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Il Forum sociale ingloba l’impresa: dal 9 all’11 maggio a Bento Gonçalves, nel sud del Brasile, il primo Forum sulla Responsabilità Sociale d’Impresa

Ne abbiamo parlato in questa intervista con Ramona Bavassano e Jean Carbonera, ideatori e organizzatori dell’iniziativa che si svolgerà tra meno di un mese in una delle città più sviluppate dell’America Latina: Bento Gonçalves, nella Serra Gaucha (RGS), patria dei World Social Forum iniziati nel 2001 a Porto Alegre. Un’area, quella del Rio Grande do Sul, in cui vivono circa 12 milioni di abitanti, dei quali, quasi la metà di origini italiane. di Rodolfo Ricci

Quali sono gli obiettivi del Forum e come si inserisce nel quadro generale dei Forum tematici ?

Il FORUM SOCIALE D’ IMPRESA è il primo Forum Sociale internazionale e interattivo centrato sul tema della Corporate Social Responsibility – [CSR], ed ha l’obiettivo di creare una rete duratura di imprese e organizzazioni che vogliano lavorare insieme per creare nuove metodologie e parametri di interventi di responsabilità sociale a livello internazionale. Come gruppo di consulenti uniti dalla passione per lo sviluppo sostenibile e l’etica applicata al mondo della creazione di valore, abbiamo osservato negli anni che manca una condivisa posizione delle imprese, sia grandi che piccole, sul contributo da dare in questa direzione.

Pur esistendo infatti Premi, Saloni, Meeting e Incontri sul tema della responsabilità sociale, abbiamo avuto la sensazione che questa venisse percepita dall’esterno come una delle componenti del marketing delle aziende e che ci fossero, nonostante le intenzioni, alcune barriere invalicate, soprattutto riguardo all’interazione con la società civile. Probabilmente perché, negli anni trascorsi dai primi World Social Forum, non si è fatto abbastanza affinché le imprese, comprese le multinazionali, spesso viste come un complesso indifferenziato e minaccioso, venissero percepite anche come una potenziale risorsa per la trasformazione.

Se è vero che molte di queste in realtà hanno posizioni ambigue e incedono volentieri a realizzare interventi di CSR che non esiteremmo a definire “di facciata”, è anche vero che c’è una enorme quantità di imprese, soprattutto medio piccole, che vivono profondamente il legame con il territorio e la comunità in cui sono inserite, che rinunciano in tempi di crisi a consistenti margini di profitto per salvaguardare i posti di lavoro faticosamente creati, che dedicano energie fisiche e emotive a costruire un modo diverso di vivere il senso del proprio operare.

E’ per questo che ci è venuta l’idea di realizzare il Forum: per riunire e dar voce a tutte quelle realtà, grandi o piccole, locali o internazionali, che condividono l’approccio “dal basso”dei forum tematici e non vogliono sentirsi dall’altra parte del muro. Ovviamente in questa prima edizione ci concentriamo sui valori e le aree tematiche che ci sembrano prioritarie, come la condivisione di linee strategiche di intervento per la partecipazione ai grandi incontri come Riopiù 20, la diffusione della nuova norma ISO26000, le politiche per il rispetto dell’ambiente e lo sviluppo delle comunità in senso sostenibile.

Abbiamo anche inserito uno spazio Business to Business per permettere l’incontro tra imprese diverse desiderose di confrontare le proprie pratiche di responsabilità sociale e magari di inventarne insieme di nuove anche attraverso scambi commerciali etici.

In sintesi, potremmo dire che gli obiettivi del Forum puntano a:

– scambiare esperienze e far conoscere le buone prassi delle imprese,

– condividere nuovi progetti e obiettivi per massimizzare il vantaggio competitivo della CSR,

– offrire strumenti per migliorare le performance e le capacita delle imprese nei diversi settori,

– stimolare riflessioni e relazioni commerciali,

– definire e divulgare internazionalmente l’impegno condiviso del mondo del Business per un mondo migliore,

il tutto a vantaggio di una evoluzione sana e sostenibile degli uomini, delle comunità e dell’ambiente.

