CRISIS, Europa, Italia, Lavoro economia società, Politica

DA BERLUSCONI A MONTI

di Alfiero Grandi
Da dove nascono le difficoltà dell’economia italiana. La crisi economica e occupazionale del nostro paese è più grave di quanto di pensi e per superarla occorre una politica economica coraggiosa e innovativa.
Per la distinzione in due tempi della manovra il governo non ha usato al meglio le risorse per sostenere la ripresa. L’inflazione è un pericolo per i redditi bassi e per la ripresa dell’economia. Lotta all’evasione e giustizia fiscale restano obiettivi centrali. {*}

Qualcuno aveva gettato il cuore oltre l’ostacolo sostenendo che il passaggio del testimone del governo da Berlusconi a Monti avrebbe risolto almeno una parte della crisi finanziaria del debito pubblico italiano.
Purtroppo il disastro creato dalle menzogne raccontate sul reale stato dell’economia italiana dal governo Berlusconi – che ancora a luglio 2011 parlava a vanvera di nuovi sgravi fiscali – ha reso molto più difficile per il nostro paese risalire la china in cui l’ha precipitato la caduta di credibilità causata da oltre 3 anni di menzogne e dall’assenza di politiche adeguate.

Il cambio di testimone tra governi c’è stato, ma l’eredità ricevuta dal governo Berlusconi è purtroppo pessima e anche la manovra approvata in dicembre – che è il biglietto da visita del governo Monti – non ha la forza necessaria per invertire la rotta ed è inadeguata sotto il profilo dell’equità.

Essa ha inoltre riproposto una logica dei due tempi (prima il risanamento, poi la ripresa e l’occupazione) che ha perseguitato in passato anche i governi di centrosinistra con risultati non positivi.

Il fulcro della prima manovra del prof. Monti è stato mettere in ordine i conti dello Stato ma – paradossalmente – la critica dei “mercati” è centrata esattamente sull’assenza dimisure credibili per il futuro dell’economia italiana.

Come del resto segnala la differenza tra gli spread sui titoli italiani a breve termine e quelli a medio-lungo termine. È dunque inutile negare che la distanza tra i titoli italiani a dieci anni e quelli tedeschi non si riduce nella misura sperata, malgrado la credibilità del governo Monti sia ben diversa da quella del governo Berlusconi.

Il problema di fondo

Le difficoltà per l’Italia sono quindi concentrate sul futuro. I cosiddetti mercati non capiscono se possono fidarsi dell’Italia nel mediolungo periodo.

A questo va aggiunto che il debito pubblico italiano è a scadenza medio-lunga, la qual cosa è stata finora un punto di forza per i conti pubblici, rendendoli più stabili approfittando della disponibilità a sottoscriverli. Ma nell’attuale situazione di instabilità finanziaria questo fatto, che fino ad ora è stato un punto di forza, espone maggiormente il nostro paese all’umore mutevole dei mercati e finisce con il caricare il peso di interessi più gravosi per un lungo periodo di tempo.

Detto per inciso: forse anche una diversa gestione delle scadenze dei titoli pubblici italiani potrebbe limitare i danni dell’aumento degli interessi, che per ora è sopportabile, ma diventa più pesante man mano che il tempo passa. Ma questa è tattica congiunturale.

Il problema di fondo è invece la differenza di credibilità a medio-lungo termine tra le politiche e le economie nazionali. Il problema non è stato, almeno per ora, neppure sfiorato dal nuovo governo. Si è ritornati nuovamente alla logica dei due tempi: prima si mettono in ordine i conti pubblici, poi si pensa alla ripresa.

In realtà, i due argomenti sono strettamente connessi. Ad esempio, la convinzione di molti conservatori che dopo il risanamento finanziario verrà la ripresa, quasi come una conseguenza naturale, è destituita di fondamento.

Il risanamento può preparare al massimo le premesse, ma la ripresa è un argomento che ha tutt’altro spessore, richiede interventi specifici e non deriva affatto automaticamente dalla prima scelta. Risanamento finanziario, liberalizzazioni e interventi sul mercato del lavoro non bastano a prefigurare una ripresa economica, neppure dal punto di vista neoliberale.

