta, la constatazione (più che la “minaccia”) del presidente russo Putin che uno scontro Russia-NATO sfocerebbe in un conflitto nucleare.

La proposta francese ha suscitato reazioni negative da parte di cechi, slovacchi, italiani, polacchi, così come del cancelliere tedesco Scholz. Tuttavia non si è trattato di una semplice boutade del capo dell’Eliseo.

Lo stesso quotidiano Le Monde, due giorni dopo, affermava che, sebbene la questione fosse mal posta, un dibattito su di essa era necessario. E poco tempo dopo, da Praga, il presidente francese ha reiterato la propria idea.

Questa volta, l’omologo ceco Petr Pavel (un ex generale NATO) ha detto che non vedeva ragioni per cui almeno addestratori dell’Alleanza non potessero essere inviati in Ucraina.

Partizione dell’Ucraina?

Alcuni analisti americani hanno osservato che mandare truppe NATO nel paese non significherebbe necessariamente impegnarle in battaglia contro le forze di Mosca. Nel caso in cui i russi dovessero sfondare il fronte, si potrebbe infatti concepire l’invio di soldati dell’Alleanza per preservare un residuale Stato ucraino, controllando Kiev e attestandosi su una linea ben più a ovest dell’avanzata russa, come base per proporre un cessate il fuoco.

Si tratterebbe, in altre parole, di operare una partizione di fatto dell’Ucraina, secondo uno schema non troppo dissimile da quello applicato qualche anno fa in Siria, ma in un contesto infinitamente più pericoloso.

Per scongiurare uno scontro con Mosca, tale partizione comporterebbe per Kiev una perdita di territori molto più consistente rispetto alla situazione attuale, al fine di garantire una sufficiente “zona cuscinetto” che separi le forze NATO da quelle russe.

Superamento delle linee rosse

Simili scenari, naturalmente, implicherebbero rischi ben maggiori di quelli fin qui corsi nella contrapposizione Russia-NATO. Non bisogna tuttavia dimenticare che i paesi occidentali hanno già oltrepassato un gran numero di linee rosse nel conflitto ucraino, senza che l’opinione pubblica occidentale ne fosse adeguatamente informata.

Vi sono già migliaia di “volontari” stranieri sul suolo ucraino, provenienti soprattutto da Polonia, Romania, e altri paesi dell’Est, ma anche da Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti. Essi si dividono grossomodo in quattro categorie: mercenari che combattono al fronte, personale addestrato nell’uso dei sistemi d’arma occidentali, consulenti tattici e personale di intelligence.

A fine gennaio, la Russia affermò di aver ucciso una sessantina di mercenari francesi nel bombardamento di un albergo impiegato come caserma a Kharkiv. Parigi negò l’accaduto, ma pochi giorni dopo convocò l’ambasciatore russo accusando Mosca di aver ucciso due operatori umanitari francesi in Ucraina.

L’ambasciata russa a Parigi rispose che le autorità francesi non avevano presentato alcuna prova che i due concittadini uccisi fossero operatori umanitari, né aveva dato risposta riguardo alla presenza di mercenari francesi in Ucraina.

I russi hanno anche colpito batterie Patriot in Ucraina, piste di decollo e centri di comando, uccidendo probabilmente numerosi “volontari” stranieri.

Per converso, è emerso che l’aereo da trasporto russo Il-76 abbattuto a fine gennaio nell’oblast di Belgorod vicino al confine, con a bordo 65 prigionieri di guerra ucraini, era stato colpito da una batteria di missili Patriot, il cui equipaggio potrebbe aver incluso anche personale americano.

Segreti di Pulcinella

Nel frattempo, il New York Times ha rivelato l’esistenza di una partnership di lungo corso fra la CIA e i servizi ucraini, che risalirebbe ai giorni immediatamente successivi al rovesciamento del presidente Viktor Yanukovych nel febbraio 2014, a seguito della rivolta di Maidan.

(Va rilevato che le ingerenze americane in Ucraina furono continue nel dopoguerra, e non cessarono nemmeno tra la fine della Guerra Fredda e la rivolta del 2014).

Nei giorni successivi al rovesciamento di Yanukovych, il neonominato capo dei servizi ucraini (SBU), Valentyn Nalyvaichenko, propose una collaborazione a tre con la CIA e l’MI6 britannico.

Qualche commentatore americano ha perfino ammesso che la presenza della CIA in Ucraina dopo il 2014 abbia rappresentato una delle provocazioni che hanno infine portato Mosca a invadere il paese.

Nell’ambito della collaborazione fra Kiev e la CIA, quest’ultima ha creato circa 12 stazioni lungo il confine russo – ha riferito il New York Times. Tali avamposti che, come osservano i russi, sono probabilmente ben più di 12, collaborano con le forze speciali e i commando ucraini che compiono attacchi e attentati in territorio russo.

Allo stesso modo, sono le operazioni di ricognizione e spionaggio compiute da aerei americani e britannici sul Mar Nero ad aver facilitato gli attacchi ucraini contro la flotta russa e il ponte di Kerch in Crimea.

Simili operazioni, e la presenza di personale militare occidentale in territorio ucraino, rendono difficile ai paesi NATO mantenere una “plausible deniability”. Sebbene essi abbiano ufficialmente affermato di opporsi all’invio di truppe occidentali, tali forze di fatto già operano sul terreno.

Bisticci fra Londra e Berlino

E’ quanto ha indirettamente confermato lo stesso Olaf Scholz, il 26 febbraio, allorché ha dichiarato che la Germania non fornirà i suoi missili Taurus a lungo raggio all’Ucraina, perché ciò richiederebbe la presenza di personale militare tedesco per gestire questi complessi sistemi d’arma, allo stesso modo di quanto già fanno i britannici per operare i loro Storm Shadow.

La dichiarazione ha suscitato irritazione a Londra. Sebbene dal governo britannico non siano pervenute reazioni ufficiali, l’ex ministro della difesa Ben Wallace ha descritto il cancelliere tedesco come “l’uomo sbagliato al posto sbagliato nel momento sbagliato”. Mentre Tobias Ellwood, ex presidente della commissione Difesa alla Camera dei Comuni, ha definito la dichiarazione di Scholz “un flagrante abuso di intelligence”.

La stizza britannica appare tuttavia fuori luogo, se si pensa che nel frattempo il Times di Londra lodava il capo di stato maggiore dell’esercito di Sua Maestà, ammiraglio Tony Radakin, per aver preso parte alla pianificazione ed esecuzione degli attacchi ucraini contro la flotta russa nel Mar Nero.

Il fronte bellicista tedesco

Nel frattempo, tuttavia, la diffusione della registrazione di un colloquio tra alti ufficiali della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca, era destinata ad essere fonte di ulteriore imbarazzo per Berlino.

Nella loro conversazione, quattro ufficiali parlavano di un possibile piano per distruggere il ponte di Kerch, che unisce la Crimea alla madrepatria russa, impiegando da 10 a 20 missili Taurus. Tuttavia, per avere successo, l’attacco avrebbe richiesto il diretto coinvolgimento tedesco nella sua pianificazione, e ciò avrebbe significato un’entrata in guerra di fatto della Germania contro la Russia.

Dalla conversazione, confermata come autentica, emerge che, sebbene Scholz sia restio a fornire i suoi missili da crociera all’Ucraina, vi sono elementi all’interno dell’esercito (ma anche del governo) che sono pronti a coinvolgere ulteriormente la Germania in uno scontro con la Russia.

In spregio della volontà popolare

In generale, vi è una crescente propensione occidentale a fornire armi a lungo raggio che permetterebbero a Kiev di colpire obiettivi in profondità in territorio russo, accrescendo i rischi di un inasprimento del conflitto con Mosca.

Va detto però che tali armi difficilmente cambierebbero i destini dell’Ucraina. Nel caso tedesco, Berlino potrebbe rendere disponibili al più un centinaio di Taurus, capaci di colpire a una distanza di 500 km.

Essi sarebbero dunque potenzialmente in grado di mettere Mosca sotto tiro. Ma il loro numero esiguo fa sì che, pur essendo un loro impiego per eventuali attacchi in territorio russo estremamente provocatorio, esso non muterebbe gli equilibri complessivi.

Come hanno osservato alcuni esperti militari americani, ciò di cui l’Ucraina ha veramente bisogno sono proiettili d’artiglieria e sistemi di difesa aerea contro i missili e i droni russi. Ma è proprio questo materiale che l’industria bellica occidentale non riesce a produrre in quantità sufficienti.

Gli avventurismi occidentali, dunque, accrescono il rischio di incidenti che potrebbero portare a uno scontro diretto con la Russia, senza tuttavia risollevare le sorti di Kiev.

Per salvare l’Ucraina, sarebbe molto più utile la ricerca di un compromesso con Mosca, come del resto vorrebbe la maggioranza delle opinioni pubbliche europee.

Ma si sa, nelle “democrazie” occidentali, raramente i governi si fanno interpreti della volontà delle rispettive popolazioni.

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Sondaggio dell’European Council on Foreign Relation risalente al gennaio 2024.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/27638-roberto-iannuzzi-ucraina-colta-da-improvviso-panico-l-europa-flirta-con-ipotesi-futili-quanto-avventate.html

Conflitto a Gaza, “due responsabili”. Ucraina, “il coraggio della bandiera bianca”

Incontro con Papa Francesco, che ai microfoni della RSI e ospite a Cliché si esprime sulle due guerre in corso

Lorenzo Buccella (da Rtsi on line)

Papa Francesco è ospite a Cliché, magazine culturale di Lorenzo Buccella in onda sulla Radiotelevisione svizzera (RSI), in una puntata dedicata al bianco (mercoledì 20 marzo), il colore del bene, della luce, ma sul quale errori e sporcizia risaltano maggiormente. Fra le tante sporcizie c’è la guerra: il conflitto in Ucraina e quello in Palestina, sui quali il pontefice si è espresso ai nostri microfoni:

In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?

“È un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”.

Anche lei stesso si è proposto per negoziare?

“Io sono qui, punto. Ho inviato una lettera agli ebrei di Israele, per riflettere su questa situazione. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto….”.

Come trovare una bussola per orientarsi su quanto sta accadendo fra Israele e Palestina?

“Dobbiamo andare avanti. Tutti i giorni alle sette del pomeriggio chiamo la parrocchia di Gaza. Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c’è la “guerra-guerrigliera”, diciamo così, di Hamas per esempio, un movimento che non è un esercito. È una brutta cosa”.

La colomba è il simbolo della pace, è il segnale che la guerra è finita. Ma poi c’è il dopoguerra, che comunque è un altro momento in cui si devono ricucire tutte queste ferite…

“C’è un’immagine che a me viene sempre. In occasione di una commemorazione dovevo parlare della pace e liberare due colombe. La prima volta che l’ho fatto, subito un corvo presente in piazza San Pietro si è alzato, ha preso la colomba e l’ha portata via. È duro. E questo è un po’ quello che succede con la guerra. Tanta gente innocente non può crescere, tanti bambini non hanno futuro. Qui vengono spesso i bambini ucraini a salutarmi, vengono dalla guerra. Nessuno di loro sorride, non sanno sorridere. È un bambino che non sa sorridere sembra che non abbia futuro. Pensiamo a queste cose, per favore. La guerra sempre è una sconfitta, una sconfitta umana, non geografica”.

Come le rispondono i potenti della terra quando chiede loro la pace?

“C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci… E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra? Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi”.

Quale rapporto ha un Papa con l’errore?

“È forte, perché quanto più una persona ha potere corre il pericolo di non capire le scivolate che fa. È importante avere un rapporto autocritico con i propri errori, con le proprie scivolate. Quando una persona si sente sicura di sé stesso perché ha potere, perché sa muoversi nel mondo del lavoro, delle finanze, ha la tentazione di dimenticarsi che un giorno starà mendicando, mendicando giovinezza, mendicando salute, mendicando vita… è un po’ la tentazione dell’onnipotenza. E questa onnipotenza non è bianca. Tutti dobbiamo essere maturi nei nostri rapporti con gli errori che facciamo, perché tutti siamo peccatori”.

FONTE: https://www.rsi.ch/info/mondo/Conflitto-a-Gaza-%E2%80%9Cdue-responsabili%E2%80%9D.-Ucraina-%E2%80%9Cil-coraggio-della-bandiera-bianca%E2%80%9D–2091038.html

La “campagna di Russia” dell’Europa

Oggi ci troviamo di fronte alla programmazione di una nuova e più catastrofica campagna di Russia perseguita con stolido accanimento dalle élite politiche europee, sorde e cieche ad ogni criterio di responsabilità.

Quos Deus perdere vult, dementat prius (quelli che Dio vuole perdere, per prima cosa li rende dementi).

di Domenico Gallo

Questa locuzione fu usata da Lev Tolstoj in Guerra e Pace per descrivere Napoleone Bonaparte che ordina l’avanzata in territorio russo nel 1812. La catastrofe della guerra in Russia indubbiamente fu frutto del delirio di potenza che aveva oscurato la mente di Napoleone. Oggi ci troviamo di fronte alla programmazione di una nuova e più catastrofica campagna di Russia perseguita con stolido accanimento dalle élite politiche europee, sorde e cieche ad ogni criterio di responsabilità. Lasciamo perdere la NATO che, come struttura militare per esistere e prosperare, ha bisogno di un nemico contro il quale prepararsi a combattere. Per questo non possiamo stupirci delle dichiarazioni dall’Ammiraglio olandese Rob Bauer, Presidente del Comitato militare della NATO che il 18 gennaio ha dichiarato: “”Vivere in pace non è un dato di fatto. Ed è per questo che ci stiamo preparando per un conflitto con la Russia“, che potrebbe scoppiare entro “i prossimi 20 anni“. Neppure possiamo stupirci delle dichiarazioni del Segretario Generale della NATO, Stoltemberg/Stranamore, secondo cui “i membri della NATO devono prepararsi a un possibile scontro con la Russia che potrebbe durare decenni”. Il problema sono le scelte della politica. In questi giorni stiamo assistendo ad una nuova levata di scudi. Due anni di guerra catastrofica ed il fallimento in un mare di sangue della tanto invocata controffensiva ucraina, non hanno insegnato nulla sull’insensatezza dei massacri in corso alla frontiera orientale dell’Europa. In Europa si è formato un partito unico della guerra, in cui confluiscono tutte le forze politiche di centrodestra e di centrosinistra, nel quale i verdi ed i socialisti si contendono la prima fila con i popolari ed i conservatori.

E’ particolarmente inquietante che il Parlamento europeo, con l’ultima risoluzione del 29 febbraio, abbia continuato a istigare la costruzione di nuovi cimiteri di guerra in Ucraina e a percorrere la strada dell’escalation del conflitto.

Secondo il Parlamento europeo non bisogna lasciare nessuna scelta alla Russia, non ci deve essere nessun negoziato per porre fine alla guerra, nessuna mediazione fra gli interessi contrapposti. La guerra deve finire necessariamente con la “vittoria” dell’Ucraina e con la sconfitta della Russia. La vittoria consiste nel recupero manu militari da parte dell’Ucraina di tutti territori perduti a partire dal 2014, ivi compresa la Crimea. In particolare, il Parlamento Europeo: “ricorda l’importanza di liberare la penisola di Crimea, occupata dalla Russia da ormai un decennio – e allo scopo – sostiene gli sforzi dell’Ucraina volti a reintegrare la Crimea, in particolare la piattaforma per la Crimea”.

Per consentire all’Ucraina di conseguire una vittoria militare, che al momento appare impossibile, bisogna proseguire con la fornitura di aiuti militari all’Ucraina “per tutto il tempo necessario.” Il sostegno militare deve essere incrementato quanto bisogna: “per consentire all’Ucraina non solo di difendersi dagli attacchi russi, ma anche di riconquistare il pieno controllo di tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”. Per questo non ci deve essere più alcuna restrizione alla fornitura di sistemi d’arma più performanti e a lungo raggio: “come i missili TAURUS, Storm Shadow/SCALP e altri  –di cui l’Ucraina ha bisogno, assieme a– moderni aerei da combattimento, vari tipi di artiglieria e munizioni (in particolare da 155 mm), droni e armi per contrastarli.” Naturalmente tutto ciò ha un costo, per cui il Parlamento Europeo: “appoggia la proposta secondo la quale tutti gli Stati membri dell’UE e gli alleati della NATO dovrebbero sostenere militarmente l’Ucraina con almeno lo 0,25 % del loro PIL annuo.”

Il linguaggio della guerra si alimenta di miti (come lo scontro fra autoritarismo e democrazia) per offuscare la ragione collettiva e occultare la dimensione reale di sofferenza, distruzione e morte che tali scelte politiche producono. La nuova campagna di Russia lanciata dagli irresponsabili leader europei, sulla orme di Biden, è molto più disastrosa di quella di Napoleone perché all’epoca non esistevano le armi nucleari. Pretendere di disgregare la Russia, staccandone la Crimea, che dal 2014 costituisce una Repubblica autonoma inserita nella Federazione Russa, in virtù di una decisione assunta pacificamente dalla sua popolazione con un referendum, vuol dire puntare all’umiliazione del nemico ed escludere ogni possibilità di negoziato.

Molto sangue sarà versato e non sarà solo sangue ucraino, destinato ad esaurirsi. Se si continua su questa strada, ce l’ha ricordato il miniNapoleone francese, sarà inevitabile l’invio di truppe di Stati europei. Se la Russia dovesse trovarsi con le spalle al muro, niente può escludere che metta mano al grilletto nucleare. Di fronte all’irresponsabilità delle élite europee, brilla la saggezza del Presidente John F. Kennedy che sessanta anni fa riuscì a scongiurare la guerra con l’Unione sovietica per effetto della crisi dei missili a Cuba, osservando che: “Le Potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliato o usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva”.

FONTE: https://www.domenicogallo.it/2024/03/la-campagna-di-russia-delleuropa/

Transnistria e Moldova, un altro fronte di guerra?

Le politiche guerrafondaie e di scontro del governo sottomesso ai diktat occidentali e della NATO, stanno chiudendo la piccola repubblica della Pridnestrovie in una situazione pericolosa e molto delicata, da qui la richiesta ufficiale di aiuto del Parlamento di Tiraspol, per l’unificazione alla Russia come forma di autodifesa. Ma in caso di conflitto, c’è un fattore che potrebbe essere un detonatore che investirebbe e incendierebbe a domino, anche i paesi vicini: la base militare di Kolbasna sotto protezione russa, dove si ipotizza vi siano anche armamenti nucleari.

Nell’ultimo anno la “zelenskaya di Chisinau” Maia Sandu, invece di cercare forme e proposte di negoziazione e conciliazione con la regione orientale, ha intensificato azioni, proposte di legge provocazioni continue e minacce, che stanno alimentando odio e tensioni altissime. Questo da un lato sta spaccando la popolazione in Moldova e incoraggiando forme di smembramento interno della stessa, come nelle regioni della Gagauzia e della Taracalia, dove è sempre più forte la volontà di distacco, oltre alla sempre più profonda avversità della componente russofona del paese.