Come è nata l’idea del Forum e perché a Bento Gonçalves?

Il Forum è nato come tentativo di risposta alla mancanza nel panorama internazionale di una voce univoca del modo aziendale alle richieste di collaborazione per costruire un mondo migliore, e abbiamo scelto di realizzarlo a Bento Gonçalves principalmente per tre motivi:

– l’esistenza di una sensibilità accertata di amministrazione e imprese locali sui temi della responsabilità sociale e dello sviluppo sostenibile

– l’essere il Rio Grande so Sul del Brasile un territorio culturalmente e imprenditorialmente avanzato, nonché praticamente costruito dai protagonisti della copiosa immigrazione italiana, il che ci sembrava un trait d’union significativo tra i paesi di provenienza di noi fondatori di Responsability.co

– per essere stato il Brasile uno dei leader nel processo di creazione della nuova norma ISO26000, fattore indice di sensibilità alle novità che questa apporta nel mondo della CSR. In particolare ci piace l’idea che si esca, oseremmo dire finalmente, dalla consuetudine che per potersi dire socialmente responsabili si debba dover entrare nel circuito, spesso più burocratico che sostanziale, della logica della certificazione formale. E’ innegabile infatti che in molte parti del mondo la concezione autoritaria di dover obbligare le aziende a certificarsi, ad esempio in Qualità, abbia sottratto impegno reale e quotidiano delle aziende per sostituirlo con impegno nella produzione di carte giustificatorie e credibili in vista delle visite ispettive per la certificazione, tra l’altro pagate dalle stesse imprese.

La ISO26000 punta alla maturità delle aziende riguardo all’assunzione di responsabilità diretta e volontaria nell’impegnarsi in responsabilità sociale, e a noi piace l’idea di metterci alla prova per aiutare le imprese a implementare in maniera personalizzata queste indicazioni.

Viviamo in un momento di crisi epocale, almeno nell’occidente industrializzato. In Europa le vie d’uscita proposte dai governi e dall’establishment economico finanziario puntano verso una rinnovata competitività dell’impresa secondo i canoni tradizionali del neoliberismo: che spazio c’è in questo quadro per la responsabilità sociale dell’impresa ?

In effetti, viste da qui, in Brasile, Paese che forse anche grazie alle sue scelte pregresse di ricerca di una certa autonomia dalle grandi autorità finanziarie internazionali non vive adesso nessuna crisi, queste politiche comunitarie appaiono, per dirla con leggerezza, un po’ demodé.

I “consigli che non si possono rifiutare” dati ai Paesi membri dell’Unione sembrano, nonostante le apparenze di necessità salvifica, avallare l’idea che il famoso e invidiato Welfare europeo sia un lusso non più sostenibile. E che sia quindi giusto, per risanare debiti pubblici contratti proprio con gli organismi internazionali e lievitati mostruosamente anche a causa di politiche interne sbagliate e di una eccessiva “bancarizzazione” del sistema del credito, orientarsi a forme di irrigidimento difensivo di stampo neoliberista.

A noi sembra un imperativo morale il provare a dimostrare, nel nostro piccolo, che sono le visioni di futuro e i rapporti di potere che vanno cambiati, non i diritti acquisiti.

Pensiamo infatti che abbia senso pensare a un mondo alternativo in cui, come già sta succedendo, il Welfare non sia più responsabilità solo dei Governi, ma di tutte lo organizzazioni produttive, che possono prendere iniziative mature per colmare le lacune che il sistema non riesce a colmare, mentre si lavora per cambiarlo dal suo interno.