Semmai il vero problema è che tenere distinti gli argomenti e i tempi di attuazione fa correre un grave rischio, che infatti è purtroppo presente nella manovra voluta dal governo Monti. La tassazione ad esempio può avere carattere inflazionistico oppure no. Un provvedimento fiscale può essere pro-ripresa, oppure pro-ciclico e quindi fattore di aggravamento della recessione e perfino provocare danni sul tessuto occupazionale.

La crisi economica e occupazionale

La recessione è già iniziata e ci sono avvisaglie preoccupanti sulla sua reale portata: se la recessione andasse oltre lo 0,5 % previsto dal governo richiederebbe un’ulteriore manovra di aggiustamento dei conti, perché la recessione inglobata nella manovra di Monti è appunto di questa portata.

Tenere distinti gli interventi e le fasi non aiuta a ricomprendere in modo coerente i provvedimenti.

Un esempio: la maggiore tassazione a carico dei redditi più alti vista come elemento di maggiore equità è importante anche come fattore economico. Perché può evitare la riduzione dei consumi in quanto colpisce settori della società che presumibilmente non diminuiranno i loro consumi anche se tassati maggiormente. Mentre la tassazione dei redditi bassi colpisce fasce della società che come conseguenza riducono immediatamente i consumi perché non hanno margine di manovra sul reddito.

L’equità quindi discende da un fattore etico, ma è anche una scelta di politica economica perché se ben applicata può ridurre l’impatto recessivo sottraendomeno risorse ai redditi più bassi e quindi ai consumi.Oggi infatti una delle leve più importanti è la ripresa della domanda interna, fortemente depressa dalle misure restrittive.

Inoltre il prelievo impositivo sui redditi riduce al minimo l’impatto inflazionistico, che invece è una conseguenza prevedibile nel caso dell’aumento della tassazione indiretta sui beni di consumo.

Anche per questo riesce difficile capire perché alcuni settori sindacali parlano con leggerezza di aumentare l’Iva per usarne gli introiti per diminuire la tassazione sui redditi bassi. Cosa che rischierebbe di essere una partita di giro se non peggio.

Anche in questo caso la tassazione diretta è in rapporto con l’equità, ma è anche un fattore di politica economica, con effetti ben diversi a seconda delle scelte concrete.

Per uscire dalla crisi

Nelle prossime settimane il governo dovrà esporre le sue proposte di politica economica per la ripresa e forse per questo qualche suo fervido sostenitore ha messo le mani avanti, chiedendo di rinviare il giudizio a non prima della fine dell’anno: la prudenza non è mai troppa.

In realtà non è questione di prudenza. La questione è che la cura da cavallo del risanamento finanziario, iniziata dal governo Berlusconi e conclusa (per ora) con quella del governo Monti rischia di gelare le possibilità di ripresa se non c’è un chiaro orientamento su cosa fare. L’enfasi sulle liberalizzazioni, ad esempio, sembra francamente eccessiva. Certamente c’è bisogno di togliere di mezzo difese corporative, ma non è detto che quelle normalmente elencate siano le peggiori. In ogni caso il loro peso sull’economia non è tale da mettere in sicurezza la ripresa economica.

Alcuni numeri che vengono forniti sulla presunta influenza che alcune liberalizzazioni avrebbero sul Pil sembrano sovradimensionati. Se guardiamo alla formazione dei redditi personali c’è qualcosa di eccessivo nel divario tra reddito di chi lavora e quello dei megamanager, in particolare dei settori finanziari.

Anche la Banca d’Italia si è espressa per un contenimento dei livelli retributivi che sono 400-500 volte maggiori del redditomedio dei lavoratori.

Infatti la Banca d’Italia ha auspicato regole più serie in materia, ma non risulta che ci siano regole cogenti. Si tratta di un auspicio, di una raccomandazione.