Il processo ormai non più nascosto di adesione alla NATO, è avviato da tempo, ma ora si sta velocizzando, pur con il 62% dei residenti moldavi dichiaratasi contrari e oltre il 70% favorevoli a una neutralità del Paese. Come con le provocatorie manovre congiunte con presenza di truppe polacche, rumene e persino statunitensi, effettuate nei mesi scorsi a Bulboaca, proprio ai confini della Transnistria, con elicotteri stranieri delle forze speciali polacche, che volano sulla capitale moldava per non precisati motivi di sicurezza, i divieti di circolazione dei veicoli immatricolati nella PMR in Moldavia, attacchi al diritto di uso della lingua russa e così via.

Mentre, al contempo, nei mesi del 2023 le forze armate ucraine hanno schierato altri 4.000 soldati ( con mezzi militari addobbati con emblemi dei battaglioni nazisti) nella regione di Odessa e posizionati in direzione della Pridnestrovie, casualmente proprio il giorno prima, il ministro degli Affari esteri dell’Ucraina aveva effettuato una visita di due giorni a Chisinau

Di recente, nonostante una disastrosa situazione economica interna, con aumenti continui dei beni di prima necessità, del gas, dell’energia elettrica, della benzina, Chisinau ha annunciato l’acquisto del radar francese Ground Master 200 Thales per 14,5 milioni, che sarà acquistato dal governo moldavo, oltre a veicoli corazzati dalla Germania. Ai giovani moldavi è stata data l’opportunità di iscriversi a otto accademie militari negli Stati Uniti, Turchia, Grecia e Romania. Il primo ministro moldavo Dorin Recean ha affermato che il Paese amplierà il raggio di cooperazione con la NATO, perché “…l’Alleanza significa sviluppo democratico…“. Anche il deputato del partito al governo, Andrian Cheptonar, ritiene che la Moldavia “…dovrebbe essere integrata in un sistema di difesa più ampio e fare accordi con i singoli paesi della NATO in modo da essere protetta…“. Lo stesso parlamentare ha ammesso che in caso di referendum, la maggioranza dei moldavi voterebbe contro l’adesione all’Alleanza.

In questo contesto il Parlamento pridnestroviano ha chiesto aiuto alla Russia, che in questi trent’anni è stata una efficace garante di pace, con il suo corpo di peacekeeping, di una non belligeranza e di continui negoziati e trattative, purtroppo finora non risolutivi, ma perlomeno senza altri conflitti militari e con una pacifica coesistenza. La risposta alle richieste della PMR da parte del Cremlino sono state: “…La questione del perché la Transnistria si è rivolta alla Russia per chiedere aiuto dovrebbe essere rivolta alle autorità della Moldavi Le domande dovrebbero essere rivolte a coloro che hanno causato una simile dichiarazione da parte del Parlamento pridnestroviano. Il regime insediatosi a Chisinau sta abolendo tutto ciò che è russo, discrimina la lingua russa in tutti gli ambiti e impone gravi pressioni economiche sulla PMR…Invitiamo la leadership della Moldavia a smettere di bloccare e ostacolare il processo negoziale nel formato “5+2” dell’accordo Moldova-Pridnestroviano. Chisinau sta cercando di distruggere questo formato per sempre…”, ha detto il ministro russo alla RIA Novosti.

Il VII Congresso dei deputati di tutti i livelli della Transnistria, che si è svolto il 28 febbraio e ha riunito più di 600 rappresentanti del popolo, ha adottato una dichiarazione con appelli alle due camere dell’Assemblea federale della Federazione Russa, al Segretario delle Nazioni Unite, all’OSCE, ai membri del formato “5+2”, all’Assemblea interparlamentare degli Stati membri della Comunità degli Stati Indipendenti, al Parlamento Europeo e all’organizzazione della Croce Rossa. Con esso i deputati della Pridnestrovie hanno chiesto alla Russia di adottare misure diplomatiche e concrete per proteggere la PMR di fronte alle crescenti pressioni della Moldavia e dell’Ucraina..

Il senatore russo, primo vicepresidente della commissione di difesa del Consiglio della Federazione Russa, V.Chizhov, ha a sua volta dichiarato che “… la Russia è pronta a fornire alla Pridnestrovie un sostegno proporzionato alle sfide che deve affrontare. I deputati della Pridnestrovie si sono rivolti alla Federazione Russa non dal nulla…L’attuale politica filo occidentale e atlantista della Moldavia, guidata da Maia Sandu, ha spinto verso questa situazione in tutti i modi possibili. Queste sono azioni mirate e studiate ed è chiaro che non sono state inventate a Chisnau ma in Occidente. Quindi reagiremo di conseguenza…”.

Il rappresentante permanente della Federazione Russa presso l’OSCE, A. Lukashevich ha avvertito che la situazione sulle rive del Dniester si sta sviluppando secondo uno scenario molto pericoloso e ha chiesto all’OSCE di intervenire urgentemente per trovare una soluzione positiva. L’accumulo di forze armate ucraine nei pressi della PMR, può far pensare ad una possibile provocazione di un attacco con obiettivo la base di Kolsbana, che dista solo 2,5 chilometri dal confine con l’Ucraina, che se fosse presa dai militari di Kiev, gli fornirebbe scorte di un anno per ulteriori combattimenti.


La “bomba” Kolbasna

“…Contiamo su azioni adeguate da parte moldava, ma non escluderei nemmeno scenari seri e complessi, perché la situazione è imprevedibile e non banale anche a livello globale, figuriamoci a livello regionale…”. Ha dichiarato il ministro degli Esteri della PMR V. Ignatiev.

Molti esperti e analisti concordano sul fatto che, in caso di invasione della Transnistria da parte dell’Ucraina o della Moldavia, i magazzini di Kolbasna, di fatto una polveriera, potrebbero saltare in aria. 

In uno studio dell’Accademia delle scienze moldava degli anni 2.000, fu valutato che in caso di una esplosione, la forza di esplosione sarebbe di 10 kilotoni, equivalente a quella sganciata su Hiroshimanell’agosto 1945 e si formerebbe un imbuto profondo di circa 1 km, il raggio dell’onda d’urto sarebbe di 150 km e 3mila chilometri quadrati. In questo raggio tutte le case, gli edifici e la popolazione rimarrebbe distrutta, coinvolgendo Moldavia, Ucraina e Transnistria.

Al momento, a Kolbasna sono immagazzinate almeno 20mila tonnellate di varie armi, 2600 carri di munizioni, circa 500 carri di esplosivi. Ci sono circa 100 carri armati, 200 veicoli da combattimento di fanteria e mezzi corazzati, 300 sistemi di difesa aerea, decine di migliaia di mitragliatrici e fucili, camion, pezzi di ricambio per veicoli corazzati e mezzi militari Alcuni esperti non escludono la presenza di bombe nucleari tattiche.

Le commissioni OSCE che hanno visitato (più volte negli anni) il deposito di munizioni di Kolbasna, hanno confermato che le armi sono conservate in ottime condizioni. Se ci fosse una provocazione armata e venissero colpiti questi magazzini, nessuno potrebbe garantirsi la propria incolumità e sicurezza. La base è sorvegliata da militari russi del Corpo di pace e soldati pridnestroviani, con due circuiti di sicurezza. In caso di attacco alla PMR , questa ha già operativo come esercito, una forza immediata di circa 15.000 effettivi, ma in caso di aggressione la mobilitazione può arrivare a oltre 80.000 riservisti che hanno un addestramento militare, oltre a milizie paramilitari operaie e contadine. Oltre ai circa 2.000 militari russi del Gruppo operativo delle forze russe (OGRF) lì presenti.

La Repubblica Moldava Preidnestroviana ha anche proprie industrie militari a Bender e Rybnitsa, che producono lanciarazzi e mortai. Alcuni esperti militari sostengono che gli stock di munizioni e armi sul territorio della Pridnestrovie siano sufficienti per operazioni di combattimento per due anni, anche escludendo la possibilità di ottenere forniture di armi da altre parti.

La Sandu si è dimostrata totalmente integrata e asservita alle politiche della Giunta di Kiev e NATO, rendendosi strumento delle loro politiche, dove la Transnistria è una pedina nelle strategie ucraine per ricattare, forzare le mosse della Russia, in una logica, definita da analisti militari “caotizzazione mediatica”.

Così come non è da escludersi che, proseguendo una prospettiva di sconfitta e tracollo della situazione sul campo per Kiev, si potrebbe delineare la probabilità di un attacco scellerato e incongruente contro la Transnistria, se non altro per la necessità di logiche di compensazione per media e propaganda interna di guerra.

Anton Gerashchenko, ex deputato della Giunta di Kiev, attuale consigliere ed ex viceministro presso il Ministero degli affari interni dell’Ucraina, ha dichiarato: “…Se le autorità moldave decidono di ripristinare l’integrità territoriale, con il sostegno della NATO e dell’Ucraina, questo può essere fatto in 24 ore. Ora la Moldavia ha un’opportunità geopolitica e storica unica di ottenere l’indipendenza dalla Russia. L’enclave separatista della Transnistria, che esiste solo grazie al sostegno della Russia, ora è “stretta” tra la Moldavia e l’Ucraina ormai da un anno. La Moldavia deve utilizzare tutti i metodi disponibili per questo. Così, Chisinau, insieme a Kiev, può porre fine alla storia trentennale di beffa delle forze di Tiraspol…“.

Mentre Alexei Arestovich, ex consigliere del capo dell’ufficio del presidente ucraino, in un’intervista ha dichiarato: “…L’Ucraina è vicina e, se le autorità moldave lo chiederanno, non si farà da parte. Abbiamo le possibilità e le condizioni sono già state create. Un giorno o tre non è una problema. Forse sono degli eroi e resisteranno. Chi è più intelligente alzerà la mano e si arrenderà, per chi è più stupido, questa sarà l’ultima resistenza nella vita… “.

Questo lo scenario che esiste in quella regione, ancora una volta si alzano solo parole di guerra e violenza, ma le conseguenze potrebbero essere un ulteriore tassello per uno scontro totale NATO e Russia…e resto del mondo libero e indipendente. Parole e venti che portano tempesta.

Enrico Vigna, IniziativaMondoMultipolare/CIVG – 4 marzo 2024

Il discorso presidenziale di Putin all’Assemblea federale russa

Traduzione dall’inglese di Marco Pondrelli per Marx21.it

La stampa italiana ha riportato le proprie, scontate, impressioni sul discorso di Putin, presentandolo come l’ennesima minaccia all’Occidente. Nessuno però si è premurato di proporre integralmente il discorso del Presidente russo, per consentire a chi vuole informarsi di farsi una propria opinione. Come si può leggere Putin ha ricordato come la Russia abbia da tempo cercato il dialogo per fermare l’escalation bellica, a partire dalla richiesta di discutere l’accordo sulla prevenzione dello schieramento di armi nello spazio rispetto al quale gli Stati Uniti tacciono da 15 anni. Questo discorso è importante e prima di criticarlo andrebbe letto. Putin descrive un Paese che sta sviluppando una propria economia, incentivando l’industria e le PMI, quello che non si era riusciti a fare in passato lo si riesce a fare oggi in conseguenza all’aggressione occidentale. Inoltre come sottolinea Putin sta nascendo una nuova classe dirigente in Russia sarà questa l’élite che governerà la Russia nel prossimo futuro, gli anni ’90 sono definitivamente archiviati.

M.P.

29 febbraio 2024

Mosca

Vladimir Putin ha pronunciato il suo discorso all’Assemblea federale. La cerimonia si è svolta a Gostiny Dvor, Mosca.

Presidente della Russia Vladimir Putin: senatori, deputati della Duma di Stato,

Cittadini della Russia,

Lo scopo principale di ogni discorso all’Assemblea federale è offrire una prospettiva lungimirante. Oggi discuteremo non solo dei nostri piani a breve termine, ma anche dei nostri obiettivi strategici e delle questioni che, credo, sono determinanti per garantire uno sviluppo costante a lungo termine per il nostro Paese.

Questo programma d’azione e le misure concrete che esso comprende sono in gran parte il risultato dei miei viaggi nelle regioni e delle conversazioni che ho avuto con operai e ingegneri di impianti civili e di difesa, nonché con medici, insegnanti, ricercatori, volontari, imprenditori, famiglie numerose, con i nostri eroi in prima linea, volontari, soldati e ufficiali delle Forze armate russe. Naturalmente, è chiaro che queste conversazioni, questi incontri non nascono dal nulla: sono organizzati. Tuttavia, questi scambi offrono alle persone l’opportunità di parlare delle loro esigenze più urgenti. Molte idee sono arrivate dai principali forum della società civile e di esperti.

Le proposte presentate dal nostro popolo, le sue aspirazioni e speranze sono diventate il fondamento e il pilastro principale dei progetti e delle iniziative che verranno annunciati anche oggi, durante questo discorso. Spero che la discussione pubblica su questi argomenti continui, poiché solo insieme possiamo realizzare tutti i nostri piani. In effetti, abbiamo davanti a noi compiti importanti.

Abbiamo già dimostrato di poter raggiungere gli obiettivi più impegnativi e rispondere a qualsiasi sfida, anche quella più formidabile. Ad esempio, c’è stato un tempo in cui respingevamo l’aggressione terroristica internazionale e preservavamo la nostra unità nazionale, evitando che il nostro Paese venisse fatto a pezzi.

Abbiamo sostenuto i nostri fratelli e le nostre sorelle; abbiamo sostenuto la loro decisione di stare con la Russia e quest’anno ricorre il decimo anniversario della leggendaria Primavera russa. Ma anche adesso, l’energia, la sincerità e il coraggio dei suoi eroi – il popolo della Crimea, di Sebastopoli e del ribelle Donbass – il loro amore per la Patria, che hanno portato avanti per generazioni, rende orgogliosi. Questo certamente ci ispira e rafforza la nostra fiducia che supereremo qualsiasi cosa, che saremo in grado di fare qualsiasi cosa insieme.

È così che, con tutte le nostre forze, siamo riusciti a eliminare la minaccia mortale della pandemia di Covid-19 proprio di recente. Inoltre, così facendo, abbiamo anche mostrato al mondo che valori come la compassione, il sostegno reciproco e la solidarietà prevalgono nella nostra società.

E oggi, quando la nostra Patria difende la sua sovranità e sicurezza, difendendo la vita dei nostri compatrioti in Donbass e Novorossiya, i nostri cittadini stanno giocando un ruolo decisivo in questa giusta lotta: la loro unità e devozione al nostro Paese e la nostra responsabilità condivisa per il suo futuro.

Hanno dimostrato chiaramente e inequivocabilmente queste qualità fin dall’inizio dell’operazione militare speciale, quando è stata sostenuta dalla maggioranza assoluta dei russi. Nonostante le prove più dure e le perdite amare, le persone sono rimaste irremovibili nella loro scelta e la stanno riaffermando cercando di fare tutto il possibile per il proprio Paese e per il bene comune.

Le industrie russe stanno lavorando su tre turni per lanciare tutti i prodotti di cui il fronte ha bisogno. L’intera economia, che fornisce le basi industriali e tecnologiche per la nostra vittoria, ha dimostrato flessibilità e resilienza. Vorrei ringraziare tutti gli imprenditori, gli ingegneri, gli operai e gli agricoltori per il loro duro e responsabile lavoro nell’interesse della Russia.

Milioni di persone hanno aderito alla campagna ‘Siamo Insieme’ e al progetto del ‘Fronte Popolare Russo Tutto per la Vittoria’! Negli ultimi due anni, le aziende russe hanno donato miliardi di rubli a organizzazioni di volontariato e fondazioni di beneficenza che sostengono i nostri soldati e le loro famiglie.

Le persone inviano lettere e pacchi, vestiti caldi e reti mimetiche al fronte; donano i loro risparmi, a volte molto modesti. Ancora una volta, questo tipo di assistenza è inestimabile: rappresenta il contributo di tutti alla vittoria comune. I nostri eroi in prima linea, in trincea, dove è più difficile, sanno che tutto il Paese è con loro.

Desidero ringraziare la Fondazione Difensori della Patria, il Comitato dei Guerrieri delle Famiglie della Patria e altre associazioni pubbliche per i loro instancabili sforzi. Invito le autorità a tutti i livelli a continuare a fornire un sostegno costante alle famiglie dei nostri eroi, compresi i loro genitori, coniugi e figli, che attendono con ansia il ritorno dei loro cari sani e salvi.

Sono grato ai partiti parlamentari per essersi uniti attorno agli interessi nazionali. Il sistema politico russo costituisce uno dei pilastri della sovranità del nostro Paese. Continueremo a promuovere le istituzioni democratiche e a resistere a qualsiasi interferenza esterna nei nostri affari interni.

Il cosiddetto Occidente, con le sue pratiche coloniali e la sua propensione a incitare conflitti etnici in tutto il mondo, non solo cerca di ostacolare il nostro progresso, ma immagina anche una Russia che sia uno spazio dipendente, in declino e morente dove possono fare ciò che vogliono. In effetti, vogliono replicare in Russia ciò che hanno fatto in numerosi altri paesi, tra cui l’Ucraina: seminare discordia nelle nostre case e indebolirci dall’interno. Ma si sbagliavano, questo è diventato evidente ora che si sono scontrati con la ferma determinazione e determinazione del nostro popolo multietnico.

I nostri soldati e ufficiali – cristiani e musulmani, buddisti e seguaci dell’ebraismo, persone che rappresentano diverse etnie, culture e regioni – hanno dimostrato con le loro azioni, che sono più forti di mille parole, che la coesione e l’unità secolari del popolo russo sono valide. una forza formidabile e invincibile. Tutti loro, fianco a fianco, stanno combattendo per la nostra Patria.

Insieme, come cittadini della Russia, saremo uniti in difesa della nostra libertà e del nostro diritto a un’esistenza pacifica e dignitosa. Tracceremo il nostro percorso, per salvaguardare la continuità delle generazioni, e quindi la continuità dello sviluppo storico, e affrontare le sfide che il Paese deve affrontare sulla base della nostra visione del mondo, delle nostre tradizioni e credenze, che trasmetteremo ai nostri figli .

Amici,

La difesa e il rafforzamento della sovranità procedono a tutti i livelli, principalmente in prima linea, dove le nostre truppe combattono con determinazione ferma e altruista.

Sono grato a tutti coloro che combattono per gli interessi della Patria, che sopportano il crogiuolo dei processi militari e mettono a rischio la propria vita ogni giorno. L’intera nazione nutre il più profondo rispetto per la vostra impresa, piange i morti e la Russia ricorderà sempre i suoi eroi caduti.