Molte aziende, infatti per continuare a essere competitive, se sono “adulte”, non cadono nel tranello di tagliare i costi licenziando il personale, ma investono invece in servizi di previdenza, o di assistenza sanitaria, o di aiuti nella conciliazione dei tempi vita-lavoro proprio per motivare i dipendenti a lavorare meglio e trovare soluzioni creative ai problemi che le crisi comportano.

Perché pensiamo sia evidente che, per l’Europa, mettersi a lavorare per produrre di più e così competere con i paesi emergenti, sia assolutamente fuori di questione.

L’Europa dovrebbe invece, proprio perché è una economia matura, porsi come esempio paradigmatico di sviluppo concertato e sostenibile, caratterizzato dalla produzione di beni immateriali fondamentali, come idee, servizi e valori, anche per utilizzare appieno le sue Risorse Umane più preparate e sensibilizzate all’innovazione in senso ambientalmente sostenibile, fuori dalle logiche di produzione e consumo che speriamo non inevitabilmente verranno seguite dai paesi del BRICS.

Brasile, Russia, India, Cina, e Sud Africa hanno comunque grande vantaggio rispetto a noi: possono vedere come diventeranno tra vent’anni se ci copieranno tout-court.

E infatti, a dimostrazione di come stiano guardando con lucidità, mentre il “primo mondo” sembra perso e perplesso, la CINA è già oggi il maggior produttore mondiale di pannelli fotovoltaici e il Brasile è all’avanguardia nelle energie alternative e nella responsabilità sociale.

Per questo crediamo che ci sia moto spazio anche in Europa per la CSR, se la intenderemo come strategia per modificare il sistema e permettere a tutti la soddisfazione dei bisogni fondamentali ma anche di quelli superiori (come i bisogni di autoaffermazione, appartenenza, stima e autostima, autorealizzazione, apprezzamento e produzione di cultura etc…) in una logica di qualità della vita slegata dal possesso quantitativo di beni di consumo.

Del resto, già adesso alcune grandi e piccole marche soddisfano i cosiddetti “bisogni immateriali” della loro clientela con margini operativi molto significativi proprio perché riescono a veicolare emozioni e valori attraverso i loro prodotti e servizi.

E allo stesso momento, secondo diverse ricerche pare che i consumatori stessi scelgano già, in media europea, nel 25% dei casi, prodotti che dimostrino sensibilità sociale. Se cambiano insieme aziende, governi e cittadini, allora il più é fatto.

Pensate che vi siano chances concrete per affermare un nuovo paradigma di gestione aziendale ? O la responsabilità sociale d’impresa si scontra, inevitabilmente, con una concezione di profitto che continua ad assumersi come privato (e non quindi sociale), e determinato dai ratio classici della microeconomia come la conosciamo ?

Si, pensiamo che si possa aiutare le imprese a migliorare l’implementazione di quei valori che, in molti casi, sono già naturalmente presenti, e resistere così meglio alla tentazione di giocare a fare i capitalisti arroganti, e di fatto investiamo molta energia nel cercare di portare alla luce e comunicare meglio esempi virtuosi che già esistono.

In diversi sostengono che nella discussione intorno alla competitività tra sistemi (nazionali o territoriali) vi è già, in nuce, il concetto di responsabilità sociale, poiché i costi sociali di un’intrapresa che non compendi elementi di responsabilità sociale vanno a gravare sul sistema stesso e ne rendono più difficile nei tempi medi o lunghi la sua sostenibilità. Quindi la responsabilità sociale d’impresa costituisce uno degli elementi per una nuova competitività di sistema ? o per altri versi di nuovo dumping ?

Sicuramente la responsabilità sociale può essere l’assunto di base per creare nuova competitività, specialmente perché, anche grazie a tutti i movimenti della società civile, i consumatori di tutto il mondo sono più consapevoli e sempre meno plagiabili dalle mode effimere.