In materia di redditi potrebbe esserci una proposta semplice ma importante: per alcuni anni (almeno quanto quelli del blocco della rivalutazione delle pensioni) i redditi deimanager delle banche, delle assicurazioni, delle grandi imprese ecc. non devono poter crescere e quindi sono congelati ai livelli attuali. Se crescono il fisco provvede automaticamente a incamerare la differenza. Se per 2 anni i pensionati con un lordo poco sopra i 1400 euro al mese non hanno rivalutazione, anche i manager di vario tipo possono pazientare.

Non è un discorso astratto, poiché appena c’è stato un accenno di ripresa alla fine del 2009 questi redditi hanno ripreso a crescere come se nulla fosse. Questo per confermare che una politica di sostegno alla ripresa ha bisogno di una esplicita politica dei redditi: quali contenere e quali sostenere. Naturalmente è solo un esempio tra i tanti possibili.

Quindi le liberalizzazioni possono in alcuni casi essere utili, mentre in altri sono una mera scusa per privatizzare servizi pubblici o cercare di rimangiarsi i risultati positivi dei recenti referendum abrogativi, ignorando completamente ogni riflessione sui beni comuni. Riflessione sui beni comuni che dovrebbe essere la migliore eredità dei referendum del giugno scorso.

La ripresa economica e in particolare il sostegno all’occupazione richiedono misure precise e mirate. Alcune di queste misure richiedono risorse e altre no,ma sono anch’esse ugualmente necessarie. La finalizzazione non è un optional, ma una condizione per adottare misure efficaci, tanto più in una fase di risorse scarse. Solo con nuove costruzioni non si andrà molto lontano.

Ancora risuona l’eco della banalità dell’affermazione di Berlusconi, secondo il quale “quando le costruzioni vanno, tutta l’economia va”. Non è così. Non solo perché la vicenda spagnola è ancora sotto i nostri occhi, ma soprattutto perché la competitività sui mercati internazionali si misura sulla produzione industriale, sui servizi di qualità, sulla produzione di idee e progetti.

Per questo il governo dovrebbe puntare ad avere una politica economica ed industriale, impostando dei progetti che il paese intero possa ritenere importanti per il suo futuro.

Italia ed Europa

È evidente che tutto questo non può essere risolto solo a livello nazionale, ma richiede più che mai un orizzonte europeo che purtroppo non c’è e questo indeboliscemoltissimo la possibilità per il nostro paese di farcela.

L’ideologismo tedesco dominante impone manovre restrittive a raffica ai paesi ritenuti meno virtuosi, anzi spendaccioni, fino a sfiancarli, come nel caso della Grecia.

Si possono reggere con fatica le conseguenze del risanamento finanziario con un’economia in ripresa, ma senza questa sarebbero guai seri se dovesse prevalere la richiesta tedesca di ridurre di un ventesimo l’anno il debito pubblico italiano oltre il parametro ritenuto accettabile del 60 %, senza nemmeno le attenuazioni sul risparmio dei cittadini. Così dovremmo trovare 40 miliardi l’anno per ridurre ulteriormente il debito pubblico. La recessione diventerebbe endemica e senza sbocco. Le conseguenze sociali sarebbero terribili.

Quindi il problema vero è la ripresa economica dell’Italia, che però nelle attuali condizioni non può esserci senza l’introduzione di misure adeguate, anche perché la contrazione presente in tanti paesi e il pericolo incombente che l’insieme dell’Europa entri in recessione rende molto più difficile puntare sulle nostre esportazioni.

Forse proprio per questa distinzione in due tempi della manovra straordinaria il governo Monti non ha usato al meglio le risorse rastrellate per sostenere la ripresa.

Infatti le misure sulla riduzione dell’Irap sul lavoro sono tali da non essere in sé disdicevoli, ma di tale dispersione da non avere la forza di incoraggiare nuove assunzioni per i giovani e le donne e nemmeno di mantenere questa occupazione se le aziende dovessero decidere di ridurre gli organici.

Con la manovra sull’Irap si è arrivati all’incirca a un 2% di riduzione dei costi, che può alleggerire le imprese ma non è in grado di muovere positivamente l’asticella dell’occupazione. Come si dice: male non fa, ma questa misura non ha la forza di impegnare un’impresa a tenersi i lavoratori o ad assumerne altri.

