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GERMANIA: Stop al Fiskal Pakt da parte della Corte Costituzionale. Colpo duro alla dogmatica CDU e SPD.

di Paola Giaculli (Berlino)
La cancelliera Merkel dovrà rimandare le “celebrazioni” dell’entrata in vigore del patto fiscale, prevista per il 1 luglio. A guastare la festa della prima della classe in Europa ci hanno pensato i giudici della corte costituzionale, chiedendo al Presidente della repubblica Gauck di non apporre subito la firma che ratificherebbe in via definitiva l’accordo europeo votato in Parlamento. La cancelleria aveva accelerato i tempi fissando il voto, per patto fiscale e Meccanismo europeo di Stabilità allo stesso tempo, per il 29 giugno in entrambe le camere, Bundestag e Bundesrat, camera delle regioni.

Nelle due camere l’approvazione del patto fiscale richiede la maggioranza dei due terzi. Il presidente della repubblica, su probabile pressione di Merkel, avrebbe dovuto, stando alle indiscrezioni, firmarlo a poche ore dal voto, ossia nella nottata del 29 giugno stesso.

Probabilmente per gli esigui margini di tempo e la mole di ricorsi che la Corte costituzionale dovrà esaminare, i giudici hanno deciso di prevenire l’azione del presidente, mal celando l’irritazione per la fretta della procedura, che non avrebbe rispettato la tutela del diritto. Se Gauck avesse firmato, secondo la Corte, sarebbe intervenuta “una crisi istituzionale”.

A denti stretti il presidente ha dovuto cedere alla prassi di accogliere la raccomandazione dei giudici che dovranno accertare la costituzionalità del patto fiscale in presenza delle numerose rimostranze.

Pensare che proprio ieri Sigmar Gabriel, presidente Spd, aveva annunciato con aria di trionfo il consenso raggiunto tra governo e opposizione, e, di conseguenza, il voto favorevole di Spd e Verdi.

Totalmente contraria sin dall’inizio è la Linke, il partito della sinistra tedesca che attacca il patto fiscale a partire dal suo impianto antidemocratico, sanzionatorio e profondamente antisociale e che farà ricorso presso la Corte costituzionale, anche per il suo carattere di “immutabilità” trattandosi di un trattato internazionale che incide direttamente nelle costituzioni dei paesi (come per il pareggio di bilancio) e viola la sovranità dei paesi che lo ratificano.

“È giusto che sia il popolo a decidere con un referendum”, sostiene Katja Kipping, la giovane nuova presidente della Linke.

Del resto, la Sinistra vede confermate le sue critiche nella richiesta dei giudici al Presidente, che accolgono l’allarme sulla denuncia di perdita della sovranità del bilancio anche della ex ministra della giustizia Herta Däubler-Gmelin (SPD) che ha già fatto ricorso insieme a circa 12.000 cittadini tedeschi.

Anche il presidente del sindacato di funzione pubblica, banche e trasporti Ver.di,  Frank Bsirske, attacca il patto fiscale che definisce “dannoso economicamente, socialmente insostenibile e fattore di indebolimento della democrazia” e fa appello ai deputati del Bundestag affinché votino contro.

Nel partito dei Verdi, l’unica voce dissonante sembra quella di Christian Ströbel, uno dei fondatori storici del partito, che ha annunciato il suo voto contrario.

In un primo momento sembrava che da parte dell’ala cosiddetta di sinistra della Spd ci fosse più resistenza. Ma la contrarietà si è sciolta come neve al sole: sabato scorso il “parlamentino” della Spd, dove pare che il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz abbia convinto tutti, aveva già dato il via libera, con condizioni minime, che la SPD spaccia come grandi concessioni del governo Merkel.

Nel merito si può ovviamente ribattere che il voto sul patto fiscale, che limita sovranità e democrazia, strangola con politiche restrittive i paesi europei con l’obbligo del pareggio di bilancio in costituzione, non può essere negoziabile, in quanto inaccettabile nell’impianto e va pertanto respinto.

Alla luce delle perplessità manifestate anche dalla Corte costituzionale, questo diventa eclatante. Mentre, per Spd e Verdi, il patto fiscale in sé non è mai stato in discussione, vista la loro totale adesione alle politiche dell’austerità. Le obiezioni riguardavano piuttosto l’accompagnamento del patto fiscale con cosiddetti “impulsi alla crescita”. Ecco nel dettaglio le “concessioni” di Merkel alla Spd e ai Verdi, il cosiddetto “pacchetto per la crescita e l’occupazione”:

