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Ripensare l’autonomia sindacale

di Tonino D’Orazio
Alain Touraine, padre nobile, con Zygmunt Bauman, della sociologia contemporanea ci dice che il progressismo è finito assieme al secolo industriale, e la politica dovrebbe farci i contiPartiti e sindacati sono stati superati dai tempi e ora devono ripensarsi alla luce di un nuovo conflitto che non è più soltanto tra capitale e lavoro, ma è intorno ai diritti universali dell’uomo.

Così come hanno dimostrato le parole d’ordine uscite da tutti i movimenti dal basso del 2011, dagli Indignados a “Occupy Wall Street”. La nuova sinistra non potrà essere solo localistica e identitaria ma globale come il capitalismo finanziario che si trova a combattere.

Chi può opporsi a questo capitalismo? Una sinistra animata da una gioventù competente e che faccia dei diritti umani, della democrazia e della moralità la sua bandiera globale.

Quando parlo di diritti universali penso a quei movimenti che somigliano quasi a religioni senza dio come gli Indignados che si sono ispirati anche a Stephan Hessel e che vogliono difendere i diritti di tutti. Le parole più usate sono “io sono un uomo”, “io voglio essere rispettato”, “non accetto di essere umiliato”, o “di essere una merce”. Queste parole sono morali e si oppongono alle leggi e alle forze del capitalismo. La dimensione morale diventa un dato fondamentale. Ma deve essere trasferita nei luoghi deputati a questo: i parlamenti democratici.

Stato, parlamento, costituzione: sono la rappresentanza politica e civile di una società.

“Nella lotta contro il potere delle classi possidenti, il proletariato non può agire come classe se non costituendosi esso stesso in partito politico distinto, opposto a tutti i vecchi partiti formati dalle classi possidenti”. (articolo 7 dello statuto dell’Internazionale).

La partecipazione di massa alle decisioni che si sprigiona nei momenti delle lotte, non dura. Essa si rende possibile solo in luoghi delimitati, ed è frutto dell’iniziativa di ristrette avanguardie. Ma questo consente di vedere la grande differenza che esiste tra partecipazione e consenso. In questo passaggio si coglie la differenza fra avanguardie culturali, masse e individui. E si comprende la necessità di trasformare quel consenso in egemonia organizzata, in “casematte” – per dirla con Gramsci – in cui il potere popolare si solidifica in organizzazione per durare nel tempo. Sembriamo aver perso questo dato proprio nel periodo peggiore.

Perché la democrazia organizzata nei partiti si restringe a oligarchia? la politica diventa pascolo recintato di professionisti. Non ci sono i lavoratori. Si rassegnino gli sviluppisti: anche quando saremo usciti dalla turbolenza questo capitalismo non creerà più piena occupazione, se mai ne abbia avuto voglia, ma sempre più disoccupazione e distruzione. La sinistra deve perseguire, come suo asse strategico, la separazione tra il “reddito per una vita degna” da “quello del lavoro”, che sarà sempre meno. Solo così si spezza il rapporto di forza che dà oggi al capitale la capacità di condizionare a suo vantaggio la dinamica di classe e spaccare la società con disuguaglianze insostenibili. Forse molti di noi hanno comodamente creduto alla “fine delle classi sociali” propinatoci dalla cultura padronale.

Luciano Gallino, smontando il principale dogma del pensiero unico, vera stella polare della controrivoluzione conservatrice cui si sono inchinati con la stessa osservanza conservatori e progressisti, ha documentato in modo ineccepibile nel suo ultimo libro “La lotta di classe dopo la lotta di classe”: a) che le classi esistono; b) che il fatto che «quasi nessuno le veda, le senta, le interpreti, ne rappresenti gli interessi» ha provocato danni irreversibili; c) che la condizione in cui oggi vive il pianeta è il risultato di una spietata lotta di classe dei «vincenti» contro i «perdenti». Uno stato delle cose che richiede il profondo ripensamento dei partiti, un vero e proprio rivoluzionamento dei sistemi politici. Ricominciando in Italia dall’applicazione della Costituzione fondata sul lavoro.

I trombettieri del pensiero unico hanno suonato a pieni polmoni innumerevoli varianti di un solo motivo: le classi sociali, inutile cascame ottocentesco, appartengono al passato e con esse è scomparsa la lotta di classe. E’ scomparsa la contrattazione ed è iniziata la consultazione e il dialogo impossibile tra il forte e il debole.