(Un momento di silenzio.)

Le nostre Forze Armate hanno acquisito molta esperienza, anche in termini di coordinamento di tutte le ali militari, nonché di padronanza delle tattiche e dei metodi di guerra più recenti. Questo impegno ci ha dato così tanti comandanti talentuosi ed esperti che hanno a cuore i loro uomini e sono diligenti nello svolgere le loro missioni, sanno come utilizzare le nuove attrezzature e sono efficaci nell’adempiere ai loro incarichi. Vorrei sottolineare che ciò sta accadendo a tutti i livelli, dai plotoni alle unità operative fino al comando più alto.

Siamo consapevoli delle sfide che dobbiamo affrontare. Esistono. Detto questo, sappiamo anche cosa è necessario fare per affrontarli. C’è uno sforzo continuo e incessante in corso sia in prima linea che nelle retrovie a questo riguardo, al fine di migliorare la potenza d’attacco dell’Esercito e della Flotta, per renderli più esperti di tecnologia ed efficaci.

Le Forze Armate hanno ampliato notevolmente le loro capacità di combattimento. Le nostre unità hanno preso l’iniziativa e non rinunceranno. Stanno avanzando con sicurezza in diversi teatri operativi e liberando territori.

Non siamo stati noi a iniziare la guerra nel Donbass, ma, come ho già detto molte volte, faremo di tutto per porvi fine, sradicare il nazismo e raggiungere tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale, nonché difendere sovranità e garantire la sicurezza del nostro popolo.

Le forze nucleari strategiche sono in piena allerta e la capacità di utilizzarle è assicurata. Abbiamo già realizzato o stiamo per realizzare tutti i nostri piani in termini di armi, in linea con quanto ho affermato nel mio Discorso del 2018.

Kinzhal, il complesso ipersonico lanciato dall’aria, non solo è entrato in servizio di combattimento, ma è stato efficace nell’effettuare attacchi contro obiettivi critici durante l’operazione militare speciale. Per lo stesso motivo, Zircon, un complesso missilistico ipersonico basato su una nave, ha già prestato servizio in combattimento. Non è stato nemmeno menzionato nel discorso del 2018, ma anche questo sistema missilistico è entrato in servizio di combattimento.

Anche i missili balistici intercontinentali ipersonici Avangard, così come i complessi laser Peresvet, sono entrati in servizio di combattimento. Il Burevestnik, un missile da crociera con portata illimitata, sta per completare la fase di test, così come il Poseidon, un veicolo sottomarino senza pilota. Questi sistemi hanno dimostrato di soddisfare gli standard più elevati e non sarebbe esagerato affermare che offrono funzionalità uniche. Le nostre truppe hanno ricevuto anche i primi missili balistici pesanti Sarmat prodotti in serie. Presto ve li mostreremo durante il loro servizio di allerta in combattimento nelle aree del loro schieramento.

Gli sforzi per sviluppare diversi altri nuovi sistemi d’arma continuano e ci aspettiamo di sentire ancora di più sui risultati dei nostri ricercatori e dei produttori di armi.

La Russia è pronta al dialogo con gli Stati Uniti su questioni di stabilità strategica. Tuttavia, è importante chiarire che in questo caso abbiamo a che fare con uno Stato i cui ambienti dominanti stanno intraprendendo azioni apertamente ostili nei nostri confronti. Quindi, intendono seriamente discutere con noi questioni di sicurezza strategica e allo stesso tempo cercare di infliggere una sconfitta strategica alla Russia sul campo di battaglia, come dicono loro stessi.

Ecco un buon esempio della loro ipocrisia. Recentemente hanno avanzato accuse infondate, in particolare contro la Russia, riguardo ai piani per lo schieramento di armi nucleari nello spazio. Tali false narrazioni, e questa storia è inequivocabilmente falsa, sono progettate per coinvolgerci nei negoziati alle loro condizioni, che andranno solo a beneficio degli Stati Uniti.

Allo stesso tempo hanno bloccato la nostra proposta che era sul tavolo da oltre 15 anni. Mi riferisco all’accordo sulla prevenzione dello schieramento di armi nello spazio, che abbiamo redatto nel 2008. Non c’è stata alcuna reazione. Non è assolutamente chiaro di cosa stiano parlando.

Pertanto, ci sono ragioni per sospettare che l’interesse dichiarato dall’attuale amministrazione statunitense a discutere con noi di stabilità strategica sia semplicemente demagogia. Vogliono semplicemente mostrare ai propri cittadini e al mondo, soprattutto nel periodo precedente alle elezioni presidenziali, che continuano a governare il mondo, che parleranno con i russi quando ciò andrà a loro beneficio e che non c’è nulla di cui parlare e cercheranno di sconfiggerci. Tutto come al solito, come si suol dire.

Ma questo è inaccettabile, ovviamente. La nostra posizione è chiara: se si vogliono discutere questioni di sicurezza e stabilità che sono fondamentali per l’intero pianeta, ciò deve essere fatto con un pacchetto che includa, ovviamente, tutti gli aspetti che hanno a che fare con i nostri interessi nazionali e che hanno un impatto diretto sulla sicurezza del nostro Paese, la sicurezza della Russia.

Siamo anche consapevoli dei tentativi occidentali di trascinarci in una corsa agli armamenti, così esaurendoci, rispecchiando la strategia adottata con successo con l’Unione Sovietica negli anni ’80. Permettetemi di ricordarvi che nel 1981-1988 la spesa militare dell’Unione Sovietica ammontava al 13% del PIL.

Il nostro attuale imperativo è rafforzare la nostra industria della difesa in modo tale da aumentare le capacità scientifiche, tecnologiche e industriali del nostro Paese. Dobbiamo allocare le risorse nel modo più giudizioso possibile, promuovendo un’economia efficiente per le Forze Armate e massimizzando il rendimento di ogni rublo della nostra spesa per la difesa. Per noi è fondamentale accelerare la risoluzione dei problemi sociali, demografici, infrastrutturali e di altro tipo che affrontiamo, migliorando contemporaneamente la qualità delle attrezzature per l’esercito e la marina russa.

Ciò vale principalmente per le forze generali, affinando i principi della loro organizzazione e schierando sistemi avanzati di attacco senza pilota, sistemi di difesa aerea e guerra elettronica, ricognizione e comunicazioni, armi ad alta precisione e altri tipi di armi alle truppe.

Dobbiamo rafforzare le forze nel teatro strategico occidentale per contrastare le minacce poste dall’ulteriore espansione della NATO verso est, con l’adesione di Svezia e Finlandia all’alleanza.

L’Occidente ha provocato conflitti in Ucraina, in Medio Oriente e in altre regioni del mondo, diffondendo costantemente falsità. Ora hanno l’audacia di dire che la Russia nutre intenzioni di attaccare l’Europa. Potete crederci? Sappiamo tutti che le loro affermazioni sono del tutto infondate. E allo stesso tempo stanno selezionando gli obiettivi da colpire sul nostro territorio e contemplando i mezzi di distruzione più efficienti. Ora hanno iniziato a parlare della possibilità di schierare contingenti militari della NATO in Ucraina.

Ma ricordiamo cosa è successo a coloro che già una volta hanno inviato i loro contingenti nel territorio del nostro Paese. Oggi, qualsiasi potenziale aggressore dovrà affrontare conseguenze molto più gravi. Devono capire che disponiamo anche di armi – sì, lo sanno, come ho appena detto – capaci di colpire obiettivi sul loro territorio.

Tutto ciò che stanno inventando ora, spaventando il mondo con la minaccia di un conflitto che coinvolga armi nucleari, che potenzialmente significa la fine della civiltà, se ne rendono conto? Il problema è che si tratta di persone che non hanno mai affrontato profonde avversità; non hanno idea degli orrori della guerra. Noi, anche la generazione più giovane di russi, abbiamo sopportato tali prove durante la lotta contro il terrorismo internazionale nel Caucaso e ora nel conflitto in Ucraina. Ma continuano a considerarlo una sorta di cartone animato d’azione.

In effetti, proprio come qualsiasi altra ideologia che promuove il razzismo, la superiorità nazionale o l’eccezionalismo, la russofobia è accecante e stupefacente. Gli Stati Uniti e i loro satelliti hanno infatti smantellato il sistema di sicurezza europeo creando rischi per tutti.

Chiaramente, un nuovo quadro di sicurezza uguale e indivisibile deve essere creato in Eurasia nel prossimo futuro. Siamo pronti per una discussione approfondita su questo argomento con tutti i paesi e le associazioni che potrebbero essere interessate. Allo stesso tempo, vorrei ribadire (penso che sia importante per tutti) che nessun ordine internazionale duraturo è possibile senza una Russia forte e sovrana.

Ci sforziamo di unire gli sforzi della maggioranza globale per rispondere alle sfide internazionali, come la turbolenta trasformazione dell’economia mondiale, del commercio, della finanza e dei mercati tecnologici, quando gli ex monopoli e gli stereotipi ad essi associati stanno crollando.

Ad esempio, nel 2028, i paesi BRICS, tenendo conto dei nuovi membri, creeranno circa il 37% del PIL globale, mentre i numeri del G7 scenderanno al di sotto del 28%. Queste cifre sono piuttosto significative perché la situazione era completamente diversa solo 10 o 15 anni fa. Mi avete già sentito dirlo pubblicamente. Queste sono le tendenze. Queste sono le tendenze globali e non è possibile sfuggirle poiché sono una realtà oggettiva.

Guardate, la quota dei paesi del G7 nel PIL globale in termini di PPP era pari al 45,7% nel 1992, mentre i paesi BRICS (questa associazione non esisteva nel 1992) rappresentavano solo il 16,5%. Nel 2022, tuttavia, il G7 rappresentava il 30,3%, mentre i BRICS il 31,5%. Entro il 2028, la percentuale si sposterà ancora di più a favore dei BRICS, con il 36,6%, e la cifra prevista per il G7 è del 27,8%. Non è possibile allontanarsi da questa realtà oggettiva, e rimarrà tale indipendentemente da ciò che accadrà dopo, anche in Ucraina.

Continueremo a lavorare con i paesi amici per creare corridoi logistici efficaci e sicuri, basandoci su soluzioni all’avanguardia per costruire una nuova architettura finanziaria globale che sia libera da qualsiasi interferenza politica. Ciò è particolarmente importante considerando che l’Occidente ha minato le proprie valute e il sistema bancario tagliando letteralmente il ramo su cui è seduto.

I principi di uguaglianza e rispetto per gli interessi reciproci ci guidano nelle nostre interazioni con i nostri partner. Questo è il motivo per cui sempre più paesi sono stati proattivi nel cercare di far parte delle attività dell’EAEU, della SCO, dei BRICS e di altre associazioni che coinvolgono la Russia. Vediamo molte promesse nel progetto di costruzione di un grande partenariato eurasiatico e di allineamento dei processi di integrazione all’interno dell’Unione economica eurasiatica e dell’iniziativa cinese Belt and Road.

Il dialogo tra Russia e ASEAN ha registrato uno slancio positivo. I vertici Russia-Africa hanno rappresentato una vera svolta, con il continente africano che è diventato sempre più assertivo nel perseguire i propri interessi e nel godere di un’autentica sovranità. Sosteniamo sinceramente queste aspirazioni.

La Russia ha relazioni positive e di lunga data con gli stati arabi, che hanno una propria civiltà unica e vivace che si estende in tutto il Nord Africa e nel Medio Oriente. Siamo convinti che dobbiamo trovare nuovi punti di convergenza con i nostri amici arabi e approfondire le nostre partnership a tutti i livelli. La stessa visione guiderà le nostre relazioni con l’America Latina.

In una nota separata, vorrei chiedere al governo di stanziare maggiori finanziamenti per programmi internazionali per la promozione della lingua russa e della nostra cultura multietnica, principalmente nello spazio della CSI ma anche in tutto il mondo.

Per inciso, amici e colleghi, sono sicuro che molti di voi sono stati alla mostra sulla Russia. Le persone vanno lì per vedere quanto è ricca e vasta la nostra patria e per mostrarlo ai propri figli. Lì è stato lanciato l’Anno della Famiglia. I valori dell’amore, del sostegno reciproco e della fiducia vengono tramandati di generazione in generazione, proprio come la nostra cultura, le nostre tradizioni, la nostra storia e i nostri principi morali.

Ma lo scopo principale della famiglia è avere figli, procreare, crescere i figli e quindi garantire la sopravvivenza della nostra nazione multietnica. Possiamo vedere cosa sta accadendo in alcuni paesi in cui gli standard morali e la famiglia vengono deliberatamente distrutti e intere nazioni vengono spinte verso l’estinzione e la decadenza. Abbiamo scelto la vita. La Russia è stata e rimane una roccaforte dei valori tradizionali su cui poggia la civiltà umana. La nostra scelta è supportata dalla maggior parte delle persone nel mondo, inclusi milioni di persone nei paesi occidentali.

È vero, oggi i tassi di natalità stanno diminuendo in Russia e in molti altri paesi. I demografi affermano che questa sfida è legata ai cambiamenti nelle percezioni sociali, economiche, tecnologiche, culturali e di valore in tutto il mondo. I giovani ricevono un’istruzione, cercano di fare carriera e migliorano le loro condizioni di vita, lasciando i figli per dopo.

È ovvio che l’economia e la qualità del settore sociale non sono gli unici fattori che influenzano la demografia e il tasso di natalità. Anche le scelte di vita incoraggiate in famiglia e dalla nostra cultura ed educazione hanno un impatto enorme. Tutti i livelli di governo, della società civile e del clero di tutte le nostre religioni tradizionali devono contribuire a questo.

Il sostegno alle famiglie con bambini è la nostra scelta morale fondamentale. Una famiglia con più figli deve diventare una norma, la filosofia sociale sottostante e il fulcro della strategia statale. (Applausi.) Mi unisco ai vostri applausi.

Dobbiamo garantire una crescita sostenibile del tasso di natalità entro i prossimi sei anni. Con questo obiettivo, prenderemo ulteriori decisioni riguardanti il sistema educativo e lo sviluppo regionale ed economico. Parlerò del sostegno alle famiglie e del miglioramento della qualità della loro vita in quasi tutte le parti del Discorso. Per favore abbiate pazienza, perché ho appena iniziato. Anche tutto quello che ho già detto è importante, ma ora parlerò delle questioni più importanti.

Inizierò con un problema importante, per usare un eufemismo, ovvero i redditi bassi sperimentati da molte famiglie numerose. Nel 2000, più di 42 milioni di russi vivevano al di sotto della soglia di povertà, ma da allora la situazione è cambiata radicalmente. Alla fine dello scorso anno, il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà è sceso a 13,5 milioni, un numero comunque elevato. Ma siamo costantemente concentrati sulla ricerca di una soluzione a questo problema.

In tempi relativamente recenti sono state adottate diverse misure. Ad esempio, il 1° gennaio 2023 è stato introdotto un assegno mensile unico per le famiglie a basso reddito. È dovuto dal momento in cui la madre rimane incinta fino al compimento dei 17 anni del figlio. L’anno scorso l’hanno ricevuto più di 11 milioni di persone.

Abbiamo semplificato drasticamente la procedura per la conclusione di un contratto sociale, dando priorità alle famiglie numerose. Ora, una domanda per un contratto sociale può essere presentata tramite il sito web Gosuslugi (servizi governativi) con un insieme minimo di documenti. Lavoreremo per espandere la disponibilità di questo servizio, che richiederà finanziamenti aggiuntivi per un importo di 100 miliardi di rubli. Questi soldi sono già stati accantonati. In generale, tutte le spese aggiuntive che menzionerò sono state preventivate.

Per ribadire, la povertà rimane un problema acuto che ora colpisce direttamente più del 9% della popolazione. Secondo gli esperti, il tasso di povertà tra le famiglie con molti figli è di circa il 30%. Dobbiamo stabilire obiettivi chiari e raggiungerli costantemente. Entro il 2030, il tasso di povertà complessivo in Russia dovrà essere inferiore al 7% e, per le famiglie numerose, non dovrà essere superiore al 12% o inferiore alla metà dell’attuale 30%. Dobbiamo cioè porre un’enfasi particolare sullo sforzo volto a ridurre la povertà, in primo luogo per le famiglie con molti figli.

So che superare la povertà non è facile ed è uno sforzo assolutamente sistemico e multi-vettore. Pertanto, per ribadirlo, è importante assicurarsi che tutto ciò che facciamo in quest’area e ogni strumento che utilizziamo siano efficaci ed efficienti e produca risultati reali e tangibili per le nostre persone e le nostre famiglie.

Ciò di cui abbiamo bisogno è uno sforzo ininterrotto volto a migliorare la qualità della vita delle famiglie con bambini e a sostenere il tasso di natalità. Per raggiungere questo obiettivo, lanceremo un nuovo progetto nazionale intitolato “Famiglia”.

Parlerò ora di una serie di iniziative specifiche.

In primo luogo, oltre ai programmi federali, le regioni russe stanno implementando le proprie misure a sostegno delle famiglie con bambini. Soprattutto, vorrei ringraziare i miei colleghi per questo lavoro e proporre di fornire ulteriore assistenza alle regioni in cui il tasso di natalità è inferiore alla media nazionale. Ciò è particolarmente importante per la Russia centrale e nordoccidentale. Nel 2022, 39 regioni avevano un tasso di fertilità totale inferiore alla media nazionale. Entro la fine del 2030 destineremo almeno 75 miliardi di rubli a queste regioni in modo che possano aumentare i loro programmi di sostegno alle famiglie. I fondi inizieranno a essere erogati l’anno prossimo.

In secondo luogo, l’anno scorso in Russia sono stati costruiti più di 110 milioni di metri quadrati di abitazioni, ovvero il 50% in più rispetto al livello più alto dell’era sovietica, raggiunto nel 1987. All’epoca furono costruiti 72,8 milioni di metri quadrati e ora il risultato è 110 milioni.

Ancora più importante, negli ultimi sei anni, milioni di famiglie russe si sono trasferite in alloggi più grandi o migliori; oltre 900.000 di loro hanno approfittato del programma di mutui familiari, lanciato nel 2018. Nel corso del tempo abbiamo costantemente ampliato l’idoneità a questo programma, dalle famiglie con due o più figli alle famiglie con un figlio di oggi. Il programma proseguirà fino a luglio 2024. Propongo di estenderlo ulteriormente fino al 2030 mantenendone i parametri di base. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata alle famiglie con bambini sotto i sei anni; il tasso di interesse preferenziale sul prestito rimarrà al 6% per queste famiglie.

C’è qualcos’altro. Attualmente il governo sovvenziona 450.000 rubli di mutuo per una famiglia che ha un terzo figlio. Propongo inoltre di estendere questa misura fino al 2030. Quest’anno questo piano di sostegno richiederà quasi 50 miliardi di rubli; l’importo aumenterà ulteriormente, ma abbiamo i soldi per farlo.