  • Tobin tax: Introduzione nell’Ue entro il 2012 di una tobin tax  sul modello proposto dalla Commissione europea (anche per i derivati). Il governo si impegna a cercare un accordo, in assenza di consenso generale, anche con singoli stati.
  • Bilancio Ue 2014-2020: Il bilancio di quadro 2014-2020 dovrà essere molto più mirato su crescita, occupazione e innovazione, senza tagliare fondi strutturali e sociali. Il governo dovrà concentrarsi particolarmente sull’ampliamento di reti transeuropee in materia di energia, ferrovie e banda larga.
  • BEI: Aumento di capitali per la Banca europea per gli investimenti  (BEI) pari a dieci miliardi di euro. La BEI potrebbe, secondo i calcoli della Commissione, concedere crediti per 15 miliardi per finanziare progetti.
  • Buoni (Bonds) progetto: La Germania si impegna entro la fine del 2013 a far sì che dal bilancio Ue si trovino almeno un miliardo di euro per l’istituzione di questi bonds per mettere in moto 180 miliardi di investimenti  in quattro anni (a patto che la Commissione presenti progetti sufficientemente “degni di promozione”).
  • Disoccupazione giovanile: La Germania si impegna per una „garanzia europea per i giovani“. A quattro mesi dalla fine di un percorso scolastico i giovani avrebbero così diritto a un posto di lavoro o apprendistato. Il governo si impegnerà nel vertice europeo del 28/29 giugno per incentivi  temporanei al salario da sostenere con il bilancio Ue. Ampliamento dell’agenzia del lavoro europea EURES.
  • Stabilità finanziaria:  Esortare le istituzioni europee a presentare altre proposte per una migliore stabilità finanziaria con il coinvolgimento del Parlamento europeo. Richiesta di integrazione rafforzata delle politiche economiche e finanziarie, considerato che un più forte riequilibrio tra le economie porta a una riduzione dei tassi di interesse della zona euro (non si fa menzione d’altro canto a una socializzazione del debito – del resto la Spd è contro anche agli Eurobonds, perché l’opinione pubblica tedesca è contraria).
  • Controllo del sistema bancario: il governo tedesco sosterrà un più forte controllo europeo delle banche. Si dichiara disposto a “accelerare le trattative per l’armonizzazione della sicurezza dei depositi nazionali e la ristrutturazione delle banche”.

Non si tratta certo di misure che possono invertire la tendenza distruttiva e autoritaria del patto fiscale, né presumibilmente che possano risollevare i paesi colpiti da recessione. Il governo tedesco se la cava con la promessa di “impegnarsi” nel contesto europeo – niente di vincolante quindi, e, del resto,  il governo Merkel aveva mostrato già in partenza disponibilità su alcune questioni  come la Tobin tax. E comunque, il nuovo mantra su cui tutti convergono – in coppia con il rigore – è “Crescita”.

Sul versante degli enti locali, già colpiti dalla stretta del pareggio di bilancio “nostrano” inserito nella costituzione tedesca nel 2009 ai tempi del governo Cdu-Spd, si teme un inasprimento della situazione con l’entrata in vigore del patto fiscale. In Germania il pareggio deve conseguirsi entro il 2016, mentre i Länder hanno “respiro” fino al 2020, ma a loro vedere si rischia una stretta ulteriore con il patto fiscale che sarebbe assolutamente insostenibile. La richiesta avanzata a Merkel è che lo stato si faccia carico dei debiti pregressi dei comuni, che non hanno beneficiato della crescita e sembrano invece in molti casi sul lastrico.

Anzi, i crediti ricevuti sono in aumento e ammontano ora a ben 45 miliardi di euro, mentre il patto fiscale “congela” i debiti di stato, regioni e comuni a 14 miliardi. Per alleggerire i comuni dai debiti, si propone allo stato la creazione di un fondo, che i Länder ritengono facilmente finanziabile, visto che la Germania paga tassi di interesse tendenti a zero. A gravare sulle casse dei comuni sono le spese sociali (43 miliardi), di cui una parte (13,5) contributi all’integrazione dei disabili, di cui i Länder chiedono si faccia ulteriormente carico lo stato.

La promessa in cambio è la disponibilità a non contrarre nuovi debiti, e naturalmente, il voto favorevole al patto fiscale al Bundesrat. “Altrimenti non ci sarà consenso”, ha fatto sapere nei giorni scorsi Reiner Haselhoff, del partito di Merkel Cdu, presidente di una delle regioni più in difficoltà, la Sassonia-Anhalt. Il Brandenburgo, governato da SPD e Linke si è dichiarato fin dall’inizio contro il patto fiscale. Il fatto che si voti in contemporanea con il Meccanismo di Stabilità, cioè il sistema di salvataggio dell’euro permanente, a cui è favorevole la SPD, porterà probabilmente il Brandenburgo a un’astensione il 29 giugno.

Il voto su patto fiscale e su MES si svolgerà dunque, come stabilito, tra una settimana, mentre per la loro entrata in vigore, che pare comunque certa, saranno i tempi di disamina della Corte costituzionale a decidere – ma stavolta Merkel non potrà certo vantarsi di aver fatto bene i compiti per casa.

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