Siamo stati affatati da queste accattivanti melodie, che negando l’esistenza delle classi hanno facilitato la più spietata lotta di classe esistente sul pianeta: spossessando l’avversario della sua identità, della sua memoria, della sua organizzazione. Abbiamo scambiato anche noi il liberismo per riformismo?

«Ce lo chiede l’Europa». Anche se ciò potrebbe voler dire sospendere la democrazia. E non ci si riferisce a quanto potrebbe avvenire in futuro ma a quanto sta già oggi drammaticamente avvenendo. Basta guardarsi intorno: lo scorso novembre il presidente greco Papandreu si è recato al vertice di Cannes del G20 per sottoporre la sua proposta di referendum (sulle misure di austerità) agli altri partner e ne è uscito dimissionario; in Italia una «strana» maggioranza ha forzosamente introdotto in Costituzione la cd. regola aurea per rassicurare trojka e mercati che «stiamo facendo sul serio», che massacriamo lo stato sociale e blocchiamo la democrazia, e che nessun pronunciamento popolare (grazie ai rapporti di forza in Parlamento, dove dovranno pur prendersi, un giorno, la responsabilità i sottoscrittori) sarebbe mai stato consentito su questo punto; le politiche di bilancio dei singoli paesi europei saranno, nei prossimi anni, eterodirette dalle oligarchie dell’Ue e tutto ciò grazie a quanto previsto in «un accordo separato» (cd. Fiscal compact). Accordo che gli Stati membri saranno sì chiamati a ratificare, ma «a minoranza» (saranno sufficienti le ratifiche di 12 Stati su 25), non si sa mai.

Figurarsi se continuiamo come organizzazioni sindacali sulla tecnica della concertazione. Anche la consultazione, a detta esplicita di Monti non serve a nulla e si può anche evitare per “non perdere tempo”. Per non parlare, infine, dell’atteggiamento stizzito manifestato dall’establishment Ue nei confronti delle elezioni greche e francesi. Le prime ritenute sostanzialmente «inutili» (essendo la Grecia stata, nel frattempo, espugnata della propria sovranità nazionale e in vendita a pezzi) e le seconde definite addirittura «pericolose», anche se poi ha prevalso il mite Hollande e hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Hanno scoperto però la continuità nella gestione consolare a due, franco-tedesca dell’Europa.

Un caso a parte è invece, ancora una volta, l’Italia, dove oltre la modifica dell’art.81 della nostra Costituzione, che cattura e imprigiona la democrazia (togliendo di mezzo anche la possibilità di un referendum popolare di ripristino), dove l’asse Abc (Alfano-Bersani-Casini), sostenuto da Napolitano strano garante, si sta oggi affannosamente adoperando per costruire, in vista delle elezioni del 2013, un sistema elettorale «nuovo», talmente «nuovo» da essere in grado di perpetuare sine die la sopravvivenza dei governi tecnici, in una colossale ammucchiata, a fronte di partiti sempre più consci della loro obsolescenza, e soprattutto per noi sempre più anti sociali e anti lavoratori.

Chi difende ancora questo strano gruppo informe, ex comunisti, ex democristiani e ex fascisti insieme, non tiene conto della situazione reale. Fa solo tifo inutile. I lavoratori non esistono più in parlamento, cioè nel luogo dove si decidono le loro sorti, e questo da tanti anni quanti sono i disperati risultati odierni. Sta salendo l’onda popolare, (compresi quelli che non vogliono più votare), anti parlamentari e anti partiti e sarà successivamente contro l’inadeguatezza delle organizzazioni sindacali che comunque, in qualche modo, hanno accettato questo andazzo di macelleria sociale per salvaguardare, in fondo, le rendite delle classi più abbienti.

Scusate il candore: come sindacati abbiamo delle responsabilità? Visti i risultati, abbiamo rappresentato veramente i milioni di nostri iscritti paganti? O è sempre colpa degli altri e del mondo intero?

Finita la contrattazione si è passati ad accettare la concertazione, che prefigurava alla fin fine la compartecipazione istituzionale, poi la consultazione, poi il dialogo, poi il monologo, poi più niente. Abbiamo a volte anche avuto la presunzione di spiegare ai padroni come risolvere i loro problemi. Ma questo fa parte dell’alienazione operaia.