In situazioni di emergenza è preferibile finalizzare con precisione, concentrare gli interventi in modo stringente. Ad esempio è preferibile decidere che per un certo periodo, diciamo tre anni, per i giovani e le donne assunte – oltre la pianta organica già esistente – le aziende non pagheranno contributi, che quindi sarebbero interamente a carico dello Stato. Questa misura sarebbe tale da aiutare la crescita dell’occupazione. Se poi – come in passato – venisse messa la clausola che per godere di questa fiscalizzazione per tre anni la condizione è l’assunzione a tempo indeterminato, il risultato potrebbe essere sorprendente.

È già accaduto che con una misura analoga presa alcuni anni fa, in piena epoca del “flessibile è bello”, è riemersa l’occupazione a tempo indeterminato, che tanti blateravano non esistesse ormai più.

L’illusione di un ritorno al passato

Le misure per la ripresa economica richiedono anche la capacità di fare i conti con la qualità dello sviluppo.  La qualità dello sviluppo, ovvero come dicono molti un altro modello di sviluppo, non è un obiettivo per il dopo crisi. Seriamente si pensa che questa crisi sia una semplice pausa e tutto il problema si riduce al tornare a prima di essa, come se nulla fosse, solo mettendoci alcuni anni per tornare al punto precedente?

C’è anzitutto una questione finanziaria. La finanza internazionale, nei suoi vari aspetti, è ormai 8-9 volte il Pilmondiale. Unamassa di capitali enorme, che si muove come uno tsunami, o se si preferisce una muta di cani guidati dal corno da caccia delle agenzie di rating. Venti-trenta anni fa la situazione non era questa.

Resta il fatto che il problema di mettere sotto controllo i movimenti della finanza e le sue attività è una premessa per uno sviluppo equilibrato, degno di questo nome, mentre ora gli elementi distruttivi del capitalismo finanziario hanno raggiunto livelli impressionanti.  Non a caso Buffet li ha definiti armi finanziarie di distruzione di massa. Quindi il primo problema è che dal 2008, scoppio della crisi finanziaria, ad oggi la situazione dei mercati finanziari è quella di prima, forse perfino peggiore.

L’imperativo assoluto che non si possonomettere limiti e vincoli ai movimenti dei capitali finanziari domina più che mai e naturalmente ne sono parte l’uso strumentale delle resistenze di qualcuno per giustificare il nulla di fatto. Come nel caso della Tobin tax, che sembrerebbe avere tanti consensi, salvo vincolare la sua introduzione al consenso di chi non è d’accordo, con risultati che ricordano Bertoldo e l’albero a cui volevano impiccarlo che naturalmente non trovava mai di suo gusto.

Anche l’enorme immissione di liquidità nelle banche decisa dalla Bce non sta dando i risultati attesi perché è un po’ come aumentare il metadone, in situazioni estreme è necessario, ma non può essere una cura. Il problema di fondo sono le regole da introdurre nei mercati finanziari.Sarebbe interessante, ad esempio, sapere perché la Consob nonè intervenutaper fermare il tracollo in borsa di Unicredit.

In questo quadro lo spread è come un’altalena. Per alcuni gli interessi sono troppo alti, come per l’Italia, ma per la Grecia è molto peggio. Per altri come laGermania sono molto bassi perché diventano il rifugio dei capitali che fuggono.  Gli Usa per decenni hanno fatto coesistere un’economia in difficoltà e una bilancia commerciale passiva conuna bilancia finanziaria in attivo perché attraevano i capitali dall’estero. Perfino laCina è grande detentrice (un quarto del totale) di titoli del debito pubblico statunitense.

Oggi la Germania beneficia di una situazione simile e colloca i suoi titoli del debito pubblico a condizioni invidiabili, alcuni addirittura sotto il livello nominale dei titoli. Vi è qualcosa di strano in quanto sta accadendo nei mercati finanziari. I capitali finanziari che fanno perno sugli Stati Uniti hanno certamente volontà speculative e l’euro in quanto tale è entrato nel mirino. Un’altra moneta forte che nel mondo affianchi il dollaro come valuta dominante non sembra essere gradita da gruppi finanziari importanti con base negli StatiUniti e forse la Germania, almeno una sua parte, non è del tutto al riparo dalle sirene che la spingono in una posizione apparentemente più favorevole, ma in realtà isolata da gran parte del resto dell’Europa, facendo leva sulle posizioni tedesche che hanno sempre guardato con diffidenza all’abbandono del marco.