Sentiamo di essere in un momento storico in cui, dopo quarant’anni di movimenti ecologisti, laici e trasversali, la maggioranza della popolazione mondiale è consapevole dell’illusorietà del modello dello sviluppo continuo infinito. Per cui si tratta di continuare a sensibilizzare tutti i protagonisti, o gli stakeholder, come si usa dire in CSR, per innescare circoli virtuosi che, di conseguenza, minimizzeranno il rischio di dumping. Già adesso larghe fasce medie della popolazione prestano attenzione agli effetti dei loro acquisti, e se in futuro grazie a politiche più intelligenti e partecipate si ridurranno le fasce deboli, necessitate a comprare prodotti provenienti da mercati spregiudicati e non responsabili, il problema dovrebbe risolversi abbastanza agevolmente. Perché in questi casi i circoli virtuosi agiscono come potenti virus mutanti. Avete visto, per fare solo un esempio recente, in quante pubblicità in prime time di prodotti alimentari e di imprese concorrenti (tonno, yogurt, addirittura acqua imbottigliata) stanno incominciando a essere presenti informazioni sulla responsabilità dell’impresa stessa?

Ma se è così, come rivedere o riformulare, ad esempio, la tecnica di redazione dei bilanci aziendali ? Quale nuova logica dovrebbe essere seguita ? E può continuare ad essere tutto parametrato in termini monetari ?

Siamo d’accordissimo sul fatto che la accountability, il render conto dell’operato delle aziende, vada comunicato molto meglio e in maniera più chiara e condivisa. Infatti ci piace pensare di poter essere d’auto anche per evidenziare quelle operazioni stile “greenwashing” che spingono le aziende a usare la CSR come strumento d’immagine e il bilancio sociale come l’ultima delle mode. Nel Forum abbiamo inserito ben due tavole rotonde per riflettere insieme su finanza e rendicontazioni sostenibili, perché pensiamo che si possano fare tante cose per includere nei bilanci, ad esempio, parametri qualitativi e non semplicemente monetari, un po’ come si fa quando si parla di indice FIL, Felicità interna Lorda, invece che di PIL, prodotto interno lordo. Sarà bello cercare insieme nuove forme di redazione di bilanci da sperimentare contemporaneamente in diverse latitudini.

Quindi dietro al concetto di responsabilità sociale vi è già l’idea di una competitività “cooperativa” ? Un ossimoro, o una nuova concezione del mondo ?

Abbiamo la netta percezione che già da tempo filosofia, ermeneutica, sociologia ed economia, politica e finanza ma soprattutto persone e accadimenti evidenzino come l’approccio archetipicamente “maschile” della sopraffazione, della lotta per il controllo del territorio, per l’accapparramento indiscriminato delle risorse in ottica competitiva, che tanto ha ispirato la rivoluzione industriale e il liberismo selvaggio, sia oramai in fase di estrema decadenza. Il fatto che da più parti ci sia allarme per la consapevolezza di essere di fronte a una crisi di sistema ci sembra quindi positivo. Come positivo sarà per il mondo orientarsi a modelli cooperativistici e di collaborazione orientati in maniera se vogliamo più femminile all’accoglienza di istanze diverse, alla negoziazione, alla difesa della Madre Terra, allo sviluppo di economie innovative o alla riscoperta di fenomeni del passato, come l’economia di vicinato, le esperienze solidarie o addirittura la decrescita felice.

Che rapporto intercorre tra responsabilità sociale dell’impresa e politica, e democrazia ?

Ci piace pensare che tutte queste entità siano aspetti diversi della stessa realtà. Se la democrazia è il governo del popolo teso a difendere i diritti di tutti e a cercare il benessere per ogni membro della collettività, se la politica è la metodologia che l’umanità ha inventato per gestire la vita in comune, allora la responsabilità sociale è lo strumento che orienta l’agire collettivo in maniera da ottimizzare i risultati dell’organizzazione sociale e evitare effetti collaterali che possano inficiare il diritto delle generazioni successive a sperimentare appieno la meraviglia dell’esistenza.