Risultato, la nostra tanto decantata autonomia è finita da più decenni senza rappresentanza politica. Senza nemmeno una vera rappresentanza sindacale. La cosiddetta allora cinghia di trasmissione, con tutte le sue possibili carenze, era inesistente: i partiti di riferimento erano due, le componenti si scontravano, avveniva la mediazione e la Cgil aveva una linea comune, unica, indipendente e autonoma dai partiti. Ma chiedevano il sostegno parlamentare a quei partiti che raccoglievano naturalmente il loro consenso elettorale. Perché senza leggi non c’è né certezza né diritto. E se tu non le fai fare altri le faranno sicuramente contro di te. E’ quel che è successo. I lavoratori hanno dato rappresentanza a chi non li ha rappresentati.

Siamo diventati autonomi dalle istituzioni democratiche del paese, isolati e mendicanti. Ad ogni sciopero generale, ormai sempre più soltanto minacciato e consunto, allunghiamo continuamente la lista della spesa e non portiamo mai niente a casa. Comprese le ripetute manifestazioni dove piano piano anche i pensionati iniziano a diradare la loro partecipazione. Mentre davanti a noi le forze politiche, ovviamente non più quelle nate dalla Resistenza ma “trasformate”, affondavano un pezzo alla volta la Costituzione democratica fondata (grande Di Vittorio!) sul lavoro. Abbiamo dato carta bianca a piccoli apprendisti stregoni che hanno “tarlato”, anche a nome nostro, la democrazia, da mediazioncine a mediazioncine, (avete capito qualcosa su come è finita la “grande vertenza” sull’art.18? Altrimenti perché un referendum di ripristino ormai quasi fuori luogo?) obbligandoci a continuare a rivendicare democrazia e cittadinanza ai giudici che purtroppo devono applicare le leggi di un nuovo fascismo che avanza. Chiamo fascismo tutto ciò che è contro i lavoratori. Ironia della sorte, anche noi, con spirito democratico e costituzionale, siamo tenuti a rispettarle e a farle rispettare. Sono scomparsi sessant’anni di giuslavorismo. Abbiamo anche accettato che ci prendessero in giro per anni con l’ambiguità tra “flessibilità” e “precarietà” e aiutato a “bruciare” un paio di generazioni. Infatti i giovani non ce la perdonano. Li abbiamo aiutati ad essere licenziati se si iscrivono al sindacato.

L’insorgenza delle mobilitazioni sociali in tutta Europa potrebbe riaprire la partita se la Confederazione Europea dei Sindacati battesse un colpo. Impossibile, all’interno ci sono forti interessi nazionali che primeggiano, al di là dei documenti e dei buoni propositi. Le ondate di scioperi veri e prolungati in Portogallo e Spagna, la sollevazione ripetuta dei giovani greci, la rivolta degli studenti londinesi, le proteste degli indignados, persino la facile e persuasiva anti-politica di Grillo, il sussulto dell’ANPI, ci dicono che il destino dell’Europa non è segnato, anche se ingabbiato. Ma indignarsi soltanto non basta. C’è bisogno di più e di altro. C’è bisogno che l’indignazione si traduca in conflitto, in linguaggio politico, in aggregazione, in nuove forme di interazione tra masse organizzate, partiti e potere. Fino a farsi mobilitazione democratica e pratica costituente, partecipata.

E’ la sola via di uscita del movimento dei lavoratori di fronte all’arroganza dei nuovi poteri determinati da e nelle forze parlamentari. Ma anche di una loro scelta politica precisa di rappresentanza.

Non faccio riferimento a nessun partito della sinistra in modo particolare. Non esistono e giustamente, come i lavoratori, sono oggi extra-parlamentari. Il resto è sinistra topografica. Tanto quanto il neoliberismo dilaga, tanto essi ne hanno la responsabilità nell’essere incapaci di unirsi e di rappresentare il mondo del lavoro e la sua dignità. Questa sinistra che potrebbe rappresentare le nostre ragioni di esistenza e di maggiore convivenza sociale all’interno dell’istituzione massima democratica che è il Parlamento continua purtroppo a balbettare, prigioniera di personalismi, dietrologie sterili, di grandi analisi poi fini a se stessi,  in rivoli e movimenti di debole spessore che si intrecciano e che si sciolgono continuamente. In una grande confusione. Anche loro sono responsabili della disfatta del movimento operaio, perché di questo si tratta, con la loro incapacità ad unirsi su un programma minimo, sempre più necessario e in fondo sempre più semplice. Tornare a zero da meno dieci dovrebbe facilmente ricompattare tutti.