La Germania viene spinta da queste posizioni a fare da sola, con la compagnia di qualche adepto, per sfruttare le condizioni più convenienti e in alternativa a questa deriva altri settori tedeschi non trovano di meglio che imporre condizioni molto pesanti nelle regole della finanza pubblica degli Stati considerati spendaccioni.  Da qui la pressione dellaMerkel per ottenere preliminarmente l’adozione nelle Costituzioni degli Stati europei di una regola simile a quella che è nella Costituzione tedesca, che obbliga al pareggio di bilancio. In questo vi è un salto di qualità, perché sipassadauna sceltapolitica,discutibile fin che si vuole ma sempre appartenente al rango delle scelte, che sono quindi modificabili, a una vera e propria ideologia da imporre come regola permanente nelleCostituzioni.

Finanza pubblica in ordine e ripresa economica

La manovra varata a dicembre dal governo Monti per rimettere in sesto i conti pubblici italiani non basta per mettere in sicurezza il nostro paese perché l’interrogativo a cui occorre rispondere è se l’Italia reggerà nel tempo e sarà in grado di riprendersi, di avere un futuro di sviluppo e di occupazione.

Occorre evitare salti logici.

Una manovra per mettere in ordine i conti pubblici era necessaria per tornare ad avere un ruolo in Europa e allontanare lo spettro del default. Il default non è mai stata una vera alternativa. Anche se proposto talora da sinistra in realtà questa prospettiva non ha mai spiegato come fare fronte al dramma di un secco impoverimento molto maggiore di quello creato dalle misure restrittive – degli strati sociali più deboli.

Escluso il default come alternativa possibile, resta solo da discutere le diverse opzioni per fare fronte a questa fase turbolenta. Ed è proprio questo il punto: non è affatto vero che una volta detto no al default e concordato sull’esigenza di uno sforzo straordinario per affrontare i problemi posti da un debito pubblico eccessivo (che il governo Berlusconi ha lasciato lievitare fino al 120 % del Pil, bruciando tutti gli sforzi precedenti) i contenuti della manovra del governo Monti, compresa la distinzione tra fase 1 e fase 2, fossero gli unici possibili.

Quindi non c’è un rapporto causa effetto tra il risanamento finanziario e questa manovra. Anche la giustificazione che queste misure ce le ha chieste l’Europa non regge, visto che lo stesso Monti ha detto apertamente che qualcuno dall’Italia ha suggerito all’Unione di richiedere queste misure. Del resto basta ricordare i dettagli della lettera della Bce per capire che chi ha scritto quel testo conosceva molto bene la situazione italiana e in quell’ambito si schierava nettamente su un fronte conservatore e liberista.

Potevano esserci misure diverse?

Certamente. I contenuti della manovra varata dal governo Monti, anche con le correzioni fatte in parlamento, resta una manovra che poteva avere alternative, bastava volerle, a condizione di non soggiacere alla Bce.. Un’altra manovra poteva maggiormente garantire un forte grado di equità che la manovra adottata dal governo Monti purtroppo non è riuscita a dare.

Ora è palese un tentativo di dare per scontato quanto è stato già deciso, ma non sarà così facile, perché sono centinaia di migliaia i lavoratori intrappolati nella terra di nessuno tra lavoro e pensione, a causa dell’allungamento drastico di 5-6 anni dell’età di pensionamento; e almeno su questo punto sarebbero necessarie altre correzioni.

Vedremo se i partiti che sostengono il governo saranno coerenti con gli impegni a correggere almeno alcuni aspetti della manovra, in particolare sulle pensioni.

Inflazione, evasione, occupazione

Così sarebbe un errore dare per scontata la decisione di aumentare di 2 punti l’Iva sulle aliquote del 10% e del 21% dal prossimo ottobre 2012. Sono già forti le tensioni inflazionistiche, spinte dall’aumento daiprodottipetroliferi enonbasterà a frenarle la liberalizzazione della loro vendita. Né basteranno altre misure di liberalizzazione.