Il nostro obiettivo più ampio è rendere gli alloggi attualmente in costruzione maggiormente accessibili per le famiglie e garantire un rinnovamento a livello di sistema del patrimonio immobiliare nel paese.

In terzo luogo, in Russia ci sono oltre due milioni di famiglie con tre o più figli. Inutile dire che siamo molto orgogliosi di queste famiglie.

Ecco cosa volevo dire a questo proposito. Guardate questi numeri : sono cifre del mondo reale. Tra il 2018 e il 2022, il numero di famiglie con molti bambini in Russia è aumentato del 26,8%, il che è un risultato positivo.

Ho firmato un ordine esecutivo che crea uno status nazionale unico per le famiglie con molti figli. Questo è quello che il popolo ha chiesto. Dobbiamo dare seguito alle disposizioni adottando decisioni federali e regionali concrete, in linea con le aspirazioni popolari, ovviamente.

Le famiglie con molti figli hanno così tante questioni di cui occuparsi, quindi i genitori devono avere più risorse a disposizione per affrontare le sfide quotidiane. Suggerisco di raddoppiare la detrazione fiscale che i genitori ottengono quando hanno il secondo figlio a 2.800 rubli al mese e di aumentare questo beneficio per il terzo e ogni figlio consecutivo a 6.000 rubli.

Cosa significa questo? Faccio un esempio: in questo modo una famiglia con tre figli potrà risparmiare 1.300 rubli al mese. Suggerisco inoltre di aumentare il reddito annuo computato ai fini di questa detrazione da 350.000 a 450.000 rubli. E questa misura di sostegno deve applicarsi automaticamente senza che le persone debbano richiederla.

In una nota separata vorrei menzionare l’indennità di capitale di maternità. Oggi i genitori possono ricevere 630.000 rubli quando nasce il loro primo figlio e quando arriva il secondo la famiglia riceve altri 202.000 rubli. Abbiamo regolarmente adeguato questo vantaggio all’inflazione. Per il momento, il programma di capitale di maternità scadrà entro l’inizio del 2026, ma suggerisco di estenderlo almeno fino al 2030.

Colleghi,

Vorrei ringraziare le fondazioni di beneficenza e le organizzazioni no-profit di servizio alla comunità che aiutano gli anziani, le persone affette da varie malattie e i bambini con disabilità. Hanno fatto molto per sollevare la questione dell’assistenza a lungo termine a livello nazionale. Erano loro a sollevare costantemente questi problemi.

Credo che dobbiamo stanziare più fondi federali per questo sistema e seguire un unico ed elevato standard di cura. Ciò include il miglioramento della disponibilità per circa mezzo milione di russi che hanno bisogno di questo tipo di assistenza.

Entro il 2030 dobbiamo garantire che il 100% delle persone che necessitano di questo tipo di assistenza a lungo termine possano trarne beneficio.

Attualmente l’aspettativa di vita media in Russia ha superato i 73 anni. Siamo tornati al livello a cui eravamo prima della pandemia di COVID-19. Entro il 2030, l’aspettativa di vita in Russia dovrebbe essere di almeno 78 anni e in futuro, come avevamo pianificato, raggiungeremo il livello di oltre 80 anni.

Particolare attenzione dovrebbe essere prestata alle aree rurali e alle regioni in cui l’aspettativa di vita è ancora inferiore alla media della Russia. Il progetto nazionale Long and Active Life si concentrerà sul raggiungimento di questi obiettivi. È particolarmente importante prolungare il periodo sano e attivo nella vita di una persona, in modo che possa godersi le attività familiari, stare con i propri cari, figli e nipoti.

Continueremo ad attuare progetti federali per combattere le malattie cardiovascolari, il cancro e il diabete.

Inoltre, propongo di lanciare un nuovo programma globale per proteggere la maternità e aiutare i bambini e gli adolescenti a mantenere una buona salute, compresa la salute riproduttiva, garantendo che i bambini nascano sani e crescano fino a diventare adulti sani e producano bambini sani in futuro.

Le priorità del nuovo programma dovrebbero includere l’espansione della rete nazionale di cliniche sanitarie femminili e il potenziamento dei centri prenatale, delle cliniche pediatriche e degli ospedali. In totale, nei prossimi sei anni stanzieremo inoltre più di un trilione di rubli solo per la costruzione, la riparazione e l’equipaggiamento delle strutture sanitarie.

Inoltre. Il numero di russi che praticano attività sportive regolarmente è aumentato in modo significativo negli ultimi anni. Questo è uno dei nostri principali risultati. Dobbiamo incoraggiare le persone ad assumersi la responsabilità della propria salute. Già dal prossimo anno introdurremo detrazioni fiscali per coloro che si sottopongono regolarmente a visite mediche programmate, nonché superano con successo il test di idoneità fisica standard GTO.

Ricordate questo slogan popolare? Tutti ricordano quella battuta: “Smetti di bere, inizia a sciare!” Sembra che sia così, il momento è adesso. A proposito del bere abbiamo ottenuto un risultato notevole e positivo. In effetti, abbiamo ridotto significativamente il consumo di alcol, principalmente alcolici forti, senza imporre restrizioni estreme, il che dovrebbe sicuramente migliorare la salute della nazione.

Suggerisco di incanalare i fondi federali nella costruzione di almeno 350 impianti sportivi aggiuntivi ogni anno nelle regioni, principalmente nelle piccole città e nelle aree rurali. Ciò potrebbe includere luoghi polivalenti, nonché strutture che possono essere costruite rapidamente per essere utilizzate da bambini, adulti e famiglie. A tal fine stanzieremo circa 65 miliardi di rubli in denaro federale nei prossimi sei anni.

Anche le università, gli istituti professionali, le scuole e gli istituti prescolari devono creare le condizioni per praticare sport. A proposito, molti dei nostri asili sono stati aperti già in epoca sovietica e hanno bisogno di essere ristrutturati. L’anno prossimo lanceremo un importante programma di ristrutturazione per loro. Ho sentito parlare di questo problema dalle persone con cui parlo continuamente.

Per quanto riguarda le scuole, circa 18.500 edifici necessitano di importanti riparazioni. Aiuteremo le regioni a gestire l’arretrato di problemi in questo settore in modo che possano passare dalle riparazioni urgenti a quelle pianificate. A giudicare da quanto realizzato finora, siamo sulla strada giusta. Nel complesso, stanzieremo oltre 400 miliardi di rubli per intraprendere importanti riparazioni negli asili e nelle scuole.

Oltre a ciò, propongo di rinnovare o aprire sale mediche nelle scuole che necessitano di questo tipo di servizio. Oggi, intendo dire nel 2022-2023, solo il 65% delle 39.000 scuole che abbiamo (e abbiamo 39.440 scuole in totale) disponevano di strutture mediche, il che significa che abbiamo margine di miglioramento

C’è un altro argomento importante. Molte grandi città sono in rapida espansione, il che a sua volta aumenta il peso sui servizi sociali. Molte scuole hanno dovuto passare a turni doppi o addirittura tripli. Naturalmente, questa è una sfida e dobbiamo affrontarla. Dovremo impegnare risorse federali per risolvere questo problema costruendo almeno 150 scuole e oltre 100 asili nido nelle città più colpite che si trovano ad affrontare istituti scolastici sovraffollati.

Colleghi,

I sogni e le realizzazioni dei nostri antenati sono alla nostra portata e possiamo essere orgogliosi di questi risultati, mentre sono le aspirazioni delle nostre generazioni più giovani a determinare il futuro del nostro Paese. La loro maturità, i loro successi, le loro linee guida morali, che possono resistere a qualsiasi sfida, sono le garanzie più importanti della sovranità della Russia e della continuazione della nostra storia.

Propongo di consolidare l’esperienza positiva che abbiamo ottenuto con la nostra politica giovanile e di lanciare quest’anno un nuovo progetto nazionale, la Gioventù di Russia. Questo progetto dovrebbe concentrarsi sul futuro del nostro Paese e lavorare verso quel futuro. Questo è ciò che i nostri insegnanti vedono come la loro chiamata, la loro grande missione, quando si rendono conto di essere responsabili delle generazioni più giovani e siamo loro grati per il loro lavoro altruistico.

I mentori svolgono un ruolo importante nel far sentire i bambini parte di una squadra unita e nel fornire loro supporto nella vita. Propongo di istituire un sussidio federale mensile di 5.000 rubli per i consulenti dei direttori che che li aiutano nello sviluppo dei bambini nelle scuole e nelle università, con data di lancio il 1° settembre 2024. Questa sarà una nuova misura di sostegno. Propongo inoltre di implementare misure di sostegno per gli insegnanti di classe nelle scuole, nonché per i supervisori di gruppo, sia nelle università che nelle scuole tecniche, nelle comunità con una popolazione inferiore a 100.000 persone. Tali comunità necessitano di un’attenzione speciale e, infatti, la maggior parte delle piccole città e dei villaggi di tutta la Russia rientrano in questa categoria. Pertanto, dal 1° marzo 2024, propongo di raddoppiare il pagamento federale per la gestione delle classi e la supervisione dei gruppi agli operatori didattici idonei portandolo a 10.000 rubli.

C’è un’altra cosa che vorrei aggiungere. Nel 2018, gli ordini esecutivi di maggio stabiliscono i requisiti per la retribuzione degli insegnanti e di altri dipendenti del settore pubblico sulla base del reddito medio mensile derivante da un impiego in una particolare regione della Russia. Queste disposizioni dei cosiddetti ordini esecutivi di maggio devono continuare a essere rigorosamente rispettate. Allo stesso tempo, dobbiamo migliorare il sistema di remunerazione nel settore pubblico e aumentare i redditi dei suoi dipendenti.

La retribuzione media nell’economia varia da regione a regione, il che significa che i redditi delle persone nel settore pubblico a volte sono molto diversi anche nelle entità vicine della federazione. Ma il lavoro di insegnanti e medici è difficile e richiede che accettino un’estrema responsabilità, indipendentemente da dove si trovino. Senza dubbio, questa grande differenza negli stipendi tra le regioni è ingiusta.

So che si tratta di una questione vecchia, complicata e ad alta intensità di capitale, se posso affrontarla in questo modo. Ne ho discusso con i miei colleghi delle agenzie federali, i capi delle regioni, insegnanti, medici e altri professionisti. Ed è chiaro che dobbiamo fare qualcosa al riguardo.

Non entrerò ora nei dettagli, ma è sicuramente una questione complicata. I parlamentari e il governo sanno di cosa sto parlando. Chiedo al governo di coordinare nel 2025 un nuovo sistema di pagamento per i dipendenti del settore pubblico nell’ambito dei progetti pilota esistenti nelle regioni e di adottare una decisione finale per l’intero paese nel 2026.

Una questione a parte riguarda la creazione di incentivi aggiuntivi per attirare giovani professionisti nelle scuole dove vedranno opportunità professionali e di carriera. A tal fine, approveremo stanziamenti mirati di oltre 9 miliardi di rubli dal bilancio federale per il miglioramento dell’infrastruttura delle università di formazione pedagogica.

Il nostro sistema di istruzione scolastica è sempre stato famoso per i suoi insegnanti innovativi e metodi di insegnamento unici. Sono i team di tali insegnanti che prenderanno parte alla creazione di scuole lungimiranti. La costruzione delle prime scuole di leadership di questo tipo inizierà quest’anno nelle regioni di Ryazan, Pskov, Belgorod, Nizhny Novgorod e Novgorod. Successivamente verranno costruiti in tutti i distretti federali, in Estremo Oriente, in Siberia e nel Donbass. Nel complesso, apriremo 12 scuole di questo tipo entro il 2030.

Per quanto riguarda i contenuti educativi, il carico di lavoro dei nostri figli deve essere ragionevole ed equilibrato. E decisamente non va bene quando ai bambini viene insegnata una cosa durante le lezioni e vengono chieste cose completamente diverse durante gli esami. Questa discrepanza, per usare un eufemismo, tra il programma di studio e le domande poste durante gli esami, che purtroppo accade, costringe i genitori ad assumere tutor privati, cosa che non tutte le famiglie possono permettersi. Chiedo ai nostri colleghi del governo di collaborare con insegnanti e genitori per risolvere questo problema evidente.

A questo proposito vorrei spendere qualche parola sull’Esame di Stato Unificato. che è una questione di ampia discussione e dibattito pubblico, come tutti sappiamo. È vero che il meccanismo dell’esame unificato deve essere migliorato.

Cosa suggerisco in questa fase? Propongo di fare un ulteriore passo dando una seconda possibilità ai diplomati. In particolare, avranno la possibilità di sostenere nuovamente un esame in una delle materie d’esame unificate prima della fine del periodo di iscrizione all’università in modo da poter inviare nuovamente i nuovi voti. Tali questioni possono sembrare banali, ma in realtà sono piuttosto importanti per le persone.

Colleghi,

L’anno scorso, l’economia russa è cresciuta più velocemente dell’economia mondiale e abbiamo sovraperformato non solo i principali paesi dell’UE, ma anche tutte le economie del G7. Ecco cosa vorrei sottolineare a questo proposito: le massicce riserve create negli ultimi decenni hanno avuto molto a che fare con questo.

La quota delle industrie non legate alle materie prime nella struttura di crescita è ora ben superiore al 90%, il che significa che l’economia è diventata più complessa e tecnologica e quindi molto più sostenibile. La Russia è la più grande economia europea in termini di prodotto interno lordo e parità di potere d’acquisto, nonché la quinta economia mondiale.

Il ritmo e, soprattutto, la qualità della crescita rendono possibile sperare e persino affermare che saremo in grado di fare un altro passo avanti nel prossimo futuro e di diventare la quarta economia mondiale. Questo tipo di crescita dovrebbe avere un effetto diretto sui redditi delle famiglie.

La quota dei salari nel PIL nazionale dovrebbe aumentare entro i prossimi sei anni. Stiamo adeguando il salario minimo ai tassi di inflazione e ai tassi di crescita salariale medi nell’economia. A partire dal 2020, il salario minimo è aumentato del 50%, da 12.000 a 19.000 rubli al mese. Entro il 2030, il salario minimo sarà quasi raddoppiato, arrivando a 35.000 rubli, il che farà sicuramente la differenza nel numero di benefici sociali e salari nei settori pubblico ed economico.

Siamo consapevoli dei rischi e dei fattori che potrebbero portare a un rallentamento della crescita economica e del nostro progresso in generale. Questi includono, principalmente, la carenza di personale qualificato e della nostra tecnologia avanzata e persino la totale mancanza di essa in alcune aree. Dobbiamo essere proattivi a questo riguardo, quindi oggi discuterò in dettaglio questi due argomenti strategicamente importanti.

Inizierò con il personale. La Russia ha una numerosa generazione di giovani. Stranamente, stiamo affrontando problemi demografici legati alla crescita della popolazione, ma abbiamo ancora una generazione giovane piuttosto numerosa. Nel 2030, questo paese avrà 8,3 milioni di persone di età compresa tra i 20 e i 24 anni, e 9,7 milioni, ovvero 2,4 milioni in più, nel 2035. Senza dubbio, questo è il risultato delle misurazioni demografiche degli anni precedenti, tra le altre cose.

È importante sottolineare che gli adolescenti di oggi dovrebbero diventare professionisti pronti a lavorare nell’economia del 21° secolo. Questo è il focus del nuovo progetto nazionale del Personale.

Ne abbiamo discusso molto, ma dobbiamo davvero rafforzare il collegamento tra tutti i livelli di istruzione, dalla scuola all’università. Dovrebbero funzionare insieme per ottenere un risultato comune. Naturalmente, il coinvolgimento dei futuri datori di lavoro è importante. Quest’anno è stato lanciato un sistema di orientamento professionale in tutte le scuole a livello nazionale. Gli alunni dalla prima media in su possono acquisire familiarità con diverse specialità.

Ora esorto i capi delle imprese, dei centri di ricerca e dei centri medici a incoraggiare gli scolari a visitarli. Far vedere loro i workshops, come mi è stato offerto di fare durante uno dei miei viaggi, i musei e i laboratori. Assicurati di partecipare a questo sforzo.

La promozione di una stretta collaborazione tra le istituzioni educative e l’economia reale ci ha guidato nel progetto Professionalitet per la promozione della formazione professionale. Ci ha permesso di aggiornare i programmi formativi per i settori dell’aviazione, della costruzione navale, farmaceutico, dell’elettronica e della difesa, tra gli altri.

Dovremo formare circa un milione di lavoratori altamente qualificati per questi settori entro il 2028, assicurandoci al tempo stesso che il sistema di formazione professionale nel suo insieme passi a questi approcci, anche in termini di sviluppo delle risorse umane per le scuole, gli ospedali, gli ambulatori, i servizi settore, turismo, istituzioni culturali e industrie creative.

In una nota separata, sto dando istruzioni al governo di collaborare con le regioni su un programma per rinnovare e attrezzare gli istituti di formazione professionale. Questo sforzo deve andare oltre il rinnovamento delle strutture educative e coprire anche le strutture sportive, nonché i dormitori degli studenti che servono queste scuole e università di formazione professionale. Assegneremo 120 miliardi di rubli in finanziamenti federali per questi scopi nel prossimo periodo di sei anni.

Inoltre, spenderemo altri 124 miliardi di rubli per effettuare importanti riparazioni in circa 800 dormitori universitari nei prossimi sei anni.

Per quanto riguarda l’istruzione superiore in generale, il nostro compito è sviluppare centri di ricerca e formazione in tutto il nostro Paese. Per questo costruiremo 25 campus universitari entro il 2030. Ne abbiamo già parlato, ma vale la pena ripeterlo. Suggerisco di espandere questo programma per costruire almeno 40 campus studenteschi di questo tipo.

Per fare ciò, dovremo stanziare circa 400 miliardi di rubli dal bilancio federale per garantire che studenti, laureati, docenti e giovani famiglie abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno per studiare, lavorare e crescere i propri figli.

Nel complesso, dobbiamo esaminare tutte le diverse situazioni che le giovani madri o i giovani genitori affrontano nella loro vita e utilizzare queste informazioni per perfezionare e migliorare i servizi pubblici, il settore sociale, l’assistenza sanitaria, nonché le infrastrutture urbane e rurali. Chiedo al governo e alla regione di prestare la dovuta attenzione quando si lavora su questo programma.

Andando avanti, nel discorso dell’anno scorso, ho annunciato importanti cambiamenti nel modo in cui funziona il nostro sistema di istruzione superiore e ho parlato della necessità di utilizzare le migliori pratiche nazionali. Le basi per il futuro successo in una professione vengono gettate nei primi anni di università, quando vengono insegnate le materie fondamentali. Credo che dobbiamo offrire a coloro che insegnano queste materie salari più alti. Pertanto, chiedo al governo di suggerire modalità specifiche per realizzare ciò e di lanciare un progetto pilota a partire dal 1° settembre.

Ciò richiederà risorse aggiuntive. Secondo le stime preliminari, ciò ammonterebbe a circa 1,5 miliardi quest’anno e a 4,5 miliardi in futuro. Abbiamo preso in considerazione questi importi nelle nostre proiezioni.

Per noi è importante rafforzare le capacità e la qualità del sistema nazionale di istruzione superiore, per sostenere le università che lottano per lo sviluppo. Questi obiettivi vengono raggiunti dal nostro programma Priorità 2030. I finanziamenti per questo scopo sono stati stanziati fino alla fine di quest’anno. Propongo certamente di prorogarlo per altri sei anni e di stanziare altri 190 miliardi di rubli.

I criteri di efficienza per le università partecipanti dovrebbero includere progetti relativi al personale e alla tecnologia con le regioni, le industrie e il settore sociale della Russia, la creazione di aziende e start-up innovative ed efficaci con la capacità di attrarre studenti stranieri. Inoltre, valuteremo sicuramente tutte le università, i college e le scuole tecniche russe in base alla domanda di laureati dal mercato del lavoro e alla crescita delle loro retribuzioni.

Amici,

Vorrei spendere alcune parole sulle basi tecnologiche dello sviluppo e qui la scienza è certamente la pietra angolare. In un incontro con gli scienziati dell’Accademia russa delle scienze, che quest’anno ha celebrato il suo 300° anniversario, ho affermato che, anche durante i periodi più difficili, la Russia non ha mai rinunciato ad affrontare i suoi imperativi fondamentali, ha sempre pensato al futuro e dobbiamo fare lo stesso adesso. È un dato di fatto, stiamo cercando di fare esattamente questo.

Ad esempio, nessun altro paese al mondo dispone di una così vasta gamma di megastrutture scientifiche come quella della Russia oggi. Questi centri offrono opportunità uniche ai nostri scienziati e ai nostri partner, ricercatori di altri paesi, che invitiamo a collaborare.

L’infrastruttura scientifica della Russia rappresenta il nostro forte vantaggio competitivo, sia nel contesto della ricerca fondamentale che nella creazione di innovazioni per i prodotti farmaceutici, la biologia, la medicina, la microelettronica, i prodotti chimici e i nuovi materiali, nonché per i programmi spaziali.

Credo che dovremmo più che raddoppiare gli investimenti pubblici e privati totali nella ricerca e nello sviluppo, fino al 2% del PIL entro il 2030. Ciò dovrebbe garantire alla Russia il posto di una delle principali potenze scientifiche del mondo.

Vorrei ribadire che le imprese private dovrebbero contemporaneamente aumentare gli investimenti nella scienza, almeno raddoppiando i programmi attuali entro il 2030. Resta inteso che questi fondi dovrebbero essere spesi in modo efficace e dovrebbero essere determinanti per ottenere un risultato specifico in ogni specifico progetto di ricerca. A questo proposito, dobbiamo sfruttare l’esperienza positiva dei nostri programmi di ricerca federali in genetica e agricoltura, nonché i progetti promossi dalla Fondazione scientifica russa.

Alla luce degli obiettivi e delle sfide attuali, abbiamo adattato la strategia russa per lo sviluppo scientifico e tecnologico che utilizziamo come punto di partenza per lanciare nuovi progetti nazionali di sovranità tecnologica. Vi fornirò un elenco delle aree principali.

In primo luogo, dobbiamo essere indipendenti e possedere tutte le chiavi tecnologiche in aree sensibili, come la tutela della salute pubblica e la garanzia della sicurezza alimentare.

In secondo luogo, dobbiamo raggiungere la sovranità tecnologica in ambiti critici che determinano la resilienza della nostra economia in generale, come i mezzi di produzione e le macchine utensili, la robotica, tutte le modalità di trasporto, i sistemi aerei senza pilota, subacquei e di altro tipo, l’economia dei dati, i materiali innovativi e la chimica.

In terzo luogo, dobbiamo creare prodotti competitivi a livello globale basati su innovazioni nazionali uniche, tra cui le tecnologie spaziali, nucleari e delle nuove energie. Dobbiamo iniziare a lavorare ora per creare un ambiente giuridico che promuova le industrie e i mercati del futuro, per generare una domanda a lungo termine – almeno fino alla fine dell’attuale decennio – per prodotti ad alta tecnologia in modo che le aziende abbiano regole coerenti con cui agire.

È inoltre imperativo creare catene di cooperative interne e piattaforme tecnologiche internazionali, avviare la produzione in serie delle proprie attrezzature e componenti e guidare l’esplorazione geologica verso la ricerca di terre rare e altre materie prime per la nuova economia. Abbiamo tutto questo.

Per ribadire, stiamo parlando di un punto d’appoggio strategico per il futuro, quindi utilizziamo tutti gli strumenti e i meccanismi di sviluppo disponibili per raggiungere questi obiettivi e per garantire un finanziamento di bilancio prioritario. Invito il Governo e l’Assemblea federale a tenerne conto durante la stesura del bilancio. Ti preghiamo di considerare sempre questo aspetto come una priorità assoluta.

I progetti di sovranità tecnologica dovrebbero diventare un motore per rinnovare il nostro settore e aiutare l’intera economia a raggiungere un livello avanzato di efficienza e competitività. Propongo di fissare l’obiettivo di aumentare la quota di beni e servizi high-tech nazionali sul mercato interno del 150% entro i prossimi sei anni e di aumentare il volume delle esportazioni non di materie prime e non energetiche di almeno due terzi.

Citerò qualche altra cifra. Nel 1999, la quota delle importazioni nel nostro paese ha raggiunto il 26% del PIL, il che significa che le importazioni rappresentavano quasi il 30% del nostro mercato. L’anno scorso era pari al 19% del PIL, ovvero a 32 trilioni di rubli. Entro il 2030, dobbiamo raggiungere un livello di importazioni non superiore al 17% del PIL.

Ciò significa che dobbiamo produrre noi stessi molti più beni di consumo e di altro tipo, tra cui medicinali, attrezzature, macchine utensili e veicoli. Non siamo in grado di produrre tutto e non ne abbiamo bisogno, ma il governo sa su cosa deve lavorare.

Vorrei sottolineare che nei prossimi sei anni il valore aggiunto lordo nel settore manifatturiero dovrebbe aumentare almeno del 40% rispetto al 2022. Questo sviluppo industriale accelerato implica la creazione di migliaia di nuove imprese e di posti di lavoro moderni e altamente retribuiti.

Abbiamo già preparato una sorta di “menu” industriale. Le aziende che realizzano progetti industriali potranno scegliere misure di sostegno adeguate, accordi sulla protezione e sugli incentivi degli investimenti, contratti di investimento speciali, una piattaforma di investimento cluster e simili. Abbiamo ideato e stiamo già implementando molti di tali strumenti. E svilupperemo ulteriormente questi meccanismi.

Nei prossimi sei anni stanzieremo inoltre 120 miliardi di rubli per sovvenzionare progetti aziendali di ricerca e sviluppo e per rafforzare il sistema dei mutui industriali. Utilizzeremo questo programma anche per costruire e rinnovare ulteriormente oltre 10 milioni di metri quadrati di superficie industriale.

Vorrei aggiungere quanto segue a scopo di confronto, oltre al ritmo che abbiamo già raggiunto.

Quindi, facciamo alcuni confronti. Oggi in Russia costruiamo ogni anno circa quattro milioni di metri quadrati di superficie industriale. Si tratta di un indicatore sostanziale dell’ammodernamento delle nostre capacità industriali; inoltre, come ho detto, costruiremo 10 milioni di metri quadrati.

Successivamente, investiremo 300 miliardi di rubli nel Fondo per lo sviluppo industriale. Quasi raddoppieremo il suo capitale e concentreremo la sua attenzione sul sostegno a progetti ad alta tecnologia. Nell’ambito di una piattaforma di innovazione verranno inoltre stanziati almeno 200 miliardi di rubli per sovvenzionare i tassi di interesse per progetti che realizzano prodotti industriali prioritari.

Propongo di aumentare la base di calcolo degli ammortamenti per stimolare la modernizzazione degli impianti industriali nel settore manifatturiero. Ammonterà al 200% della spesa per attrezzature e ricerca e sviluppo di fabbricazione russa. Può sembrare noioso, ma spiegherò cosa significa. Se un’azienda acquista torni di fabbricazione russa per 10 miliardi di rubli, può ridurre la propria base imponibile di 20 milioni di rubli. Si tratta di un’assistenza sostanziale.

Continueremo a sviluppare parchi tecnologici industriali focalizzati sulle piccole e medie imprese negli ambiti tecnologici prioritari. È importante sfruttare i vantaggi dell’approccio cluster, quando le aziende crescono insieme ai loro subappaltatori e fornitori la loro cooperazione avrà un effetto benefico su tutte le parti. Vorrei sottolineare al Governo che dobbiamo creare almeno 100 piattaforme di questo tipo entro il 2030. Fungeranno da punti di crescita su tutto il territorio nazionale e incoraggeranno gli investimenti.

Abbiamo fissato l’obiettivo di aggiungere il 70% agli investimenti nei settori chiave entro il 2030. A proposito, qui abbiamo avuto buone dinamiche; molto buone, direi. Bene.

Nel 2021, la crescita cumulativa degli investimenti è stata dell’8,6%, contro un obiettivo del 4,5%. Nel 2022 era del 15,9%, con un obiettivo del 9,5%. Nei primi nove mesi del 2023, l’aumento è stato del 26,6%, quando il piano per l’anno era del 15,1%. Dobbiamo continuare ad andare avanti rispetto al piano.

Il nostro sistema bancario e il mercato azionario devono garantire pienamente l’afflusso di capitali nell’economia e nel settore reale, anche attraverso progetti e finanziamenti azionari. Nei prossimi due anni progetti industriali per un valore di oltre 200 miliardi di rubli saranno sostenuti attraverso fondi azionari. In sostanza, ciò significa che la VEB.RF Development Corporation e diverse banche commerciali entreranno nel capitale azionario delle società high-tech e le assisteranno durante la fase di crescita più attiva.

Ho già impartito istruzioni per introdurre uno speciale regime IPO per le aziende dei settori prioritari ad alta tecnologia. Vorrei sottolineare ai miei colleghi del Ministero delle Finanze e della Banca Centrale che dobbiamo accelerare il lancio di questo meccanismo, compreso il risarcimento dei costi della società associati ai titoli fluttuanti. Ciò deve essere fatto senza indugio.

Ancora una volta, il mercato azionario russo deve svolgere un ruolo maggiore come fonte di investimenti. La sua capitalizzazione dovrebbe raddoppiare entro il 2030, passando dal livello attuale al 66% del PIL. Allo stesso tempo, è importante che gli individui abbiano l’opportunità di contribuire allo sviluppo della nazione, beneficiando allo stesso tempo dell’investimento dei propri risparmi in progetti a basso rischio.

È già stata presa una decisione: gli investimenti volontari in fondi pensione non statali fino a 2,8 milioni di rubli saranno assicurati dallo Stato, il che significa che il rendimento è garantito.

Inoltre, i conti di investimento individuali a lungo termine saranno assicurati fino a 1,4 milioni di rubli. Estenderemo la detrazione fiscale unificata ai singoli investimenti in strumenti finanziari a lungo termine fino a 400.000 rubli all’anno.

Allo stesso tempo, ritengo opportuno lanciare un nuovo strumento denominato certificato di risparmio. Acquistando questo prodotto, gli individui depositeranno i propri risparmi nelle banche per più di tre anni. Il certificato sarà irrevocabile; pertanto, le banche offriranno ai propri clienti un tasso di interesse migliore. Inoltre, i detentori di certificati di risparmio avranno il loro denaro assicurato dallo Stato fino a 2,8 milioni di rubli, ovvero il doppio rispetto alla normale assicurazione sui depositi bancari.

Vorrei sottolineare che tutte le misure di sostegno statale agli investimenti e la creazione e modernizzazione di strutture industriali dovrebbero portare a salari più alti, migliori condizioni di lavoro e pacchetti sociali per i dipendenti.

Naturalmente, in linea di principio, le aziende russe devono operare all’interno della nostra giurisdizione nazionale e astenersi dal trasferire i propri fondi all’estero dove, a quanto pare, si può perdere tutto. Quindi ora, io e i miei colleghi della comunità imprenditoriale dobbiamo tenere sessioni di brainstorming per trovare modi per aiutarli a recuperare i loro soldi. In primo luogo, non trasferire i vostri soldi lì. In questo modo, non dovremo capire come recuperarli.

Le imprese russe devono investire le proprie risorse in Russia, nelle sue regioni, nello sviluppo di aziende e nella formazione del personale. Il nostro Paese forte e sovrano offre loro una protezione senza rivali per i loro beni e il loro capitale.

La stragrande maggioranza dei leader aziendali dà priorità agli interessi nazionali e sono patrioti. Pertanto, le aziende che lavorano qui in Russia devono beneficiare dell’inviolabilità garantita delle loro proprietà, dei beni e dei nuovi investimenti. Naturalmente, gli investimenti nazionali e la protezione degli investimenti vanno di pari passo con la difesa dei diritti degli imprenditori ed è nostro compito rendere questo una realtà. Ciò servirà ai nostri interessi nazionali e alla società in generale, così come ai milioni di persone che lavorano per aziende private, siano esse grandi aziende o PMI.

Lo dico da sempre, ma lasciatemelo ripetere: nessuno, nessun funzionario governativo o agente delle forze dell’ordine, ha il diritto di molestare le persone, infrangere la legge o utilizzarla per obiettivi personali ed egoistici. Dobbiamo essere presenti per le persone, per i nostri imprenditori: sto parlando proprio di loro adesso. Sono loro che creano posti di lavoro, danno lavoro alle persone e pagano gli stipendi. Essere presenti e aiutarli è la missione del governo.

Colleghi,

Le piccole e medie imprese svolgono un ruolo sempre più importante nel guidare la crescita economica. Oggi rappresentano oltre il 21% dei settori manifatturiero, turistico e informatico. Centinaia di marchi russi hanno dimostrato risultati eccezionali. L’anno scorso in Russia sono state registrate 1,2 milioni di nuove PMI.

Permettetemi di attirare la vostra attenzione sul fatto che si tratta del massimo quinquennale. Le persone vogliono avviare un’attività in proprio e credere in se stesse, nel proprio Paese e nel proprio successo. Vorrei sottolineare che il numero di giovani imprenditori sotto i 25 anni è aumentato del 20% nel 2023. Oggi sono oltre 240.000.

Dobbiamo assicurarci di sostenere queste iniziative creative e orientate ai risultati al fine di garantire che il reddito medio dei lavoratori delle PMI superi la crescita del PIL nei prossimi sei anni. Ciò significa che queste aziende devono migliorare la propria efficienza e fare un salto di qualità nelle proprie prestazioni.

Ho già detto che dobbiamo eliminare le situazioni in cui l’espansione delle operazioni diventa una situazione perdente per le aziende perché devono passare da un quadro fiscale snello con le sue aliquote vantaggiose a un regime fiscale generale. Quando ciò accade significa che lo Stato sta sostanzialmente promuovendo la frammentazione aziendale o costringendo le imprese a utilizzare altri mezzi per ottimizzare le proprie passività fiscali.

Chiedo al governo di collaborare con i parlamentari sui termini di un’amnistia per le PMI che non avevano altra scelta che fare affidamento su schemi di ottimizzazione fiscale mentre espandevano le loro attività.

È importante sottolineare che queste aziende dovrebbero evitare la pratica di frazionamento artificiale, essenzialmente fraudolento, delle attività e abbracciare operazioni civili e trasparenti. Per ribadire, non ci saranno multe, penalità, sanzioni, né ricalcolo delle imposte per i periodi precedenti. Questo è lo scopo dell’amnistia.

Inoltre, incarico il governo di introdurre un meccanismo per un aumento graduale e non brusco del carico fiscale per le aziende che stanno passando dalla procedura fiscale semplificata a quella generale a partire dal prossimo anno.

Successivamente, abbiamo deciso di introdurre una moratoria temporanea sulle ispezioni. Questa misura si è pienamente giustificata. Le aziende che garantiscono la qualità dei propri prodotti e servizi e agiscono in modo responsabile nei confronti dei propri consumatori possono e devono godere della nostra fiducia.

Pertanto, dal 1° gennaio 2025, credo che potremo revocare le moratorie temporanee sulle ispezioni aziendali e invece, basandoci sulla nostra esperienza, passare completamente a un approccio basato sul rischio e sancirlo nella legge. Se non ci sono rischi, dovremmo utilizzare misure preventive e quindi ridurre al minimo il numero di ispezioni.

C’è dell’altro. Propongo di concedere speciali agevolazioni fino a sei mesi una volta ogni cinque anni alle piccole e medie imprese, senza incidere sulla loro storia creditizia.

Ancora una volta, dobbiamo creare condizioni adeguate affinché le piccole e medie imprese possano crescere in modo dinamico e migliorare la qualità di questa crescita attraverso forme di produzione ad alta tecnologia. In generale, il regime fiscale per le piccole e medie imprese manifatturiere dovrebbe essere allentato.

Invito il governo a presentare proposte specifiche al riguardo. Ne abbiamo discusso molte volte. Per favore, fatelo. Le proposte sono state articolate.

Vorrei sottolineare il lavoro delle piccole e medie imprese nelle zone rurali, nel settore agricolo. Ora siamo completamente autosufficienti in termini di cibo e la Russia è leader sul mercato globale del grano. Siamo tra i 20 principali esportatori di prodotti alimentari. Ringrazio i lavoratori agricoli, gli agricoltori e gli specialisti impegnati nell’agricoltura in generale per le loro prestazioni impressionanti.

Entro il 2030, la produzione del complesso agroindustriale russo dovrebbe crescere di almeno un quarto rispetto al 2021 e le esportazioni dovrebbero aumentare del 50%. Continueremo sicuramente a sostenere il settore e il programma di sviluppo rurale integrato, compresa la ristrutturazione e l’ammodernamento degli uffici postali.

Utilizzeremo una soluzione speciale per lo sviluppo delle regioni costiere. Permettimi di ricordarti che abbiamo una regola della “quota per la chiglia”. Deve essere seguita rigorosamente. Come alcuni di voi sanno, stiamo parlando di aziende che ottengono quote per la produzione di frutti di mare a fronte dell’obbligo di acquistare nuovi pescherecci di fabbricazione russa e di rinnovare la flotta.

Allo stesso tempo, quest’anno il bilancio federale ha ricevuto una notevole quantità di denaro – circa 200 miliardi di rubli – dalla vendita delle quote di prodotti ittici. Il signor Siluanov è qui e siamo arrivati a un accordo. Propongo che parte di questi fondi sia destinata allo sviluppo sociale dei comuni, che costituiscono la base della nostra industria della pesca.

Colleghi,

Nelle condizioni odierne, l’aumento dell’efficienza in tutti gli ambiti della produttività del lavoro è direttamente collegato alla digitalizzazione e all’uso della tecnologia AI, come ho detto. Tali soluzioni ci consentono di creare piattaforme digitali per semplificare l’interazione tra persone, imprese e Stato nel miglior modo possibile.

Dobbiamo quindi creare una piattaforma che aiuti le persone a utilizzare le capacità del nostro sistema sanitario per tenere sotto controllo la propria salute e rimanere in buona salute per tutta la vita. Ad esempio, potranno utilizzare i dati delle loro identità digitali per richiedere e ricevere consigli da remoto da specialisti presso centri medici federali, mentre i medici di medicina generale potranno formare un quadro completo della salute di un paziente, prevedendo possibili malattie, prevenire complicazioni, e scegliere un trattamento individuale più efficace.

Tutto ciò che dico non è l’immagine di un futuro lontano. Queste pratiche vengono introdotte oggi nei nostri principali centri medici. L’obiettivo è applicarli in tutto il Paese e renderli accessibili a tutti.

Credo che entro il 2030 dobbiamo formulare piattaforme digitali in tutti i principali settori economici e nella sfera sociale. Questi e altri compiti globali saranno affrontati nel quadro del nuovo progetto nazionale The Economy of Data. Stanzieremo almeno 700 miliardi di rubli per attuarlo nei prossimi sei anni.

Tali tecnologie e piattaforme di integrazione offrono grandi opportunità per la pianificazione economica e lo sviluppo di singoli settori, regioni e città, nonché per la gestione efficiente dei nostri programmi e progetti nazionali. La cosa più importante è che possiamo continuare a concentrare gli sforzi di tutti i livelli di governo sugli interessi di ogni individuo e di ogni famiglia e a fornire in modo proattivo servizi statali e municipali alle nostre persone e alle nostre imprese in una forma conveniente e il più rapidamente possibile.

La Russia è già in realtà uno dei leader mondiali nei servizi governativi digitali. Molti paesi, compresi quelli europei, devono ancora raggiungere il nostro livello. Ma non abbiamo intenzione di rallentare.

L’intelligenza artificiale è un elemento importante delle piattaforme digitali. Anche in questo caso la Russia deve essere autosufficiente e competitiva. È già stato firmato un decreto esecutivo che approva la versione aggiornata della Strategia nazionale per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il documento stabilisce nuovi obiettivi, inclusa la necessità di garantire la sovranità tecnologica in campi rivoluzionari come l’intelligenza artificiale generativa e i grandi modelli linguistici. L’applicazione pratica di tali sistemi promette di produrre una vera svolta nella sfera economica e sociale, e così sarà. Per questo dobbiamo aumentare le nostre risorse informatiche. Entro il 2030, la capacità totale dei supercomputer domestici dovrebbe essere almeno 10 volte maggiore. Questo è un obiettivo del tutto realistico.

Dobbiamo aggiornare l’intera infrastruttura dell’economia dei dati. Vorrei chiedere al Governo di proporre misure specifiche per sostenere le aziende e le start-up che producono apparecchiature per l’archiviazione e il trattamento dei dati e sviluppano software. Gli investimenti nell’IT domestico dovrebbero crescere almeno due volte più velocemente della crescita economica complessiva.

È necessario creare le condizioni per consentire ai russi di sfruttare la tecnologia digitale non solo nelle megalopoli, ma anche nelle città più piccole, nelle comunità rurali e nelle aree remote, lungo le arterie federali e regionali, nonché sulle strade locali. Mi riferisco alla necessità di fornire l’accesso a Internet ad alta velocità quasi ovunque in Russia entro il prossimo decennio. Per affrontare questo compito dovremo espandere considerevolmente la nostra costellazione di satelliti, per la quale stanzieremo 116 miliardi di rubli.

Colleghi,

A questo punto vorrei soffermarmi sullo sviluppo regionale. Quali sono i miei suggerimenti su questo argomento? La nostra priorità è ridurre il peso del debito delle regioni russe. Credo che dovremmo cancellare i due terzi del debito che le regioni hanno con i cosiddetti prestiti di bilancio. Secondo le nostre proiezioni, ciò consentirà loro di risparmiare circa 200 miliardi di rubli all’anno tra il 2025 e il 2028.

Permettetemi di attirare la vostra attenzione sul fatto che questi risparmi devono essere utilizzati per uno scopo specifico: le regioni dovrebbero incanalarli nel sostegno a progetti di investimento e infrastrutturali. Colleghi, vorrei attirare la vostra attenzione su questo punto.

Andando avanti, nel 2021, abbiamo lanciato un programma del valore di 500 miliardi di rubli per emettere prestiti di bilancio per le infrastrutture e abbiamo continuato ad espanderlo fino a trilioni di rubli. Come ricorderete, le regioni beneficiano di un tasso di interesse del 3% su questi prestiti con una durata fino a 15 anni. Un ottimo strumento di sviluppo. Questi fondi vanno a progetti di sviluppo e le regioni hanno apprezzato questo meccanismo per la sua efficacia. Non ci saranno cancellazioni per questi prestiti, ma quest’anno le regioni inizieranno a rimborsarli. Suggerisco di reinvestire il denaro restituito al bilancio federale nelle regioni emettendo nuovi prestiti di bilancio per le infrastrutture. Nel complesso, a partire dal 2025, espanderemo il nostro portafoglio di prestiti per le infrastrutture per le regioni della Russia di almeno 250 miliardi di rubli all’anno.

Credo inoltre che le regioni debbano avere maggiore influenza quando si tratta di gestire i fondi a loro disposizione per realizzare progetti nazionali.

Lasciate che ti faccia un esempio: una regione riqualifica un ambulatorio e fa un buon lavoro ristrutturandolo. Se non spendesse tutti i fondi stanziati per questo, non dovrebbe restituire la parte rimanente al bilancio federale. Può invece utilizzarli per acquistare attrezzature per la clinica rinnovata o per altri scopi.

Naturalmente, sosterremo le regioni per consentire loro di liberare il proprio potenziale lanciando progetti nell’economia reale e nello sviluppo delle infrastrutture come motori di sviluppo per questi territori.

Oggi, dieci regioni della Federazione che hanno una bassa capacità fiscale stanno portando avanti programmi di sviluppo socioeconomico su misura. Chiedo al governo di rinnovare questi programmi per un altro mandato di sei anni.

Entro il 2030, tutte le nostre regioni devono raggiungere l’autosufficienza economica. Vorrei ripetere che questa è una questione di giustizia e di offrire alle persone pari opportunità, oltre a garantire elevati standard di vita in tutto il Paese.

Colleghi,

Come potete vedere, i grandi progetti richiedono grandi spese. Verranno effettuati investimenti sociali, demografici ed economici su larga scala, nonché investimenti in scienza, tecnologia e infrastrutture.

A questo proposito, vorrei discutere del sistema fiscale. Inutile dire che deve garantire il flusso di risorse per affrontare gli obiettivi nazionali e attuare i programmi regionali. È progettato per ridurre le disuguaglianze non solo nella società, ma anche nello sviluppo socioeconomico delle entità costituenti della Federazione e per prendere in considerazione i redditi individuali e le entrate aziendali.

Suggerisco di sviluppare approcci per modernizzare il sistema fiscale e distribuire in modo più equo il carico fiscale verso coloro che hanno redditi individuali e entrate aziendali più elevati.

Occorre, al contrario, ridurre il carico fiscale sulle famiglie, anche attraverso le detrazioni, di cui ho parlato prima. Dobbiamo incentivare le imprese che investono nella crescita e in infrastrutture e progetti sociali. È altrettanto importante colmare le lacune utilizzate da alcune aziende per evitare le tasse o sottostimare le proprie entrate imponibili. Invito la Duma di Stato e il governo a presentare una serie specifica di proposte per affrontare al più presto queste questioni. In futuro, tenendo conto delle modifiche adottate, propongo di bloccare i parametri fiscali chiave fino al 2030 per garantire un ambiente stabile e prevedibile per l’attuazione di qualsiasi progetto di investimento, compresi quelli a lungo termine. Questo è ciò che la comunità imprenditoriale chiede durante i nostri contatti diretti.

Colleghi,

Le decisioni relative al sostegno finanziario per le regioni e alla crescita economica dovrebbero essere progettate per migliorare la qualità della vita in tutte le entità costituenti della Federazione. Abbiamo già rinnovato fino al 2030 programmi speciali per lo sviluppo di regioni come il Caucaso settentrionale e la regione di Kaliningrad, Donbass e Novorossiya, Crimea e Sebastopoli, l’Artico e l’Estremo Oriente. Sono stati elaborati piani generali di sviluppo per 22 città e aree metropolitane dell’Estremo Oriente e lo stesso lavoro è in corso per le comunità artiche.

Ora dobbiamo fare il passo successivo. Propongo di stilare un nuovo elenco di oltre 200 città e paesi, con un piano generale da sviluppare e attuare per ciascuno di essi. Nel complesso, il programma di sviluppo dovrebbe estendersi a circa 2.000 comunità, compresi villaggi e piccole città. In questi casi dovrebbero applicarsi tutte le politiche di sostegno alle regioni che ho menzionato oggi, compresi i prestiti per le infrastrutture.

Vorrei rivolgermi adesso ai capi delle regioni. Queste risorse dovrebbero essere utilizzate, tra le altre cose, per espandere le capacità dei comuni. Ricordo di aver incontrato i capi di alcuni comuni al loro forum qui a Mosca. Il livello di governo locale ha un ruolo e una speciale responsabilità. Comprende le agenzie e gli organismi a cui i russi si rivolgono per le loro necessità quotidiane. Vorrei ringraziare i nostri sindaci, capi di distretto e deputati locali per il loro lavoro, per la loro attenzione ai bisogni delle persone. E vorrei ringraziare in modo particolare il personale dei comuni che lavora nelle immediate vicinanze della zona di combattimento e condivide tutte le avversità con i residenti locali.

I residenti locali dovrebbero infatti essere co-creatori dei loro piani di sviluppo urbano locale. I comuni devono intensificare l’uso di meccanismi in cui i residenti possono votare per progetti, strutture o problemi che richiedono finanziamenti prioritari. Propongo di aumentare il cofinanziamento federale e regionale di progetti popolari come questo.

Estenderemo inoltre, fino al 2030, il concorso nazionale per i migliori progetti per creare un ambiente urbano confortevole nelle piccole città e nelle comunità storiche.

In totale, miglioreremo più di 30.000 spazi pubblici in Russia nei prossimi sei anni. Vorrei chiedere al Governo di fornire ulteriore sostegno alle regioni che stanno rinnovando argini, parchi, giardini e centri storici locali. Stanzieremo 360 miliardi di rubli per grandi progetti paesaggistici e di miglioramento.

Vecchi edifici, tenute e chiese sono l’incarnazione visibile della nostra identità nazionale, un legame inestricabile tra generazioni. Vorrei chiedere al governo, al parlamento e alle commissioni competenti del Consiglio di Stato di coinvolgere il pubblico e rivedere il quadro normativo per la protezione e l’uso dei siti del patrimonio culturale. Eventuali requisiti ovviamente ridondanti o contraddittori devono essere eliminati. In alcuni casi, un pezzo di patrimonio culturale potrebbe crollare proprio davanti ai nostri occhi, ma formalmente, tali normative imperfette rendono impossibile adottare misure tempestive per salvarlo.

Suggerisco di sviluppare un programma a lungo termine per preservare i siti del patrimonio culturale russo e spero che copra un periodo di 20 anni e includa misure di sostegno per persone, aziende e associazioni pubbliche disposte a investire lavoro, tempo e denaro nel ripristino dei monumenti storici .

Quest’anno testeremo questi meccanismi come parte di un progetto pilota portato avanti dall’istituto di sviluppo DOM.RF che copre cinque regioni: il territorio del Trans-Baikal, Novgorod, Ryazan, Smolensk e Tver. Il nostro obiettivo è riparare almeno un migliaio di siti del patrimonio culturale in tutto il Paese entro il 2030, dando loro una nuova prospettiva di vita in modo che possano servire le persone e abbellire le nostre città e i nostri villaggi.

Ci assicureremo di mantenere attivi i principali progetti legati alla cultura continuando a finanziarli. Intraprenderemo aggiornamenti delle infrastrutture per musei, teatri, biblioteche, club, scuole d’arte e cinema. Progetti creativi cinematografici, online e sui social media nei settori dell’istruzione, della sensibilizzazione, della storia e in altri settori riceveranno oltre 100 miliardi di rubli nei prossimi sei anni.

Suggerisco di espandere il programma Pushkin Card, che consente agli studenti e ai giovani di accedere gratuitamente a proiezioni di film, musei, teatri e mostre, offrendo allo stesso tempo alle istituzioni culturali un incentivo per espandere le proprie attività e lanciare nuovi progetti, anche raggiungendo il settore privato settore. Chiedo al governo di elaborare ulteriori proposte in tal senso.

Oltre a ciò, nel 2025 lanceremo un programma chiamato Operatore culturale rurale, sulla stessa falsariga dei programmi Insegnante rurale e Dottore rurale. Le persone continuano a sollevare questo problema durante i nostri incontri. Uno specialista che si trasferisce in una zona rurale o in una piccola città avrà diritto a un sussidio una tantum di 1 milione di rubli o il doppio, ovvero 2 milioni di rubli, se si trasferisce nell’Estremo Oriente russo, nel Donbass o nella Novorossiya.

C’è un’altra decisione aggiuntiva su cui dobbiamo lavorare e adottare. Chiedo al governo di offrire condizioni di prestito speciali per i mutui familiari nelle piccole città, così come nelle regioni che non costruiscono molti condomini o non ne costruiscono affatto. Dobbiamo farlo il più rapidamente possibile e definire i termini principali per questi prestiti, compresi l’acconto e i tassi di interesse. Vi sto chiedendo di tenere tutto questo sul vostro radar; Attendo con ansia le vostre proposte.

D’altra parte, rinnoveremo programmi mirati di mutui ipotecari con un tasso di interesse del 2% per l’Estremo Oriente russo, l’Artico, il Donbass e la Novorossiya. Anche i partecipanti alle operazioni militari speciali e i veterani avranno diritto a questi prestiti agevolati.

Forniremo un sostegno separato per le aree di sviluppo integrato, la costruzione di aree residenziali ricche di infrastrutture nelle regioni con livelli inadeguati di sviluppo socioeconomico, dove molte delle nostre solite proposte non funzionano. Per questi territori accantoneremo ulteriori 120 miliardi di rubli.

A questo proposito, ci troviamo di fronte a un’altra sfida a livello di sistema. Con il sostegno federale, molte regioni hanno aumentato in modo significativo il ritmo di trasferimento dei residenti da condomini fatiscenti. Un totale di 1,73 milioni di persone si sono trasferite in nuovi appartamenti negli ultimi 16 anni ed è importante non perdere questo slancio nei prossimi sei anni. Invito il governo a elaborare e lanciare un nuovo programma per il trasferimento dei residenti da edifici fatiscenti e strutturalmente non sicuri.

Per quanto riguarda gli alloggi e i servizi, accelereremo il ritmo di aggiornamento dell’infrastruttura dei servizi. Per questi scopi fino al 2030 verranno stanziati complessivamente 4,5 trilioni di rubli, compresi i fondi privati.

Continueremo a implementare il progetto Clean Water. L’acqua pulita è una priorità assoluta per molte delle nostre aree urbane e rurali. Stiamo parlando principalmente di una fornitura affidabile di acqua potabile di alta qualità.

La distribuzione del gas è un argomento a parte. I nostri piani includono la fornitura di questo carburante ecologico alle città e ai distretti di Yakutia e Buriazia, nonché ai territori di Khabarovsk, Primorye e Trans-Baikal, alle regioni di Murmansk e Amur, all’area autonoma ebraica, alla Carelia e alla principale città russa di Krasnoyarsk. . Forniremo GNL anche al territorio della Kamchatka e ad alcune altre regioni.

Naturalmente, ciò consentirà di estendere il programma sociale di fornitura di gas, già utilizzato per costruire gratuitamente l’infrastruttura di distribuzione del gas, alle linee immobiliari di 1,1 milioni di terreni. Le richieste continuano ad essere accettate e stiamo aiutando gruppi di cittadini aventi diritto, comprese le famiglie di coloro che partecipano all’operazione militare speciale, a installare linee di gas all’interno dei loro appezzamenti di terreno.

In una nota a parte, esistono partenariati orticoli non commerciali all’interno dei confini di molte comunità dotate di reti del gas. Per anni, a volte di generazione in generazione, le persone si sono prese cura dei propri terreni e ora stanno costruendo case adatte a vivere tutto l’anno, ma non sono in grado di collegarsi alla rete perché queste partnership non sono incluse nel Social Gas Programma di sviluppo delle infrastrutture.

Questo problema colpisce milioni di famiglie e deve essere risolto nell’interesse dei nostri cittadini, il che significa che il programma di sviluppo delle infrastrutture sociali del gas dovrebbe essere ampliato per includerli e la rete dovrebbe essere estesa fino ai confini dei partenariati.

Verranno supportati anche i residenti nei territori remoti del nord e dell’estremo oriente, dove il gas di rete non sarà disponibile a breve. Oggi riscaldano le loro case con carbone o legna. Ora, con i sussidi statali, potranno acquistare attrezzature moderne, prodotte internamente e rispettose dell’ambiente. Le famiglie più bisognose dovrebbero essere supportate per prime. Assegneremo ulteriori 32 miliardi di rubli per questi scopi.

Svilupperemo il trasporto pubblico considerando gli standard ambientali odierni e abbasseremo l’età media. Le regioni russe riceveranno altri 40.000 autobus, filobus, tram e autobus elettrici entro il 2030. Stanzieremo ulteriori 150 miliardi di rubli dal bilancio federale per questo programma di rinnovamento dei trasporti pubblici.

Sostituiremo inoltre la flotta di scuolabus a una velocità di almeno 3.000 veicoli all’anno, il che è particolarmente importante per le piccole città e le aree rurali. Ne parlano sia i residenti che i capi dei comuni e delle regioni. Questo programma è davvero molto importante. Pertanto, stanzieremo ulteriori 66 miliardi di rubli per l’acquisto di scuolabus. E, naturalmente, devono essere interamente realizzati in Russia o con un elevato grado di localizzazione.

Come sapete, siamo riusciti a ridurre le emissioni nocive nell’atmosfera in 12 centri industriali della Russia nell’ambito del progetto Clean Air, al quale altre 29 città hanno aderito l’anno scorso. Il volume delle emissioni nocive nell’atmosfera in tutto il paese deve essere dimezzato. Ci muoveremo verso questo obiettivo passo dopo passo. Verrà creato un sistema completo di monitoraggio della qualità ambientale per valutare i risultati.

Negli ultimi cinque anni, migliaia di chilometri di fiumi e sponde sono stati ripuliti e il deflusso sporco nel Volga è stato quasi dimezzato. Ora propongo di fissare l’obiettivo di dimezzare l’inquinamento dei principali corpi idrici della Russia.

Negli ultimi cinque anni sono state bonificate 128 grandi discariche nelle città e 80 siti di danni ambientali accumulati che stavano letteralmente avvelenando la vita delle persone in 53 regioni della Russia. I territori della discarica di Krasny Bor, della cartiera e della cartiera Baikal e di Usolye-Sibirskoye sono stati portati in uno stato sicuro.

A questo proposito, colleghi, vorrei sottolineare che finora in questi siti sono state attuate solo le misure più urgenti, ma non è ancora finita. In nessun caso dovranno essere lasciati nelle condizioni in cui si trovano adesso. Dobbiamo completare questo lavoro e creare lì tutta l’infrastruttura necessaria.

Nel complesso, continueremo a ripulire i siti più pericolosi dai danni ambientali accumulati. Nei prossimi sei anni almeno 50 di questi siti dovranno essere bonificati.

È necessario creare incentivi per le imprese, introdurre tecnologie verdi e passare a un’economia circolare. Inoltre, abbiamo di fatto creato da zero un settore avanzato di gestione dei rifiuti: sono state create 250 imprese per trattare e smaltire i rifiuti. L’obiettivo entro il 2030 è quello di differenziare tutti i rifiuti solidi e tutto ciò che necessita di essere differenziato e riutilizzarne almeno un quarto. Assegneremo finanziamenti aggiuntivi per questi progetti e insieme alle imprese costruiremo circa 400 nuovi impianti di gestione dei rifiuti e otto parchi ecoindustriali.

Cos’altro voglio dire? Negli incontri in Estremo Oriente, in Siberia e in altre regioni, si è parlato molto della necessità di preservare la nostra ricchezza di foreste, affrontare il disboscamento illegale e proteggere le nostre foreste. Questo problema ha una forte risonanza tra il pubblico. È importante per quasi ogni persona. Tutti noi stiamo unendo gli sforzi e la situazione sta gradualmente cambiando.

Un traguardo molto importante: dal 2021, la Russia ha ripristinato più foreste di quante ne abbia abbattute. Vorrei ringraziare tutti i volontari, gli studenti delle scuole e dell’università e tutti coloro che hanno piantato alberi e preso parte ad attività ambientali e, naturalmente, le aziende che hanno sostenuto tali progetti. Continueremo sicuramente a ripristinare foreste, parchi e giardini, compresi quelli che circondano le aree metropolitane e i centri industriali.

Suggerisco di prendere una decisione separata sull’aumento degli stipendi degli specialisti impegnati nel settore forestale, nella meteorologia e nella protezione ambientale, tutti coloro che si occupano delle questioni più importanti della sostenibilità ambientale. Dobbiamo ammettere francamente che svolgono un lavoro fondamentale ma la loro retribuzione è molto modesta.

Per sostenere le iniziative civili di tutela dell’ambiente credo sia necessario istituire un fondo per progetti ecologici e ambientali. Inizierà con sovvenzioni per un totale di un miliardo di rubli all’anno.

Continueremo a lavorare per preservare aree naturali particolarmente protette, nonché proteggere e ripristinare le popolazioni di specie di flora e fauna rare e in via di estinzione. Suggerisco di prendere in considerazione l’apertura di una rete di centri per la riabilitazione degli animali selvatici feriti e confiscati.

Entro il 2030, creeremo infrastrutture per il turismo ambientale in tutti i parchi nazionali del Paese, compresi eco-sentieri e percorsi escursionistici turistici, tour del fine settimana per scolari, aree ricreative all’aperto, musei e centri visita.

Costruiremo strutture moderne e sicure anche vicino a corsi d’acqua, compreso il Lago Baikal. Un resort aperto tutto l’anno verrà aperto lì entro il 2030. È importante aderire rigorosamente al principio dell’inquinamento zero, ovvero garantire che nel lago non entrino rifiuti o liquami non trattati di alcun tipo. La costruzione del resort Baikal farà parte del grande progetto Five Seas.

Complessi alberghieri moderni appariranno anche sulle coste del Mar Caspio, del Mar Baltico, del Mar d’Azov, del Mar Nero e del Mar del Giappone. Solo questo progetto consentirà di aggiungere altri 10 milioni di turisti all’anno.

Si prevede che il numero dei turisti raddoppierà praticamente fino a raggiungere i 140 milioni di persone all’anno entro il 2030 nell’intero paese, considerando lo sviluppo dinamico di centri turistici come Altai, Kamchatka, Kuzbass, il Caucaso settentrionale, la Carelia e il Nord della Russia. È importante sottolineare che anche il contributo del turismo al PIL russo raddoppierà, raggiungendo il 5%. Presto elaboreremo ulteriori decisioni su questo problema.

Le infrastrutture di trasporto sono cruciali per lo sviluppo del turismo e della regione nel suo insieme. Il traffico automobilistico ad alta velocità tra Mosca e Kazan è già stato aperto; quest’anno estenderemo la tratta a Ekaterinburg e l’anno prossimo a Tyumen. In futuro, un’arteria di trasporto moderna e sicura attraverserà l’intero paese fino a Vladivostok.

Inoltre, in Russia dovrebbero essere costruite più di 50 tangenziali urbane nei prossimi sei anni. Un altro progetto stradale significativo è sicuramente l’autostrada Dzhubga-Sochi. Ridurrà il tempo di viaggio dalla M-4 Don a Sochi di tre quarti (fino a un’ora e mezza) e promuoverà lo sviluppo della costa del Mar Nero.

Devo dirlo subito – ho raggiunto un accordo con il governo e voglio dirlo pubblicamente – che si tratta di un progetto complesso e ad alta intensità di capitale. Comprende molti tunnel e ponti; è un progetto costoso. Tuttavia, vorrei chiedere al governo di sviluppare un accordo di finanziamento per questo. Risolvetelo.

Abbiamo già riparato le strade federali russe e quasi l’85% delle strade nelle principali aree metropolitane. È essenziale continuare così. Allo stesso tempo, nei prossimi anni, porremo particolare enfasi sul miglioramento delle strade regionali.

I viaggi aerei dovrebbero diventare più convenienti. Dobbiamo aumentare la cosiddetta mobilità aerea dei russi. Entro il 2030, i volumi dei servizi aerei in Russia dovrebbero aumentare del 50% rispetto allo scorso anno.

A tal fine, prevediamo di accelerare lo sviluppo dei viaggi aerei intra e interregionali. A questo proposito, il governo ha istruzioni molto specifiche: modernizzare le infrastrutture di almeno 75 aeroporti, ovvero più di un terzo degli aeroporti russi, nei prossimi sei anni, stanziando almeno 250 miliardi di rubli in finanziamenti diretti a questo scopo. .

Le flotte aeree delle nostre compagnie aeree necessitano sicuramente di aggiornamenti aggiungendo i nostri aerei di fabbricazione russa. Questi nuovi aerei devono soddisfare tutti i requisiti moderni di qualità, comodità e sicurezza, il che è un compito impegnativo. Prima compravamo troppi aerei all’estero invece di sviluppare la nostra produzione interna.

Anche gli sviluppi avanzati russi nell’ingegneria meccanica, nell’edilizia, nelle comunicazioni e nei sistemi digitali saranno estremamente necessari nella costruzione delle ferrovie ad alta velocità. Vorrei spendere qualche parola al riguardo.

La prima linea ferroviaria ad alta velocità tra Mosca e San Pietroburgo passerà attraverso Tver e la nostra antica capitale, Velikij Novgorod. Successivamente costruiremo linee simili per Kazan e gli Urali, per Rostov sul Don, per la costa del Mar Nero, per Minsk, la nostra fraterna Bielorussia e altre destinazioni popolari.

La modernizzazione totale dell’hub dei trasporti centrale continuerà. I Diametri Centrali di Mosca, le nuove linee metropolitane di superficie, entreranno a far parte di una rete che collegherà la regione di Mosca con Yaroslavl, Tver, Kaluga, Vladimir e altre regioni attraverso moderni percorsi ad alta velocità.

È inoltre fondamentale potenziare la rete delle principali vie navigabili interne. Ciò dovrebbe garantire ulteriori effetti economici per quanto riguarda il turismo, l’industria, nonché lo sviluppo di alcune regioni sensibili che sono molto importanti per noi, comprese le regioni dell’estremo nord.

Cosa posso aggiungere a questo? Le infrastrutture moderne offrono valore aggiunto e aumentano la capitalizzazione di mercato per tutte le risorse nazionali e le regioni che servono flussi turistici in transito, contribuendo allo stesso tempo allo sviluppo di strutture manifatturiere e agricole, incoraggiando le persone a costruire case unifamiliari per le proprie famiglie e a creare un ambiente di vita migliore per loro. Ciò significa anche nuove opportunità di business, anche sui mercati esteri.

In questo contesto c’è una questione speciale di cui abbiamo discusso durante uno degli incontri che ho avuto. Sto parlando dei tempi di attesa ai posti di frontiera. Questa è diventata una questione urgente nell’Estremo Oriente russo. Secondo i nostri standard, lo sdoganamento deve durare 19 minuti, ma in realtà i camionisti di solito devono aspettare ore per attraversare il confine.

I nostri colleghi del Ministero dei Trasporti hanno l’obiettivo specifico di ridurre i tempi di sdoganamento per il trasporto di merci al confine in modo che non superino i 10 minuti. Le più recenti soluzioni tecnologiche possono far sì che ciò accada.

Questi requisiti sono essenziali anche affinché il corridoio di trasporto Nord-Sud sia efficace. Questa rotta collegherà la Russia ai paesi del Medio Oriente e dell’Asia e farà affidamento su autostrade e collegamenti ferroviari senza soluzione di continuità dai nostri porti nel Mar Baltico e nel Mar di Barents fino al Golfo Persico e all’Oceano Indiano. Aumenteremo inoltre la capacità di carico delle nostre ferrovie in direzione sud per sfruttare meglio i nostri porti nel Mar d’Azov e nel Mar Nero.

Lo sforzo di espandere il dominio operativo orientale copre la linea principale Baikal-Amur e la ferrovia Transiberiana. Stiamo per lanciare la terza fase. Ad un certo punto abbiamo rallentato, se permettete questa espressione. In effetti, non siamo riusciti ad agire quando avremmo dovuto, ma va bene così: ora dobbiamo recuperare il ritardo e lo faremo. Queste due ferrovie aumenteranno la loro capacità di trasporto annuale da 173 a 210 milioni di tonnellate entro il 2030. Allo stesso tempo, ci sarà uno sforzo per espandere i porti di Vanino e Sovetskaya Gavan.

Lo sviluppo della rotta del Mare del Nord merita un’attenzione particolare. Invitiamo le società logistiche straniere e i paesi stranieri a utilizzare questo corridoio di trasporto globale. L’anno scorso il volume delle merci lungo questa rotta ha raggiunto i 36 milioni di tonnellate. Colleghi, vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che questo supera di cinque volte il limite massimo dell’era sovietica. Renderemo operativa la rotta del Mare del Nord tutto l’anno e amplieremo i nostri porti settentrionali, compreso lo snodo dei trasporti di Murmansk. Ciò include, ovviamente, uno sforzo per espandere la nostra flotta artica.

La Severny Polyus (Polo Nord), una piattaforma rompighiaccio di ricerca unica, è salpata l’anno scorso. Quest’anno, il cantiere navale Baltic ha iniziato a costruire il Leningrad, un nuovo rompighiaccio nucleare. L’anno prossimo inizieremo a costruire la Stalingrado, che appartiene alla stessa classe di navi. Per quanto riguarda il cantiere navale Zvezda, nell’Estremo Oriente russo, sta costruendo il Lider (Leader), un rompighiaccio di nuova generazione che avrà il doppio della potenza dei suoi predecessori.

I cantieri navali russi miglioreranno gran parte della nostra flotta commerciale, comprese le petroliere, le navi gasiere e le navi portacontainer. Si prevede che questo sforzo consentirà alle aziende russe di snellire le proprie operazioni commerciali considerando il mutevole ambiente logistico e i cambiamenti radicali nell’economia globale.

Concittadini, amici,

Vorrei fare una menzione speciale. Incontro regolarmente i partecipanti all’operazione militare speciale, compresi il personale militare di carriera e i volontari, nonché le persone con professioni civili che sono state mobilitate per il servizio militare. Tutti hanno preso le armi e si sono sollevati in difesa della nostra Patria.

Sapete, guardo questi uomini coraggiosi, a volte molto giovani e, senza esagerare, posso dire che il mio cuore trabocca di orgoglio per il nostro popolo, per la nostra nazione e per queste persone in particolare. Senza dubbio, persone come loro non si arrenderanno, non falliranno o non tradiranno.

Dovrebbero assumere posizioni di leadership nel sistema di istruzione e di educazione dei giovani, nelle associazioni pubbliche, nelle aziende statali e private, nell’amministrazione federale e municipale. Dovrebbero essere a capo delle regioni e delle imprese, nonché dei grandi progetti nazionali. Alcuni di questi eroi e patrioti sono piuttosto discreti e riservati nella vita di tutti i giorni. Non si vantano dei loro risultati né parlano in grande. Ma nei momenti cruciali della storia, queste persone vengono alla ribalta e si assumono la responsabilità. Alle persone che pensano al Paese e vivono come un tutt’uno con esso può essere affidato il futuro della Russia.

Sapete che la parola “élite” ha perso gran parte della sua credibilità. Coloro che non hanno fatto nulla per la società e si considerano una casta dotata di diritti e privilegi speciali, soprattutto coloro che hanno approfittato di tutti i tipi di processi economici negli anni ’90 per riempirsi le tasche, non sono sicuramente l’élite. Per ribadire, coloro che servono la Russia, grandi lavoratori e militari, persone affidabili e degne di fiducia che hanno dimostrato la loro lealtà alla Russia con i fatti, in una parola, le persone dignitose sono la vera élite.

A questo proposito vorrei annunciare una nuova decisione che, credo, sia importante. A partire da domani, 1 marzo 2024, i veterani delle operazioni militari speciali, nonché i soldati e gli ufficiali che attualmente combattono in unità attive, potranno presentare domanda per partecipare alla prima classe di un programma di addestramento speciale del personale. Chiamiamolo Tempo degli Eroi. A dire il vero, questa idea mi è venuta quando ho incontrato gli studenti di San Pietroburgo che hanno prestato servizio nell’operazione militare speciale. Questo programma sarà costruito secondo gli standard dei nostri migliori progetti, vale a dire la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, nota anche come “scuola dei governatori”, e il concorso Leader della Russia. I loro laureati tendono a raggiungere posizioni elevate in molti ambiti e persino a diventare ministri e capi di regioni.

I membri militari attivi e i veterani con titoli universitari ed esperienza manageriale saranno i benvenuti, indipendentemente dal loro grado o posizione. Ciò che conta è che quegli individui abbiano mostrato le loro migliori qualità, abbiano dimostrato di sapere come guidare i loro compagni.

Il percorso di studi avrà inizio nei prossimi mesi. Il primo gruppo di partecipanti sarà guidato da alti funzionari del governo, dell’ufficio esecutivo presidenziale, dei ministeri e delle agenzie federali, dei capi delle regioni e delle nostre aziende più grandi. In futuro amplieremo tali programmi di formazione del personale, lanceremo corsi di gestione presso l’Accademia presidenziale dell’economia nazionale e della pubblica amministrazione e ritengo opportuno elevare lo status dell’Accademia a livello legislativo.

Inoltre, i veterani e i partecipanti all’operazione militare speciale avranno il diritto prioritario di partecipare ai programmi di istruzione superiore nelle specialità civili presso le nostre principali università.

Vorrei chiedere al Ministero della Difesa e a tutti i comandanti delle unità di sostenere l’interesse dei propri soldati e ufficiali ad aderire al nuovo programma di formazione del personale, per dare loro l’opportunità di presentare domanda e di frequentare fisicamente le lezioni. Vorrei sottolineare che i partecipanti alle operazioni militari speciali, inclusi semplici soldati, sergenti e ufficiali di combattimento, sono già la spina dorsale delle nostre forze armate. E, come ho detto, coloro che intendono continuare la carriera militare avranno priorità di promozione, iscrizione a corsi di comando, scuole e accademie militari.

Amici,

Indipendenza, autosufficienza e sovranità devono essere dimostrate e riaffermate ogni giorno. Questa è la nostra responsabilità per il presente e il futuro della Russia, qualcosa che nessun altro può fare tranne noi. Si tratta della nostra Patria, la Patria dei nostri antenati, e nessuno ne avrà mai cura e ne farà tesoro come facciamo noi, tranne i nostri discendenti, ai quali dobbiamo lasciare un paese forte e prospero.

Negli ultimi anni abbiamo costruito con successo un sistema di gestione e implementato i nostri progetti nazionali facendo affidamento su grandi quantità di dati e moderne tecnologie digitali. Ciò ci ha permesso di aumentare l’efficienza, gestire i rischi, sfruttare l’intera quantità di informazioni disponibili e perfezionare continuamente i nostri progetti e programmi facendo affidamento sul feedback del nostro personale.

Vorrei ringraziare i miei colleghi del governo, delle agenzie e delle regioni che hanno meticolosamente costruito questo sistema in tutti questi anni, durante la pandemia e di fronte all’aggressione sanzionatoria contro la Russia. So che si è trattato di un lavoro impegnativo e difficile, ma il punto principale è che sta già dando i suoi frutti. Lo vediamo nei risultati.

Continueremo a seguire proprio questa logica. È necessario sostenere e coordinare tra loro tutti i progetti nazionali di cui ho parlato oggi. Vorrei sottolineare ancora una volta che questi non sono progetti di dipartimenti separati. Dovrebbero lavorare per obiettivi comuni a livello di sistema e per i nostri obiettivi di sviluppo nazionale. Detto questo, vorrei chiedere al Fronte popolare russo di continuare a monitorare l’attuazione delle decisioni a tutti i livelli di governo.

Vorrei sottolineare che il risultato principale dei nostri programmi non si misura in tonnellate, chilometri o denaro speso. La cosa principale è che le persone vedano cambiamenti in meglio nella loro vita. La portata delle sfide storiche che la Russia deve affrontare richiede un lavoro estremamente chiaro e coordinato da parte dello Stato, della società civile e della comunità imprenditoriale.

Ritengo necessario non solo preparare un progetto di bilancio per i prossimi tre anni, ma anche pianificare tutte le spese e gli investimenti più importanti fino al 2030. In altre parole, dobbiamo elaborare un piano sessennale in prospettiva per il nostro sviluppo nazionale che sicuramente integreremo con nuove iniziative. Naturalmente, la vita apporterà i propri aggiustamenti.

Stiamo delineando piani a lungo termine nonostante questo periodo complicato, nonostante le prove e le difficoltà attuali. Il programma che ho esposto nel discorso di oggi si basa sui fatti e affronta questioni fondamentali. Si tratta del programma di un paese forte e sovrano che guarda al futuro con fiducia. Disponiamo sia di risorse che di enormi opportunità per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati.

Ma ora sottolineerò la cosa principale. Oggi, il rispetto di tutti questi piani dipende direttamente dai nostri soldati, ufficiali e volontari, tutto il personale militare che ora combatte al fronte. Dipende dal coraggio e dalla risolutezza dei nostri compagni d’armi che difendono la Patria, che passano all’offensiva, avanzano sotto il fuoco e si sacrificano per il bene nostro, per il bene della Patria. Sono i nostri combattenti che creano oggi le condizioni assolutamente essenziali per il futuro del Paese e del suo sviluppo.

Avete il nostro più profondo rispetto, ragazzi.

Vorrei ringraziare tutti voi, colleghi e tutti i cittadini russi per la loro solidarietà e affidabilità. Siamo una grande famiglia; restiamo uniti e per questo motivo faremo tutto ciò che progettiamo, desideriamo e sogniamo.

Ho fiducia nelle nostre vittorie, nei nostri successi e nel futuro della Russia!

Grazie.

(Suona l’inno nazionale della Federazione Russa.)

FONTE: https://www.marx21.it/internazionale/discorso-presidenziale-allassemblea-federale/

L’Europa sconfitta cerca l’unità nella guerra

Foto di Mediamodifier da Pixabay

di Piero Bevilacqua  (storico e saggista)

L’Unione Europea deve fronteggiare, in questo momento, le due più gravi sconfitte storiche subite da quando esiste. Due disfatte in parte intrecciate e che si condizionano a vicenda.

La prima è in conseguenza dello scacco inflitto dalla Russia alla Nato in Ucraina, la seconda si racchiude nel bilancio fallimentare delle politiche economiche ordoliberistiche su cui l’Unione è nata, che continuano a ispirare la condotta degli Stati membri.

Negli ultimi due anni quasi tutti i governi europei si sono messi a servizio degli USA e della Nato per sostenere la cosiddetta resistenza ucraina contro l’invasione russa. Hanno inviato armi e sostegni di vario genere, imposto sanzioni con cui danneggiavano anche le proprie economie, e sottratto risorse economiche alle proprie attività produttive e al welfare.

L’Europa, poi, ha continuato e addirittura rafforzato il proprio impegno a favore delle operazioni della Nato, anche quando la vera ragione di quella guerra è apparsa pienamente manifesta: sconfiggere la Russia, disgregare il corpo composito della Federazione, con i suoi 24 Stati e circa 200 etnie, effettuare un cambio di regime, poter controllare quell’immenso Paese senza dover rischiare un conflitto atomico, per poi aprire la partita definitiva con la Cina.

Ora l’esito di due anni di guerra – da cui la Russia emerge militarmente vittoriosa, rafforzata sotto il profilo economico, rinsaldata sia nel suo gruppo dirigente sia nel collante nazionalistico che rende coesa la popolazione (vistasi minacciare di invasione da tutto l’Occidente) – mette a nudo l’errore strategico compiuto dai Paesi UE al carro della Nato e conferma, in modo drammatico, la pochezza della politica estera dell’Unione Europa.

Sul piano economico il gigante UE, arrivato a 28 Stati prima della Brexit, che aspirava a risultati straordinari di sviluppo, oggi mostra un non diverso bilancio fallimentare. Anche solo utilizzando il parzialissimo indicatore del Prodotto interno lordo (PIL) vediamo che la sua crescita è stata volatile e modesta, non oltre il 3% a partire dal 2000, con fasi di forte ristagno dal 2008 al 2012, e con marcati squilibri al suo interno. Se la Germania con la sua sleale politica commerciale si è notevolmente rafforzata, l’Italia, com’è noto, è stata trascinata in un conclamato declino. Naturalmente l’economia non si esaurisce nel solo andamento numerico di un indicatore astratto, essa è metafisica senza la società. E, dovremmo aggiungere, senza l’ambiente e il calcolo dei danni a esso inflitto. Qui, però, non c’è spazio per affrontare il tema.

La società europea ha assistito, negli ultimi 30 anni, a fenomeni devastanti: il declassamento del ceto medio, base storica della sua stabilità sociale; la crescita lacerante delle disuguaglianze a livello di ceti sociali e di territori; l’esplosione del precariato e la ricomparsa del lavoro povero, come agli inizi della rivoluzione industriale. Nelle campagne è rinato il lavoro schiavile o semi schiavile. Un esercito di dannati, immigrati dai più diversi Paesi, che consente i prezzi relativamente bassi dei generi alimentari e i profitti dei giganti dell’agrobusiness e delle catene di distribuzione. Le temperature in costante ascesa e il caos climatico accrescono poi, di anno in anno, i danni agli habitat del territorio continentale (incendi, alluvioni, eccetera).

Queste due evidenti sconfitte, la seconda manifesta ormai da tempo, hanno un evidente impatto di impopolarità sulle élites dirigenti che hanno governato sin qui il vecchio Continente.

E i partiti da essi rappresentati (la CDU tedesca, il PD, il PPE spagnolo, i vari partiti francesi, dal 2017 con En Marche di Macron, eccetera) hanno visto rafforzata la loro politica moderata anche con il convergere sulle loro posizioni di gran parte dei partiti socialisti e sedicenti di sinistra (su tutti la SPD tedesca).

Grazie alla crescente evanescenza politico-ideologica dei socialisti negli ultimi anni, il Parlamento UE ha trovato delle forme davvero sinistre di unità. Quando ad esempio ha ratificato, con aperta disonestà intellettuale, l’equiparazione del comunismo al nazismo; allorché ha votato l’appoggio militare all’Ucraina e quando si è opposto al cessate il fuoco a Gaza. Una indistinzione di posizioni che fa di queste élites un corpo unico su cui, assai facilmente, si sta sollevando da tempo un vasto fronte oppositivo tanto della società civile che delle forze politiche, che a ragione lo individuano come il responsabile unico dei fallimenti di cui ragioniamo.

Quali sono queste forze, qual è la loro cultura, qual è il loro indirizzo politico, quali le loro prospettive? Non è facile in un breve articolo (ammesso che ne possieda la competenza) dare un’idea, sia pure sommaria. Quel che si può dire con una certa sicurezza è che, in altre condizioni storiche, una élite che ha così clamorosamente fallito su tutti i piani presi in considerazione sarebbe stata tolta rapidamente di scena, forse anche in forme violente.

Quel che sta accadendo mostra i segni di un altro scenario: l’avanzata a tutto campo delle formazioni di destra e di estrema destra. Formazioni con cui, molto probabilmente, i partiti responsabili di 25 anni di politica UE si accorderanno per una strategia dagli esiti ancora incerti. Esiti sicuramente nefasti per le condizioni sociali dell’Europa e per i suoi progetti progressisti: in primis le politiche dell’immigrazione e i programmi ambientalisti del Green New Deal. La drammatica frantumazione dei partiti e partitini della sinistra, ancora impegnati a lacerarsi, incapaci di comprendere che una qualunque forma compromissoria di unità varrebbe mille volte più di qualunque intransigente purezza programmatica, mostra in largo anticipo che la più grave crisi dell’Europa dalla Seconda guerra mondiale non avrà, al momento, uno sbocco progressista e di avanzamento della democrazia.

E’ necessario, perciò, interrogarsi, nella ristretta economia di queste note, su quali possono essere le linee di azione delle forze politiche che vorranno contrastare lo scenario emergente dalle elezioni europee del 6 giugno 2024. Ricordiamo che la sconfitta in Ucraina diventa il pretesto per una politica di riarmo generale del vecchio Continente. Il 10 febbraio 2024 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno approvato il nuovo Patto di stabilità che prevede l’aumento delle spese militari di tutti gli Stati membri, come programma obbligatorio soggetto a sanzioni. La Germania, il Paese origine e agente di due guerre mondiali, progetta un riarmo atomico. La SPD, capeggiata da Olaf Scholz, un nano politico che si è fatto umiliare dagli USA, e ha trascinato la Germania nella più grave crisi economica degli ultimi decenni, fa ritornare il suo partito ai fasti dei crediti di guerra del 1914, varati per finanziare l’esercito destinato al massacro del primo conflitto mondiale.

Credo – anche se i governi sono divisi su questa strategia – che la conversione al bellicismo nasconda intenzioni e finalità non dette. Intanto, è una forma propagandistica di riscatto di fronte all’umiliazione anche tecnologico militare subita in Ucraina. È probabilmente un avvio – camuffato, per non impensierire troppo le amministrazioni USA – di una politica di difesa europea indipendente dalla Nato. L’incombenza della ipotetica rielezione di Donald Trump alla presidenza degli USA, del resto pare renderlo necessario. Tuttavia, come già osserviamo, queste élites – sinora divise, incapaci di una politica estera comune, assolutamente prive di senso morale e mancanti di visione generale – cercheranno la loro unità e il consenso presso l’opinione pubblica continentale trasformando l’immaginario collettivo con una campagna informativa, senza precedenti, di retoriche belliciste. In Italia si sta facendo già nella pubblicità televisiva, nelle scuole, nel confronto politico corrente, eccetera.

Credo che questa nuovo atteggiamento militaresco, nefasto e pericoloso offra, tuttavia, una grandissima occasione di ricomposizione nel Continente del fronte progressista. Una sinistra popolare, liberata dai settarismi novecenteschi, può ovviamente trovare largo consenso di massa denunciando l’assurdo di una crescente spesa per la guerra a fronte del disinvestimento nella sanità, nella scuola, eccetera. Tutto l’arcipelago dei movimenti ambientalisti può essere coinvolto in un ampio fronte pacifista, al fine di denunciare i governi che costruiscono mezzi di annientamento degli uomini e di distruzione della natura, sottraendo risorse agli impegni per fronteggiare gli squilibri ambientali e il riscaldamento climatico.

Infine, ricordiamo un’altra potenzialità politica che la drammatica virata militarista dell’UE offre. È noto che si tenterà di costruire non solo una difesa europea, che sarebbe accettabile, ma anche un esercito europeo. Ebbene, una volta tanto, anche la sinistra potrà mettere in campo, nel discorso pubblico, l’arma potente della paura. Potrà denunciare che alle nuove generazioni, a cui è stata tolta la stabilità del lavoro, a cui viene messa in forse la speranza di poter vivere in un pianeta abitabile, viene ora prospettata la minaccia dell’arruolamento militare, l’avvenire fosco di una nuova guerra in territorio europeo. Noi possiamo dunque urlare alle famiglie del Continente che le attuali élites della UE preparano ai propri figli, dopo tante promesse di magnifiche e progressive sorti, un avvenire di morte in trincea.

Foto di Mediamodifier da Pixabay

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 52 di Febbraio-Marzo 2024: “Europa: a che punto è la notte?

Unione Europea: flussi migratori interni e fabbisogno strutturale di lavoro

In uno scenario tendenziale, nei prossimi trenta anni  tutti gli stati membri della UE avranno un fabbisogno di lavoratori stranieri che per la UE sarà pari a 117 milioni. Gli stati che offrono condizioni lavorative migliori attrarranno lavoratori anche dagli altri stati membri, un fenomeno già evidente per il nostro paese. Ciò provocherà inevitabilmente un pari aumento del nostro fabbisogno di lavoratori extracomunitari. Michele Bruni suggerisce quindi che per ridurre il fabbisogno di lavoratori stranieri le prime misure da adottare dovrebbero mirare a migliorare  le condizioni salariali e lavorative del nostro paese. 

di Michele Bruni

Di quanti lavoratori avrà bisogno l’Unione Europea nel prossimo trentennio?

Nei prossimi trenta anni i 27 paesi UE saranno tutti caratterizzati da una carenza strutturale di manodopera che genererà inevitabilmente flussi migratori ad essa proporzionali. Possiamo stimare il fabbisogno di lavoratori stranieri come la somma  di due componenti, una componente demografica ed una componente economica. La prima è  dovuta al calo della popolazione in età lavorativa (PEL), la seconda  alla variazione del livello occupazionale. Queste due componenti  possono essere stimate  in maniera approssimata:

1) La prima come il numero di persone necessarie per mantenere inalterato il livello della popolazione in età lavorativa (PEL) e quindi l’offerta di lavoro, supponendo che il loro tasso  di attività totale sia almeno uguale a quello della popolazione autoctona.

2) La seconda come il  numero di persone necessarie per coprire i posti di lavoro aggiuntivi creati nell’intervallo considerato, ipotizzando che il loro tasso di attività sia dell’80%.

I flussi migratori attivati dalla carenza strutturale di lavoro risulteranno pertanto maggiori del numero di posti di lavoro che le forze di lavoro locali non potranno ricoprire in quanto le precedenti ipotesi ipotizzano, credo realisticamente, che essi siano accompagnati da una percentuale del 25, 30 % di famigliari.

Ricordo anche che i posti aggiuntivi sono stati stimati assumendo che il numero degli occupati vari al tasso medio annuo registrato nel periodo 2002-2022.

La Tabella 1 riporta i risultati delle stime per la UE,  per i 5 stati membri più popolosi e per gli altri 22 presi congiuntamente. Nei prossimi 30 anni la PEL della UE diminuirà di 63,5 milioni e, in uno scenario tendenziale, il fabbisogno economico dovrebbe essere di 53,8 milioni. Ciò porta ad un fabbisogno complessivo di circa 117 milioni di immigrati.

Il fabbisogno totale dei 5 grandi paesi è pari al 71% del fabbisogno UE con la Germania che pesa per quasi un quarto (22,4%), la Spagna per il 14,5 e gli altri tre per valori compresi tra il 12,1% dell’Italia e il 10,9% della Polonia, e la Francia in una posizione intermedia (11,6%).

Il ruolo delle due componenti varia notevolmente da paese a paese. Se a livello UE la componente demografica pesa per il 54,1% e nei piccoli paesi per il 58,2%, nei cinque grandi paesi il suo peso è massimo in Italia dove tocca 81,1% e minimo in Francia dove spiega solo il 30,6%. In Germania e in Polonia le due componenti hanno quasi lo stesso peso, mentre i valori della Spagna sono in linea con la media europea. Si noti che un peso prevalente della componente demografica rende più problematico risolvere il problema della carenza strutturale di lavoro, in quanto richiede necessariamente un aumento della fecondità, cosa non solo difficilissima da realizzare, ma i cui primi effetti sul mercato del lavoro si possono avvertire non prima di 20-25 anni.


Se la UE rappresenta un formidabile attrattore per i giovani di paesi con un eccesso strutturale di lavoro, è altresì evidente che i singoli paesi dell’Unione possono attrarre anche i giovani di paesi membri nei quali esistano eccessi relativi di offerta dovuti, come in Italia, alla presenza di una domanda di lavoro insufficiente per certe professioni o che comunque si esplica con condizioni non competitive a livello europeo. Tali flussi lasciano immutato il fabbisogno dell’Unione, ma modificano quello dei singoli paesi.

I dati sulle iscrizioni e le cancellazioni utilizzati dall’Istat per valutare i flussi migratori da e per l’Italia stimano per il decennio 2012-2021 un saldo migratorio dei cittadini italiani negativo, e pari ad una media annua di 58.000 unità. Sempre secondo la stessa fonte, i giovani andati all’estero sono in possesso di un titolo di studio medio per il 31% e di almeno la laurea per il 23%.

Vi sono tuttavia forti evidenze che il numero di italiani espatriati nell’ultimo decennio sia stato molto più elevato. Un progetto ISTAT, basato su un utilizzo integrato dei dati amministrativi per individuare quella parte delle iscrizioni e cancellazioni “per altri motivi” che potrebbero essere considerate come movimenti migratori con l’estero2, giunge ad una stima del saldo migratorio negativo medio annuo di 72,000 persone per il periodo 2012-2020. Ancora più drastiche le conclusioni raggiunte da un recente studio della Fondazione Nord Est2. Incrociando i dati dell’ISTAT con quelli degli uffici statistici degli altri paesi dell’UE, lo studio giunge alla conclusione che gli espatri di giovani tra i 20 ed i 34 anni sarebbero stati tre volte quelli stimati dall’ISTAT3.

Le informazioni disponibili non sono sufficienti per formulare proiezioni affidabili del saldo migratorio verso gli altri paesi della UE per il prossimo trentennio. Tuttavia, esse giustificano l’ipotesi di un saldo migratorio negativo medio annuo con il resto della UE di 50.000 giovani, il che comporterebbe una crescita del nostro fabbisogno demografico di 1,5 milioni nel prossimo trentennio.

In sostanza, in un contesto nel quale tutti i paesi della UE saranno caratterizzati da una massiccia carenza strutturale di lavoro, sarà inevitabile che i giovani dei paesi nei quali stipendi e condizioni di lavoro non sono competitivi, vengano attratti dai paesi che offrono condizioni di gran lunga migliori, provocando così un aumento della carenza strutturale di lavoro extracomunitario dei loro paesi.

Sembrerebbe quindi ragionevole che il governo italiano, prima di cercare di aiutare in maniera del tutto velleitaria i paesi africani a casa loro, aiutasse l’Italia a casa sua con misure volte ad aumentare la produttività e sperabilmente i salari, oggi tra i più bassi d’Europa, così da ridurre il nostro fabbisogno di immigrati.


Note

1 Tucci E., L’emigrazione dall’Italia attraverso l’integrazione e l’analisi di rilevazioni statistiche e fonti ufficiali, Tesi di dottorato, Roma (2019); Di Fraia G., Tucci E., Tomeo V., Basevi M., Corsetti G., Licari F., Simone M., Bonifazi C., Strozza S., Una misura delle emigrazioni italiane attraverso l’integrazione e l’analisi di dati amministrativi, (2022); Enrico Tucci, Corrado Bonifazi e Gennaro Di Fraia, Una nuova misura delle migrazioni italiane, Neodemos, 21 Marzo 2023.

2 Latmiral L., Paolazzi L., Rosa B, Lies, Damned Lies, and Statistics: un’indagine per comprendere le reali dimensioni della diaspora dei giovani italiani, Fondazione Nord Est, ottobre 2023

3 Le cause della sottostima sarebbero da individuare nelle diverse motivazioni che i giovani hanno nel cancellarsi in Italia ed iscriversi all’estero.

FONTE: https://www.neodemos.info/2024/02/16/unione-europea-flussi-migratori-interni-e-fabbisogno-strutturale-di-lavoro/


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