I sindacati europei, referenti socialisti/socialdemocratici, hanno la loro rappresentanza in parlamento tramite partiti culturalmente affini. La loro è una vera autonomia, ma resa tale dalla dialettica.

In nessun paese europeo le organizzazioni sindacali sono assenti nei partiti. E’ uno degli assiomi del riformismo socialdemocratico, socialista e comunista europeo. Dalle Trade Union inglesi, al Dgb tedesco, alle CC.OO. spagnole, alla Cgt e alla Cfdt francesi, alla Fgtb belga, e la lista potrebbe tranquillamente continuare, i sindacati contrattano la loro rappresentanza parlamentare. Sono sindacati spinti e seguiti democraticamente dai loro iscritti. Da loro viene considerato forza, riformismo e reale tutela.

Non è sudditanza, è autonomia e soprattutto, in momenti di crisi pilotate contro lo stato sociale, argine contro le peggiori derive antilavoratori, sempre risorgenti, di partiti alla ricerca del loro solo potere, fino alle mediazioni più impossibili che, guarda caso, concernano sempre l’abbassamento dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani. “Riforme” che si fanno sempre sulle loro spalle. Anche se tutti i paesi europei vivono la crisi, mi sembra che i lavoratori, con le loro organizzazioni nei partiti, stiano “reggendo” meglio.

Ritengo che oggi, dopo anni di esorcismi, interni ed esterni, solo la Fiom-Cgil rappresenti ancora un movimento sindacale deontologicamente e fermamente in lotta sui diritti, oltre l’aver dimostrato, la menzogna Fiat insegna, che “qualsiasi accordo, purché accordo” non necessariamente rappresenta una positività per il sindacato e non può essere fine a se stesso se ogni volta si perde un metro di diritti. Oppure se ogni Federazione fa a gare per arrivare prima a firmare un “accordo”, in realtà in barba ad una regia confederale vera. “Pochi soldi, maledetti e subito” ci ha portato dal 1992 ad oggi alla perdita di più della metà del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati. Cioè quelli che dovevamo deontologicamente rappresentare.

Ritengo che la Cgil debba contrattare la sua forza e la sua rappresentanza, come senso di responsabilità verso i propri iscritti, come nuova forma di Resistenza, e nuova forma di autonomia, verso la democrazia e ribadire la sostanza della nostra giovane Costituzione. Debba pensare ad una nuova autonomia, più forte, direbbero gli inglesi “più lobbistica”. I voti dei lavoratori diciamo che i partiti dovrebbero meritarseli.

Non farlo ci coinvolge nella responsabilità di una deriva sempre più neofascista e padronale. A suon di leggi parlamentari. In quella istituzione dove non siamo più da anni e dove altri fanno finta di rappresentarci. Non ci bastano più due o tre mosche bianche, bravi ex dirigenti della Cgil, ci mancherebbe, ma che non contano nulla e che terminano lì, alla fine, una loro personale carriera.

O pensiamo che il sindacalismo italiano non possa esprimere una propria classe dirigente capace, adeguata e sicuramente progressista? Ha la capacità di esprimere autonomamente dai partiti politici una propria classe politica ? Visto che non c’è, il lavoro ed il mondo del lavoro ha bisogno di una sua rappresentanza politica,  chiaramente riconoscibile ? E’ una discussione moderna e una nuova forma di autonomia? Il sindacato non può non effettuare una profonda riflessione sui cambiamenti politici ed economici nazionali e globali che lo riguardano direttamente. Ma deve uscire da sudditanza e isolamento, deve riprendere l’iniziativa. Se può.

Certo rimangono i dubbi se il capitalismo finanziario attuale sia compatibile con la democrazia. Loro ci stanno dimostrando in questo momento la verità. Non ne hanno bisogno, oppure questa può essere puramente formale o ingabbiata in lacci legali. Se noi non ribadiamo il valore della democrazia e dei diritti collettivi e individuali sicuramente, sempre più, scorazzerebbero a loro piacimento come orde barbariche.

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