Da troppo tempo i governi rinunciano a controllare seriamente la formazione dei prezzi, a partire da quelli petroliferi, anche a costo di reintrodurre misure di controllo e restrittive. Non bastano le varie Autorità e i loro controlli attuali. Ad esempio il governo, in nome dell’interesse collettivo, potrebbe benissimo richiedere direttamente alle Autorità l’avvio delle procedure di infrazione. Questi controlli potrebbero dare risultati perfino maggiori delle liberalizzazioni nel settore. Il governo ha deciso per parte sua aumenti delle imposte che amplificano gli effetti delle speculazioni sul mercato dei prodotti petroliferi.

L’inflazione è un problema oppure no? L’inflazione è un problema serio e non può diventare lo strumento indiretto per fare tornare i conti, sia dello Stato che delle imprese. Anzitutto perché i redditi, soprattutto quelli più bassi, sono già sotto pressione, ad esempio per il blocco dei contratti pubblici e della rivalutazione delle pensioni sopra i 1400 euro lordi, per la riduzione dell’occupazione, per la perdita di reddito dovuta alla cassa integrazione e alla disoccupazione.  Lo spread si combatte anche con il contenimento dell’inflazione.  Del resto solo così si può chiedere ai risparmiatori italiani di aumentare la sottoscrizione di titoli pubblici.

La scelta contraria significa usare l’inflazione per fare tornare i conti pubblici (ad esempio con il blocco della rivalutazione delle pensioni e lasciando lievitare i prezzi), con il risultato di peggiorare seriamente le  condizioni di vita di milioni di persone e di comprimere pesantemente la domanda interna. L’inflazione è la tassa più iniqua e ingiusta.

Per questo l’aumento dell’Iva dal 1° ottobre andrebbe evitato con tutti i mezzi possibili. Per questo tornano utili la lotta all’evasione, l’adozione di una vera e propria patrimoniale, l’unificazione del prelievo fiscale con le stesse regole su tutti i redditi qualunque sia la loro provenienza, a partire dalle rendite di qualunque tipo.

Non è più tempo di trattamenti di favore. Tassare tutti allo stesso modo per tassare meno i redditi bassi.

Tuttavia, la questione centrale resta come riconquistare fiducia sul futuro dell’Italia, anche per abbassare lo spread, per dare prospettive al nostro paese, il cui futuro occupazionale Confindustria per prima ha descritto in modo allarmante.

Per questo obiettivo è certo necessario il lavoro che sta facendo Monti in Europa per cercare di ottenere una politica europea per uscire dalla crisi. Insieme è necessaria un’iniziativa politica italiana con al centro il problema dell’occupazione.  Perché ora che si aprono spazi concreti a livello europeo non si sviluppa un’iniziativa nel parlamento italiano per l’adozione in tempi brevi della Tobin tax come primo passo per mettere sotto controllo i movimenti speculativi di capitali?

Adottare la Tobin tax come hanno fatto altri paesi è possibile, basta volerlo; altro è la sua effettiva entrata in vigore, che può essere legata alla decisione di un numero congruo di paesi europei, senza cadere nella trappola dell’unanimità.

Del resto questa è esattamente l’impostazione della legge francese sulla Tobin tax introdotta dalla gauche e mantenuta in vigore dai gollisti. Perché tutte le sinistre non prendono un’iniziativa comune per porre il problema di un’Europa che metta al centro gli interventi per lo sviluppo e dell’occupazione? Potrebbe contribuire a rimettere in moto un’iniziativa analoga a livello europeo.

Questo per confermare che sarebbe ilmomento di riprendere l’iniziativa politica per ribaltare un’attenzione troppo concentrata sui conti anziché sullo sviluppo.Non è ilmomento per i partiti di Centrosinistra di restare in panchina. Del resto anche in Italia, preso atto della fase straordinaria, il modo migliore per dare un contributo non è restare in attesa delle elezioni. Occorre mettere al centro lo sviluppo senza il quale lo spread continuerà ad agire come un nodo scorsoio sull’Italia.

