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Perché il Messico è la nuova variabile nei rapporti tra Usa e Cina

di Federico Giuliani (da Insiderover)

I dati pubblicati lo scorso 8 febbraio dal dipartimento del Commercio Usa hanno generato curiosità e stupore. Per la prima volta in più di due decenni, nel 2023 la principale fonte di beni importati dagli Stati Uniti non coincideva con la Cina. A rubare la corona al gigante asiatico è stato il Messico, specchio delle crescenti tensioni economiche tra Washington e Pechino, nonché degli sforzi attuati dall’amministrazione Biden per importare mercanzia da Paesi geograficamente più vicini rispetto alla Repubblica Popolare Cinese ma, soprattutto più amichevoli del Dragone.

Attenzione però, perché se è vero che gli Usa stanno scommettendo sul Messico per delocalizzare al suo interno le loro aziende – una volta ben felici di essere ancorate al ricco mercato cinese, realtà dorata ormai compromessa dalle tensioni geopolitiche – allo stesso tempo il gigante asiatico sta a sua volta guardando al vicino di casa Usa per far confluire in loco le proprie società. A che pro? Semplice: per farle esportare negli Stati Uniti eludendo dazi e tariffe, e giocando sul fatto che i loro prodotti non sono made in China bensì in Messico.

Ci troviamo così di fronte ad una situazione tanto bizzarra quanto complessa: mentre Washington spera di smarcarsi il più in fretta possibile da Pechino, importando prodotti da altri Paesi in via di sviluppo, le aziende cinesi incrementano le loro attività in quelle stesse nazioni, per produrre beni da inviare nel mercato statunitense come se niente fosse. Il Messico, ancor più del Vietnam, è dunque una variabile emblematica del nuovo equilibrio economico che regola i rapporti tra le due superpotenze del XXI secolo.

La variabile Messico

Nel 2023, dicevamo, gli acquisti statunitensi di prodotti cinesi hanno raggiunto i 427,2 miliardi di dollari, in calo del 20% rispetto al 2022. Al contrario, il Messico ha esportato prodotti in Usa per un valore di 475,6 miliardi di dollari, in un aumento del 4,6% rispetto all’anno precedente. Risultato: Città del Messico è diventata la principale esportatrice verso Washington soppiantando per la prima volta Pechino in 21 anni.

Le ragioni, come detto, hanno tuttavia meno a che fare con il Messico in sé e più con le attuali tensioni internazionali. Detto altrimenti, come spiegato da El Paìs, gli Stati Uniti vogliono smettere di acquistare prodotti a basso costo dalla Cina, e il governo messicano sta lottando per ottenere almeno una parte di quella fetta di torta. Una fetta, si badi bene, potenzialmente destinata a crescere ancora, visto che Joe Biden sta valutando nuovi aumenti delle tariffe su beni cinesi come veicoli elettrici, apparecchiature legate all’ambito dell’energia solare e semiconduttori meno avanzati.

La decisione finale dovrebbe essere presa nella prima metà di quest’anno, ma Pechino ha iniziato a prendere adeguate contromisure. Già, perché come ha evidenziato il Financial Times la Cina sta semplicemente spedendo più merci negli Stati Uniti attraverso il Messico (e altri Paesi), eludendo ogni dazio possibile e immaginabile. La controprova arriverebbe dall’aumento del numero di container da 20 piedi spediti da Pechino a Città del Messico: 881.000 nei primi tre trimestri del 2023, in crescita rispetto ai 689.000 rilevati nello stesso periodo del 2022.

Altro dato rilevante: l’ente commerciale messicano per i fornitori di ricambi per auto, l’INA, ha evidenziato come 33 aziende di proprietà cinese, ma operanti in Messico, abbiano inviato negli Stati Uniti componenti per un valore di 1,1 miliardi di dollari nel 2023, in aumento rispetto ai 711 milioni di dollari del 2021. Che cosa significa tutto questo? Tanto, tantissimo, considerando che le automobili importate negli Stati Uniti dal Messico sono soggette ad un prelievo statunitense pari al 2,5%, mentre le parti assemblate in Messico sono soggette a una tariffa compresa tra lo 0% e il 6%. Al contrario, le automobili e i ricambi importati direttamente dalla Cina pagano un’ulteriore tassa del 25%, secondo il regime fiscale introdotto da Donald Trump e mantenuto da Biden.

L’intermediario tra Usa e Cina

Dal canto suo il Messico è consapevole di essere sotto i riflettori, e l’anno scorso ha annunciato tariffe che vanno dal 5% al 25% su merci provenienti da Paesi come la Cina (anche se non è chiaro quanto e come il nuovo regime verrà applicato o influenzerà le importazioni). A dicembre, inoltre, il governo messicano ha firmato un memorandum d’intesa con gli Stati Uniti sul controllo degli investimenti esteri – compresi i nuovi impianti cinesi di veicoli elettrici – in relazione ai rischi per la sicurezza nazionale.

Come se non bastasse, a giugno sono in programma le elezioni presidenziali messicane che decreteranno chi sarà il successore di Andres Manuel Lopez Obrador. In lizza troviamo due donne: Claudia Sheinbaum, portabandiera del partito MORENA al potere, appoggiata dall’attuale presidente e in rampa di lancio, e Xochitl Galvez, volto della coalizione di opposizione, composta da PAN, PRI e PRD. Le intenzioni di voto per Sheinbaum si aggirerebbero intorno al 64% a fronte del 31% della rivale. Molto distaccato, intorno al 5%, Jorge Alvarez Maynez, del partito Movimento Cittadino (di centrosinistra). Qualora dovesse vincere Sheinbaum, è lecito supporre che il nuovo leader del Paese riproponga l’agenda di Obrador, cercando dunque di ampliare le opzioni economiche a disposizione di Città del Messico, compresa la pista cinese.

Nel frattempo le aziende del Dragone hanno cambiato modo di fare affari con Washington. Alcune, come Hisense – che dal 2022 produce elettrodomestici e frigoriferi per il mercato nordamericano – ha piazzato uno stabilimento dal valore di 260 milioni di dollari in Messico, mentre le società automobilistiche SAIC Motors e JAC Motors hanno annunciato piani per costruire in loco impianti di assemblaggio. Va da sé, sempre in ottica mercato Usa.

In tutto questo troviamo chi vede l’integrazione tra Messico e Stati Uniti come la prova più evidente del successo nel disaccoppiamento Usa dalla Cina, e chi, al contrario, crede che il gigante asiatico stia cercando di migliorare le sue relazioni con il vicino statunitense per evitare sanzioni e tariffe. Insomma, l’ “intermediario” Messico ha il potenziale per riscrivere, in un senso o nell’altro, i rapporti tra le due superpotenze del pianeta. Tutto o quasi dipenderà da chi, tra Usa e Cina, chi riuscirà ad attrarre prima il Paese latinoamericano alla propria sfera di influenza. Con investimenti, progetti e accordi milionari.

FONTE: https://it.insideover.com/economia/il-dilemma-dei-falchi-europei-per-la-difesa-comune-i-bond-demoliscono-lausterita.html

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