La divisione internazionale del lavoro pare riproporre, in questo momento di grande crisi, un ruolo dei paesi in via di sviluppo dell’America Latina e di altre aree, come fornitori di materie prime (alimentari, forestali, minerarie, ecc.), pur se a prezzi maggiori rispetto al passato, e, insieme, di produzioni industriali ad alta intensità di maodopera a più basso costo in rapporto ai paesi avanzati. Ciò almeno nell’idea delle elites finanziarie globali. Questo fa pensare a responsabilità sociali a “geometria variabile” a seconda delle aree di insediamento delle imprese. E’ accettabile uno scenario di questo tipo oppure la responsabilità sociale d’impresa deve prevedere standard universali ?

Siamo in cammino, ci vorranno tempi di assestamento e ci saranno sicuramente momenti di crisi per gli squilibri che ancora caratterizzano il pianeta, ma il fatto che la norma ISO26000 si ponga proprio come standard universale grazie alla volontarietà e libertà nell’applicazione dei principi in essa contenuti, ci sembra un fatto di importanza simbolica veramente rivoluzionaria. Starà a tutte le imprese capire come e fino a che punto costruire geometrie stabili nella loro flessibilità e onestà intellettuale, proprio nella parametrazione di esperienze diverse sta il fulcro del lavoro che intendiamo fare nei prossimi anni con tutti coloro che vorranno partecipare realmente o virtualmente, al Forum Sociale d’Impresa.

Quali sono le vostre aspettative dei risultati di questo primo Forum e come intendete allargare il suo raggio di interesse ?

Beh, questo forum è nato dalla coagulazione di persone, idee, sensibilità, esperienze e risorse che si sono unite in un determinato tempo e spazio. Vogliamo che continui a essere così, solo con più persone, idee, sensibilità, esperienze e risorse in un tempo e uno spazio tendenzialmente lunghi ed ampi. Il tempo e lo spazio del cambiamento.

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VISITA IL SITO DEL FORUM:

JEAN CARBONERA – CEO Gruppo ResponsAbility.Co
Avvocato, docente e consulente in materia di diritto, cooperazione internazionale per lo sviluppo, responsabilità sociale e diritti umani.
Dal 1997 ha lavorato come sviluppatore e manager per l’ informatica e l’educazione, e ha ricoperto diversi incarichi come funzionario pubblico nei settori legislativo ed esecutivo, come Capo della Segreteria Tecnica del Coordinamento ONU presso il Ministero degli Affari Esteri d’Italia e come direttore esecutivo di una rete internazionale di ONG e di opere sociali, con sede a Bruxelles.

E’ il presidente-fondatore di Avvocati Senza Frontiere Brasile, membro di Amnesty International, della World League of Environmental Advocates e collaborato con altre ONG in Europa, Africa e Sud America. Ha fornito servizi di consulenza a numerose organizzazioni pubbliche e private nei diversi continenti.Ha partecipato a gruppi di lavoro e dei Consigli di vari organismi delle Nazioni Unite (il Consiglio dei Diritti Umani, Comitato della FAO sulla sicurezza alimentare mondiale, ecc), dell’Unione Europea come rappresentante del governo italiano e dell’Università di Roma TRE.

RAMONA BAVASSANO – Direttore Corporate
Consulente di direzione con esperienza ventennale, ha collaborato con grandi e piccole aziende private e pubbliche in Italia, Europa, Asia e America Latina. Si occupa dello sviluppo del potenziale e del capacity building in aree come Gestione delle Risorse Umane, Sviluppo Organizzativo, Formazione Manageriale, Coaching, Creazione di Imprenditorialità; Sviluppo territoriale, Marketing e Responsabilità Sociale. Tra i suoi clienti, Ferrovie Italiane (Trenitalia), la Confederazione Italiana delle Industrie (Confindustria), Telecom Italia, Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS), Società Italiana di Tax Collection (Equitalia SpA), FILEF ong, e innumerevoli piccole e medie imprese e amministrazioni locali.

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