Per questo occorre mettere l’accento su interventi pubblici, pochi e ben mirati, per rimettere in moto l’economia.Disperdere gli interventi servirebbe solo a disperdere le poche risorse. Ad esempio, in materia di energia occorre puntare sulle fonti rinnovabili e sul risparmio e in questa direzione concentrare le risorse per aiutare a costruire settori produttivi, competenze, ecc. Esattamente come ha fatto la Germania in questi anni.

La cantieristica è in crisi ma potrebbe anche essere la basediuna conversione energetica verso l’eolico off-shore. Non serve pensare a come tornare a prima della crisi.Occorre pensare a come cambiare, dopo la crisi, il modello di sviluppo inmodo da renderlo più forte perché rispettoso dell’ambiente e socialmente più equo.Non il contrario. In altre parole la politica di sviluppo non è dare più risorse senza finalità alle imprese, risanare le banche senza introdurre nuove regole.Vuol dire invece invece decidereuna qualità diversa dello sviluppo e della vita. Per impostare un compito così arduo c’è bisogno di più iniziativa politica.

Per questo il centrosinistra dovrebbe evitare di farsi distruggere dal peso di questa fase politica straordinaria. La foto di Vasto andrebbe rafforzata, semmai aggiungendo altri soggetti, non strappata. Per questo c’è da chiedersi se proprio ora non si debba costruire un programma comune, che attraverso una sorta di patto di consultazione permanente tra le forze del centrosinistra, siano o no sostenitrici del governo, gestisca questa complicata fase politica e prepari da subito il futuro appuntamento elettorale.

C’è chi anche nel centrosinistra si identifica con questo governo.  Come sempre c’è chi è più realista del re, ma il centrosinistra deve cercare di reagire all’emergenzialismo, alla straordinarietà recuperando errori e limiti che lo hanno portato alle difficoltà attuali.  Questo potrebbe perfino dare al governo Monti un maggiore apporto nelle forme giuste.

Rappresentanza del lavoro

Concertazione vuol dire riconoscere il ruolo del sindacato e dei lavoratrori e quindi risolvere, ad esmpio, il caso Fiat. Perché mai il centrosinistra dovrebbe oggi accettare di regredire dalla concertazione come perno delle relazioni sindacali, in alternativa alla rottura settaria che ha caratterizzato la politica del Governo di centro destra ?

La concertazione fu l’apporto migliore del governo Ciampi, che non a caso recuperò nel 1993 la precedente rottura del 1992 . L’accordo realizzato da Ciampi riuscì a tenere insieme, pur con limiti che non vanno dimenticati, difesa dei redditi, occupazione, sviluppo, risanamento finanziario. Di questo c’è più che mai bisogno oggi.

La posizione spesso autoreferenziale del governo è un problema serio.Una posizione fortemente tecnocratica, temperata dall’esigenza di avere il consenso in parlamento, rischia di chiudere lo spazio di intervento delle forze sociali e del sindacato in particolare. I lavoratori, i disoccupati, i pensionati, i giovani hanno bisogno di fare sentire i loro problemi, di avere una rappresentanza adeguata, altrimenti tutto diventerà più difficile e gli squilibri sono destinati ad aumentare con la conseguenza, troppo spesso trascurata, che l’intero paese sarebbe condannato alla stagnazione e ad un impoverimento.

{*} – tratto da “Critica marxista”

Discussione

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

FIRMA I 4 REFERENDUM!

Sostieni CAMBIAILMONDO

Dai un contributo (anche piccolo !) a CAMBIAILMONDO

Per donare vai su www.filef.info e clicca sull'icona "DONATE" nella colonna a destra in alto. La pagina Paypal è: filefit@gmail.com

Inserisci la tua e-mail e clicca sul pulsante Cambiailmondo per ricevere le news

Unisciti a 1.863 altri iscritti

Blog Stats

  • 1.335.902 hits

ARCHIVIO

LINK consigliati

 

cambiailmondo2012@gmail.com

Scopri di più da cambiailmondo

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere