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L’ampliamento dei Brics ulteriore passo in avanti nella ridefinizione degli assetti geopolitici e geoeconomici internazionali – parte III

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Processo di dedollarizzazione II

L’utilizzo delle principali valute: la supremazia decadente del Dollaro

Nell’intento di inquadrare all’interno di una cornice oggettiva la situazione della moneta statunitense, sia in relazione ai prematuri slanci verso l’imminente disarcionamento del Dollaro dal ruolo di asse portante del Sim (Sistema monetario internazionale), sia rispetto alle affermazioni di inattaccabilità della sua egemonia globale, procediamo ad analizzare il panorama valutario internazionale alla luce delle varie funzioni rivestite dalle principali monete.

Nel campo delle operazioni internazionali effettuate tramite coppie di valute attraverso il Forex1, secondo l’ultima inchiesta triennale della Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri), che considera l’interscambio da entrambi i lati, quindi su base 200, nel 2022 il Dollaro restava saldamente al vertice con l’88,5 delle operazioni in valuta estera (grafico 1), quota rimasta invariata dal 19892

Grafico 1: ruolo degli Usa e del Dollaro a livello mondiale. Periodo: 2° quadrimestre 2022

Ad ampia distanza seguivano l’Euro col 32 e la coppia Yen – Sterlina entrambi col 17, mentre lo Yuan, seppur in espansione rispetto allo 0 del 2007 arrivava a ricoprire solo il 7 del totale, sempre nel secondo semestre 2022 (grafico 2).

Grafico 2: quota di transazioni in Yuan nell’ambito del Forex fra 2007 e 2022. Fonte: Bri

Le sanzioni alla Russia spingono i Brics verso la dedollarizzanione delle transazioni

Le transazioni internazionali hanno tuttavia subito una brusca accelerazione verso la dedollarizzazione dall’inizio del 2022, soprattutto per quelle riguardanti i paesi del Brics, a seguito delle varie tranche di misure restrittive adottate contro la Russia. In particolare, ma non solo, ciò ha interessato principalmente l’interscambio fra Mosca e Pechino, il quale nel corso del 2023, in contemporanea con un cospicuo aumento del 26,4% del valore dei commerci, giunti al record assoluto di 240 miliardi di $, in base ai dati dell’Amministrazione generale delle dogane di Pechino3, ha registrato anche una rapida impennata delle transazioni in Yuan. Infatti, secondo quanto dichiarato dalla governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, la quota di esportazioni russe effettuate tramite la divisa cinese è passata dal 0,4% di due anni or sono al 34,5% di inizio 2024, mentre per ciò che concerne le importazioni, nello stesso arco di tempo, è salita dal 4,3% al 36,4%.

Quindi in soli due anni la moneta cinese è divenuta la più utilizzata dalla Russia nelle transazioni estere, con inevitabili riflessi sulla composizione delle riserve valutarie di Mosca, come ha esplicitamente affermato la governatrice stessa: “Fino al 2022, nelle nostre riserve c’era una quota significativa di Dollari ed Euro. Ciò era dovuto al fatto che i contratti di commercio estero erano in gran parte stipulati in queste valute. Ora, l’attività economica estera sta passando molto attivamente all’uso di altre divise, principalmente lo Yuan”4.

In pratica le sanzioni occidentali hanno determinato un doppio, seppur diversificato effetto boomerang a danno degli stessi committenti: i paesi europei nel suo complesso sono risultati penalizzati negli scambi commerciali sia con Mosca che con Pechino nel 2023, mentre gli Usa hanno principalmente subito una flessione nell’utilizzo della propria moneta nelle transazioni internazionali.

La ridefinizione della geografia dei commerci mondiali e dell’utilizzo delle valute, risultano tuttavia tendenze in atto su scala globale che vanno ben oltre i confini delle relazioni economiche fra Mosca e Pechino.

Negli ultimi due anni, infatti, gli scambi commerciali relativi a prodotti energetici raffinati, gas e petrolio sono stati effettuato in misura crescente con valute alternative al Dollaro. Un processo in rapida evoluzione sotto la spinta delle sanzioni e della determinazione dei Brics di perseguire una ridefinizione degli equilibri geoecenomici globali che ha portato nel 2023 a circa il 20% la quota del commercio globale di petrolio, la commodity più scambiata5, ad essere oggetto di transazioni in altre monete, compresi i Dirham emiratini e le Rupie indiane. New Delhi, infatti, grazie ad un accordo con Abu Dhabi finalizzato a regolare le loro transazioni in Rupie, principalmente petrolio, è divenuta nel 2023, secondo Mario Lettieri e Paolo Raimondi6, la seconda partner commerciale degli Emirati, con un interscambio totale in graduale avvicinamento ai 100 miliardi di $, e sta lavorando ad un’intesa con l’Arabia Saudita per regolare gli acquisti di petrolio in Rupie, oltre a stringere accordi con altri paesi per transazioni in valute nazionali. Ciò al netto del fatto che Riad dopo aver espletato tutti i passaggi formali per l’adesione al Brics prevista per il 1 gennaio 2024 insieme ad Iran, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Etiopia e Argentina, dopo il ritiro di quest’ultima ad opera di Milei il 29 dicembre 2023, non ha ancora ufficializzato l’ingresso nel blocco, restando in una fase di empasse7. Posizione attendista, in merito alla quale la leadership saudita dovrà sciogliere la riserva entro il prossimo vertice del Brics+8, previsto per ottobre a Kazan in Russia, garantendo o meno al propria presenza.

Sostanzialmente analoga la situazione per ciò che concerne l’utilizzo del Dollaro nell’ambito dell’intero interscambio commerciale fra soli paesi del Brics, nel cui contesto durante il 2023 il biglietto verde è stato ridimensionato ad appena il 28,7% del totale.

Una quota che con il recente ingresso nel Brics degli Emirati Arabi Uniti e dell’Iran, nel 2022 rispettivamente settimo e ottavo produttori mondiali di petrolio9, andrà con ogni probabilità incrementandosi nell’anno in corso, anche alla luce del fatto che i primi stanno tessendo la tela diplomatica con altri 15 paesi per promuovere gli scambi in monete nazionali e il secondo ne ha estrema necessità essendo stato soggetto a pesanti sanzioni da Trump a partire dall’agosto 2018, facendo carta straccia dell’accordo sul nucleare (Jcpoa) raggiunto da Obama con i vertici della Repubblica Islamica nel luglio del 2015, nell’ambito del quadro diplomatico detto P5+1 vale a dire Stati Uniti, Cina, Russia, Regno Unito, Francia e Germania 10.

La situazione valutaria relativa alle riserve monetarie e al mercato dei titoli di stato

Rispetto all’utilizzo delle monete in qualità di riserve valutarie, al cospetto di una situazione sostanzialmente analoga di attuale supremazia del biglietto verde, diversa risulta invece la dinamica registrata nel corso dell’ultimo ventennio, durante il quale il Dollaro ha subito un marcato ridimensionamento passando dal 72% del 2000 al 58,4% del 2023 (grafico 3), tuttavia a favore di monete di propri alleati geopolitici come il Dollaro australiano e quello canadese.

Grafico 3: quota di riserve delle Banche centrali in dollari 1995-2023. Fonte :Fmi

Viceversa, lo Yuan è salito da 0% di inizio millennio, quando la Cina non era ancora membro del Wto, al 2,6% dello scorso anno, una quota che seppur in leggera crescita appare ancora decisamente bassa per poter pensare di scalfire l’egemonia del biglietto verde (grafico 4). L’espansione della valuta cinese in questo campo risulta penalizzata, oltre che dalla sua mancata totale internazionalizzazione, dal fatto che per qualsiasi paese risulta problematico detenere riserve in valute diverse rispetto a quella in cui è stato denominato il proprio debito sovrano.

Grafico 4: quote delle 7 valute detenute come riserve monetarie delle Banche centrali fra 2016 e 2022. Dollaro in viola, Euro in verde chiaro, Sterlina inglese in verde scuro, Yen giapponese in grigio, Yuan cinese in nero, Dollaro australiano in rosso e dollaro canadese in giallo. Fonte: 11

Gli investimenti sul Dollaro sono ancora percepiti come un rifugio sicuro per i capitali anche per quanto riguarda il mercato dei Titoli di stato, nel cui contesto si registra ancora un netto predominio del biglietto verde grazie ai 23.000 miliardi di $ di Titoli del Tesoro Usa, un valore 11 volte superiore ai 2.000 $ di quello tedesco12.

Il ruolo preminente del Dollaro, in questo campo è supportato anche dall’imponente debito federale degli Stati Uniti che ad inizio 2024 ha raggiunto la stratosferica cifra di 34.000 miliardi di dollari, pari al 123,3% del Pil13, del quale, tuttavia, solo il 24% corrispondente a circa 8.100 miliardi di $ (grafico 5 – istogramma) è in mano a soggetti stranieri, sia governi che investitori privati.

Nonostante il disimpegno della Cina che, per motivi geopolitici e per ritorsione verso la guerra commerciale di Trump, ha alleggerito la propria posizione sui Treasury bond14 dal 15% del 2010 al 10% del 2023, e del Giappone sceso, da oltre il 35% del 2005 al 15% dello scorso anno (grafico 5 – diagramma), la disponibilità estera dei titoli di stato statunitensi, è cresciuta nel 2023 di 427 miliardi di dollari a beneficio di altri attori come Regno Unito, Canada, India e Francia15 (grafico 6).

Grafico 5: diagramma lineare quota di debito pubblico Usa detenuto da Giappone e Cina 2000-2023 (valori a destra). Istogramma: entità di debito pubblico in mani straniere (valori a sinistra)

Grafico 6: possessori internazionali di titoli di stato Usa confronto gennaio 2018 – marzo 2023

Il ruolo egemone dello Swift fra le piattaforme di pagamenti internazionali

Lo Swift, acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecomunican (società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali), costituisce un sistema di pagamenti interbancari internazionali che, attraverso l’attribuzione di un codice ad ogni istituto bancario, consente di facilitare le transazioni finanziarie su piazze estere.

La piattaforma finanziaria in questione risulta controllata dalle Banche centrali di Belgio, dove ha la sede, Francia, Stati Uniti, Canada, Germania, Italia, Paesi Bassi, Svezia, Svizzera, Giappone e Regno Unito ed ha lo scopo di consentire il pagamento diretto anche nel caso in cui i due soggetti coinvolti nella transazione non siano clienti dello stesso istituto bancario.

In base a quanto riportato nel sito ufficiale dello Swift16 attualmente vi sono collegate 11.600 istituzioni bancarie appartenenti a oltre 200 fra paesi e territori ed indubbiamente costituisce la piattaforma dominante nel sistema finanziario internazionale per il trasferimento di fondi.

La ripartizione geografica delle transazioni relativa al mese di gennaio del 2022, l’ultimo prima dell’escalation del conflitto in Ucraina e delle sanzioni occidentali ai danni di Mosca, presentava il seguente quadro: il 45,5% riguardavano Europa, Medio Oriente e Africa, il 40% Americhe e Regno Unito e il 14,5% Asia e Pacifico17.

A conferma della crescita del proprio ruolo nel contesto economico-finanziario internazionale, anche la Cina, ha proceduto alla strutturazione di una propria piattaforma denominata Cips, acronimo di Cross-Border Interbank Payment System (sistema di pagamento interbancario di pagamento) incentrata sullo Yuan e gestita dalla Banca centrale cinese, la People’s Bank of China (Bpc), la quale, tuttavia, nel 2020, secondo Lettieri e Benvenuti, non arrivava a coprire nemmeno lo 0,5% del volume delle transazioni internazionali18. Alla piattaforma cinese ad inizio 2022 aderivano 1.280 banche appartenenti a 103 paesi, fra le quali istituti europei, statunitensi, giapponesi, russi e africani e nel 2016 ha sottoscritto un accordo con lo Swift in modo potervi operare anche i soggetti che non hanno aderito al Cips.

Anche la Russia ha un proprio sistema di pagamenti il Spfs, acronimo di System for Transfert of Financial Messages (sistema per il trasferimento di messaggi finanziari) ma a differenza del Cips cinese viene utilizzato soprattutto per i regolamenti interni oltre che da alcune banche con sedi in Germania e Svizzera oltre a quelle di paesi dello spazio ex sovietico come Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan, per un totale di 400 istituti di credito sempre ad inizio 2022.

L’utilizzo dello Swift come arma geopolitica

Risultando un sistema di pagamento sotto controllo esclusivamente occidentale, lo Swift con l’acuirsi delle tensioni internazionali è stato trasformato da semplice strumento finanziario, in parallelo col ruolo del Dollaro19, in un’arma di natura geopolitica in considerazione del fatto che le istituzioni bancarie che ne vengono escluse accusano gravi problematiche nell’attuare trasferimenti di fondi all’estero.

Il potere di comminare l’esclusione di determinate istituzioni bancarie dallo Swift è riservato agli istituti finanziari e alle autorità nazionali che le supervisionano. Ed stato proprio nell’ambito dei vari pacchetti sanzionatori imposti unilateralmente alla Russia senza approvazione dell’Onu a partire dal 23 febbraio 202220, che la terza tranche entrata in vigore il 2 marzo successivo, su input dei governi di Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Unione Europea, ha disposto l’esclusione di 7 banche russe dallo Swift21. Mentre nel sesto pacchetto, approvato il 3 giugno, stessa sorte è stata riservata anche alla principale banca russa, la Sberbank, in parte di proprietà del colosso del gas Gazprom, alla Credit Bank of Moscow e alla Russian Agricultural Bank22. Tuttavia, i governi dei paesi membri dell’Ue non hanno escluso la terza banca russa, Gazprombank, in quanto viene utilizzata da Mosca per le transazioni energetiche e, per quel che ci riguarda, in particolare del gas dal quale dipendeva fino ad inizio 2022 oltre 40% del’totale dell’import dell’Ue23 e che nel 2023 ha continuato a coprire il 15% l’approvvigionamento estero comunitario24. Con l’inquietante paradosso che mentre abbiamo diminuito l’import di gas russo via conduttura acquistato con contratti pluriennali a basso costo, a causa delle sanzioni e del sabotaggio dei gasdotti del baltico, nei primi sette mesi del 2023 l’Ue, rispetto al corrispondente periodo del 2021, ha incrementato di ben il 40% (da 15 mln a 22 mln di mc) l’import da Mosca del sensibilmente più costoso GNL25.

A seguito della frattura geoeconomica apertasi fra Russia e paesi occidentali a causa dalle varie tranche di provvedimenti restrittivi, arrivati alla tredicesima il 23 febbraio 2024, e dal Piano REPowerEU del 18 maggio 2022, tramite il quale abbiamo deciso di rinunciare ameno sulla carta alle fonti e ai prodotti energetici russi, Mosca ha elaborato varie strategie per aggirare le sanzioni, cercando canali commerciali alternativi, soprattutto Cina e India, e utilizzando altre valute per regolare i pagamenti internazionali. Rispetto a quest’ultima problematica, le autorità russe si sono orientate principalmente verso l’utilizzo dello Yuan contribuendo ad aumentare il ruolo della divisa cinese nel panorama mondiale delle transazioni, una strategia non solo di natura economico-finanziaria ma anche, se non soprattutto, di carattere geopolitico. Conseguentemente la filiale moscovita della Industriale and Commercial Bank of China (ICBC), la principale banca mondiale con 400 milioni di clienti e 203 filiali estere, fra cui anche Milano26, dislocate in 40 paesi, ha sensibilmente aumentato il volume delle transazioni in Yuan fra Mosca e Pechino, in quanto collegata sia alla piattaforma cinese Cips che a quella russa Spfs, oltre che allo Swift27. Infatti negli ultimi 3 trimestri del 2022 la filiale moscovita dell’ICBC ha incrementato di oltre il 290% i depositi dei clienti e quasi 50 istituzioni bancarie vi hanno aperto un conto per poter operare con la Russia, aggirando di fatto le sanzioni occidentali28.

Il processo di dedollorazione, seppur in recente accelerazione, ha tuttavia un orizzonte ancora lontano per potersi completare, in quanto la maggior parte dei regolamenti dei flussi commerciali viene ancora effettuata tramite le valute dei paesi del G7 e in particolar in Dollari attraverso lo Swift. Infatti, a settembre dello scorso nell’ambito dello Swift, il Dollaro ricopriva una quota del 45,58% delle transazioni, l’Euro il 23,60%, la Sterlina il 7,32% e lo Yen il 4,20%, mentre lo Yuan seppur in crescita si attestava al quinto posto col 3,71%.

L’effettiva emancipazione del Brics+ dalla piattaforma sotto controllo occidentale potrà realizzarsi solo creando un proprio sistema multilaterale di pagamenti basato sulle proprie divise nazionali. Ed è proprio in questa ottica che a partire dal 2018 si stanno impegnando nella realizzazione del progetto Brics Play basato sull’utilizzo di tecnologie innovative come le piattaforme blockchain29 e le valute digitali ufficiali controllate della Banche Centrali (CBCD30), fra le quali lo Yuan digitale, entrato in vigore ad inizio 2022, oltre a numerose altre che si trovano nelle diverse fasi di progettazione e sperimentazione, soprattutto appartenenti a potenze emergenti come Russia, Arabia Saudita e Sudafrica (carta 1). Infatti il Brics Pay è stato predisposto in modo da poter utilizzare tutte le monete digitali dei paesi del Brics+31.

Carta 1: la situazione delle CBDC nei vari paesi.

Fonte: statista https://it.benzinga.com/2023/06/26/cbdc-quali-rischi-investitori-crypto/

Conclusioni

L’attuale situazione internazionale relativa all’impiego delle principali valute, per ciò che concerne le transazioni internazionali, le riserve delle Banche centrali e il mercato dei titoli di stato, come emerso in precedenza, presenta dunque carattere di fluidità e complessità che, a nostro avviso, per essere efficacemente inquadrata necessita di tenere in considerazione oltre alle dinamiche in atto anche la panoramica generale globale.

In considerazione di ciò, il quadro descritto in sintesi dall’agenzia britannica Reuters “Le Banche centrali stanno sperimentando una più ampia varietà di asset, fra cui obbligazioni di società private (corporate bonds. ndr), titoli di stato (government bonds), beni immobiliari, oro e ovviamente altre valute”, al pari di quello dall’amministratore delegato di Toscafund Hong Kong, Mark Tinkter, “Questo è il processo in corso. Il Dollaro verrà utilizzato sempre di meno nel sistema globale”32, a nostro avviso, se, da un lato, risultano entrambi centrati in relazione alle dinamiche in atto, dall’altro, non fotografano esaustivamente nel suo complesso la situazione valutaria mondiale attuale.

Dalla nostra analisi emerge come in un contesto in cui la posizione del Dollaro risulti al momento ancora maggioritaria, la sua parabola discendente sembra inesorabilmente esser stata imboccata, come ha efficacemente inquadrato la Banca centrale indiana (Reserve bank of India – Rbi): “Sembra, quindi evidente che mentre il dominio rimane per ora incontrastato, esso ha iniziato ad erodersi lentamente e in futuro l’ordine economico dovrà evolversi per guardare oltre la valuta statunitense”. Una prospettiva sostenuta anche dalla maggior parte degli analisti più qualificati, i quali prevedono che il Dollaro, almeno per qualche lustro, non verrà scalzato, principalmente per mancanza di competitor effettivi33, dalla leadership globale da altre valute, premunendosi, tuttavia, di specificare che il panorama valutario mondiale è destinato a subire un inevitabile riequilibro.

Lo scenario che potrebbe delinearsi nel Sistema monetario internazionale (Sim), nel cui ambito il Dollaro a fine 2022 rappresentava ancora il 56% degli investimenti finanziari internazionali e il 58,4% delle riserve delle Banche centrali34 (tabella 1), non presagisce tanto il passaggio di leadership a vantaggio di un’altra divisa, quanto, nel contesto della ridefinizione degli equilibri geoeconomici e geopolitici sospinti in senso multipolare dal Brics, la formazione di un ordine valutario internazionale basato su un nuovo assetto “multy-currency35.

La tendenza, già in atto da alcuni anni, e in accelerazione dal febbraio 2022, indica che le Banche centrali stanno operando in modo da adeguare i propri asset monetari verso un paniere diversificato di valute, sotto la spinta dell’evoluzione strutturale del commercio mondiale a favore dei paesi emergenti e della riorganizzazione per aree geoeconomiche “amichevoli”.

Tabella 1: quota attuale di utilizzo del dollaro nelle forme di impiego

Tipologie di impiegoDollaro 2023
Investimenti finanziari56,0%
Riserve delle Banche Centrali58,4%
Forex (anno 2022) indice su base 20088,5
Swift (settembre 23)45,58%

Il processo di dedollarizzazione dell’economia e del Sistema monetario internazione è destinato a proseguire, tuttavia attraverso un non lineare incedere, le cui eventuali accelerazioni potrebbero derivare da eventi internazionali particolarmente gravi sia di carattere geoeconomico/finanziario che geopolitico/militare.

Soprattutto ulteriori tensioni geopolitiche o, addirittura, rotture dell’ordine economico internazionale, come le sanzioni alla Russia e il piano comunitario REPoweEU36 o di un inizio di disimpegno dagli asset in Dollari da parte dei grandi fondi di investimento, BlackRock e Vanguard in primis37, finiranno per imprimere nuovo slancio allo sganciamento dal Dollaro. In tal caso potrebbe formarsi, secondo Reanud Lambert e Dominique Plihon, un’area “Indipendente dal Dollaro” per gli stati sotto sanzioni statunitensi. In tale contesto, come afferma a tal proposito l’autorevole economista James K. Galbraith: “La Cina assumerebbe un ruolo chiave tra i due sistemi (monetari. ndr), (divenendo. ndr) punto di fermo di una struttura multipolare”.

Washington potrebbe, quindi, risultare lei stessa penalizzata dall’estremizzazione dell’utilizzo a fini politici del Dollaro, come rileva anche Galbraith: “Se Pechino dovesse a sua volta essere oggetto di decisioni così severe (come quelle imposte a Mosca. ndr), allora potrebbe prodursi una rottura in grado di dividere il mondo in due blocchi isolati”. Un passo azzardato che, visto l’enorme interscambio commerciale38 e finanziario in essere fra Washington e Pechino, gli Stati Uniti valuteranno sicuramente a fondo prima di compiere, in quanto innescherebbe ripercussioni negative in primis sui propri titoli di stato.39

“La multipolarità monetaria perseguita dal Brics, (parallelamente a quella geopolitica e geoeconomica. ndr)”, conclude Galbraith, “Potrebbe essere negativa per l’oligarchia, ma vantaggiosa per la democrazia, per la protezione del pianeta e per il bene comune. Da questo punto di vista non arriverà troppo presto. Le grandi trasformazioni dell’ordine economico mondiale sopraggiungono solo in occasione di crisi estrema”.

L’accelerazione del processo di ridimensionamento della supremazia globale del Dollaro risulterebbe, dunque, più interconnessa al livello di spregiudicatezza delle linee di politica internazionale di Washington, che alla reali attuali potenzialità del Brics di realizzare a breve un ordine monetario internazionale alternativo. Come già ebbe a presagire nel marzo 2022, all’indomani delle prime misure restrittive, il Vice direttore generale del Fmi, Gita Gopinath: “Le sanzioni contro la Russia potrebbero erodere il dominio del Dollaro incoraggiando blocchi di trading più piccoli in altre valute”. Anche perché il Brics nel suo complesso non sembra nelle condizioni di riuscire a portare a compimento il progetto di sostituzione del Dollaro con un’altra valuta a corso legale, essendo al momento orientato verso l’istituzione di una unità di conto40, più che di una moneta comune.

Il futuro Sistema Monetario Internazionale potrebbe anche assumere un assetto multipolare strutturato in “zolle valutarie”, ciascuna dominata da una singola divisa che andrebbe a ricalcare quello geopolitico globale attualmente in fase di ridefinizione, il quale sembrerebbe orientato a delinearsi in “placche geopolitiche e geoeconomiche” tendenzialmente assoggettate all’influenza di una potenza macroregionale

Indipendente dai connotati che assumerà in futuro il Sistema monetario internazionale, i tempi di sviluppo della curva di flessione della supremazia globale del Dollaro risultano, quindi in primis, nelle mani, o per meglio dire nelle politiche, delle future amministrazioni di Washington a partire da quella che uscirà dalle ormai prossime presidenziali del novembre.

Andrea Vento – 29 aprile 2024

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (Giga)

NOTE:

1Il Forex è il mercato dove avvengono tutte le negoziazioni che hanno per oggetto le differenti valute. Non a caso, il termine stesso Forex deriva dall’inglese FOReign EXchange market. Ha origini antiche e nasce da esigenze commerciali di cambiare una valuta per un’altra, al fine di concludere transazioni. Il Forex è il mercato delle valute e ad essere scambiate non sono le singole valute, come spesso si dice, ma coppie di valute. Per esempio, non è possibile vendere dollari e basta. Bisogna vendere dollari e comprare, contemporaneamente, un’altra valuta, ad esempio euro. Nel Forex si ragiona, quindi, in termini di coppie di valute: ad esempio, EUR/USD sta ad indicare il cambio euro/dollaro.

https://www.prestitionline.it/guide-prestiti/domande-frequenti/cos-e-il-forex-e-come-funziona

2 https://www.reuters.com/markets/currencies/end-king-dollar-forces-play-de-dollarisation-2023-05-25/

3 https://www.agenzianova.com/a/65a10ef4d46c74.84366983/4764358/2024-01-12/cina-russia-interscambio-commerciale-tocca-record-di-240-miliardi-di-dollari-nel-2023

4 https://www.agenzianova.com/news/russia-la-governatrice-della-banca-centrale-lo-yuan-cinese-ha-rimpiazzato-il-dollaro-nelle-nostre-operazioni/

5 Il commercio del petrolio ammonta a circa 1/5 del valore dell’interscambio mondiale complessivo

6 Nei Brics non si usa più il dollaro di Mario Lettieri e Paolo Raimondi. https://www.italiaoggi.it/news/nei-brics-non-si-usa-piu-il-dollaro-2627434

7 https://it.marketscreener.com/notizie/ultimo/L-Arabia-Saudita-sta-ancora-considerando-l-adesione-ai-BRICS-dicono-le-fonti-45767507/

8 Brics+ è nuova denominazione del gruppo allargato, dopo gli ingressi del 1 gennaio 2024

9 https://www.energiaitalia.news/news/petrolio/petrolio-la-classifica-dei-20-piu-grandi-produttori-mondiali/25339/

10 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/iran-tornano-vigore-le-prime-sanzioni-usa-21095

11https://www.groupama-am.com/it/article/la-progressiva-de-dollarizzazione-delleconomia-mondiale/

12 https://www.reuters.com/markets/currencies/end-king-dollar-forces-play-de-dollarisation-2023-05-25/

13 https://www.italiaoggi.it/news/il-debito-usa-e-sempre-piu-alto-2624189

14 I Treasury Bond (T-Bond) sono titoli del debito pubblico statunitense di lungo termine

15 https://www.reuters.com/markets/currencies/end-king-dollar-forces-play-de-dollarisation-2023-05-25/

16 https://www.swift.com/about-us

17 https://www.fondopriamo.it/blog/priamo/sistema-swift

18 https://www.italiaoggi.it/news/nei-brics-non-si-usa-piu-il-dollaro-2627434

19 Saggio: L’ascesa dei Brics parte II: La complessa questione della dedollarizzazione di Andrea Vento (mettere link)

20 La prima tranche di sanzioni occidentali è stata introdotta un giorno prima l’avvio dell’Operazione speciale russa in Ucraina a conferma della finalità di natura geoeconomica tesa a creare una frattura fra Ue e Russia a beneficio Usa

21 Nel dettaglio il provvedimento sanzionatorio ha colpito: VTB, Bank Otkritie, Novikombank, Promsvyazbank, Rossiya Bank, Sovcombank, Vneseheconombank (VEB) https://www.confindustria.it/home/crisi-ucraina/sanzioni

22 https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2022/06/03/russia-s-aggression-against-ukraine-eu-adopts-sixth-package-of-sanctions/

23 https://www.agi.it/estero/news/2022-01-29/ucraina-ue-ridurre-dipendenza-gas-da-russia-15406821/

24 https://www.shipmag.it/europa-diminuisce-la-domanda-di-gas-ma-limport-dalla-russia-resta-alto/

25 https://www.rinnovabili.it/mercato/politiche-e-normativa/gnl-dalla-russia-ue/

26 https://milan.icbc.com.cn/it/column/1438058492186738925.html

27 https://wise.com/it/swift-codes/ICBKCNBJNTG

28 https://www.geopolitica.info/esclusione-russia-swift-internazionalizzazione-renminbi/

29 https://blog.osservatori.net/it_it/blockchain-spiegazione-significato-applicazioni

30 Central Bank Digital Currency: può essere definita come la rappresentazione digitale di una moneta nazionale, intesa come moneta a corso legale, emessa e gestita da un’istituzione sovrana come la banca centrale. Si tratta quindi di una passività bancaria denominata in un’unità di conto esistente, accessibile a tutti, che funge sia da mezzo di scambio sia da riserva di valore. A differenza delle criptpvalute e delle stablecoin, una CBDC è quindi direttamente sostenuta da un governo e rappresenta una passività della banca centrale.

Fonte: https://civitas-schola.it/2022/02/09/valute-digitali-emesse-dalla-banca-centrale/

31 https://www.italiaoggi.it/news/nei-brics-non-si-usa-piu-il-dollaro-2627434

32 https://www.reuters.com/markets/currencies/end-king-dollar-forces-play-de-dollarisation-2023-05-25/

33 lo Yuan è la moneta che in teoria potrebbe sostituire il dollaro a causa del suo ruolo crescente nell’economia mondiale (la Cina rappresenta il 18% del PIL mondiale). Tuttavia, le autorità cinesi non accetteranno mai di non controllare la loro bilancia dei capitali, il che rende lo Yuan di fatto incompatibile con un ruolo di valuta di riserva.

34 Dati diramati da Christophe Morel, chief economist di Groupama Asset Management, https://esgnews.it/focus/opinioni/la-progressiva-de-dollarizzazione-delleconomia-mondiale/

35 Vale a dire multi valutario

36 Piano dell’Ue finalizzato al superamento delle forniture energetiche dalla Russia e alla ridefinizione della geografia degli approvvigionamenti comunitari a beneficio di altri paesi come Usa, Qatar, Norvegia, e Algeria

https://ec.europa.eu/eurostat/documents/4187653/16179953/energy-imports.png/43bcbb87-3336-27a6-bec6-11628a74c98d?t=1703163769017

37 Tesi sostenuta dal prof. Alessandro Volpi nella trasmissione “Scommesse al posto del Welafre” di Ottolina tv a partire dal minuto 36. https://www.youtube.com/watch?v=zic9zuZDPTA&ab_channel=OttolinaTV

38 Nel 2022, ultimo anno con dati completi a disposizione, l’interscambio complessivo Cina – Usa, nonostante la guerra commerciale, secondo i dati ufficiali del Bureau of Economic Analysis ha raggiunto la cifra record di 690,6 miliardi di $, superando il precedente primato di 659 miliardi del 2018. L’export cinese negli Usa è risultato di 536,8 miliardi di $ e quello statunitense in Cina 153,8 con un saldo a favore di Pechino di 383 miliardi. https://www.agenzianova.com/a/63e320597ef4b1.11519917/4240576/2023-02-08/usa-cina-record-scambi-commerciali-nel-2022-690-miliardi-di-dollari-nonostante-tensioni

Nel 2023 l’interscambio commerciale Cina – Usa si è ridotto per la prima volta dal 2019 attestandosi a 644,4 miliardi $

39 James K. Galbraith “The dollar system in a multi-polar world” – International Journal of Political Economy vol.51, n°4, New York 2022

40 Il progetto è stato recentemente proposto dalla Russia e dal Brasile in ambito Brics.

Unità di conto: uno strumento comune per misurare il valore delle transazioni economiche tramite la fissazione dei prezzi e la contabilizzazione dei debiti e dei crediti, associati al passaggio di proprietà dei beni o delle attività senza un contestuale regolamento in moneta

https://www.treccani.it/enciclopedia/unita-di-conto_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)

COLONIALISMO: come la Palestina divenne dipendente da Israele

100 ANNI Dal mandato britannico a oggi: l’estrazione di valore a favore dell’economia israeliana, aiutata da leggi e forza militare, ha impoverito i palestinesi e li ha messi alla mercé del “vicino”

di Clara Mattei (da Il Fatto Quotidiano, 29/04/24)

Nel suo magistrale libro Jaccuse (Fuoriscena), in cui mette in luce la violenza strutturale della colonizzazione e la violazione di diritti umani perpetrata da Israele, la special rapporteur delle Nazioni Unite Francesca Albanese riproduce la giornata tipo di un lavoratore palestinese: “Alle 7.30 ti svegli, vuoi fare una doccia ma l’acqua la devi comprare da Mekorot, l’azienda idrica di Israele, che ha preso il controllo dell’80% delle risorse idriche della West Bank.
Alle 8.30 sali in auto per andare al lavoro, in un percorso simbolico, come può essere quello da Betlemme a Ramallah. In Cisgiordania, l’esercito israeliano ha una rete di 97 check-point fissi e centinaia di posti di blocco ‘volanti, che compaiono e scompaiono senza preavviso.
Lunghe code, controllo documenti, spesso chiusure — collettive o verso singole persone senza spiegazioni. Ogni lavoratore palestinese deve muoversi da casa con largo anticipo.
In pausa pranzo, per comprare un panino o fare la spesa, si usa solo lo shekel israeliano, non avendo Mai avuto una moneta palestinese.
Magari devi tare benzina, solo da gestori israeliani, che hanno il totale controllo delle risorse energetiche. Se lavori con l’estero, qualsiasi viaggio tu voglia fare, per qualsiasi motivo, dipende dall’autorizzazione che ti sarà eventualmente concessa da Israele, che controlla tutti i punti di accesso e di uscita dalla Palestina”.

QUESTA IMMAGINE è emblematica di una ultra-decennale storia di oppressione economico-politica, che gli economisti critici chiamano “teoria della dipendenza”: la vicinanza geografica tra Israele e Palestina ne è un caso da manuale. L’idea fondamentale è quella per cui lo “sviluppo” delle nazioni ricche non accade in maniera indipendente, ma deriva dall’attiva creazione di “povertà” in quelle povere. La struttura economica della periferia (Palestina) è stata trasformata per soddisfare le esigenze del centro (Israele). Prova ne sia il Pil di Israele: il doppio di quello palestinese nel 1967, oltre 14 volte tanto nel 2022 (in valori assoluti oggi e quasi 20 volte quello palestinese).
L’economia palestinese ha perso nel tempo un‘autonoma base produttiva, sia manifatturiera che agricola. L’estrazione di valore è dunque oggi tutta a favore dello Stato ebraico, che ne beneficia in un doppio senso: Riceve risorse naturali, materie prime e forza lavoro da un lato; ha a disposizione un mercato per le proprie merci dall’altro. La Palestina deve infatti importare i più costosi beni finiti sviluppando un deficit commerciale che ne aumenta la vulnerabilità economica e monetaria: negli ultimi cinquant’anni il 75-80% di tutti i beni importati ed esportati dalla Palestina sono stati scambiati con l’economia israeliana; nel 50% dei casi impor palestinese ha riguardato beni in passato prodotti in Palestina (abbigliamento, calzature, bibite, mobili, eccetera).

Per studiare il fenomeno della dipendenza economica palestinese, e quanto sia inscindibile da chiare decisioni politiche, dobbiamo fare un passo indietro e guardare agli anni del mandato britannico (1922-1947). La Gran Bretagna, in collaborazione con le organizzazioni sioniste del tempo (Palestine Jewish Colonization Association, The Jewish National Fund, The Palestine Land Development Company e via elencando), ebbe un ruolo cruciale nel plasmare l’economia dell’area in direzione capitalistica: facilitò la crescita dell’industria israeliana e la proletarizzazione dei palestinesi, allontanandoli dalla terra che costituiva la base della loro economia di sussistenza.

La terra acquistata dalle organizzazioni sioniste fu censita come “terra soltanto per ebrei’, non più vendibile ai non ebrei. Gli inglesi favorirono, inoltre, grandi donazioni e investimenti per le industrie ebraiche.
E ancora: l’impero britannico richiese le tasse agricole in denaro, causando l’indebitamento dei contadini palestinesi e costringendoli a prendere denaro in prestito, rendendoli cosi pià dipendenti dal mercato. D’altro canto, la Gran Bretagna assicurò fondamentali concessioni sulle risorse naturali alle compagnie ebraiche: la Rutenberg Electricity Company (1922), la la Atlit Salt Company (1929) e la Palestine Potash Company (1929),società – quest’ultima – di estrazione mineraria.
LA POLITICA DISEGUALE dei dazi giocò poi un ruolo fondamentale per creare le condizioni dipendenza palestinesi. Gli inglesi mandatari abolirono i dazi sulle merci prodotte da ebrei e sulle importazioni di materie prime, mentre imposero alte tariffe sulle merci che potevano competere con I’industria ebraica. Il trattamento opposto fu riservato all’industria araba, con l’imposizione di alte tariffe sul sapone e l’olio di oliva, i loro primari settori economici. Non solo: la “open border policy”, già sperimentata in India, comportò che i contadini palestinesi non fossero più in grado di competere coi prodotti agricoli importati, aumentando il loro debito e portandoli a vendere le terre a grandi proprietari terrieri.
Venticinque anni dopo, al momento del piano di partizione del 1947 e della guerra del 1948 – la Nakba, “la catastrofe” degli arabi, durante la quale ”80% della popolazione palestinese divenne profuga e più di 700 villaggi furono distrutti – il peso dell’economia ebraica era molto più forte della sua controparte araba: la quota ebraica della produzione nazionale era del 53%, ma quella della produzione industriale dell’89% e gli investimenti in capitale I’88% di quelli totali.
Il momento chiave nella costruzione della subalternità politico-economica fu però l’occupazione del 1967, in cui la Palestina fu ridotta al 22% del territorio rispetto alla Palestina del mandato, ovvero Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Tra le varie ordinanze militari emesse da Israele si possono ricordare quelle che stabilirono la chiusura di tutte le banche operanti in Cisgiordania tranne due, poste sotto supervisione israeliana; o l’impossibilità di importare nuove macchine (l’unica opzione era acquistarle di seconda mano); o ancora quelle che misero in atto una complessa rete di procedure amministrative e restrizioni, in vigore ancora oggi, che hanno reso praticamente impossibile per i palestinesi avviare un’attività commerciale. Tra il 2016 e il 2018, le autorità militari israeliane hanno approvato solo il 3% dei permessi di costruzione nell’Area C, che comprende più del 60% della Cisgiordania.

Da allora la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono state incorporate in un’unione doganale con Israele, che impone restrizioni sui tipi di merci che possono essere importate o esportate dai Territori per proteggere l’agricoltura israeliana.
Ogni commercio col resto del mondo deve passare attraverso Israele ed essere gestito da personale israeliano: qualsiasi Merce importata o esportata da singoli o da imprese palestinesi passa dalla dogana israeliana, che può bloccare e tutto e che da anni trattiene i dazi doganali invece di girarli come da Accordi di Oslo all’Autorità nazionale palestinese. Per di più le autorità israeliane hanno proibito gli investimenti da Israele – o dall’estero – nell’economia palestinese e l’esercito israeliano ha esercitato il pieno controllo sui bilanci in Cisgiordania e Gaza, compresa la tassazione e la raccolta: i palestinesi sono stati costretti a pagare imposte sul reddito dal 3 al 10% più alte rispetto a quelle applicate agli israeliani per la stessa fascia di reddito.

L’OCCUPAZIONE MILITARE ha confiscato nel tempo vaste aree di terre pubbliche e private palestinesi per la costruzione di insediamenti e riserve naturali.
Alla meta degli anni 80, il 39% della Cisgiordania e circa il 31% della Striscia di Gaza erano state Mappate come terre statali israeliane: secondo il gruppo per i diritti israeliano B’Tselem, durante i primi 36 anni di occupazione Israele sequestro quasi 200mila ettari di terre palestinesi affittandole a enti, associazioni e privati per la costruzione di insediamenti.

Le confische di terreni e le restrizioni al commercio e agli investimenti causarono il collasso dell’agricoltura palestinese, che un tempo impiegava gran parte della forza lavoro autoctona: nel 1967 l’economia agricola nei Territori assorbiva quasi il 40% della forza lavoro, nel 1993 degli Accordi di Oslo meno del 20%. Comunità autosufficienti videro scomparire i loro mezzi di sostentamento e il risultato fu una diffusa “proletarizzazione” della società palestinese: molti passarono dall’essere lavoratori autonomi nell’agricoltura locale a salariati nell’economia israeliana. Nei primi vent’anni dell’occupazione, la percentuale di individui che cercavano lavoro all’interno di Israele o dei suoi insediamenti aumentò in modo esponenziale: da pressoché zero prima del 1967 a circa il 40% nel 1987, quando scoppio la Prima Intifada.

IL LAVORO PALESTINESE serve Israele in molteplici modi. La presenza di un grosso esercito industriale di riserva riduce i costi dei salari e garantisce sufficiente estrazione di plusvalore per l’industria israeliana.
Come ha detto un imprenditore al giornale Haaretz: “E quasi impossibile licenziare un lavoratore israeliano o spostarlo senza il suo permesso e un aumento del salario, invece un lavoratore arabo è eccezionalmente mobile, può essere licenziato senza preavviso e spostato da un luogo all’altro. Non fanno scioperi, non presentano richieste.

La riduzione dei costi di produzione permette di vendere merci a prezzi migliori: è dunque un vantaggio competitivo rispetto all’estero, Palestina compresa, ma come spiega Ibrahim Shikaki, professore di economia al Trinity College in Connecticut, l’esercito industriale di riserva palestinese aiuta anche a togliere potere contrattuale ai lavoratori israeliani.

Come già fu in Sud Africa, i palestinesi sono autorizzati a lavorare solo per il datore di lavoro indicato sul loro permesso (che contiene i dettagli di entrambi), a viaggiare solo nell’area del loro lavoro e devono rientrare entro un determinato orario, pena l’arresto. I permessi sono carte biometriche necessarie per attraversare i check-point, in alcuni dei quali Israele ha implementato per i palestinesi il riconoscimento facciale automatico con l’intelligenza artificiale.

I flussi di lavoro palestinese verso Israele hanno coinvolto negli anni fino al 40% dei lavoratori della Striscia di Gaza e il 30% di quelli della Cisgiordania, dove ancora oggi sono più di 200mila: “Una volta che si sottrae una cosi massiccia forza lavoro a un’economia, non può che conseguirne miseria”, spiega al Fatto il professor Shikaki, i cui studi mostrano chiaramente che il tasso di disoccupazione palestinese è ormai strettamente correlato al ciclo economico di Israele. Con un corollario non da poco: “Oggi poi, sotto le bombe e col blocco totale delle frontiere, non si può neppure più lavorare..”.

FONTE. Il Fatto Quotidiano, 29 Aprile 2024

Libertà accademica I ragazzi lo sanno: la ricerca va decolonizzata (cioè de-sionizzata)

di IAIN C HAMBERS

Forse, di fronte a uno Stato che persegue la pulizia etnica con intenzioni genocide, che rifiuta il diritto internazionale e si considera al di sopra delle decisioni delle Nazioni unite comportandosi come uno «Stato canaglia», è giunto il momento di parlare di come affrontare direttamente Israele. Se appartiene all’Occidente moderno e democratico, come sostiene, ha bisogno di una seria riforma o altrimenti di essere messo in quarantena.

La questione non deve essere semplicemente dominata dalle relazioni internazionali, richiede una risposta etica e democratica. Siamo chiari. Il sionismo, in quanto impresa esplicitamente coloniale – e i suoi fondatori non hanno avuto remore a riconoscerlo – non può essere democratico nelle sue intenzioni. La protezione del suo dominio etnocratico richiede la purezza razziale e l’apartheid, ora incarnati nel suo apparato giuridico e nella sua costituzione.

L’opposizione a questa critica di Israele, invariabilmente etichettata come antisemitismo, è essa stessa un attacco alla democrazia e alla ricerca della giustizia storica nell’analisi sociale e politica.

In questo momento, l’ideologia sionista e la sua occupazione militare della Palestina stanno perseguendo, come in tutti i colonialismi, l’eliminazione dei nativi, proprio come in precedenza nell’imperium anglofono del Nord America, dell’Australia e del Sudafrica.

La formazione violenta delle identità occidentali produce storie taciute e geografie dimenticate. Tuttavia, come ci insegnano i palestinesi, queste storie resistono e persistono.

All’Orientale di Napoli il 23 aprile scorso si è tenuto un importante seminario su «Israele, l’industria delle armi e il ruolo dell’università». Tra i contributi, c’era la presentazione dell’accademica israeliana Nurit Peled el-Hanan sul genocidio simbolico dei palestinesi nei libri scolastici israeliani. In questi testi, controllati e approvati dal ministero dell’Istruzione israeliano, non ci sono singoli palestinesi, ma solo una categoria anonima e disumanizzata chiamata arabi.

Tra i palestinesi non ci sono scienziati, artisti, accademici o politici, ma solo un gruppo etnicamente distinto che minaccia la vita di Israele con il suo sottosviluppo e il suo terrorismo: il nemico del moderno Israele e del progetto sionista di civiltà occidentale. Questa semiotica pedagogica, come ha illustrato in dettaglio Nurit Peled el-Hanan, è centrale nei meccanismi di razzializzazione di uno Stato di apartheid, nella sua educazione fascista (parole sue) e nel suo dominio militare sui colonizzati. Dire la verità al potere in questo modo ha un prezzo.

Nurit Peled el-Hanan è stata recentemente sospesa dal suo incarico universitario. Oggi le università israeliane si dichiarano esplicitamente sioniste. Insistono sul fatto che il loro ruolo è quello di difendere il sionismo e la narrativa dello Stato etnonazionalista. Alla faccia della scientificità e della neutralità accademica.

Ora, questa narrazione non è limitata a un piccolo ma potentissimo Stato del Mediterraneo orientale. È stata adottata per decenni in tutto l’Occidente. Anzi, è stata storicamente coltivata fin dalle prime mappature del mondo all’inizio del XIX secolo, soprattutto da parte della Londra imperiale.

Quello che l’intellettuale palestinese Edward Said, formatosi a Princeton e Harvard, ha definito in tempi più recenti «orientalismo», si è sedimentato nel senso comune dei pronunciamenti politici e culturali in Europa e Nord America: dalla Casa Bianca agli studi televisivi e ai giornali. Contestare questa configurazione di conoscenza e la sua gestione del globo significa inevitabilmente impegnarsi in una discussione con la nostra società e con la creazione di noi stessi.

Come ha detto acutamente James Baldwin: «Proprio nel momento in cui inizi a sviluppare una coscienza, devi trovarti in guerra con la tua società».
Mi piace pensare che questo sia un riassunto preciso di quello che è il lavoro critico e analitico. È anche il momento in cui si devono fare i collegamenti impensabili, ormai che la cortina di fumo liberale evapora e assistiamo all’esercizio brutale del potere nudo, tra il campo di sterminio di Gaza e l’esecuzione giuridica dei migranti nel Mediterraneo.

La conclusione è che le istituzioni occidentali, gli enti governativi, le agenzie di ricerca e le università, insieme alla più ovvia partecipazione dei produttori di armi, delle aziende tecnologiche e dei servizi finanziari, sono parte integrante di un apparato coloniale. Se la trasformazione del conflitto in capitale è una cosa, sostenuta in modo ipocrita dalla ricerca del benessere economico, la sua analisi critica è un’altra. Gli studenti qui in Italia e, soprattutto, nei campus americani, stanno giustamente insegnando ai loro insegnanti e amministratori quest’ultima prospettiva. Per evocare Hannah Arendt, stanno tirando fuori dai denti della storia ufficiale una narrazione più onesta e democratica della condizione umana.

FONTE: Il Manifesto del 27.04.2024

DISCORSO DEL DR. GHASSAN ABU SITTAHALLA SUA NOMINA DI RECTOR DELL’UNIVERSITA’ DI GLASGOW

Dr. Ghassan Abu-Sittah during his address at the University of Glasgow following his landslide victory as Rector with 80% of the vote, April 11, 2024. (Photo: The University of Glasgow)

L’11 aprile, il dottor Ghassan Abu-Sittah è stato nominato Rector dell’Università di Glasgow dopo la sua elezione schiacciante con l’80% dei voti.

Di seguito è riportata una trascrizione del discorso del Dr. Abu-Sittah.

“Ogni generazione deve scoprire la sua missione, compierla o tradirla, in relativa opacità”.

Frantz Fanon, I dannati della terra

Gli studenti dell’Università di Glasgow hanno deciso di votare in memoria dei 52.000 palestinesi uccisi. In memoria di 14.000 bambini assassinati. Hanno votato in solidarietà con i 17.000 bambini palestinesi rimasti orfani, i 70.000 feriti – di cui il 50% bambini – e i 4-5.000 bambini a cui sono stati amputati gli arti.
Hanno votato per solidarizzare con gli studenti e gli insegnanti di 360 scuole distrutte e 12 università completamente rase al suolo. Hanno solidarizzato con la famiglia e la memoria di Dima Alhaj, un’ex alunna dell’Università di Glasgow uccisa con il suo bambino e con tutta la sua famiglia.

All’inizio del XX secolo, Lenin predisse che il vero cambiamento rivoluzionario nell’Europa occidentale dipendeva dal suo stretto contatto con i movimenti di liberazione contro l’imperialismo e nelle colonie di schiavi. Gli studenti dell’Università di Glasgow hanno capito cosa abbiamo da perdere quando permettiamo alla nostra politica di diventare disumana. Capiscono anche che ciò che è importante e diverso di Gaza è che è il laboratorio in cui il capitale globale sta esaminando la gestione delle popolazioni in eccesso.
Si sono schierati accanto a Gaza e hanno solidarizzato con il suo popolo perché hanno capito che le armi che Benjamin Netanyahu usa oggi sono le armi che Narendra Modi userà domani. I quadricotteri e i droni equipaggiati con fucili da cecchino – usati in modo così subdolo ed efficiente a Gaza che una notte all’ospedale Al-Ahli abbiamo ricevuto più di 30 civili feriti colpiti fuori dal nostro ospedale da queste invenzioni – usati oggi a Gaza saranno usati domani a Mumbai, a Nairobi e a San Paolo. Alla fine, come il software di riconoscimento facciale sviluppato dagli israeliani, arriveranno a Easterhouse e Springburn.

Quindi, in realtà, per chi hanno votato questi studenti? Il mio nome è Ghassan Solieman Hussain Dahashan Saqer Dahashan Ahmed Mahmoud Abu-Sittah e, ad eccezione di me, mio padre e tutti i miei antenati sono nati in Palestina, una terra che è stata ceduta da uno dei precedenti rettori dell’Università di Glasgow. Tre decenni prima che la sua dichiarazione di quarantasei parole annunciasse il sostegno del governo britannico alla colonizzazione della Palestina da parte dei coloni, Arthur Balfour fu nominato Lord Rettore dell’Università di Glasgow. “Un’indagine sul mondo… ci mostra un vasto numero di comunità selvagge, apparentemente in uno stadio di cultura non profondamente diverso da quello che prevaleva tra l’uomo preistorico”, disse Balfour durante il suo discorso rettorale nel 1891. Sedici anni dopo, questo antisemita ideò l’Aliens Act del 1905 per impedire agli ebrei in fuga dai pogrom dell’Europa orientale di mettersi in salvo nel Regno Unito.

Nel 1920, mio nonno Sheikh Hussain costruì una scuola con i suoi soldi nel piccolo villaggio in cui viveva la mia famiglia. Lì ha gettato le basi per una relazione che ha reso l’istruzione centrale nella vita della mia famiglia. Il 15 maggio 1948, le forze dell’Haganah fecero pulizia etnica in quel villaggio e spinsero la mia famiglia, che aveva vissuto su quella terra per generazioni, in un campo profughi a Khan Younis che ora si trova in rovina nella Striscia di Gaza. Le memorie dell’ufficiale dell’Haganah che aveva invaso la casa di mio 1nonno furono trovate da mio zio. In queste memorie, l’ufficiale nota con incredulità come la casa fosse piena di libri e avesse un certificato di laurea in legge dell’Università del Cairo, appartenente a mio nonno.

L’anno dopo la Nakba, mio padre si laureò in medicina all’Università del Cairo e tornò a Gaza per lavorare nell’UNRWA nelle sue cliniche appena formate. Ma come molti della sua generazione, si è trasferito nel Golfo per aiutare a costruire il sistema sanitario in quei paesi. Nel 1963 si trasferì a Glasgow per proseguire la sua formazione post-laurea in pediatria e si innamorò della città e della sua gente.
E fu così che nel 1988 venni a studiare medicina all’Università di Glasgow, e qui scoprii cosa può fare la medicina, come una carriera in medicina ti pone al freddo volto della vita delle persone, e come, se sei dotato delle giuste lenti politiche, sociologiche ed economiche, puoi capire come viene modellata la vita delle persone e molte volte contorta, da forze politiche al di fuori del loro controllo.

Ed è stato a Glasgow che ho visto per la prima volta il significato della solidarietà internazionale. Glasgow in quel periodo era piena di gruppi che stavano organizzando solidarietà con El Salvador, Nicaragua e Palestina. Il consiglio comunale di Glasgow è stato uno dei primi a gemellarsi con le città della Cisgiordania e l’Università di Glasgow ha istituito la sua prima borsa di studio per le vittime del massacro di Sabra e Shatila. È stato proprio durante i miei anni a Glasgow che è iniziato il mio viaggio come chirurgo di guerra, prima da studente quando sono andato alla prima guerra americana in Iraq nel 1991; poi con Mike Holmes nel Libano del Sud nel 1993; poi con mia moglie a Gaza durante la Seconda Intifada; poi alle guerre condotte dagli israeliani a Gaza nel 2009, 2012, 2014 e 2021; alla guerra di Mosul nel nord dell’Iraq, a Damasco durante la guerra siriana e alla guerra in Yemen. Ma è stato solo il 9 ottobre che sono arrivato a Gaza e ho visto il genocidio svolgersi.

Tutto quello che sapevo sulle guerre era paragonato a niente di quello che vedevo. Era la differenza tra alluvioni e uno tsunami. Per 43 giorni ho visto le macchine di morte fare a pezzi le vite e i corpi dei palestinesi nella Striscia di Gaza, metà dei quali erano bambini. Dopo il mio coming out, gli studenti dell’Università di Glasgow mi hanno contattato per candidarmi alle elezioni come rettore. Poco dopo, uno dei selvaggi di Balfour ha vinto le elezioni.

Che cosa abbiamo imparato dal genocidio e sul genocidio negli ultimi 6 mesi? Abbiamo imparato che lo scolasticidio, l’eliminazione di intere istituzioni educative, sia di infrastrutture che di risorse umane, è una componente fondamentale della cancellazione genocida di un popolo. 12 università completamente rase al suolo. 400 scuole. 6.000 studenti uccisi. 230 insegnanti uccisi. Uccisi 100 professori e presidi e due rettori di università.

Abbiamo anche imparato, e questo è qualcosa che ho scoperto quando ho lasciato Gaza, che il progetto genocida è come un iceberg di cui Israele è solo la punta. Il resto dell’iceberg è costituito da un asse di genocidio. Questo asse del genocidio è costituito dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dalla Germania, dall’Australia, dal Canada e dalla Francia. paesi che hanno sostenuto Israele con le armi – e continuano a sostenere il genocidio con le armi – e hanno mantenuto il sostegno politico al progetto genocida in modo che continuasse. Non dobbiamo lasciarci ingannare dai tentativi degli Stati Uniti di umanitarizzare il genocidio: uccidendo persone mentre lanciano aiuti alimentari con il paracadute.
Ho anche scoperto che parte dell’iceberg del genocidio sono i facilitatori del genocidio. Piccole persone, uomini e donne, in ogni aspetto della vita, in ogni istituzione. Questi facilitatori di genocidio sono di tre tipi.

  1. I primi sono quelli la cui razzializzazione e la totale alterità dei palestinesi li ha resi incapaci di provare qualcosa per i 14.000 bambini che sono stati uccisi e per i quali i bambini palestinesi rimangono insopportabili. Se Israele avesse ucciso 14.000 cuccioli o gattini, sarebbero stati completamente distrutti dalla barbarie di Israele.
  2. Il secondo gruppo è costituito da coloro che, secondo Hannah Arendt ne “La banalità del male”, “non avevano alcun motivo, se non la straordinaria diligenza nel prendersi cura del proprio avanzamento personale”.
  3. I terzi sono gli apatici. Come diceva Arendt, “Il male prospera sull’apatia e non può esistere senza di essa”

Nell’aprile del 1915, un anno dopo l’inizio della Prima guerra mondiale, Rosa Luxemburg scrisse della società borghese tedesca. “Violati, disonorati, guadati nel sangue… La bestia famelica, il sabba delle streghe dell’anarchia, una piaga per la cultura e l’umanità”. Quelli di noi che hanno visto, annusato e sentito ciò che le armi da guerra fanno al corpo di un bambino, quelli di noi che hanno amputato le membra irrecuperabili di bambini feriti non possono mai avere altro che il massimo disprezzo per tutti coloro che sono coinvolti nella fabbricazione, nella progettazione e nella vendita di questi strumenti di brutalità. Lo scopo della produzione di armi è quello di distruggere la vita e devastare la natura.

Nell’industria degli armamenti, i profitti aumentano non solo a causa delle risorse catturate durante o attraverso la guerra, ma anche attraverso il processo di distruzione di tutta la vita, sia umana che ambientale. L’idea che ci sia la pace o un mondo incontaminato mentre il capitale cresce con la guerra è ridicola. Né il commercio di armi né il commercio di combustibili fossili hanno posto all’Università.
Allora, qual è il nostro piano, questo “selvaggio” e i suoi complici?

Faremo una campagna per il disinvestimento dalla produzione di armi e dall’industria dei combustibili fossili in questa Università, sia per ridurre i rischi dell’Università a seguito della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che questa è plausibilmente una guerra genocida, sia per l’attuale causa intentata contro la Germania dal Nicaragua per complicità nel genocidio.
Il denaro del sangue genocida ricavato come profitto da queste azioni durante la guerra sarà utilizzato per creare un fondo per aiutare a ricostruire le istituzioni accademiche palestinesi. Questo fondo sarà intestato a Dima Alhaj e in memoria di una vita stroncata da questo genocidio.

Formeremo una coalizione di gruppi e sindacati studenteschi e della società civile per trasformare l’Università di Glasgow in un campus libero dalla violenza di genere.
Ci batteremo per trovare soluzioni concrete per porre fine alla povertà studentesca all’Università di Glasgow e per fornire alloggi a prezzi accessibili a tutti gli studenti.
Faremo una campagna per il boicottaggio di tutte le istituzioni accademiche israeliane che sono passate dall’essere complici dell’apartheid e della negazione dell’istruzione ai palestinesi al genocidio e alla negazione della vita. Ci batteremo per una nuova definizione di antisemitismo che non confonda l’antisionismo e il colonialismo genocida anti-israeliano con l’antisemitismo.
Combatteremo con tutte le comunità altre e razzializzate, compresa la comunità ebraica, la comunità rom, i musulmani, i neri e tutti i gruppi razzializzati, contro il nemico comune di un fascismo di destra in ascesa, ora assolto dalle sue radici antisemite da un governo israeliano in cambio del suo sostegno all’eliminazione del popolo palestinese.

Solo questa settimana, proprio questa settimana, abbiamo visto come un’istituzione finanziata dal governo tedesco ha censurato un’intellettuale e filosofa ebrea, Nancy Fraser, a causa del suo sostegno al popolo palestinese. Più di un anno fa, abbiamo visto il Partito Laburista sospendere Moshé Machover, un attivista antisionista ebreo, per antisemitismo.

Durante il volo di andata ho avuto la fortuna di leggere “Siamo liberi di cambiare il mondo” di Lyndsey Stonebridge. Cito da questo libro: “È quando l’esperienza dell’impotenza è più acuta, quando la storia sembra più cupa, che la determinazione a pensare come un essere umano, in modo creativo, coraggioso e complicato conta di più”.

90 anni fa, nella sua “Canzone di solidarietà”, Bertolt Brecht si chiedeva: “Di chi è domani domani? E di chi è il mondo?” Bene, la mia risposta a lui, a voi e agli studenti dell’Università di Glasgow: è il vostro mondo per cui lottare.

È il tuo domani da costruire. Per noi, tutti noi, parte della nostra resistenza alla cancellazione del genocidio è parlare del domani a Gaza, pianificare la guarigione delle ferite di Gaza domani. Saremo proprietari di domani. Domani sarà una giornata palestinese.

Nel 1984, quando l’Università di Glasgow nominò Winnie Mandela suo rettore nei giorni più bui del governo di P. W. Botha sotto un brutale regime di apartheid, sostenuto da Margaret Thatcher e Ronald Reagan, nessuno avrebbe potuto immaginare che in 40 anni uomini e donne sudafricani avrebbero potuto trovarsi di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia a difendere il diritto del popolo palestinese alla vita come cittadini liberi di una nazione libera.
Uno degli scopi di questo genocidio è quello di affogarci nel nostro stesso dolore. Da un punto di vista personale, voglio mantenere lo spazio in modo che io e la mia famiglia possiamo piangere per i nostri cari.

Lo dedico alla memoria del nostro amato Abdelminim ucciso a 74 anni il giorno della sua nascita. Lo dedico alla memoria del mio collega, il dottor Midhat Saidam, che era uscito per mezz’ora per portare sua sorella a casa loro in modo che potesse essere al sicuro con i suoi figli e non è più tornato. Lo dedico al mio amico e collega, il dottor Ahmad Makadmeh, che è stato giustiziato dall’esercito israeliano nell’ospedale Shifa poco più di 10 giorni fa con sua moglie. Lo dedico al sempre sorridente dottor Haitham Abu-Hani, capo del Pronto Soccorso dell’ospedale Shifa, che mi ha sempre accolto con un sorriso e una pacca sulla spalla.

Ma soprattutto lo dedichiamo alla nostra terra. Nelle parole dell’onnipresente Mahmoud Darwish, “Alla nostra terra, ed è un premio di guerra, la libertà di morire per il desiderio e l’incendio e la nostra terra, nella sua notte insanguinata, è un gioiello che brilla per il lontano sul lontano e illumina ciò che è al di fuori di esso…

Quanto a noi, dentro, soffochiamo di più!” E così voglio concludere con la speranza. Per dirla con le parole dell’immortale Bobby Sands, “La nostra vendetta sarà la risata dei nostri figli”.

HASTA LA VICTORIA SIEMPRE!

FONTE: https://mondoweiss.net/2024/04/dr-ghassan-abu-sittah-tomorrow-is-a-palestinian-day/

Annotazioni su Black Marxism, con uno o due occhi sulla Sardegna

di Enrico Lobina

Avvertenza

Non ho una conoscenza organica e completa degli studi postcoloniali. Ritengo molto utile conoscerli e studiarli perché ci permettono di fare passi in avanti rispetto al “marxismo bianco”, che ha ancora di più ristretto la capacità di lettura della società di Marx ed Engels. La società ha bisogno di chiavi di lettura, e gli studi postcoloniali lo sono. Anche perché poi, noi, il mondo lo vogliamo cambiare, lo vogliamo più giusto rispetto ad oggi.

“Black marxism – genealogia della tradizione radicale nera” è un libro uscito in lingua inglese nel 1983, e pubblicato per la prima volta in lingua italiana nel 2023, dalla casa editrice Edizioni Alegre. L’autore è Cedric J. Robinson, docente universitario statunitense, e punto di riferimento dei “black studies”. Robinson è venuto a mancare nel 2016.

La traduzione del libro è di Emanuele Gianmarco, e la prefazione e postfazione sono di Miguel Mellino, il quale in questi decenni molto si è prodigato per popolarizzare gli studi postcoloniali in Italia.

Anche perché, proprio in Italia, per ragioni varie, gli studi postcoloniali non hanno suscitato l’interesse, accademico e non solo, registrato in altri paesi dell’Europa occidentale[1]. Rispetto ad un tema che nel libro viene trattato (il sistema schiavistico delle repubbliche marinare), per esempio, Mellino scrive: “non può non colpire, infatti, l’assenza in Italia, diversamente che negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, di una ricerca storica sul proprio coinvolgimento nella genesi e nello sviluppo del sistema schiavistico globale moderno. Difficile non interpretare oggi una simile assenza o rimozione, sulla traccia del lavoro di Gloria Wekker, come parte di una tradizionale innocenza bianca italiana”[2].

Il libro, di circa 700 pagine, reinterpreta la storia dell’Europa e degli Stati Uniti, ed in definitiva del mondo non asiatico, alla luce di elementi colpevolmente dimenticati, secondo l’autore, dal pensiero marxista fino a quel momento egemone.

Robinson struttura il libro in parti diverse. Una prima parte è dedicata alla nascita ed alle vicissitudini del radicalismo europeo, al cui interno colloca sicuramente il marxismo, ma anche il nazionalismo.

Già in questa prima parte appare un concetto fondamentale, che sarà una pietra miliare dell’analisi sociale, ancora oggi estremamente utile, per il quale rimarrà famoso probabilmente per sempre: il capitalismo razziale.

Prima di affrontare questo concetto, soffermiamoci su quello di razzialismo. Il razzialismo è una delle caratteristiche più profonde dell’ordinamento della società europea. Non è legato al colore della pelle, in quanto è stato rivolto a tanti popoli che si è inteso dominare e sfruttare, già a partire dal Medioevo. Determinate caste o classi hanno sfruttato ed espropriato i popoli più disparati in nome di una superiorità. Uno degli esempi più conosciuti è quello del popolo irlandese, ma ci potremmo soffermare su tanti altri contesti. Per Robinson:

“Ci sono almeno quattro momenti che dobbiamo tenere a mente nella storia del razzialismo europeo; per due di questi le origini vanno ricercate nella dialettica dello sviluppo europeo, per gli altri due no:

  1. L’ordinamento razziale della società europea a partire dal suo periodo formativo, che si estende nelle epoche medievali e feudali sotto forma di ‘sangue’, credenze e leggende razziali;
  2. La dominazione islamica (ovvero araba, persiana, turca e africana) della civiltà mediterranea e il conseguente ritardo della vita culturale e sociale europea: il Medioevo dei cosiddetti Secoli bui;
  3. L’incorporamento dei popoli africani e asiatici e del Nuovo mondo nel sistema globale emerso dal tardo feudalesimo e col capitalismo mercantile;
  4. La dialettica del colonialismo, della schiavitù piantocratica e della resistenza dal sedicesimo secolo in avanti, e la formazione della manodopera industriale e della manodopera di riserva.

Per convenzione si tende ormai a iniziare l’analisi del razzismo nelle società occidentali con il terzo momento; ignorando interamente il primo e il secondo e facendo i conti solo in parte col quarto”[3].

La necessità di aggiungere l’aggetto “razziale” al sostantivo “capitalismo” è dato dalla sostanziale sottovalutazione, da parte del marxismo bianco, di questi aspetti. Il capitalismo si impone perché è capitalismo razziale, e la schiavitù e la razzializzazione non sono orpelli di uno sviluppo capitalistico, bensì intrinseci alle dinamiche sia di accumulazione originaria che di espansione dello stesso.

Questo concetto arriva sino ai giorni nostri, a società razzializzate in cui la natura proteiforme della società, per riprendere alcuni termini di Franz Fanon, è razzializzata al suo interno, all’interno di quella che una volta era la “metropoli” della colonia. Oggi la segmentazione razziale del lavoro si vive nella ristorazione e nell’industria meccanica dell’Europa e degli Stati Uniti, nell’agricoltura e nella pastorizia. Il colonialismo è formalmente scomparso, ma la razzializzazione è onnipresente.

Il capitalismo senza razzializzazione non sarebbe stato. Il marxismo bianco, compreso quello italiano, quello togliattiano per intenderci, ha obliterano il tema, spesso con l’obiettivo di diventare “forza nazionale”[4].

Si tratta di arricchire e completare una analisi marxista. Come scrive Angela Davis, citata da Mellino nell’introduzione, “‘il termine ‘capitalismo razziale’ […] è stato proposto dal politologo Cedric Robinson come una critica alla tradizione marxista, fondata su quella che egli chiamava la tradizione radicale nera, io credo che tale concetto possa essere anche generativo per continuare a tenere queste due tradizioni intellettuali e attiviste che si sono storicamente intrecciate in una tensione davvero produttiva. Se il nostro scopo sarà cercare di mettere in luce i diversi modi in cui il capitalismo e razzismo si sono storicamente intrecciati, dalle epoche coloniali e dalla schiavitù fino al presente […], non staremo allora operando una semplice distensione del marxismo (per dirla con Fanon), bensì continuando a sviluppare in modo critico le sue intenzioni’. Da questo punto di vista, Black Marxim, soprattutto negli scenari europei, offre notevoli spunti per una decolonizzazione tanto del maxismo occidentale quanto dell’antirazzismo bianco”[5].

Questi ragionamenti sono utili alla Sardegna? Ne sono convinto. Se è vero che è stata prestata poca attenzione al razzismo intra-europeo, è altrettanto vero che, quanto meno a partire dal 1720, è stata prestata poca attenzione al razzismo piemontese verso la Sardegna e i sardi, ritenuti essere inferiori, sostanzialmente sub-umani e, quindi, oggetto di razzializzazione.

Saltando velocemente all’oggi, il politicamente corretto impone che questi termini non si utilizzino più, e che la razzializzazione produttiva si realizzi ma non entri in un discorso pubblico, ma il tema a mio parere rimane. L’Italia ha molti problemi, ed uno è questo: una unificazione nazionale che si è costruita con una sostanziale subordinazione del sud al nord, che oggi si esplica con una emigrazione massiccia di forza lavoro, qualificata e non, per la quale si sono spesi miliardi di euro al Sud e che, successivamente, va a creare plusvalore al Nord[6]. Con tanti saluti alle varie ideologie della CGIA di Mestre e dei loro amici ed alla ideologia del “residuo fiscale”, che oggi partorisce l’autonomia differenziata.

Ma torniamo al libro.

La seconda parte del volume “Le radici del radicalismo nero” è la parte in cui l’analisi storica è più consistente, soprattutto riguardo l’Europa, e su cui sicuramente i modernisti ed i medievalisti più potranno scrivere e dire. L’obiettivo centrale di Robinson, riuscito, è dimostrare che il pensiero radicale nero ha radici, origini, autonome e non dialoganti, quanto meno per secoli, con il pensiero radicale europeo, il quale ha tra le altre cose avuto come risultato il marxismo.

Robinson, anche qua con un aggiornamento necessario, dà voce a chi voce non aveva, gli schiavi e gli africani non schiavizzati, i quali sono stati categorizzati come “negri”, per affermare il loro carattere “sub-umano”.

Robinson passa in rassegna le forme massive di resistenza alla schiavitù, di cui si hanno tracce documentaria già a partire dal seicento, e le localizza territorialmente lungo il continente americano.

Emergono novità eclatanti, quanto meno per il sottoscritto, e mi limito a riportarne una:

“Di continuo, nei rapporti, nelle memorie, nei resoconti ufficiali, nelle testimonianze dirette, nelle vicende di ciascun episodio di questa tradizione, dal sedicesimo secolo fino agli eventi riportati sui quotidiani di un mese fa, di una settimana fa, un aspetto è sempre stato presente e ricorrente: l’assenza di una violenza di massa. Gli osservatori occidentali, spesso sinceri nella loro meraviglia, hanno rimarcato più e più volte come nei moltissimi avvicendamenti fra i neri e i loro oppressori […] i neri abbiano impiegato solo saltuariamente il livello di violenza che essi stessi (gli occidentali) ritenevano adatti all’occasione. Se pensiamo che nel Nuovo mondo del diciannovesimo secolo i circa sessanta bianchi rimasti uccisi nell’insurrezione di Nat Turner abbiano comportato uno degli episodi più gravi di tutto il secolo; se pensiamo che nelle enormi sollevazioni schiavili del 1831 in Giamaica – un paese in cui 300mila schiavi sopravvivevano al dominio di 30mila bianchi – furono accertate soltanto quattordici vittime bianche, quando paragoniamo rivolta dopo rivolta le fortissime e spesso indiscriminate rappresaglie di una civilissima classe padronale (l’impiego del terrore) alla scala di violenza adottata dagli schiavi (e dai loro discendenti oggi) si ha quantomeno l’impressione che in questi popoli così brutalmente oltraggiati esista un ordine diverso e condiviso delle cose”[7].

La seconda parte è propedeutica alla terza, “Radicalismo nero e teoria marxista”, in quanto “La memoria della renitenza nera alla schiavitù e ad altre forme di oppressione, più in dettaglio, è stata metodicamente rimossa o distorta a beneficio di storiografie egemoni razzializzanti ed eurocentriche. La summa di tutto questo è stata la disumanizzazione dei neri” e “la considerazione accordata alla politica rivoluzionaria delle masse nere ha la sua fonte nel radicalismo ‘bianco’”.

Tutta la terza parte è volta, tramite l’esame di alcuni intellettuali di riferimento, a smontare quest convinzione profonda, presente nel marxismo bianco e, più in generale, nelle organizzazioni di classe del XX secolo, ed anche del XXI sui due lati dell’oceano atlantico.

Gli intellettuali esaminati sono William Edward Brughardt Du Bois, abbreviato W.E.B. Du Bois, Cyrill Lionel Robert James, abbreviato C.L.R. James, e Richard Wright.

Robinson discute anche la parabola intellettuale di professori e dirigenti rivoluzionari, che abbracciarono il marxismo e spesso terminarono per acquisire una coscienza più profonda, un pensiero radicale nero.

Robinson lungo tutto il volume, e specialmente in questa terza parte, presenta il dato di fatto che l’élite nera accettò la razzializzazione dei neri, e la usò per potersi ritagliare uno spazio sociale, o di rendita o di intermediazione[8].

Du Bois è stato un grandissimo studioso, ed ha scritto parole non emendabili sulla schiavitù:

“Nelle primissime pagine di Black Reconstruction Du Bois individua subito quale sia per lui la contraddizione fondamentale di tutta la storia americana, quella che avrebbe sovvertito l’ideologia fondante del paese, distorto le sue istituzioni, traumatizzato i rapporti sociali e la formazione delle classi, fino a disorientarne, nel ventesimo secolo, anche i ribelli e rivoluzionari:

sin dal giorno della sua nascita l’anomalia della schiavitù ha infettato una nazione che affermava l’uguaglianza fra tutti gli uomini e ambiva a fondare ogni suo potere di governo sul consenso dei governati. In mezzo a questo coro di proclami vivevano più di mezzo milione di schiavi neri, quasi un quinto di tutti gli abitanti della giovane nazione.

È stato il lavoratore nero, pietra angolare del nuovo sistema economico e del mondo moderno, a portare la guerra civile nell’America del diciannovesimo secolo. Era lui la causa sottintesa, a prescindere da qualsiasi tentativo di individuare nel potere nazionale e in quello dell’Unione le radici del conflitto”[9].

Attraverso le figure dei tre intellettuali citati si esamina anche la storia del rapporto tra il comunismo ortodosso statunitense, ed il Comintern, e la questione nera, o negra, come scriveva allora proprio il Comintern.

Secondo Robinson, “Dopo il 1922, la tutela e la formazione dei quadri neri in Unione Sovietica vennero prese piuttosto seriamente”.

A fine 1928 la “questione negra americana” venne inserita nel rapporto congressuale dal titolo “tesi sul movimento rivoluzionario nelle colonie e nelle semi-colonie”. Insomma, il comunismo “ufficiali”, si accetti questa definizione per semplificazione, si accorse della questione negra e la affrontò seriamente.

Ma non bastò. La Terza Internazionale, nel frattempo ideologicamente, politicamente ed organizzativamente egmonizzata dallo stalinismo, non compì quegli sforzi teorici e non ebbe la necessaria dose di coraggio che sarebbe stata necessaria per affrontare, per esempio, quanto scriveva C.L.R. James[10] riguardo Haiti. Nelle parole di Robinson

“Il capitalismo aveva prodotto la sua negazione storica e sociale in entrambi i due poli della sua espropriazione: l’accumulazione capitalistica aveva prodotto il proletariato nel centro manifatturiero; l’accumulazione originaria aveva posto le basi sociali per le masse rivoluzionarie della periferia. Ma ciò che distingueva le formazioni di queste due classi rivoluzionarie era la fonte dei loro sviluppi ideologici e culturali. Mentre il proletariato europeo si era formato attraverso le idee della borghesia  […] ad Haiti e presumibilmente altrove, fra le popolazioni schiave, gli africani avevano costruito la loro propria cultura rivoluzionaria:

E comunque non c’è bisogno di istruzione e di incoraggiamento per coltivare sogni di libertà. Nei riti notturni Voodoo, il loro culto africano, gli schiavi danzavano solitamente al ritmo del canto preferito: […]

Giuriamo di distruggere i bianchi e tutto ciò che posseggono; moriremo piuttosto che infrangere questo voto […]

Siamo davanti a qualcosa di lontanissimo dal modo in cui Marx ed Engels avevano concepito la forza trasformativa e razionalizzante della borghesia. Implicava (e James non se ne accorse) che la cultura, il pensiero e l’ideologia borghese fossero irrilevanti per lo sviluppo della coscienza rivoluzionaria fra i neri e gli altri popoli del Terzo mondo. Significava rompere con la catena evoluzionistica implicita nel materialismo storico e nella sua dialettica chiusa”[11].

Il lavoro di Robinson, letto a 40 anni dalla sua pubblicazione, per un pubblico italiano oggettivamente lontano da quelle realtà e da quei dibattiti, è importante. Si destruttura la storiografia americana e occidentale. Si pone a critica la tradizione intellettuale socialista ed il marxismo, organizzato e non.

Il movimento radicale nero ha ricreato, con l’impatto con la schiavitù ed il dominio razziale, una chimica collettiva, e personale, che è diventato un movimento sociale (vedi i recenti movimenti Black lives Matter), i quali non affondano le loro radici nel radicalismo europeo.

La categoria di capitalismo razziale resta utilissima, innanzitutto in Europa, sia per il passato che per il presente: “Il capitalismo razziale appare qui come uno sviluppo del razzialismo, ovvero come il prodotto di una costruzione culturale gerarchica e medievale che le nazioni europee estenderanno a tutto il globo, come modello di sfruttamento, durante l’espansione coloniale, nello specifico con l’ascesa delle borghesie mercantili e dello stato-nazione assoluto moderno” […] “uno degli assunti di Black Marxism è che non vi potrà essere un capitalismo non razziale”[12].

Esiste, in altri termini, un vincolo strutturale tra capitalismo e razzismo, che per esempio l’antirazzismo borghese europeo, che poi è quello praticato dalle cosiddette sinistre, non vede.

Ciò non toglie che “Black marxism”, che è un libro del 1983, non vada aggiornato, soprattutto nelle sue analisi storiche, e non sono io in grado di farlo, riguardo ad una messe enorme di studi che hanno approfondito ed introdotto novità riguardo ad una miriade di fenomeni storici analizzati dalla studioso.

Per concludere sul libro ““Il capitalismo razziale appare qui come uno sviluppo del razzialismo, ovvero come il prodotto di una costruzione culturale gerarchica e medievale che le nazioni europee estenderanno a tutto il globo, come modello di sfruttamento, durante l’espansione coloniale, nello specifico con l’ascesa delle borghesie mercantili e dello stato-nazione assoluto moderno” […] “uno degli assunti di Black Marxism è che non vi potrà essere un capitalismo non razziale” e “la questione al cuore del testo: ciò che manca nel marxismo storico, si potrebbe dire, è un’interrogazione più radicale delle origini della civiltà occidentale, così come della sua appartenenza culturale, come movimento teorico-politico, al campo della filosofie europea”.[13]

Postilla – E l’Asia?

L’Asia è completamente assente dal libro di Robinson. È comprensibile. India, Cina, Viet Nam e Giappone, e l’insieme del continente (Russia esclusa) hanno vissuto tra settecento e novecento parabole coloniali diverse rispetto al capitalismo razziale dell’Africa e soprattutto delle Americhe. Non che a quei paesi non si possa adattare il concetto di capitalismo razziale, o che non siano paesi razzializzati, in modi completamente diversi rispetto a quanto possiamo immaginare[14].

La risposta durante il novecento, e questa forse è la ragione del silenzio di Robinson, il quale alla fine aveva comunque un tema ben definito da affrontare, del comunismo asiatico è stata nei fatti diversa rispetto a quella del comunismo ortodosso. In Cina e Viet Nam, infatti, da una parte si aveva una conformazione sociale molto diversa rispetto al capitalismo razzializzato nordamericano ed europeo, perché si aveva un regime coloniale molto duro e con un consenso largo, seppur passivo, tra le élite. Dall’altra, il comunismo cinese e vietnamita è riuscito a far sposare, convivere, e poi far vincere, le loro rispettive “tradizioni radicali” autoctone, con una elaborazione marxista originale, anch’essa autoctona. Da qua la loro vittoria e, probabilmente, la capacità di sopravvivere, insieme al Kerala ed altre realtà, alla caduta del Muro di Berlino



[1] E forse questa è anche una delle ragioni per cui, come da ultimo ha scritto Salvatore Cannavò su Jacobin, “La seconda repubblica si è mangiata la sinistra”. https://jacobinitalia.it/la-seconda-repubblica-si-e-mangiata-la-sinistra/

[2] Cedric J. Robinson, Black Marxism – Genealogia della tradizione radicale nera, Edizioni Alegre, Roma 2023, p. 772

[3] Idem, p. 168-169

[4] Per esempio Togliatti ed il PCI decisero di porre in secondo piano, e di non fare emergere come grande questione politica generale, i temi posti sia dall’occupazione delle terre a fine anni quaranta e durante gli anni cinquanta, sia le battaglie contro la emigrazione che, per esempio, vide in Calabria protagonista un gigante del comunismo italiano novecentesco italiano come Paolo Cinanni. Si preferì calcare la mano sul “vento del Nord”, e sostanzialmente non contrastare adeguatamente le emigrazioni di massa dei contadini, mezzadri e semi-proletari del sud Italia, i quali andarono a costituire un segmento lavorativo, parzialmente razzializzato, il quale costituì un serbatoio di manodopera fondamentale per il “miracolo economico italiano”. I “margini” non divennero centrali nell’intervento politico del PCI. Di Paolo Cinanni si veda “Che cos’è l’emigrazione – scritti di Paolo Cinanni”, edito dalla FILEF nel 2016, scaricabile al link https://filef.info/index.php/2017/07/04/che-cose-lemigrazione-scritti-di-paolo-cinanni-e-ora-scaricabile-on-line/

[5] Cedric J. Robinson, Black Marxism – Genealogia della tradizione radicale nera, Edizioni Alegre, Roma 2023, p. 18

[6] Sulla emigrazione giovanile qualificata sarda, con qualche riferimento ai costi dell’emigrazione dal sud Italia, cfr. http://www.enricolobina.org/wp/2018/02/04/emigrazione-giovanile-qualificata-in-sardegna-lo-studio/

[7] Cedric J. Robinson, Black Marxism – Genealogia della tradizione radicale nera, Edizioni Alegre, Roma 2023, p. 400

[8] Non è successa la stesa cosa per i sardi? La cosiddetta sinistra politica e sindacale sarda, e gli stessi Riformatori Sardi, non sono o aspirano ad essere una élite di mediazione, una membrana che media gli interessi capitalistici italiani per renderli digeribili ai sardi, al contrario della destra, la quale è molto più diretta nella gestione del potere?

Chiaramente questo tema andrebbe approfondito con molta attenzione, al di là dei riferimenti contemporanei. Varrebbe la pena utilizzare la lente di Robinson per discutere della razzializzazione, per esempio, nel settore delle miniere. Consiglio l’articolo di Andria Pili “Capitalismo globale e ordine bianco” rintracciabile qui: https://www.filosofiadelogu.eu/2022/capitalismo-globale-e-ordine-bianco-di-andria-pili/ e, più in generale, tutta l’elaborazione di Filosofia de Logu, https://www.filosofiadelogu.eu/.

[9] Cedric J. Robinson, Black Marxism – Genealogia della tradizione radicale nera, Edizioni Alegre, Roma 2023, p. 459.

[10] C.L.R. James è l’autore del libro “I giacobini neri”.

[11] Cedric J. Robinson, Black Marxism – Genealogia della tradizione radicale nera, Edizioni Alegre, Roma 2023, p. 614-615.

[12] Idem, p. 722

[13] Idem, pp. 733-735

[14] Chi ha studiato un po’ la Cina sa, anche senza aver studiato il cinese, che il termine straniero in cinese, “lao wai”, è un termine dispregiativo, l’equivalente di “barbaro straniero”.

FONTE: http://www.enricolobina.org/situ/annotazioni-su-black-marxism-con-uno-o-due-occhi-sulla-sardegna/

Gli Usa e il “metodo Giacarta”: il massacro delle popolazioni come politica estera

di Piero Bevilacqua

Chi legge il libro di Vincent Bevins, Il metodo Giacarta, La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo (Einaudi, 2021) ne uscirà con una visione rovesciata della storia mondiale dopo il 1945, e con l’animo sconvolto. È successo anche a me, storico dell’età contemporanea, e testimone del mio tempo, a cui tanti fatti e vicende qui raccontate erano noti. L’autore è un prestigioso giornalista americano, che è stato corrispondente del Washington Post, del Los Angeles Times, del Financial Times, ha scritto per il New York Times e tanti altri giornali americani e inglesi. Già questa appartenenza al giornalismo USA, per quel che racconta di gravissimo in danno dei governi del proprio paese, costituisce una prima garanzia di imparzialità e obiettività. D’altra parte non sarebbe la prima volta. Quello dei giornalisti americani che scavano nelle carte segrete e denunciano le malefatte dei loro governanti è un fenomeno non raro, che fa onore a quei professionisti. È sintomatico dell’onestà di fondo dell’animo e della cultura antropologica di gran parte del popolo americano, comunque ormai ampiamente manipolati. È così clamorosa la contraddizione con gli ideali democratici della loro formazione, che non pochi giornalisti, allorché scoprono azioni omicide segrete del loro Stato, sono spinti a una ribellione morale che li porta a intraprendere vaste indagini e a scrivere libri come questi.

Ma l’autorevolezza del Metodo Giacarta si fonda sullo scrupolo scientifico di Bevins, sulla vastità e rilevanza documentaria delle sue fonti, che sono carte desecretate degli archivi americani e di vari paesi del mondo, pubblicazioni di altri studiosi, registrazioni dirette di riunioni segrete, telegrammi, testimonianze rese dai protagonisti e soprattutto dai sopravvissuti ai massacri ecc. Grazie a questi materiali l’autore ci fa entrare spesso direttamente nel tabernacolo del potere americano, facendoci assistere a conversazioni inquietanti, come quella del 1963, in cui John Kennedy ordina agli uomini della sua amministrazione, che lo informano sulla condotta non gradita del presidente del Vietnam del Sud, Ngo Dinh Diem: «fatelo fuori». «Diem venne rapito insieme a suo fratello. I due vennero uccisi a colpi i pistola e a pugnalate nel retro di un furgone blindato». E non meno sconcertanti sono le informazioni che si ricevono su personaggi ai quali, ad esempio, è andata per decenni la nostra simpatia umana e politica. Non si può rimanere indifferenti quando si apprende che dopo il fallito tentativo USA di invadere Cuba alla Baia dei Porci, nel 1961, Robert Kennedy «suggerì di far esplodere il consolato americano per giustificare l’invasione».

Ma in che cosa consiste il rovesciamento della storia ufficiale, da tutti accettata, degli ultimi 70-80 anni di storia mondiale? In breve, a partire dal dopoguerra, gli USA mettono in atto una strategia sempre più perfezionata per controllare e dominare economicamente e militarmente il maggior numero possibile dei paesi che si stavano liberando del colonialismo della Gran Bretagna, della Francia e dell’Olanda. Giova ricordare che in quei paesi, quasi ovunque, si affermano in quegli anni forze politiche nazionaliste che tentano di recuperare e gestire le proprie risorse, con processi di nazionalizzazione, ad esempio delle compagnie petrolifere (come fa in Indonesia il presidente Sukarno), delle miniere, delle piantagioni ecc. A queste riforme di solito si accompagnano programmi di alfabetizzazione della popolazione, costruzione di scuole pubbliche, distribuzione delle terre ai contadini, riforme agrarie. Tali strategie riformatrici di governi che intendono affacciarsi allo sviluppo economico dopo la guerra, seguono una politica equidistante tra Washington e Mosca, anche se talora sono appoggiati dai partiti comunisti nazionali. Ma essi sono guardati con sospetto e ostilità dagli USA che tramano segretamente per il loro rovesciamento. Talora è proprio la scoperta di tale ostilità che porta i dirigenti nazionalisti a guardare con favore e a chiedere appoggio a Mosca o a diventare comunisti, come accadde a Fidel Castro, dopo la fallita invasione americana di Cuba nel 1961.

Spesso a dare il via ai progetti dei colpi di stato sono le pressioni sulle amministrazioni americane delle compagnie petrolifere, o dei grandi proprietari terrieri, che vedono anche semplicemente contrastato il loro vecchio modello di sfruttamento coloniale delle risorse locali. Nel 1954 in Guatemala è il caso della United Fruit Company, sospettata di frodare il fisco. La pretesa del Governo guatemalteco di far rispettare gli obblighi fiscali alla ditta monopolista costò cara al Guatemala. Dopo due falliti colpi di Stato, «la Cia piazzò casse di fucili con l’effige della falce e del martello in modo che fossero “scoperti” e costituissero la prova della infiltrazione dei sovietici». Da li cominciò l’ingerenza armata degli USA, con varie vicende e campagne di terrorismo psicologico, di diffamazione dei comunisti come agenti di Mosca, a cui qui non possiamo neppure accennare. Il colpo di Stato si concluse con l’insediamento di Castillo Armas, il favorito degli USA. «In Guatemala tornò la schiavitù. Nei primi mesi del suo governo, Castillo Armas istituì il Giorno dell’anticomunismo e catturò e uccise dai tre ai cinquemila sostenitori di Arbenz» (il presidente deposto, che aveva avviato la riforma agraria).

Qui davvero è impossibile dar conto delle trame ingerenze messe in atto da tutte le amministrazioni USA degli ultimi 70 anni per controllare i paesi che uscivano dalle antiche colonizzazioni europee, spesso con l’aiuto del Regno Unito, maestro secolare di dominio coloniale, che in tanti casi rese onore alla sua tradizione sanguinaria. Lo fecero spesso con colpi di Stato poche volte falliti, ma spesso ripetuti fino al finale cambio di regime: in Iran (1953), Guatemala (1954), Indonesia (1958 e 1965), Cuba (1961), Vietnam del Sud (1963), Brasile (1964), Ghana (1966), Cile (1973) e un numero incalcolabile di sabotaggi, uccisioni, condizionamenti delle politiche del vari governi. Senza mettere nel conto la guerra contro il Vietnam, scatenata con il falso pretesto dell’“incidente del Tonchino”, che provocò 3 milioni di morti, oltre ai vasti bombardamenti con gli elicotteri dei villaggi contadini «in Cambogia e Laos [dove] ne morirono molti di più». Ricordo che dopo il colpo di stato in Brasile non ci furono più elezioni per 25 anni e la violenta dittatura di Suharto, in Indonesia, durò 32 anni.

Gli strumenti di queste politiche erano – come scrive lapidariamente Bevins – «esercito e finanza». I capi di tanti eserciti nazionali si erano formati spesso nelle scuole militari degli USA, e comunque venivano corrotti da ingenti finanziamenti americani, donazioni e vendite di armi, manovrati dalla Cia. In tante realtà si creò una scissione tra i governi indipendenti, che spesso venivano economicamente strozzati dai sabotaggi commerciali e finanziari, e i sistematici finanziamenti segreti forniti agli eserciti. Ma il cemento ideologico più determinante, e forse in assoluto la leva più potente che rese possibile l’intero progetto, fu la propaganda anticomunista, con tutto il repertorio di orrori fasulli di cui venivano ritenute responsabili le forze che vi si ispiravano. La minaccia del comunismo, oltre ad essere una formidabile arma di controllo sociale interno dei gruppi dirigenti americani, fu il fondamento psicologico e culturale, potremmo definirlo egemonico, su cui i vari golpisti riuscirono a coinvolgere nei massacri anche pezzi di popolazione civile. Uno strumento di persuasione di massa reso possibile dal fatto che in quasi tutti i paesi “attenzionati” dagli USA, la stampa era in mano ai grandi proprietari terrieri, o alle compagnie petrolifere, ostili alle riforme agrarie e alle nazionalizzazioni, in grado di imbastire campagne di falsificazione su larga scala, fondate su racconti di storie inventate, riprese dalle radio, talora trasformati in film e documentari.

Che cosa è il Metodo Giacarta? In breve. L’Indonesia, il quarto paese più popoloso del pianeta, che ospitava il terzo più grande Partito comunista del mondo (PKI), sostenuto da milioni di militanti, non poteva restare indipendente. Dopo vari tentativi falliti, uno riuscì e fu il più sanguinoso dei piani messi in atto dagli USA. Il pretesto definitivo fu un oscuro episodio ancora oggi non chiarito. Alcuni militari sequestrarono cinque generali dell’esercito indonesiano che poi furono trovati uccisi. Fu lanciata allora una campagna su larga scala di terrore psicologico, attraverso la stampa, la radio, i comizi. Venne sparsa la voce che i cinque uomini fossero stati oggetto di sevizie, mutilati dei genitali e poi massacrati, mentre alcune donne danzavano nude intorno a loro, svolgendo riti satanici. Nel 1987, quando tutto era ormai dimenticato, venne alla luce che la storia era un falso, i generali, secondo l’autopsia fatta eseguire allora da Suharto, il golpista a servizio degli USA che estromise il presidente Sukarno, aveva rivelato che erano tutti morti per colpi di arma da fuoco, eccetto uno, ucciso da una lama di baionetta, probabilmente durante il sequestro nel suo appartamento. Quel che seguì a Giacarta e in tutte le isole dell’arcipelago, dopo quella provocazione e quella campagna di caccia ai terroristi comunisti, è difficile da immaginare e da raccontare: «Le persone non venivano ammazzate nelle strade, non venivano giustiziate ufficialmente, le famiglie non erano sicure che fossero morte: venivano arrestate e poi scomparivano nel cuore della notte». Solo giorni dopo, come si vide ad esempio nel fiume Serayu, «gli omicidi di massa divennero evidenti: i corpi ammassati erano così tanti da ostacolare il corso del fiume e il tanfo che emanavano era orribile». In proporzione agli abitanti, l’isola che che subì la quota maggiore di uccisioni fu Bali, il 5% della popolazione, oltre 80 mila persone finite a colpi di machete. Non andò bene alle indonesiane: «Circa il 15% delle persone prese prigioniere furono donne. Vennero sottoposte a violenze particolarmente crudeli e di genere», ad alcune «tagliarono i seni o mutilarono i genitali; gli stupri e la schiavizzazione sessuale erano diffusi ovunque». Alla fine i morti complessivi, secondo calcoli necessariamente sommari, si aggirarono tra 500 mila e 1 milione di persone, mentre un altro milione venne rinchiuso nei campi di concentramento. Il PKi, cui non poté essere addebitata nessuna sommossa o violenza, venne sterminato. A compiere i massacri furono i militari indonesiani, le squadre armate dei proprietari terrieri, bande di persone comuni assoldate o sobillate dalla propaganda. «Le liste delle persone da uccidere non furono fornite all’esercito indonesiano soltanto dai funzionari del governo degli Stati Uniti: alcuni dirigenti di piantagioni di proprietà americana diedero i nomi di sindacalisti e comunisti “scomodi” che poi furono uccisi». Più tardi il Tribunale internazionale del Popolo per il 1965 convocato all’Aja nel 2014, dichiarò i militari indonesiani colpevoli di crimini contro l’umanità, e stabili che il massacro era stato realizzato allo scopo di distruggere il Partito comunista e «sostenere un regime dittatoriale violento» e che esso venne realizzato con il supporto degli USA, del Regno Unito e dell’Australia. Dopo il 1965 il Metodo Giacarta venne teorizzato da molti dirigenti filoamericani dell’Asia e dell’America Latina e usato anche come parola d’ordine con cui venivano terrorizzati i dirigenti comunisti e i politici nazionalisti che proponevano riforme e nazionalizzazioni. Venivano minacciati facendo circolare la voce: «Giacarta sta arrivando» .

Alcune considerazioni per concludere. Noi conosciamo da tempo molte delle operazioni, spesso ben documentate, condotte dagli USA in giro per il mondo almeno a partire dal dopoguerra. Nel voluminoso William Blum, Il libro nero degli Stati Uniti (Fazi, 2003, ed. orig. Killing Hope. U.S. Military and CIA Interventions Sine World War II, 2003, che meglio rispecchia contenuto del volume e intenzioni dell’autore), se ne trova, da oltre 20 anni, un repertorio vastissimo e di impeccabile serietà storiografica. Ma il libro di Bevins ha qualcosa in più. Esso non mostra soltanto come gli USA abbiano condotto una politica estera fondata sulla violazione sistematica del diritto internazionale, spesso calpestando il diritto alla vita di milioni di persone. Non è solo questo, che sarebbe sufficiente per illuminare di luce meridiana le ragioni dell’attuale “disordine” mondiale. Il Metodo Giacarta mostra che cosa ha prodotto quella guerra segreta, che ha impedito l’emancipazione dei popoli usciti dal dominio coloniale e la nascita di un terzo polo mondiale dei paesi cosiddetti “non allineati”: cioè equidistanti rispetto a Washington e Mosca. Il grande progetto di mutua cooperazione avviato con la Conferenza di Bandung nel 1955, di cui Sukarno era stato uno dei protagonisti, si dissolse. I paesi del Sud del mondo vennero ricacciati nella loro subalternità che in tanti casi si è protratta fino quasi ai nostri giorni.

Perciò Bevins può scrivere, alludendo ai colpi di stato in Brasile e Indonesia: «La cosa più sconvolgente, e la più importante per questo libro, è che i due eventi in molti altri paesi portarono alla creazione di una mostruosa rete internazionale volta allo sterminio di civili – vale a dire al loro sistematico omicidio di massa – e questo sistema ebbe un ruolo fondamentale nel costruire il mondo in cui viviamo oggi». È, infatti, il nostro tempo che questo libro rende comprensibile. Alla luce di quanto accaduto, le guerre intraprese dagli USA, da soli o con la Nato, ispirate alla retorica delle lotta al terrore o all’esportazione della democrazia, in Jugoslavia, Afganistan, Iraq, Libia, Siria e ora in Ucraina, non sono una svolta aggressiva della politica estera USA nel nuovo millennio, ma la continuazione coerente del perseguimento del proprio dominio globale, da mantenere con ogni possibile mezzo.

FONTE: https://volerelaluna.it/mondo/2024/04/22/gli-usa-e-il-metodo-giacarta-il-massacro-delle-popolazioni-come-politica-estera/

“Israele ha ucciso operatori umanitari a Gaza per fermarci”: il racconto di Oscar Camps (Open Arms) a Fanpage

Òscar Camps, fondatore e direttore della Ong Proactiva Open Arms, in un’intervista a Fanpage.it ripercorre il bombardamento con cui l’esercito israeliano ha ucciso sette operatori umanitari che stavano portando alimenti a Gaza. Ora i viaggi si sono fermati: “Non posso mettere a rischio la vita dei miei operatori, se non c’è un cessate il fuoco”.

A cura di Elena Marisol Brandolini

Òscar Camps è un soccorritore, attivista e imprenditore catalano, fondatore e direttore della Ong spagnola Proactiva Open Arms. Assieme alla Ong americana World Central Kitchen dello chef spagnolo José Andrés, Open Arms ha realizzato una missione a Gaza, aprendo per la prima volta, dopo trent’anni, un corridoio marittimo, per portare viveri alla popolazione palestinese. In questa occasione, sette attivisti della WCK sono rimasti uccisi sotto le bombe sganciate dagli israeliani, mentre portavano a termine l’operazione di sbarco dei viveri sulla Striscia. Ne parliamo con Camps, presso gli uffici della sua Ong, nel porto di Badalona.

Ci racconta la sua missione via mare a Gaza?

Pensavo che bisognasse fare qualche cosa per aiutare la popolazione palestinese, ma non sapevo come. Alla fine dello scorso novembre, mi telefonò José Andrés, con lui e la sua Ong, World Central Kitchen, avevamo fatto una missione in Ucraina al principio della guerra, partendo dalla Romania, attraversando il Mar Nero e risalendo il Danubio. Ed era andata molto bene, avevamo fatto quattro viaggi per portare viveri alla popolazione.

E nel caso di Gaza come avete operato?

Andrés voleva fare qualcosa anche a Gaza, mi disse che lì aveva 60 cucine con 300 persone che vi lavoravano per offrire pasti caldi. Era già intervenuto prima in occasione dell’attentato di Hamas e poi, quando sono cominciati i bombardamenti su Gaza, si era spostato sulla Striscia. Ma i camion di viveri non potevano entrare via terra e allora mi propose di allestire una via marittima. Cominciò quindi a muovere tuti i suoi contatti diplomatici, era stato consulente di Obama e ora lo è di Biden alla Casa Bianca, in materia alimentare; Andrés è una persona molto conosciuta, è stato presente in tutti i conflitti in giro per il mondo. Si mise quindi a cercare la maniera di ottenere i permessi per aprire una via marittima. Il 20 dicembre, il ministro degli Esteri israeliano annunciava l’apertura di un corridoio umanitario marittimo dal porto di Larnaca a Cipro fino a Gaza. Pensammo allora che avremmo potuto utilizzare quel corridoio per fare entrare i viveri nella Striscia e cominciammo a prepararci per il viaggio. Noi eravamo in Italia in quel momento, ci avevano bloccati da venti giorni a Crotone.

Cosa aveva mosso Israele ad annunciare l’apertura del corridoio?

Non era stato certo per i contatti di Andrés, capimmo solo più avanti come fosse andata. Appena ci lasciarono partire da Crotone, viaggiammo alla volta di Larnaca con tutti i viveri a bordo. Arrivati, chiedemmo del corridoio, parlammo col governo di Cipro, Andrés andò in Israele a incontrare il ministro degli Esteri. E ci rendemmo conto che era un corridoio finto, perché aveva un porto di uscita ma non di attracco a Gaza, ossia il corridoio non esisteva. E qui cominciò la prima difficoltà: dovevamo fare un progetto per sbarcare sulla spiaggia i viveri. Dal momento che noi siamo esperti di spiagge, abbiamo allestito un progetto di carico, trasporto e sbarco sulla spiaggia, che includeva la costruzione di un piccolo frangiflutti per poter portare una piattaforma flottante trainata da Open Arms con 200 tonnellate di viveri, accostarla al frangiflutti e da lì scaricare i viveri con i camion. Allora, mettemmo in campo tutta la pressione politica necessaria.

In che modo?

José Andrés andò in Giordania per incontrare il re, dicendogli che stavamo presentando un progetto per rendere effettivo il corridoio di Israele e chiedendone il sostegno. Andò a cercare l’appoggio anche degli Emirati Arabi e degli Stati Uniti, conseguendo una pressione diplomatica tale che Israele ci propose di presentargli il progetto. Ci furono molte riunioni, rimanemmo un mese a Larnaca per preparare tutto e alla fine Israele autorizzò la missione: d’altronde non potevano fare altrimenti, perché avevano annunciato il corridoio. Andrés, allora, inviò gente sua a Gaza per realizzare il frangiflutti, mentre Israele cercava di rendere difficile l’operazione con ispezioni continue, rallentando i tempi dei lavori. Magari pensavano che non ne saremmo stati capaci e invece ci riuscimmo.

Come si arriva all’attentato in cui vengono uccisi sette cooperanti della WCK?

Non appena Israele approva il progetto, Biden annuncia che una Ong e gli Stati Uniti avrebbero fatto un porto: rimaniamo molto sorpresi, perché il porto lo avevamo costruito noi… Allora, Ursula von del Leyen arriva a Cipro e, senza neppure passare a salutarci, informa in conferenza stampa che il corridoio umanitario europeo sarà presto in funzione… Ossia, tutti si ascrivono il merito dell’operazione. Facciamo il primo viaggio e rientriamo con l’idea di farne altri. A quel punto, gli Emirati Arabi affittano un’imbarcazione, la Jennifer, con 600 tonnellate di viveri per partecipare alla missione. Ovviamente, in una situazione del genere, conta molto l’elemento meteorologico, perché col mare cattivo diventa impossibile sbarcare i viveri. Appena il tempo si ristabilisce ci muoviamo tutti per il secondo viaggio, con l’Open Arms, la Jennifer e un altro rimorchiatore ad accompagnarci.

Prima però va rimesso a posto il frangiflutti che era stato danneggiato dal maltempo e Andrés invia dei lavoratori apposta a Gaza. Ricominciano le difficoltà messe in atto per rallentare i lavori da parte delle autorità israeliane, che ci avevano contingentato i tempi dell’operazione. Comunque ci riusciamo, la Jennifer rimane in acque internazionali e noi entriamo con la piattaforma a Gaza con i viveri, la svuotiamo e torniamo a ricominciare, per finire col trasportare tutte le tonnellate di cibo. Ossia, il corridoio comincia a essere aperto stabilmente, vi è la presenza di altri paesi, con una quantità di viveri consistente: a quel punto, credo che Israele si renda conto che è un processo che si va consolidando. Finiamo di scaricare i viveri e mentre ce ne stiamo andando verso le acque internazionali per un altro carico, cominciano a bombardare gli operatori della WCK che erano rimasti a terra, ammazzandoli tutti.

Avete assistito alla tragedia?

Non l’abbiamo vista ma l’abbiamo sentita, eravamo in mare, abbiamo sentito il bombardamento e le grida per radio, hanno sganciato tre bombe…

Hanno ucciso intenzionalmente?

Certo, hanno attaccato prima la terza macchina dove c’era il personale addetto alla sicurezza, erano state rispettate tutte le richieste avanzate dalla autorità israeliane, la rotta era stabilita, avevano i passaporti di tutti noi, tutto era in regola, eravamo in zona di controllo dell’esercito israeliano. Avrebbero potuto attaccare loro come noi, che eravamo molto vicini. Hanno bombardato la macchina come avrebbero potuto bombardare la nostra imbarcazione.

Perché lo hanno fatto?

Io credo che volessero fermare tutto. Aprire una via umanitaria per mare e non metterci un porto è già un modo per generare una falsa aspettativa, poi arrivano questi da Badalona e risolvono il tema del porto mancante, riescono a sbarcare i viveri nonostante le difficoltà una, due volte… Quando l’operazione si va consolidando, bombardano e finisce tutto.

Pensate di tornarci?

Non posso mettere a rischio la vita dei miei operatori, se non c’è un cessate il fuoco. Questa via non era la soluzione, era solo una via in più. La soluzione è un cessate il fuoco e la pace. E adesso è tutto fermo.

E la WCK?

Hanno fermato tutto. Loro a Gaza hanno dei collaboratori locali, il resto è tutto fuori ormai. E a Cipro io ho l’imbarcazione e ci sono ancora tonnellate di cibo non distribuito, dovremo vedere cosa farne.

Conosceva le persone che sono state uccise?

Sì, avevamo lavorato insieme. Eravamo a Cipro all’inizio per preparare tutto e poi avevamo viaggiato verso il frangiflutti. Quando erano a Gaza già non ci vedevamo più, ma ci parlavamo per telefono.

Le è parso sufficiente il cordoglio espresso dalle cancellerie europee e dagli Stati Uniti per la strage?

Non capisco come la presidente della Commissione possa venire a Larnaca ad annunziare che rappresentiamo la prova pilota del corridoio umanitario europeo e quando poi vengono uccisi gli operatori umanitari della prova pilota europea, si limiti a esprimere le condoglianze. Mi sembra un livello di ipocrisia così alto che mi defrauda.

Borrell ha detto che Israele sta utilizzando la fame come un’arma di guerra, che ne pensa?

Quello che sta succedendo a Gaza è un genocidio pensato per eliminare il massimo di gente possibile, davanti alla passività degli Stati. Non posso capacitarmi che si ammazzino oltre 30.000 persone, che si permetta in pieno secolo XXI a uno Stato di comportarsi così. Ci sono norme che il diritto internazionale impone anche alle guerre.

Che ne pensa del cessate il fuoco che si sta discutendo all’Onu?

Credo che la situazione richieda un intervento, se non si arriva al cessate il fuoco. Va fermata immediatamente. La Spagna vende armi a Israele, tutti esprimono cordoglio ma vendono armi, c’è un alto grado di cinismo e di ipocrisia nella classe politica mondiale. Incriminare Netanyahu per crimini di guerra non è un’assurdità, a lui interessa far crescere il conflitto per mantenersi nel potere. La stessa società israeliana sarebbe dovuta intervenire. È una vergogna globale.

continua su: https://www.fanpage.it/politica/israele-ha-ucciso-operatori-umanitari-a-gaza-per-fermarci-il-racconto-di-oscar-camps-open-arms-a-fanpage/
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GAZA – Il Cessate il fuoco non è un optional: è un obbligo!

il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una Risoluzione (n.2728) che chiede un immediato cessate il fuoco “per la durata del mese di Ramadan, che porti a un cessate il fuoco duraturo e sostenibile”. Le autorità israeliane devono fermare immediatamente la loro brutale campagna di bombardamenti su Gaza e facilitare l’ingresso degli aiuti umanitari

di Domenico Gallo

Il 25 marzo dopo 170 giorni, durante i quali Israele ha messo a ferro e a fuoco la Striscia di Gaza provocando sofferenze inenarrabili alla sua sfortunata popolazione, finalmente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una Risoluzione (n.2728) che chiede un immediato cessate il fuoco“per la durata del mese di Ramadan, che porti a un cessate il fuoco duraturo e sostenibile”, così come il ritorno in libertà immediato e senza condizioni degli ostaggi e un maggiore accesso degli aiuti umanitari a Gaza.

“Non c’è un momento da perdere – ha scritto la Segretaria Generale di Amnesty International Agnés Callamard- le autorità israeliane devono fermare immediatamente la loro brutale campagna di bombardamentisu Gazafacilitare l’ingresso degli aiutiumanitari.

Israele, Hamas e gli altri gruppi armati devono operare perché il cessate il fuoco duri. Gli ostaggi civili devono tornare immediatamente in libertà. Tutti i palestinesi arbitrariamente detenuti in Israele, compresi i civili arrestati a Gaza, devono essere a loro volta scarcerati”.

Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono immediatamente esecutive e vincolanti per tutti gli Stati, eccetto – evidentemente – Israele, che non accetta alcun vincolo fondato sulle regole del diritto. Infatti, Netanyahu non ha battuto ciglio ed ha celebrato le prime 24 ore di “cessate il fuoco” con bombardamenti che hanno provocato 76 morti e nei giorni successivi ha continuato come se niente fosse.

Israele, non ha avuto alcuna remora a continuare l’attacco agli ospedali ed a portare nuovamente la morte all’interno dell’Ospedale Al Shifa di Gaza City.

L’esercito israeliano, infatti, ha comunicato (il 28 marzo) di aver ucciso 200 persone in una settimana di operazioni dentro e attorno all’Ospedale.

Ovviamente si trattava di “terroristi”, anche se medici, pazienti, personale sanitario o giornalisti: il fatto stesso che siano stati uccisi è la prova regina della loro qualità di terroristi.

Malgrado i moniti dei suoi stessi alleati, Israele sta continuando i preparativi per l’assalto finale a Rafah, l’ultima città a confine con l’Egitto, dove sono concentrati 1.500.000 palestinesi sfollati dal centro e dal nord di Gaza.

Il rigetto dell’ordine di cessate il fuoco del Consiglio di Sicurezza ed il rifiuto -nei fatti- di adempiere alle misure dettate dalla Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennai, ribadite con l’ordinanza emessa il 28 marzo, pongono lo Stato di Israele in una condizione veramente singolare nell’ordinamento internazionale. Si tratta dello Stato che realizza (e rivendica) la massima ribellione possibile alle regole che governano la vita della Comunità Internazionale, uno Stato fuorilegge, nel senso letterale del termine.

Eppure tutta la comunità degli Stati occidentali, si è mobilitata per “punire” la Russia, nell’adempimento di un imperativo indiscutibile, quello che Stoltenberg/Stranamore, ha definito: “un mondo fondato sulle regole.”

Che fine fa quest’imperativo del “mondo fondato sulle regole”, che giustifica la guerra da remoto che stiamo conducendo contro la Russia col sangue degli ucraini, di fronte all’aperta ribellione di Israele alle regole fondanti della Comunità internazionale che interdicono la violenza brutale ed il genocidio.?

Se Israele non si sente vincolato al rispetto del diritto internazionale, avendo sperimentato almeno 56 anni di violazione delle regole del diritto internazionale, specialmente il diritto umanitario, senza conseguenza alcuna, sono gli altri Stati che devono agire adottando delle misure adeguate, ai sensi del Cap. VII della Carta dell’ONU, per convincere/costringere Netanyahu a rispettare le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e i provvedimenti della Corte internazionale di Giustizia che ha ordinato ad Israele di smettere di uccidere le persone protette e di far soffrire la fame al gruppo etnico palestinese, a rischio di genocidio.

L’Unione europea ha adottato una caterva di sanzioni a danno della Russia per sanzionare la “violazione delle regole”. Ricordiamo sommessamente che in un documento del Parlamento Europeo (29/2/2024) si rinfaccia alla Russia di aver provocato la morte di 520 minori ucraini: il fatto che Israele, in soli cinque mesi di guerra abbia causato la morte di 13.000 minori a Gaza, non ha provocato alcun turbamento nelle bronzee facce dei leader politici italiani ed europei, mentre un silenzio di tomba è caduto di fronte all’aperta ribellione di Israele all’ordine di cessate il fuoco.

Si tratta di uno scandalo che non può essere tollerato oltre.

E’ questo il momento di agire, l’Unione Europea, e tutti i suoi Stati membri devono deliberare delle misure urgenti volte a far valere l’obbligo di cessare il fuoco. Per quanto riguarda l’Italia, la fornitura di armi ad Israele (per 2,1 milioni dall’inizio del conflitto) ed il definanziamento dell’UNRWA ci rendono complici delle stragi compiute dall’esercito israeliano e dello strangolamento della popolazione di Gaza attraverso la privazione dei beni essenziali per la vita.

FONTE: https://www.domenicogallo.it/2024/04/il-cessate-il-fuoco-non-e-un-optional-e-un-obbligo/

Il popolo russo, Putin, la democrazia

di Piero Bevilacqua

Pensare con idee ricevute. E’ davvero stupefacente leggere o ascoltare intellettuali e studiosi democratici e di sinistra, talora di sinistra avanzata o radicale (cioè di sinistra, ma il termine è stato infamato dal cosiddetto centro-sinistra) che ancora oggi, dopo due anni di guerra in Ucraina, dopo tutte le rivelazioni di fonti americane, le ricostruzioni storiche dei precedenti che hanno preparato quel conflitto, continuano a ripetere lo slogan << la brutale invasione russa>> , <<l’occupazione violenta della Crimea>>, ecc. Gli stessi stereotipi e retoriche si ripetono per il massacro in corso nella martoriata Gaza. I combattenti di Hamas sono terroristi perché hanno ucciso civili israeliani con il progrom del 7 ottobre (cosa, ahimé, terribilmente vera e ovviamente da condannare, ma non bisognerebbe mai dimenticare la storia che la precede e predispone) mentre  i soldati di Israele che di civili palestinesi, e soprattutto di bambini, ne hanno ucciso e ne vanno ammazzando un numero spaventosamente superiore, restano soldati. Intendiamoci, la guerra è sempre un errore, è l’ingresso al più grande degli orrori. Quindi condanniamo quella scelta di Putin. Ma chi non riconosce che la Russia è stata trascinata in quel massacro è persona non informata dei fatti.

Svolgo le considerazioni che seguono non solo per il dispiacere che provo a sentire anche tanti amici e studiosi di valore ripetere queste espressioni che sono il calco della vulgata occidentale, ma perché ovviamente tale subalternità interpretativa all’informazione corrente indebolisce gravemente l’opposizione politica all’atlantismo, che ci chiama alla guerra, all’involuzione antidemocraitca dell’UE, frena l’azione a favore delle trattative e della pace. Le svolgo anche perché mi vado convincendo di un fenomeno culturale che meriterebbe di essere approfondito e che qui accenno appena.Le sempre più spinte specializzazioni scientifiche del nostro tempo –  per cui chi si occupa di sociologia finisce col sapere tanto del suo specifico campo sociologico, ma poco del resto, e così   chi si occupa di fisica, di diritto, economia,  ecc –  espone la mente di tanti studiosi a dipendere, per la propria visione della situazione politica mondiale, dalla idee circolanti e inverificate elaborate dai media dominanti. Media, come sappiamo, che orchestrano campagne di persuasione  sistematiche e di vasta portata ormai da decenni. Se non si conoscono  in maniera circostanziata le questioni, la comodità di avere, con poco sforzo e a portata di mano, una spiegazione semplice e rassicurante  fa perdere la libertà di un giudizio indipendente. Credo di poter parlare anche a nome personale. Chi conosce un po’ la mia biografia intellettuale sa che non mi sono mai rinchiuso nella mia specializzazione di storico. Eppure, anche io ero convinto di tante verità che erano idee ricevute accettate passivamente, spesso purissime menzogne. Superate solo dopo aver studiato su libri e documenti come sono andate realmente le cose. Purtroppo bisogna constatare che non si possono capire anche i gravi fatti del nostro tempo se ciascuno non compie uno sforzo supplementare di studio e di analisi, fuori dal proprio specialismo e non confidando nel giornalismo corrente. Troppo potenti e ben confezionate sono le falsificazioni che si respirano nell’aria per restare indenni. Quante prove ulteriori noi italiani dobbiamo avere, per come è stata raccontata la  guerra in Ucraina, per riconoscere che i nostri media sono una fabbrica di contraffazioni della realtà? Senza, dunque, uno sforzo di documentazione supplementare si resta vittime di una versione costruita da interessi  potenti.Perché forse mai, come oggi, le élites dominanti sono in grado di sovrapporre alla realtà effettiva la loro manipolata narrazione, puntello fondativo del loro dominio, imponendola come un qualunque seducente prodotto di consumo.

Un’altra ragione di stupore è l’evidente pregiudizio antirusso che in Italia circola in ogni canto di strada.E il fenomeno, quando vede protagonisti sinceri democratici, è davvero incomprensibile o comprensibile assai bene, quale prova della forza del punto di vista americano che è diventato anche il nostro.Ma come facciamo a giudicare la Russia prescindendo completamente dal popolo russo, dalla sua storia, dai sacrifici immani che credo nessun popolo ha dovuto sostenere in età contemporanea? Come può accadere che c’è così poca empatia e curiosità storica disinteressata per la sua storia? Nessuno trae ragione di ammirazione da quel che questo popolo è stato in grado di fare per difendere il proprio paese da forze sovrastanti?  Chi si ricorda che i russi hanno dovuto dare alle fiamme Mosca, la loro amata città, per  poter resistere all’invasione dell’esercito napoleonico? Qualcuno   rammenta battaglia di Stalingrado, la carneficina urbana durata quasi 6 mesi che ha inflitto la più grave sconfitta strategica all’esercito di Hitler? Quell’esercito che nessuna potenza europea aveva potuto fermare? Uno sforzo bellico che costò alla Russia circa 20 milioni di morti. Oggi nell’immaginario collettivo americanizzato sono stati gli USA a vincere la guerra, cancellando la vittoria russa a Stalingrado, dimenticando che l’Armata Rossa è arrivata Berlino, nel cuore dell’invincibile Reich, nell’aprile del 1945, precedendo addirittura gli eserciti alleati. Se la Russia fosse crollata Hitler avrebbe  molto probabilmente vinto la guerra e avrebbe imposto all’Europa il suo feroce dominio.  Chi ha liberato i lager dove si era consumato l’olocausto? Eppure persino un comico geniale come Benigni ha messo le divise americane  ai soldati che entrano nei campi di concentramento ne La vita è bella.

La rivoluzione d’Ottobre

Meno stupore desta l’oblio o perfino la dannazione della rivoluzione d’Ottobre. Essa viene fatta sparire sotto la facile demonizzazione dello stalinismo e dei suoi crimini, sotto la burocratizzazione elefantiaca dello stato russo del dopoguerra, sino alla sua finale dissoluzione nel 1991. Sappiamo quanto diffusa sia l’opinione, soprattutto nel campo un tempo di sinistra, che quella vicenda sia stata nient’altro che un  unico e  prolungato errore. Eppure non c’è giudizio più superficiale ed erroneo di questo. La rivoluzione del 1917, la prima rivoluzione proletaria della storia, a dispetto dei suoi errori e del sangue fatto scorrere, ha cambiato il corso della storia contemporanea. Qui basti ricordare, a parte l’eversione, spesso con prezzi umani drammatici, delle strutture feudali della Russia, che essa fin da subito ha avuto effetti di radicale trasformazione  nella società del tempo spesso ignoti. Chi sa, ad esempio, che per effetto della rivoluzione, nell’Europa Centrale tra le due guerre, vennero avviate ampie riforme agrarie con divisione  e distribuzione dei latifondi ai contadini  per timore delle rivolte  che avevano rovesciato gli Zar? Quelle riforme che in Italia spezzarono il latifondo solo nel 1950? Ma la rivoluzione, che già nel 1918 gli occidentali, compresi gli USA ( situati al di là dell’oceano), cercarono di soffocare sul nascere, ebbe effetti sotterranei nelle campagne dell’Asia e mise in moto vari movimenti contadini da cui prese slancio anche la Rivoluzione cinese.

Nel dopoguerra  

il sostegno economico, militare, politico dell’URSS rese possibile e comunque facilitò enormemente la lotta anticoloniale dei Paesi del Sud del mondo, la liberazione di numerosi popoli da una dominazione secolare.Un stato burocratico e autoritario, che espresse anche dirigenti nefasti come Breznev, tuttavia, anche quando si muoveva per interessi geopolitici di potenza, svolgeva un ruolo prezioso per il processo di emancipazione  dei paesi poveri.

Ma non si può tacere un altro esito che ci riguarda. La Rivoluzione d’ ottobre rese possibile la nascita dei partiti comunisti dell’Occidente – fenomeno represso sul nascere negli USA democratici – forze politiche moderne che non solo hanno concorso alla lotta antifascista nel dopoguerra, ma hanno svolto un ruolo decisivo nel processo di  sviluppo sociale  e di costruzione di stati democratici moderni, dotati di un costituzione.Il caso del Partito comunista italiano  costituisce un capitolo  esemplare di questa storia. Come si sarebbe potuto affermare il welfare – teorizzato peraltro da capi di stato lungimiranti come Roosevelt o da economisti come   William Beveridge – senza il concorso e le lotte dei partiti comunisti e socialisti, la  grande forza popolare e la mobilitazione dei sindacati? La storia non è una partita di calcio in cui si vince o si perde, e nulla accade mai invano.

Basterebbero questi brevi cenni per far  comprendere quanto diversamente siano andate le cose rispetto alle convinzioni interessate e  false che si sono affermate, specie negli ultimi decenni in cui la Verità Neoliberista ha riscritto il nostro passato. Del resto, una volta tanto, la storia offre la possibilità di una verifica, per così dire controffattuale, per giudicare il valore della Rivoluzione d’ottobre e di quel che ne è seguito. Che cosa è accaduto alle società occidentali dopo il crollo dell’URSS, quando è venuto a mancare un antagonista al capitalismo occidentale? Che cosa è accaduto al pensiero politico, diventato pensiero unico?  Che cosa al welfare, al lavoro, ai sistemi politici, alla democrazia, agli equilibri mondiali? Chi di noi avrebbe mai immaginato il ritorno in grande stile del lavoro schiavile nelle campagne? Eppure, dalla California all’Italia, passando per il Regno Unito e la Spagna, questa è diventata una gloria tangibile dell’Occidente.E’ stata dunque un’errore la Rivoluzione d’ottobre?

E’ questa falsa coscienza, radicata nelle menti, che non consente di ragionare, che porta  a guardare alla Russia come un ostacolo all’avanzare della democrazia nel mondo,  e a Putin come un mostro assetato di sangue. Cosi dobbiamo sentire in TV, ormai Ministero della Verità, giornalisti anche intelligenti e non faziosi, come ad esempio Corrado Augias, i quali si chiedono che cosa accadrà agli altri territori contermini << se si cede sull’Ucraina>>. Un’espressione che mostra l’assoluta ignoranza delle ragioni di questa guerra, che in parte  è una guerra civile, ma che riduce la Russia attuale a una caricatura. Ma quali interessi dovrebbero  spingere la Russia ad espandersi ulteriormente ? Il suo territorio statale è <<la più vasta entità territoriale del mondo>> (Treccani)  e assomma a 17.075.400 km2, con una popolazione intorno ai 160 milioni di abitanti. L’Europa, tanto per fare un raffronto eloquente, è estesa 4.950.000 km2 ed è popolata da circa 500 milioni di persone. Quale dissennato uomo di stato può spingere un tale paese, letteralmente spopolato, a occupare nuovi territori portando a morire un buona parte dei suoi scarsissimi giovani? Possibile che così pochi, in Italia e in Europa, sono  in grado di sospettare che la dirigenza Russa non aveva nessuna convenienza a invadere l’Ucraina, con cui aveva convissuto per decenni, se non fosse stata minacciata dalla Nato ai suoi confini, se gli USA non si fossero mostrati indegni di qualunque fiducia, se la popolazione russofona non fosse stata sottoposta a ripetute persecuzioni? Ma chi grida al pericolo di un’espansione imperialistica ha una idea salottierea della guerra. Dimentica che essa costa la vita di migliaia e migliaia di soldati. Quanta intelligenza c’è nel pensare che anche un’autocrate come Putin può sacrificare, spensieratamente e senza conseguenze, la propria gioventù (sottratta peraltro a un’economia che ne necessita incessantemente) per astratti disegni di dominio?

Putin come Hitler?

Per finire alcune considerazioni su Putin. Ho da poco ascoltato in TV Massimo Giannini, un giornalista democratico e intelligente (a dispetto dei giornali padronali per cui scrive) lanciare grida di dolore di fronte alla notizia  che Putin era stato riconfermato presidente con un’affermazione plebiscitaria di quasi il 90% dei votanti.<< Una grave sconfitta per l’Occidente >> l’ha definita con tono angosciato. Espressione che costituisce un involontario smascheramento dell’immagine caricaturale che i media, a partire dai giornali per cui Giannini scrive, hanno deliberatamente costruito della Russia e di Putin. Le nostre  élites si rivoltolano negli errori e nelle finzioni che essi stessi propagandano. Esse hanno infatti inventato l’immagine di un dittatore sanguinario che estorce il consenso  al suo popolo con il terrore. A questo servono pagine e pagine dedicate alla morte di Alexej Navalny, le decine e decine di trasmissioni televisive in cui si ricostruisce e ripete fine all’esaurimento lo stesso evento. Se avessero un approccio meno propagandistico alla realtà  potrebbero capire come stanno realmente le cose.  Ricordo che dagli elettori residenti all’estero Putin ha ricevuto il 72, 1% dei voti. E costoro certamente non subivano nessuna pressione o condizionamento. So che dispiace a tantissimi, ma quello del presidente russo è un autentico consenso popolare, dipendente da ragioni molto solide, che il giornalismo democratico dovrebbe avere l’onestà di ricostruire. Onestà di cui è gravemente sguarnito. Putin, agli occhi del  suo popolo ha il grande merito di aver sottratto il paese all’anarchia, alla spaventosa povertà di massa creata dal decennio dei governi di Eltsin, rimettendolo sulla strada di uno sviluppo sempre più ordinato e apportatore di benessere. Sviluppo capitalistico, beninteso, in un’economia di libero mercato, con una forte presenza statale. Quella che servirebbe tanto all’Italia e all’ Europa. A lui riconosce il merito di aver domato in gran parte  lo strapotere degli oligarchi, di aver limitato la corruzione dilagante, di  aver soffocato il terrorismo ceceno che  faceva esplodere bombe nei locali pubblici delle città e persino a Mosca. Repressione dolorosamente  sanguinosa, certo, ma contro un nemico anch’esso sanguinario  che  prendeva di mira i civili. A Putin il popolo russo è grato  per avergli restituito, dopo l’umiliazione del crollo dell‘URSS, l’orgoglio della propria storia, della propria identità. Questo rinato patriottismo – certo, spesso condito da Putin con improbabili e inopportuni richiami retorici alla Russia degli zar – viene demonizzato in Occidente per poterlo trasformare in imperialismo aggressivo. Eppure non si capisce perché il patriottismo sia invece considerato lecito e benefico per la Francia di Macron, che vuole inviare truppe europee contro la Russia, o per l ‘Italia del governo di guerra della sovranista Meloni, che lo ha preventivamente ceduto agli USA per ragioni di legittimazione politica. Ma il  popolo russo ha rafforzato il suo consenso a Putin negli ultimi  anni perché ancora una volta avverte i venti di guerra che soffiano contro di lei. La Nato  e l’intero Occidente minacciano di “sconfiggerla” sul suo territorio, cioè ancora una volta di invaderla,  e noi  ci stupiamo che il suo popolo moltiplichi il proprio appoggio al leader che si è mostrato più capace di difenderlo da questa minaccia mortale?  Ma come pensano i nostri analisti?

Infine, sempre dedicato agli intellettuali democratici e di sinistra, qualche considerazione su Putin dittatore spietato, argomento impervio, ma che credo di poter affrontare col dovuto equilibrio e freddezza. E’ un compito  sgradevole che mi assumo non certo per difendere Putin, ma perché attraverso la sua demonizzazione si fa strada la propaganda bellicista dell’esportazione della democrazia e del regime change: il vero obiettivo per cui gli USA hanno provocato la guerra in Ucraina. Confido perciò nell’intelligenza del lettore. Comincio col dire che io immagino Putin come uomo di grande intelligenza politica, ma sicuramente spietato. Lo credo anche capace di ispirare l’eliminazione di qualche avversario politico. La sua provenienza e la sua esperienza autorizzano questa visione. D’altra parte, è noto, come qualche volta sosteneva Marx, che gli uomini fanno la storia, ma anche l’inverso, che cioé è la storia a fare gli uomini. Del resto come avrebbe potuto rimettere in piedi un moderno stato, in un paese sprofondato nel caos, senza un certo grado di spietatezza? Nella patria di Machiavelli queste considerazioni non dovrebbero destare stupore. Tuttavia quando gli si attribuiscono responsabilità dirette nella morte di un oppositore come Navalny o nell’uccisione della giornalista Anna Politkovskaja, ogni serio analista, che non può contare su nessuna prova che non siano le opinioni dei nostri giornalisti, dovrebbe avere l’intelligenza di porsi delle domande. Occorre sempre esaminare le “convenienze” degli attori in campo per comprendere le dinamiche della politica. E’ davvero giovata a Putin la morte del prigioniero Navalny? Abbiamo poi saputo, del resto, che era destinato a uno scambio di detenuti. E Putin temeva a tal punto la giornalista Anna Politkovskaja, da farla assassinare in  quel modo plateale, esponendosi alla condanna universale dei paesi occidentali?

Quel che appare inaccettabile in queste ricostruzioni inverificate e spesso infondate è la rappresentazione del presidente russo come un signorotto feudale, che comanda a piacimento i propri sudditi, riducendo la Russia a un villaggio rurale dell’ ‘800. Si dimentica che anche in quel paese esiste una magistratura che gode di una relativa indipendenza, formata da magistrati che vi accedono per concorsi. Si sopprime interamente la complessità di quella società, al cui interno operano servizi segreti, anche stranieri, criminalità organizzata, fazioni politiche in lotta reciproca, ecc.. L’assassino della Politkovskaja, è stato infatti individuato e condannato a 20 anni di carcere. Come si fa a rappresentare Putin come un grande burattinaio se non per legittimare un suo rovesciamento progettato negli studi degli strategici americani? E infatti non si fanno campagne diffamatorie contro il turco Erdogan, l’egiziano Abdel al Sisi,  l’indiano Modi, il saudita Mohammed bin Salman, com’è noto campioni di democrazia liberale.

La democrazia e il popolo russo

In una delle tante interviste rilasciate da Giulietto Chiesa prima di morire questo grande esperto delle cose russe e amico di quel paese, pur riconoscendo a Putin molti meriti, gli rimproverava di non aver fatto avanzare il processo di democratizzazione e liberalizzazione di quella società. La giusta critica che tutti gli rivolgeremmo se la propaganda USA non lo avesse trasformato nel nemico numero uno dell’Occidente. E tuttavia una riflessione sulle difficoltà di fare avanzare il processo di democratizzazione in Russia andrebbe fatto, coinvolgendo il suo passato storico e l’antropologia del suo popolo. Certo, il processo di espansione della Nato e la continuazione della guerra fredda da parte degli USA, anche dopo il crollo dell’URSS, ha ostacolato i processi di democratizzazione interni di quel paese. I dirigenti russi sanno bene quanto danaro e forza organizzativa i servizi segreti USA sono in grado di impiegare per  dar vita a formazioni politiche eversive, organizzare rivolte e colpi di stato. Non avevano bisogno di aspettare il rovesciamento del  legittimo governo di Kiev nel 2014. D’altra parte non bisogna dimenticare che dopo Eltsin la Russia si è aperta a un’economia di mercato, capitalistica, in cui operano liberi imprenditori,  che godono più o meno delle stesse libertà che in Occidente. Dunque l’evoluzione in senso democratico del sistema politico sarebbe naturale, se le relazioni internazionali fossero meno minacciose e agitate. E tuttavia l’inimicizia ricercata e orchestrata dagli USA e dalla Nato per ragioni geopolitiche non basta a spiegare la lentezza dei processi di democratizzazione, anche se appare sufficiente per giustificare la loro recente involuzione.

La democrazia non è un semplice costrutto giuridico, non si esaurisce nella sua architettura istituzionale. E’ una forma di organizzazione della società frutto di un lungo processo storico. Perciò la storia appare come la disciplina chiave per avvicinarsi con meno superficialità ai fenomeni complessi che riguardano questo sconosciuto paese.

E anche in questo caso guardare il corso delle cose dal lato del popolo è importante. Non bisogna dimenticare che in Russia la  servitù della gleba è stata abolita, sul piano giuridico, solo nel 1861. Quindi mentre in Italia si avviava il processo di unificazione del paese la Russia, ma solo sul piano meramente formale, cominciava a uscire dal Medioevo. Era una società dominata da una immobile burocrazia imperiale con alla base l’immenso popolo dei contadini, un mondo ai margini della modernità,  che noi conosciamo grazie  a narratori giganteschi, alla più grande letteratura dell’età contemporanea. La Rivoluzione d’ottobre mandò in aria quel pachiderma e vide  per qualche tempo il protagonismo delle masse popolari sino a che la dittatura del proletariato non si trasformò in dittatura tout court. Per oltre 40 anni il sistema di potere dominato da Stalin tolse al popolo ma anche all’intelligentija ogni possibilità di iniziativa e di creatività. Le cose non cambiarono di molto dopo la morte del dittatore e l’esplosione della guerra fredda, la corsa agli armamenti, ecc., non aiutarono l’evoluzione liberale di quella società-apparato. Il tentativo di Kruscev, com’è noto, venne risucchiato dagli elementi conservatori che puntarono al rafforzamento della difesa e agli armamenti per fronteggiare gli USA. Da qui ovviamente le tragedie delle repressioni, prima in Ungheria nel 1956, l’occupazione di Praga nel 1968. Dunque sin quasi all’avvento di Gorbaciov alla dirigenza del paese, il controllo burocratico della popolazione russa è stato sistematico, spesso soffocante. Come si fa a non comprendere la passivizzazione civile  della popolazione che ne è derivata, la sua scarsa confidenza con la democrazia, la sua apatia partecipativa?  Come si poteva costruire la democrazia con tali precedenti storici se non attraverso un lungo processo?  Bruno Giancotti, un italiano che ha lavorato nello staff giornalistico di Gorbaciov e vive in Russia da 40 anni, mi ha spiegato che tra i russi domina una particolare attitudine a demandare il potere a chi sta più in alto, si sentono rassicurati dalla protezione del  “Nachalnik”, che vuol dire il “tuo capo”.

Non è un caso che il processo di democratizzazione della Perestrojka, avviato da Gorbaciov forse con non piena consapevolezza della complessità del compito, crollò in poco tempo, trascinando l’URSS nel collasso. Ma come era possibile trasformare in una democrazia liberale, nel giro di mesi, un società senza stato, surrogato da un partito burocratizzato e in parte corrotto, priva di  un vero parlamento, di partiti indipendenti, magistratura, sindacati e corpi intermedi autonomi, senza una libera stampa, una tradizione popolare di partecipazione alla vita politica? Perciò il decennio di Eltsin fu una fase fra le più dolorose nella storia del popolo russo in tempo di pace. Dunque, Putin – che, come è emerso nella recente intervista al giornalista Dmitrij Kisilev, aveva rifiutato, in un primo tempo, di fronte alle difficoltà immani del compito, di  assumere la responsabilità della presidenza, offertagli da Jeltsin, – dovette ricostruire uno stato che non c’era e ricomporre un’organizzazione economica e sociale devastata dall’improvvisa apertura al mercato, di una società che nelle sue strutture amministrative e rappresentative non doveva essere molto  più dinamica di quella zarista. E dunque solo uno statista privo di senno poteva cercare di rimettere  in piedi una società interamente collassata – forse un caso unico  per dimensioni nell’età contemporanea – ripercorrendo la strada fallimentare di chi l’aveva preceduto. E infatti lo avrebbero preteso, dai loro tranquilli studi, le anime belle del giornalismo occidentale. Senza un elevato tasso di governo autoritario dei processi di riorganizzazione, visto tra l’altro la forza eslege che avevano guadagnato moltitudini di oligarchi, il terrorismo nelle regioni del Caucaso (che si è tragicamente rifatto vivo il 22 marzo) e la corruzione dilagante,  il tentativo era destinato al fallimento.

E’ dunque questa, per brevissimi cenni, la storia, sono questi i processi che spiegano Putin  e la sua gestione autoritaria che i democratici dovrebbero considerare. La sua demonizzazione non serve né a comprendere le cose, né a favorire il processo di democratizzazione della società russa. Giova   all’atlantismo e all’imperialismo guerriero della dirigenza USA, che ha un interesse supremo nel costruire un nemico impresentabile per tenere unita la propria società lacerata un sistema politico esaurito. Quella dirigenza che oggi mostra al mondo la sua feroce capacità di mentire, fingendo di opporsi a Netanyahu, ma continuando a inviargli armi perché completi il massacro a Gaza. Capire dunque  un un po’ meglio la storia giova alla causa ragionevole della pace.

FONTE: https://transform-italia.it/il-popolo-russo-putin-la-democrazia/

Perché il Messico è la nuova variabile nei rapporti tra Usa e Cina

di Federico Giuliani (da Insiderover)

I dati pubblicati lo scorso 8 febbraio dal dipartimento del Commercio Usa hanno generato curiosità e stupore. Per la prima volta in più di due decenni, nel 2023 la principale fonte di beni importati dagli Stati Uniti non coincideva con la Cina. A rubare la corona al gigante asiatico è stato il Messico, specchio delle crescenti tensioni economiche tra Washington e Pechino, nonché degli sforzi attuati dall’amministrazione Biden per importare mercanzia da Paesi geograficamente più vicini rispetto alla Repubblica Popolare Cinese ma, soprattutto più amichevoli del Dragone.

Attenzione però, perché se è vero che gli Usa stanno scommettendo sul Messico per delocalizzare al suo interno le loro aziende – una volta ben felici di essere ancorate al ricco mercato cinese, realtà dorata ormai compromessa dalle tensioni geopolitiche – allo stesso tempo il gigante asiatico sta a sua volta guardando al vicino di casa Usa per far confluire in loco le proprie società. A che pro? Semplice: per farle esportare negli Stati Uniti eludendo dazi e tariffe, e giocando sul fatto che i loro prodotti non sono made in China bensì in Messico.

Ci troviamo così di fronte ad una situazione tanto bizzarra quanto complessa: mentre Washington spera di smarcarsi il più in fretta possibile da Pechino, importando prodotti da altri Paesi in via di sviluppo, le aziende cinesi incrementano le loro attività in quelle stesse nazioni, per produrre beni da inviare nel mercato statunitense come se niente fosse. Il Messico, ancor più del Vietnam, è dunque una variabile emblematica del nuovo equilibrio economico che regola i rapporti tra le due superpotenze del XXI secolo.

La variabile Messico

Nel 2023, dicevamo, gli acquisti statunitensi di prodotti cinesi hanno raggiunto i 427,2 miliardi di dollari, in calo del 20% rispetto al 2022. Al contrario, il Messico ha esportato prodotti in Usa per un valore di 475,6 miliardi di dollari, in un aumento del 4,6% rispetto all’anno precedente. Risultato: Città del Messico è diventata la principale esportatrice verso Washington soppiantando per la prima volta Pechino in 21 anni.

Le ragioni, come detto, hanno tuttavia meno a che fare con il Messico in sé e più con le attuali tensioni internazionali. Detto altrimenti, come spiegato da El Paìs, gli Stati Uniti vogliono smettere di acquistare prodotti a basso costo dalla Cina, e il governo messicano sta lottando per ottenere almeno una parte di quella fetta di torta. Una fetta, si badi bene, potenzialmente destinata a crescere ancora, visto che Joe Biden sta valutando nuovi aumenti delle tariffe su beni cinesi come veicoli elettrici, apparecchiature legate all’ambito dell’energia solare e semiconduttori meno avanzati.

La decisione finale dovrebbe essere presa nella prima metà di quest’anno, ma Pechino ha iniziato a prendere adeguate contromisure. Già, perché come ha evidenziato il Financial Times la Cina sta semplicemente spedendo più merci negli Stati Uniti attraverso il Messico (e altri Paesi), eludendo ogni dazio possibile e immaginabile. La controprova arriverebbe dall’aumento del numero di container da 20 piedi spediti da Pechino a Città del Messico: 881.000 nei primi tre trimestri del 2023, in crescita rispetto ai 689.000 rilevati nello stesso periodo del 2022.

Altro dato rilevante: l’ente commerciale messicano per i fornitori di ricambi per auto, l’INA, ha evidenziato come 33 aziende di proprietà cinese, ma operanti in Messico, abbiano inviato negli Stati Uniti componenti per un valore di 1,1 miliardi di dollari nel 2023, in aumento rispetto ai 711 milioni di dollari del 2021. Che cosa significa tutto questo? Tanto, tantissimo, considerando che le automobili importate negli Stati Uniti dal Messico sono soggette ad un prelievo statunitense pari al 2,5%, mentre le parti assemblate in Messico sono soggette a una tariffa compresa tra lo 0% e il 6%. Al contrario, le automobili e i ricambi importati direttamente dalla Cina pagano un’ulteriore tassa del 25%, secondo il regime fiscale introdotto da Donald Trump e mantenuto da Biden.

L’intermediario tra Usa e Cina

Dal canto suo il Messico è consapevole di essere sotto i riflettori, e l’anno scorso ha annunciato tariffe che vanno dal 5% al 25% su merci provenienti da Paesi come la Cina (anche se non è chiaro quanto e come il nuovo regime verrà applicato o influenzerà le importazioni). A dicembre, inoltre, il governo messicano ha firmato un memorandum d’intesa con gli Stati Uniti sul controllo degli investimenti esteri – compresi i nuovi impianti cinesi di veicoli elettrici – in relazione ai rischi per la sicurezza nazionale.

Come se non bastasse, a giugno sono in programma le elezioni presidenziali messicane che decreteranno chi sarà il successore di Andres Manuel Lopez Obrador. In lizza troviamo due donne: Claudia Sheinbaum, portabandiera del partito MORENA al potere, appoggiata dall’attuale presidente e in rampa di lancio, e Xochitl Galvez, volto della coalizione di opposizione, composta da PAN, PRI e PRD. Le intenzioni di voto per Sheinbaum si aggirerebbero intorno al 64% a fronte del 31% della rivale. Molto distaccato, intorno al 5%, Jorge Alvarez Maynez, del partito Movimento Cittadino (di centrosinistra). Qualora dovesse vincere Sheinbaum, è lecito supporre che il nuovo leader del Paese riproponga l’agenda di Obrador, cercando dunque di ampliare le opzioni economiche a disposizione di Città del Messico, compresa la pista cinese.

Nel frattempo le aziende del Dragone hanno cambiato modo di fare affari con Washington. Alcune, come Hisense – che dal 2022 produce elettrodomestici e frigoriferi per il mercato nordamericano – ha piazzato uno stabilimento dal valore di 260 milioni di dollari in Messico, mentre le società automobilistiche SAIC Motors e JAC Motors hanno annunciato piani per costruire in loco impianti di assemblaggio. Va da sé, sempre in ottica mercato Usa.

In tutto questo troviamo chi vede l’integrazione tra Messico e Stati Uniti come la prova più evidente del successo nel disaccoppiamento Usa dalla Cina, e chi, al contrario, crede che il gigante asiatico stia cercando di migliorare le sue relazioni con il vicino statunitense per evitare sanzioni e tariffe. Insomma, l’ “intermediario” Messico ha il potenziale per riscrivere, in un senso o nell’altro, i rapporti tra le due superpotenze del pianeta. Tutto o quasi dipenderà da chi, tra Usa e Cina, chi riuscirà ad attrarre prima il Paese latinoamericano alla propria sfera di influenza. Con investimenti, progetti e accordi milionari.

FONTE: https://it.insideover.com/economia/il-dilemma-dei-falchi-europei-per-la-difesa-comune-i-bond-demoliscono-lausterita.html

A Mosca, riunite tutte le fazioni della Resistenza palestinese

Dal 29 febbraio al 2 marzo rappresentanti delle varie fazioni palestinesi, pur avendo posizioni spesso profondamente diverse su molte questioni nella regione, stante la situazione di guerra e genocidio contro il proprio popolo, hanno accettato questa Conferenza sulla situazione in Medio Oriente, grazie al lavoro della Russia all’interno del progetto di “ Dialogo inter-palestinese”, da tempo avviato dal Ministro russo Lavrov. Erano presenti 14 organizzazioni palestinesi, da Hamas, ai Fronti Popolari, OLP, Fatah, Jihad islamica e altri.

Il rappresentante speciale del presidente russo per il Medio Oriente e i paesi africani, il viceministro degli Esteri della Federazione Russa, M. Bogdanov , che ha proposto la piattaforma per l’incontro svoltosi nel palazzo del Ministero degli Esteri, ha rilasciato una dichiarazione, dove ha sottolineato un clima di collaborazione e dialogo tra tutte le fazioni, al di là di posizioni e giudizi su molti aspetti molto diversificati: “…La composizione è stata più o meno la stessa dei due precedenti incontri interpalestinesi, con la presenza di 14 organizzazioni, da quelle che fanno parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ma anche strutture che non sono in essa incluse come Hamas e la Jihad islamica. Ora abbiamo invitato anche loro… L’obiettivo della Russia è favorire e aiutare le varie forze palestinesi ad accettare di unire politicamente i loro ranghi…”.

Questo il comunicato finale delle organizzazioni presenti:

Le fazioni palestinesi riunite nella città di Mosca. esprimono la loro gratitudine e apprezzamento alla leadership russa per aver ospitato i loro incontri e per il suo sostegno alla causa palestinese. Nel mezzo dell’aggressione criminale sionista che il nostro popolo sta affrontando, le fazioni hanno evidenziato lo spirito costruttivo e positivo che ha prevalso durante l’incontro. Hanno concordato che i loro incontri continueranno nei futuri cicli di dialogo per raggiungere un’unità nazionale globale che comprenda tutte le forze e le fazioni palestinesi nel quadro dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, come unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese. 

Le fazioni hanno affermato il loro accordo sui compiti urgenti che il popolo palestinese deve affrontare e i loro sforzi congiunti per realizzarli, tra cui: 

Affrontare la criminale aggressione “israeliana” e la guerra genocida condotta contro il nostro popolo nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e ad Al-Quds, con il sostegno, l’appoggio e la partecipazione degli Stati Uniti. 

Resistere e fermare i tentativi di scacciare il nostro popolo dalla sua patria, la Palestina, soprattutto nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania e Al-Quds, e affermare l’illegittimità degli insediamenti e dell’espansione degli insediamenti secondo le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e del Consiglio Generale Assemblea delle Nazioni Unite. 

Lavorare per revocare il brutale assedio sul nostro popolo nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e garantire la consegna di aiuti umanitari, vitali e medici, senza restrizioni o condizioni. 

Costringere l’esercito di occupazione a ritirarsi dalla Striscia di Gaza, impedendo i tentativi di consolidare la sua occupazione o il controllo su qualsiasi parte della Striscia di Gaza con il pretesto delle zone cuscinetto e aderendo all’unità di tutte le terre palestinesi in conformità con la Legge Internazionale. 

Rifiutando qualsiasi tentativo di separare la Striscia di Gaza dalla Cisgiordania, compreso Al-Quds, come parte degli sforzi volti a privare il popolo palestinese del diritto all’autodeterminazione e a stabilire il proprio stato libero, indipendente e pienamente sovrano su tutte le terre palestinesi occupate, con Al-Quds come capitale, in conformità con le risoluzioni internazionali. 

Sostenendo e appoggiando l’eroica fermezza del nostro popolo in lotta e la sua resistenza in Palestina, la sua volontà di sostenere il nostro popolo nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, soprattutto ad Al-Quds, e la sua coraggiosa resistenza nel superare le ferite e la distruzione causate dalla guerra di aggressione criminale, per ricostruire ciò che l’occupazione ha distrutto e per sostenere le famiglie dei martiri, dei feriti e di coloro che hanno perso la casa, le proprietà e i mezzi di sussistenza. 

Affrontando le cospirazioni dell’occupazione e le sue continue violazioni contro la benedetta Moschea di Al-Aqsa, i suoi attacchi alla libertà di culto durante il mese sacro del Ramadan, impedendo ai fedeli di raggiungerla e insistendo nel resistere a qualsiasi danno alla Moschea di Al-Aqsa, la città di Al-Quds e le sue santità islamiche e cristiane. 

Pieno sostegno ai valorosi prigionieri uomini e donne nelle carceri che sono sottoposti a varie forme di tortura e oppressione, e determinazione a dare priorità a ogni sforzo possibile per liberarli dalla prigionia dell’occupazione. 

Sottolineando la difesa dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA) e il suo ruolo vitale nella cura dei rifugiati palestinesi fino al loro ritorno e all’attuazione della Risoluzione 194 delle Nazioni Unite. 

Le fazioni palestinesi rendono omaggio al Sudafrica per il suo sostegno al popolo palestinese e per il suo ruolo fondamentale nel portare il caso giudiziario davanti alla Corte internazionale, di giustizia e per far ritenere l’occupazione “israeliana” responsabile del crimine di genocidio.”.


Nella conferenza si è discusso anche di approntare un programma per un apparato di sicurezza congiunto, sia per proteggere i territori già sotto controllo, sia per liberare quelli catturati dall’occupazione, sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza.

Il Ministro degli Esteri russo S. Lavrov, dopo la Conferenza ha sottolineato che: “…il dato estremamente significativo e rilevante, è quello che, nel comunicato adottato al termine della riunione di Mosca, le fazioni palestinesi, per la prima volta si sono espresse ad una disponibilità a rispettare la piattaforma dell’OLP. Questo è un buon passo avanti affinché diventino veramente uniti e parlino la stessa lingua con il mondo esterno…Così come, sulla base dei colloqui, i palestinesi hanno adottato una dichiarazione finale consensuale… “, ha affermato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.

Con questo ennesimo atto, la Russia conferma di voler cercare anche nell’area medio orientale soluzioni negoziali, politiche e costruttive verso scenari di pace e non di guerra e conflittualità.

Con il “Formato Mosca” per il “Dialogo inter-palestinese”, Mosca rafforza la sua influenza geopolitica nell’area, assumendo nei fatti un ruolo di mediazione centrale in questo processo,: il Cremlino mantiene rapporti di lavoro con tutti i partecipanti all’incontro, evita giudizi categorici, ritenendo che i palestinesi debbano definire da soli il loro futuro. In sostanza, il progetto di Mosca è il tentativo di far mettere in atto concretamente e senza cancellazioni, gli accordi che erano stati raggiunti in Algeria, Il Cairo e Doha, ma che non hanno mai preso forma definitiva.

Enrico Vigna, IniziativaMondoMultipolare/CIVG – 7 marzo 2024

Iraq: il capo delle Forze di Mobilitazione Popolare irachene ha dichiarato che ogni tipo di attacco americano, non rimarrà senza risposta

Falih al-Fayyadh, il capo delle Forze di mobilitazione popolare (PMF), ha dichiarato che i recenti attacchi degli Stati Uniti contro il quartier generale delle PMF nella provincia occidentale irachena di al-Anbar “non rimarranno senza risposta”.

Al-Fayyadh, in un discorso pronunciato durante un funerale pubblico per i combattenti delle FMP uccisi negli attacchi statunitensi nei distretti di al-Qa’im e Akashat, ha dichiarato che ” …l’aggressione statunitense è stata volutamente diretta contro le forze delle FMP, sappiano che questo incidente non rimarrà senza risposta….Non accetteremo che il sangue dei nostri figli sia materiale politico a buon mercato…”, ha detto, chiedendo di “ripulire il territorio iracheno dalla presenza straniera”.

Solo nei due mesi del 2024, l’esercito statunitense ha lanciato 85 attacchi in Iraq e Siria, contro le forze che sostengono il popolo siriano e palestinese. Gli attacchi solitamente sono effettuati da bombardieri strategici e altri aerei da guerra, e sono ritorsioni ordinate dal presidente USA Biden, per fiaccare la resistenza anti statunitense nella regione.

Almeno 16 persone sono state uccise e altre 25 sono rimaste ferite in Iraq nell’ultimo mese, compresi civili, ha detto il governo iracheno. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra, altre 18 sono state uccise nel governatorato siriano orientale di Deir Ezzor, anche con vittime civili.

L’avvertimento di Al-Fayyadh potrebbe avere gravi implicazioni e conseguenze. Oltre alla sua posizione nel PMF, l’eminente leader sciita, che è sanzionato dagli Stati Uniti, è anche tra i capi dell’Alleanza Fatah, una parte importante del quadro politico iracheno. Il blocco di Fatah è il più grande nel parlamento iracheno.

Le PMF sono costituite da circa 80 milizie, prevalentemente sciite, ma vi sono anche brigate sunnite, cristiane, yazide e popolari. Il comandante delle PMF è Faleh al-Fayadh. Esse sono ufficialmente riconosciute dal governo iracheno. Secondo un censimento effettuato dal Parlamento iracheno a fine 2017, il loro numero era di circa 110.000 combattenti. Non essendo riuscito a farle divenire una Guardia repubblicana e sottostare al Parlamento iracheno, esso ha allora riconosciuto le PMF come una componente delle forze armate irachene, dipendente dal Primo Ministro iracheno, ma di fatto le milizie restano largamente autonome.

L’Alleanza Fataho anche chiamata Alleanza per la Conquista, è una coalizione politica irachena, di fatto un blocco ombrello, formata per entrare sul terreno politico e elettorale. I componenti principali sono milizie e brigate, già parte delle Forze di mobilitazione popolare.

(A cura di Enrico Vigna, IniziativaMondoMultipolare/CIVG)

Il discorso presidenziale di Putin all’Assemblea federale russa

Traduzione dall’inglese di Marco Pondrelli per Marx21.it

La stampa italiana ha riportato le proprie, scontate, impressioni sul discorso di Putin, presentandolo come l’ennesima minaccia all’Occidente. Nessuno però si è premurato di proporre integralmente il discorso del Presidente russo, per consentire a chi vuole informarsi di farsi una propria opinione. Come si può leggere Putin ha ricordato come la Russia abbia da tempo cercato il dialogo per fermare l’escalation bellica, a partire dalla richiesta di discutere l’accordo sulla prevenzione dello schieramento di armi nello spazio rispetto al quale gli Stati Uniti tacciono da 15 anni. Questo discorso è importante e prima di criticarlo andrebbe letto. Putin descrive un Paese che sta sviluppando una propria economia, incentivando l’industria e le PMI, quello che non si era riusciti a fare in passato lo si riesce a fare oggi in conseguenza all’aggressione occidentale. Inoltre come sottolinea Putin sta nascendo una nuova classe dirigente in Russia sarà questa l’élite che governerà la Russia nel prossimo futuro, gli anni ’90 sono definitivamente archiviati.

M.P.

29 febbraio 2024

Mosca

Vladimir Putin ha pronunciato il suo discorso all’Assemblea federale. La cerimonia si è svolta a Gostiny Dvor, Mosca.

Presidente della Russia Vladimir Putin: senatori, deputati della Duma di Stato,

Cittadini della Russia,

Lo scopo principale di ogni discorso all’Assemblea federale è offrire una prospettiva lungimirante. Oggi discuteremo non solo dei nostri piani a breve termine, ma anche dei nostri obiettivi strategici e delle questioni che, credo, sono determinanti per garantire uno sviluppo costante a lungo termine per il nostro Paese.

Questo programma d’azione e le misure concrete che esso comprende sono in gran parte il risultato dei miei viaggi nelle regioni e delle conversazioni che ho avuto con operai e ingegneri di impianti civili e di difesa, nonché con medici, insegnanti, ricercatori, volontari, imprenditori, famiglie numerose, con i nostri eroi in prima linea, volontari, soldati e ufficiali delle Forze armate russe. Naturalmente, è chiaro che queste conversazioni, questi incontri non nascono dal nulla: sono organizzati. Tuttavia, questi scambi offrono alle persone l’opportunità di parlare delle loro esigenze più urgenti. Molte idee sono arrivate dai principali forum della società civile e di esperti.

Le proposte presentate dal nostro popolo, le sue aspirazioni e speranze sono diventate il fondamento e il pilastro principale dei progetti e delle iniziative che verranno annunciati anche oggi, durante questo discorso. Spero che la discussione pubblica su questi argomenti continui, poiché solo insieme possiamo realizzare tutti i nostri piani. In effetti, abbiamo davanti a noi compiti importanti.

Abbiamo già dimostrato di poter raggiungere gli obiettivi più impegnativi e rispondere a qualsiasi sfida, anche quella più formidabile. Ad esempio, c’è stato un tempo in cui respingevamo l’aggressione terroristica internazionale e preservavamo la nostra unità nazionale, evitando che il nostro Paese venisse fatto a pezzi.

Abbiamo sostenuto i nostri fratelli e le nostre sorelle; abbiamo sostenuto la loro decisione di stare con la Russia e quest’anno ricorre il decimo anniversario della leggendaria Primavera russa. Ma anche adesso, l’energia, la sincerità e il coraggio dei suoi eroi – il popolo della Crimea, di Sebastopoli e del ribelle Donbass – il loro amore per la Patria, che hanno portato avanti per generazioni, rende orgogliosi. Questo certamente ci ispira e rafforza la nostra fiducia che supereremo qualsiasi cosa, che saremo in grado di fare qualsiasi cosa insieme.

È così che, con tutte le nostre forze, siamo riusciti a eliminare la minaccia mortale della pandemia di Covid-19 proprio di recente. Inoltre, così facendo, abbiamo anche mostrato al mondo che valori come la compassione, il sostegno reciproco e la solidarietà prevalgono nella nostra società.

E oggi, quando la nostra Patria difende la sua sovranità e sicurezza, difendendo la vita dei nostri compatrioti in Donbass e Novorossiya, i nostri cittadini stanno giocando un ruolo decisivo in questa giusta lotta: la loro unità e devozione al nostro Paese e la nostra responsabilità condivisa per il suo futuro.

Hanno dimostrato chiaramente e inequivocabilmente queste qualità fin dall’inizio dell’operazione militare speciale, quando è stata sostenuta dalla maggioranza assoluta dei russi. Nonostante le prove più dure e le perdite amare, le persone sono rimaste irremovibili nella loro scelta e la stanno riaffermando cercando di fare tutto il possibile per il proprio Paese e per il bene comune.

Le industrie russe stanno lavorando su tre turni per lanciare tutti i prodotti di cui il fronte ha bisogno. L’intera economia, che fornisce le basi industriali e tecnologiche per la nostra vittoria, ha dimostrato flessibilità e resilienza. Vorrei ringraziare tutti gli imprenditori, gli ingegneri, gli operai e gli agricoltori per il loro duro e responsabile lavoro nell’interesse della Russia.

Milioni di persone hanno aderito alla campagna ‘Siamo Insieme’ e al progetto del ‘Fronte Popolare Russo Tutto per la Vittoria’! Negli ultimi due anni, le aziende russe hanno donato miliardi di rubli a organizzazioni di volontariato e fondazioni di beneficenza che sostengono i nostri soldati e le loro famiglie.

Le persone inviano lettere e pacchi, vestiti caldi e reti mimetiche al fronte; donano i loro risparmi, a volte molto modesti. Ancora una volta, questo tipo di assistenza è inestimabile: rappresenta il contributo di tutti alla vittoria comune. I nostri eroi in prima linea, in trincea, dove è più difficile, sanno che tutto il Paese è con loro.

Desidero ringraziare la Fondazione Difensori della Patria, il Comitato dei Guerrieri delle Famiglie della Patria e altre associazioni pubbliche per i loro instancabili sforzi. Invito le autorità a tutti i livelli a continuare a fornire un sostegno costante alle famiglie dei nostri eroi, compresi i loro genitori, coniugi e figli, che attendono con ansia il ritorno dei loro cari sani e salvi.

Sono grato ai partiti parlamentari per essersi uniti attorno agli interessi nazionali. Il sistema politico russo costituisce uno dei pilastri della sovranità del nostro Paese. Continueremo a promuovere le istituzioni democratiche e a resistere a qualsiasi interferenza esterna nei nostri affari interni.

Il cosiddetto Occidente, con le sue pratiche coloniali e la sua propensione a incitare conflitti etnici in tutto il mondo, non solo cerca di ostacolare il nostro progresso, ma immagina anche una Russia che sia uno spazio dipendente, in declino e morente dove possono fare ciò che vogliono. In effetti, vogliono replicare in Russia ciò che hanno fatto in numerosi altri paesi, tra cui l’Ucraina: seminare discordia nelle nostre case e indebolirci dall’interno. Ma si sbagliavano, questo è diventato evidente ora che si sono scontrati con la ferma determinazione e determinazione del nostro popolo multietnico.

I nostri soldati e ufficiali – cristiani e musulmani, buddisti e seguaci dell’ebraismo, persone che rappresentano diverse etnie, culture e regioni – hanno dimostrato con le loro azioni, che sono più forti di mille parole, che la coesione e l’unità secolari del popolo russo sono valide. una forza formidabile e invincibile. Tutti loro, fianco a fianco, stanno combattendo per la nostra Patria.

Insieme, come cittadini della Russia, saremo uniti in difesa della nostra libertà e del nostro diritto a un’esistenza pacifica e dignitosa. Tracceremo il nostro percorso, per salvaguardare la continuità delle generazioni, e quindi la continuità dello sviluppo storico, e affrontare le sfide che il Paese deve affrontare sulla base della nostra visione del mondo, delle nostre tradizioni e credenze, che trasmetteremo ai nostri figli .

Amici,

La difesa e il rafforzamento della sovranità procedono a tutti i livelli, principalmente in prima linea, dove le nostre truppe combattono con determinazione ferma e altruista.

Sono grato a tutti coloro che combattono per gli interessi della Patria, che sopportano il crogiuolo dei processi militari e mettono a rischio la propria vita ogni giorno. L’intera nazione nutre il più profondo rispetto per la vostra impresa, piange i morti e la Russia ricorderà sempre i suoi eroi caduti.

(Un momento di silenzio.)

Le nostre Forze Armate hanno acquisito molta esperienza, anche in termini di coordinamento di tutte le ali militari, nonché di padronanza delle tattiche e dei metodi di guerra più recenti. Questo impegno ci ha dato così tanti comandanti talentuosi ed esperti che hanno a cuore i loro uomini e sono diligenti nello svolgere le loro missioni, sanno come utilizzare le nuove attrezzature e sono efficaci nell’adempiere ai loro incarichi. Vorrei sottolineare che ciò sta accadendo a tutti i livelli, dai plotoni alle unità operative fino al comando più alto.

Siamo consapevoli delle sfide che dobbiamo affrontare. Esistono. Detto questo, sappiamo anche cosa è necessario fare per affrontarli. C’è uno sforzo continuo e incessante in corso sia in prima linea che nelle retrovie a questo riguardo, al fine di migliorare la potenza d’attacco dell’Esercito e della Flotta, per renderli più esperti di tecnologia ed efficaci.

Le Forze Armate hanno ampliato notevolmente le loro capacità di combattimento. Le nostre unità hanno preso l’iniziativa e non rinunceranno. Stanno avanzando con sicurezza in diversi teatri operativi e liberando territori.

Non siamo stati noi a iniziare la guerra nel Donbass, ma, come ho già detto molte volte, faremo di tutto per porvi fine, sradicare il nazismo e raggiungere tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale, nonché difendere sovranità e garantire la sicurezza del nostro popolo.

Le forze nucleari strategiche sono in piena allerta e la capacità di utilizzarle è assicurata. Abbiamo già realizzato o stiamo per realizzare tutti i nostri piani in termini di armi, in linea con quanto ho affermato nel mio Discorso del 2018.

Kinzhal, il complesso ipersonico lanciato dall’aria, non solo è entrato in servizio di combattimento, ma è stato efficace nell’effettuare attacchi contro obiettivi critici durante l’operazione militare speciale. Per lo stesso motivo, Zircon, un complesso missilistico ipersonico basato su una nave, ha già prestato servizio in combattimento. Non è stato nemmeno menzionato nel discorso del 2018, ma anche questo sistema missilistico è entrato in servizio di combattimento.

Anche i missili balistici intercontinentali ipersonici Avangard, così come i complessi laser Peresvet, sono entrati in servizio di combattimento. Il Burevestnik, un missile da crociera con portata illimitata, sta per completare la fase di test, così come il Poseidon, un veicolo sottomarino senza pilota. Questi sistemi hanno dimostrato di soddisfare gli standard più elevati e non sarebbe esagerato affermare che offrono funzionalità uniche. Le nostre truppe hanno ricevuto anche i primi missili balistici pesanti Sarmat prodotti in serie. Presto ve li mostreremo durante il loro servizio di allerta in combattimento nelle aree del loro schieramento.

Gli sforzi per sviluppare diversi altri nuovi sistemi d’arma continuano e ci aspettiamo di sentire ancora di più sui risultati dei nostri ricercatori e dei produttori di armi.

La Russia è pronta al dialogo con gli Stati Uniti su questioni di stabilità strategica. Tuttavia, è importante chiarire che in questo caso abbiamo a che fare con uno Stato i cui ambienti dominanti stanno intraprendendo azioni apertamente ostili nei nostri confronti. Quindi, intendono seriamente discutere con noi questioni di sicurezza strategica e allo stesso tempo cercare di infliggere una sconfitta strategica alla Russia sul campo di battaglia, come dicono loro stessi.

Ecco un buon esempio della loro ipocrisia. Recentemente hanno avanzato accuse infondate, in particolare contro la Russia, riguardo ai piani per lo schieramento di armi nucleari nello spazio. Tali false narrazioni, e questa storia è inequivocabilmente falsa, sono progettate per coinvolgerci nei negoziati alle loro condizioni, che andranno solo a beneficio degli Stati Uniti.

Allo stesso tempo hanno bloccato la nostra proposta che era sul tavolo da oltre 15 anni. Mi riferisco all’accordo sulla prevenzione dello schieramento di armi nello spazio, che abbiamo redatto nel 2008. Non c’è stata alcuna reazione. Non è assolutamente chiaro di cosa stiano parlando.

Pertanto, ci sono ragioni per sospettare che l’interesse dichiarato dall’attuale amministrazione statunitense a discutere con noi di stabilità strategica sia semplicemente demagogia. Vogliono semplicemente mostrare ai propri cittadini e al mondo, soprattutto nel periodo precedente alle elezioni presidenziali, che continuano a governare il mondo, che parleranno con i russi quando ciò andrà a loro beneficio e che non c’è nulla di cui parlare e cercheranno di sconfiggerci. Tutto come al solito, come si suol dire.

Ma questo è inaccettabile, ovviamente. La nostra posizione è chiara: se si vogliono discutere questioni di sicurezza e stabilità che sono fondamentali per l’intero pianeta, ciò deve essere fatto con un pacchetto che includa, ovviamente, tutti gli aspetti che hanno a che fare con i nostri interessi nazionali e che hanno un impatto diretto sulla sicurezza del nostro Paese, la sicurezza della Russia.

Siamo anche consapevoli dei tentativi occidentali di trascinarci in una corsa agli armamenti, così esaurendoci, rispecchiando la strategia adottata con successo con l’Unione Sovietica negli anni ’80. Permettetemi di ricordarvi che nel 1981-1988 la spesa militare dell’Unione Sovietica ammontava al 13% del PIL.

Il nostro attuale imperativo è rafforzare la nostra industria della difesa in modo tale da aumentare le capacità scientifiche, tecnologiche e industriali del nostro Paese. Dobbiamo allocare le risorse nel modo più giudizioso possibile, promuovendo un’economia efficiente per le Forze Armate e massimizzando il rendimento di ogni rublo della nostra spesa per la difesa. Per noi è fondamentale accelerare la risoluzione dei problemi sociali, demografici, infrastrutturali e di altro tipo che affrontiamo, migliorando contemporaneamente la qualità delle attrezzature per l’esercito e la marina russa.

Ciò vale principalmente per le forze generali, affinando i principi della loro organizzazione e schierando sistemi avanzati di attacco senza pilota, sistemi di difesa aerea e guerra elettronica, ricognizione e comunicazioni, armi ad alta precisione e altri tipi di armi alle truppe.

Dobbiamo rafforzare le forze nel teatro strategico occidentale per contrastare le minacce poste dall’ulteriore espansione della NATO verso est, con l’adesione di Svezia e Finlandia all’alleanza.

L’Occidente ha provocato conflitti in Ucraina, in Medio Oriente e in altre regioni del mondo, diffondendo costantemente falsità. Ora hanno l’audacia di dire che la Russia nutre intenzioni di attaccare l’Europa. Potete crederci? Sappiamo tutti che le loro affermazioni sono del tutto infondate. E allo stesso tempo stanno selezionando gli obiettivi da colpire sul nostro territorio e contemplando i mezzi di distruzione più efficienti. Ora hanno iniziato a parlare della possibilità di schierare contingenti militari della NATO in Ucraina.

Ma ricordiamo cosa è successo a coloro che già una volta hanno inviato i loro contingenti nel territorio del nostro Paese. Oggi, qualsiasi potenziale aggressore dovrà affrontare conseguenze molto più gravi. Devono capire che disponiamo anche di armi – sì, lo sanno, come ho appena detto – capaci di colpire obiettivi sul loro territorio.

Tutto ciò che stanno inventando ora, spaventando il mondo con la minaccia di un conflitto che coinvolga armi nucleari, che potenzialmente significa la fine della civiltà, se ne rendono conto? Il problema è che si tratta di persone che non hanno mai affrontato profonde avversità; non hanno idea degli orrori della guerra. Noi, anche la generazione più giovane di russi, abbiamo sopportato tali prove durante la lotta contro il terrorismo internazionale nel Caucaso e ora nel conflitto in Ucraina. Ma continuano a considerarlo una sorta di cartone animato d’azione.

In effetti, proprio come qualsiasi altra ideologia che promuove il razzismo, la superiorità nazionale o l’eccezionalismo, la russofobia è accecante e stupefacente. Gli Stati Uniti e i loro satelliti hanno infatti smantellato il sistema di sicurezza europeo creando rischi per tutti.

Chiaramente, un nuovo quadro di sicurezza uguale e indivisibile deve essere creato in Eurasia nel prossimo futuro. Siamo pronti per una discussione approfondita su questo argomento con tutti i paesi e le associazioni che potrebbero essere interessate. Allo stesso tempo, vorrei ribadire (penso che sia importante per tutti) che nessun ordine internazionale duraturo è possibile senza una Russia forte e sovrana.

Ci sforziamo di unire gli sforzi della maggioranza globale per rispondere alle sfide internazionali, come la turbolenta trasformazione dell’economia mondiale, del commercio, della finanza e dei mercati tecnologici, quando gli ex monopoli e gli stereotipi ad essi associati stanno crollando.

Ad esempio, nel 2028, i paesi BRICS, tenendo conto dei nuovi membri, creeranno circa il 37% del PIL globale, mentre i numeri del G7 scenderanno al di sotto del 28%. Queste cifre sono piuttosto significative perché la situazione era completamente diversa solo 10 o 15 anni fa. Mi avete già sentito dirlo pubblicamente. Queste sono le tendenze. Queste sono le tendenze globali e non è possibile sfuggirle poiché sono una realtà oggettiva.

Guardate, la quota dei paesi del G7 nel PIL globale in termini di PPP era pari al 45,7% nel 1992, mentre i paesi BRICS (questa associazione non esisteva nel 1992) rappresentavano solo il 16,5%. Nel 2022, tuttavia, il G7 rappresentava il 30,3%, mentre i BRICS il 31,5%. Entro il 2028, la percentuale si sposterà ancora di più a favore dei BRICS, con il 36,6%, e la cifra prevista per il G7 è del 27,8%. Non è possibile allontanarsi da questa realtà oggettiva, e rimarrà tale indipendentemente da ciò che accadrà dopo, anche in Ucraina.

Continueremo a lavorare con i paesi amici per creare corridoi logistici efficaci e sicuri, basandoci su soluzioni all’avanguardia per costruire una nuova architettura finanziaria globale che sia libera da qualsiasi interferenza politica. Ciò è particolarmente importante considerando che l’Occidente ha minato le proprie valute e il sistema bancario tagliando letteralmente il ramo su cui è seduto.

I principi di uguaglianza e rispetto per gli interessi reciproci ci guidano nelle nostre interazioni con i nostri partner. Questo è il motivo per cui sempre più paesi sono stati proattivi nel cercare di far parte delle attività dell’EAEU, della SCO, dei BRICS e di altre associazioni che coinvolgono la Russia. Vediamo molte promesse nel progetto di costruzione di un grande partenariato eurasiatico e di allineamento dei processi di integrazione all’interno dell’Unione economica eurasiatica e dell’iniziativa cinese Belt and Road.

Il dialogo tra Russia e ASEAN ha registrato uno slancio positivo. I vertici Russia-Africa hanno rappresentato una vera svolta, con il continente africano che è diventato sempre più assertivo nel perseguire i propri interessi e nel godere di un’autentica sovranità. Sosteniamo sinceramente queste aspirazioni.

La Russia ha relazioni positive e di lunga data con gli stati arabi, che hanno una propria civiltà unica e vivace che si estende in tutto il Nord Africa e nel Medio Oriente. Siamo convinti che dobbiamo trovare nuovi punti di convergenza con i nostri amici arabi e approfondire le nostre partnership a tutti i livelli. La stessa visione guiderà le nostre relazioni con l’America Latina.

In una nota separata, vorrei chiedere al governo di stanziare maggiori finanziamenti per programmi internazionali per la promozione della lingua russa e della nostra cultura multietnica, principalmente nello spazio della CSI ma anche in tutto il mondo.

Per inciso, amici e colleghi, sono sicuro che molti di voi sono stati alla mostra sulla Russia. Le persone vanno lì per vedere quanto è ricca e vasta la nostra patria e per mostrarlo ai propri figli. Lì è stato lanciato l’Anno della Famiglia. I valori dell’amore, del sostegno reciproco e della fiducia vengono tramandati di generazione in generazione, proprio come la nostra cultura, le nostre tradizioni, la nostra storia e i nostri principi morali.

Ma lo scopo principale della famiglia è avere figli, procreare, crescere i figli e quindi garantire la sopravvivenza della nostra nazione multietnica. Possiamo vedere cosa sta accadendo in alcuni paesi in cui gli standard morali e la famiglia vengono deliberatamente distrutti e intere nazioni vengono spinte verso l’estinzione e la decadenza. Abbiamo scelto la vita. La Russia è stata e rimane una roccaforte dei valori tradizionali su cui poggia la civiltà umana. La nostra scelta è supportata dalla maggior parte delle persone nel mondo, inclusi milioni di persone nei paesi occidentali.

È vero, oggi i tassi di natalità stanno diminuendo in Russia e in molti altri paesi. I demografi affermano che questa sfida è legata ai cambiamenti nelle percezioni sociali, economiche, tecnologiche, culturali e di valore in tutto il mondo. I giovani ricevono un’istruzione, cercano di fare carriera e migliorano le loro condizioni di vita, lasciando i figli per dopo.

È ovvio che l’economia e la qualità del settore sociale non sono gli unici fattori che influenzano la demografia e il tasso di natalità. Anche le scelte di vita incoraggiate in famiglia e dalla nostra cultura ed educazione hanno un impatto enorme. Tutti i livelli di governo, della società civile e del clero di tutte le nostre religioni tradizionali devono contribuire a questo.

Il sostegno alle famiglie con bambini è la nostra scelta morale fondamentale. Una famiglia con più figli deve diventare una norma, la filosofia sociale sottostante e il fulcro della strategia statale. (Applausi.) Mi unisco ai vostri applausi.

Dobbiamo garantire una crescita sostenibile del tasso di natalità entro i prossimi sei anni. Con questo obiettivo, prenderemo ulteriori decisioni riguardanti il sistema educativo e lo sviluppo regionale ed economico. Parlerò del sostegno alle famiglie e del miglioramento della qualità della loro vita in quasi tutte le parti del Discorso. Per favore abbiate pazienza, perché ho appena iniziato. Anche tutto quello che ho già detto è importante, ma ora parlerò delle questioni più importanti.

Inizierò con un problema importante, per usare un eufemismo, ovvero i redditi bassi sperimentati da molte famiglie numerose. Nel 2000, più di 42 milioni di russi vivevano al di sotto della soglia di povertà, ma da allora la situazione è cambiata radicalmente. Alla fine dello scorso anno, il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà è sceso a 13,5 milioni, un numero comunque elevato. Ma siamo costantemente concentrati sulla ricerca di una soluzione a questo problema.

In tempi relativamente recenti sono state adottate diverse misure. Ad esempio, il 1° gennaio 2023 è stato introdotto un assegno mensile unico per le famiglie a basso reddito. È dovuto dal momento in cui la madre rimane incinta fino al compimento dei 17 anni del figlio. L’anno scorso l’hanno ricevuto più di 11 milioni di persone.

Abbiamo semplificato drasticamente la procedura per la conclusione di un contratto sociale, dando priorità alle famiglie numerose. Ora, una domanda per un contratto sociale può essere presentata tramite il sito web Gosuslugi (servizi governativi) con un insieme minimo di documenti. Lavoreremo per espandere la disponibilità di questo servizio, che richiederà finanziamenti aggiuntivi per un importo di 100 miliardi di rubli. Questi soldi sono già stati accantonati. In generale, tutte le spese aggiuntive che menzionerò sono state preventivate.

Per ribadire, la povertà rimane un problema acuto che ora colpisce direttamente più del 9% della popolazione. Secondo gli esperti, il tasso di povertà tra le famiglie con molti figli è di circa il 30%. Dobbiamo stabilire obiettivi chiari e raggiungerli costantemente. Entro il 2030, il tasso di povertà complessivo in Russia dovrà essere inferiore al 7% e, per le famiglie numerose, non dovrà essere superiore al 12% o inferiore alla metà dell’attuale 30%. Dobbiamo cioè porre un’enfasi particolare sullo sforzo volto a ridurre la povertà, in primo luogo per le famiglie con molti figli.

So che superare la povertà non è facile ed è uno sforzo assolutamente sistemico e multi-vettore. Pertanto, per ribadirlo, è importante assicurarsi che tutto ciò che facciamo in quest’area e ogni strumento che utilizziamo siano efficaci ed efficienti e produca risultati reali e tangibili per le nostre persone e le nostre famiglie.

Ciò di cui abbiamo bisogno è uno sforzo ininterrotto volto a migliorare la qualità della vita delle famiglie con bambini e a sostenere il tasso di natalità. Per raggiungere questo obiettivo, lanceremo un nuovo progetto nazionale intitolato “Famiglia”.

Parlerò ora di una serie di iniziative specifiche.

In primo luogo, oltre ai programmi federali, le regioni russe stanno implementando le proprie misure a sostegno delle famiglie con bambini. Soprattutto, vorrei ringraziare i miei colleghi per questo lavoro e proporre di fornire ulteriore assistenza alle regioni in cui il tasso di natalità è inferiore alla media nazionale. Ciò è particolarmente importante per la Russia centrale e nordoccidentale. Nel 2022, 39 regioni avevano un tasso di fertilità totale inferiore alla media nazionale. Entro la fine del 2030 destineremo almeno 75 miliardi di rubli a queste regioni in modo che possano aumentare i loro programmi di sostegno alle famiglie. I fondi inizieranno a essere erogati l’anno prossimo.

In secondo luogo, l’anno scorso in Russia sono stati costruiti più di 110 milioni di metri quadrati di abitazioni, ovvero il 50% in più rispetto al livello più alto dell’era sovietica, raggiunto nel 1987. All’epoca furono costruiti 72,8 milioni di metri quadrati e ora il risultato è 110 milioni.

Ancora più importante, negli ultimi sei anni, milioni di famiglie russe si sono trasferite in alloggi più grandi o migliori; oltre 900.000 di loro hanno approfittato del programma di mutui familiari, lanciato nel 2018. Nel corso del tempo abbiamo costantemente ampliato l’idoneità a questo programma, dalle famiglie con due o più figli alle famiglie con un figlio di oggi. Il programma proseguirà fino a luglio 2024. Propongo di estenderlo ulteriormente fino al 2030 mantenendone i parametri di base. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata alle famiglie con bambini sotto i sei anni; il tasso di interesse preferenziale sul prestito rimarrà al 6% per queste famiglie.

C’è qualcos’altro. Attualmente il governo sovvenziona 450.000 rubli di mutuo per una famiglia che ha un terzo figlio. Propongo inoltre di estendere questa misura fino al 2030. Quest’anno questo piano di sostegno richiederà quasi 50 miliardi di rubli; l’importo aumenterà ulteriormente, ma abbiamo i soldi per farlo.

Il nostro obiettivo più ampio è rendere gli alloggi attualmente in costruzione maggiormente accessibili per le famiglie e garantire un rinnovamento a livello di sistema del patrimonio immobiliare nel paese.

In terzo luogo, in Russia ci sono oltre due milioni di famiglie con tre o più figli. Inutile dire che siamo molto orgogliosi di queste famiglie.

Ecco cosa volevo dire a questo proposito. Guardate questi numeri : sono cifre del mondo reale. Tra il 2018 e il 2022, il numero di famiglie con molti bambini in Russia è aumentato del 26,8%, il che è un risultato positivo.

Ho firmato un ordine esecutivo che crea uno status nazionale unico per le famiglie con molti figli. Questo è quello che il popolo ha chiesto. Dobbiamo dare seguito alle disposizioni adottando decisioni federali e regionali concrete, in linea con le aspirazioni popolari, ovviamente.

Le famiglie con molti figli hanno così tante questioni di cui occuparsi, quindi i genitori devono avere più risorse a disposizione per affrontare le sfide quotidiane. Suggerisco di raddoppiare la detrazione fiscale che i genitori ottengono quando hanno il secondo figlio a 2.800 rubli al mese e di aumentare questo beneficio per il terzo e ogni figlio consecutivo a 6.000 rubli.

Cosa significa questo? Faccio un esempio: in questo modo una famiglia con tre figli potrà risparmiare 1.300 rubli al mese. Suggerisco inoltre di aumentare il reddito annuo computato ai fini di questa detrazione da 350.000 a 450.000 rubli. E questa misura di sostegno deve applicarsi automaticamente senza che le persone debbano richiederla.

In una nota separata vorrei menzionare l’indennità di capitale di maternità. Oggi i genitori possono ricevere 630.000 rubli quando nasce il loro primo figlio e quando arriva il secondo la famiglia riceve altri 202.000 rubli. Abbiamo regolarmente adeguato questo vantaggio all’inflazione. Per il momento, il programma di capitale di maternità scadrà entro l’inizio del 2026, ma suggerisco di estenderlo almeno fino al 2030.

Colleghi,

Vorrei ringraziare le fondazioni di beneficenza e le organizzazioni no-profit di servizio alla comunità che aiutano gli anziani, le persone affette da varie malattie e i bambini con disabilità. Hanno fatto molto per sollevare la questione dell’assistenza a lungo termine a livello nazionale. Erano loro a sollevare costantemente questi problemi.

Credo che dobbiamo stanziare più fondi federali per questo sistema e seguire un unico ed elevato standard di cura. Ciò include il miglioramento della disponibilità per circa mezzo milione di russi che hanno bisogno di questo tipo di assistenza.

Entro il 2030 dobbiamo garantire che il 100% delle persone che necessitano di questo tipo di assistenza a lungo termine possano trarne beneficio.

Attualmente l’aspettativa di vita media in Russia ha superato i 73 anni. Siamo tornati al livello a cui eravamo prima della pandemia di COVID-19. Entro il 2030, l’aspettativa di vita in Russia dovrebbe essere di almeno 78 anni e in futuro, come avevamo pianificato, raggiungeremo il livello di oltre 80 anni.

Particolare attenzione dovrebbe essere prestata alle aree rurali e alle regioni in cui l’aspettativa di vita è ancora inferiore alla media della Russia. Il progetto nazionale Long and Active Life si concentrerà sul raggiungimento di questi obiettivi. È particolarmente importante prolungare il periodo sano e attivo nella vita di una persona, in modo che possa godersi le attività familiari, stare con i propri cari, figli e nipoti.

Continueremo ad attuare progetti federali per combattere le malattie cardiovascolari, il cancro e il diabete.

Inoltre, propongo di lanciare un nuovo programma globale per proteggere la maternità e aiutare i bambini e gli adolescenti a mantenere una buona salute, compresa la salute riproduttiva, garantendo che i bambini nascano sani e crescano fino a diventare adulti sani e producano bambini sani in futuro.

Le priorità del nuovo programma dovrebbero includere l’espansione della rete nazionale di cliniche sanitarie femminili e il potenziamento dei centri prenatale, delle cliniche pediatriche e degli ospedali. In totale, nei prossimi sei anni stanzieremo inoltre più di un trilione di rubli solo per la costruzione, la riparazione e l’equipaggiamento delle strutture sanitarie.

Inoltre. Il numero di russi che praticano attività sportive regolarmente è aumentato in modo significativo negli ultimi anni. Questo è uno dei nostri principali risultati. Dobbiamo incoraggiare le persone ad assumersi la responsabilità della propria salute. Già dal prossimo anno introdurremo detrazioni fiscali per coloro che si sottopongono regolarmente a visite mediche programmate, nonché superano con successo il test di idoneità fisica standard GTO.

Ricordate questo slogan popolare? Tutti ricordano quella battuta: “Smetti di bere, inizia a sciare!” Sembra che sia così, il momento è adesso. A proposito del bere abbiamo ottenuto un risultato notevole e positivo. In effetti, abbiamo ridotto significativamente il consumo di alcol, principalmente alcolici forti, senza imporre restrizioni estreme, il che dovrebbe sicuramente migliorare la salute della nazione.

Suggerisco di incanalare i fondi federali nella costruzione di almeno 350 impianti sportivi aggiuntivi ogni anno nelle regioni, principalmente nelle piccole città e nelle aree rurali. Ciò potrebbe includere luoghi polivalenti, nonché strutture che possono essere costruite rapidamente per essere utilizzate da bambini, adulti e famiglie. A tal fine stanzieremo circa 65 miliardi di rubli in denaro federale nei prossimi sei anni.

Anche le università, gli istituti professionali, le scuole e gli istituti prescolari devono creare le condizioni per praticare sport. A proposito, molti dei nostri asili sono stati aperti già in epoca sovietica e hanno bisogno di essere ristrutturati. L’anno prossimo lanceremo un importante programma di ristrutturazione per loro. Ho sentito parlare di questo problema dalle persone con cui parlo continuamente.

Per quanto riguarda le scuole, circa 18.500 edifici necessitano di importanti riparazioni. Aiuteremo le regioni a gestire l’arretrato di problemi in questo settore in modo che possano passare dalle riparazioni urgenti a quelle pianificate. A giudicare da quanto realizzato finora, siamo sulla strada giusta. Nel complesso, stanzieremo oltre 400 miliardi di rubli per intraprendere importanti riparazioni negli asili e nelle scuole.

Oltre a ciò, propongo di rinnovare o aprire sale mediche nelle scuole che necessitano di questo tipo di servizio. Oggi, intendo dire nel 2022-2023, solo il 65% delle 39.000 scuole che abbiamo (e abbiamo 39.440 scuole in totale) disponevano di strutture mediche, il che significa che abbiamo margine di miglioramento

C’è un altro argomento importante. Molte grandi città sono in rapida espansione, il che a sua volta aumenta il peso sui servizi sociali. Molte scuole hanno dovuto passare a turni doppi o addirittura tripli. Naturalmente, questa è una sfida e dobbiamo affrontarla. Dovremo impegnare risorse federali per risolvere questo problema costruendo almeno 150 scuole e oltre 100 asili nido nelle città più colpite che si trovano ad affrontare istituti scolastici sovraffollati.

Colleghi,

I sogni e le realizzazioni dei nostri antenati sono alla nostra portata e possiamo essere orgogliosi di questi risultati, mentre sono le aspirazioni delle nostre generazioni più giovani a determinare il futuro del nostro Paese. La loro maturità, i loro successi, le loro linee guida morali, che possono resistere a qualsiasi sfida, sono le garanzie più importanti della sovranità della Russia e della continuazione della nostra storia.

Propongo di consolidare l’esperienza positiva che abbiamo ottenuto con la nostra politica giovanile e di lanciare quest’anno un nuovo progetto nazionale, la Gioventù di Russia. Questo progetto dovrebbe concentrarsi sul futuro del nostro Paese e lavorare verso quel futuro. Questo è ciò che i nostri insegnanti vedono come la loro chiamata, la loro grande missione, quando si rendono conto di essere responsabili delle generazioni più giovani e siamo loro grati per il loro lavoro altruistico.

I mentori svolgono un ruolo importante nel far sentire i bambini parte di una squadra unita e nel fornire loro supporto nella vita. Propongo di istituire un sussidio federale mensile di 5.000 rubli per i consulenti dei direttori che che li aiutano nello sviluppo dei bambini nelle scuole e nelle università, con data di lancio il 1° settembre 2024. Questa sarà una nuova misura di sostegno. Propongo inoltre di implementare misure di sostegno per gli insegnanti di classe nelle scuole, nonché per i supervisori di gruppo, sia nelle università che nelle scuole tecniche, nelle comunità con una popolazione inferiore a 100.000 persone. Tali comunità necessitano di un’attenzione speciale e, infatti, la maggior parte delle piccole città e dei villaggi di tutta la Russia rientrano in questa categoria. Pertanto, dal 1° marzo 2024, propongo di raddoppiare il pagamento federale per la gestione delle classi e la supervisione dei gruppi agli operatori didattici idonei portandolo a 10.000 rubli.

C’è un’altra cosa che vorrei aggiungere. Nel 2018, gli ordini esecutivi di maggio stabiliscono i requisiti per la retribuzione degli insegnanti e di altri dipendenti del settore pubblico sulla base del reddito medio mensile derivante da un impiego in una particolare regione della Russia. Queste disposizioni dei cosiddetti ordini esecutivi di maggio devono continuare a essere rigorosamente rispettate. Allo stesso tempo, dobbiamo migliorare il sistema di remunerazione nel settore pubblico e aumentare i redditi dei suoi dipendenti.

La retribuzione media nell’economia varia da regione a regione, il che significa che i redditi delle persone nel settore pubblico a volte sono molto diversi anche nelle entità vicine della federazione. Ma il lavoro di insegnanti e medici è difficile e richiede che accettino un’estrema responsabilità, indipendentemente da dove si trovino. Senza dubbio, questa grande differenza negli stipendi tra le regioni è ingiusta.

So che si tratta di una questione vecchia, complicata e ad alta intensità di capitale, se posso affrontarla in questo modo. Ne ho discusso con i miei colleghi delle agenzie federali, i capi delle regioni, insegnanti, medici e altri professionisti. Ed è chiaro che dobbiamo fare qualcosa al riguardo.

Non entrerò ora nei dettagli, ma è sicuramente una questione complicata. I parlamentari e il governo sanno di cosa sto parlando. Chiedo al governo di coordinare nel 2025 un nuovo sistema di pagamento per i dipendenti del settore pubblico nell’ambito dei progetti pilota esistenti nelle regioni e di adottare una decisione finale per l’intero paese nel 2026.

Una questione a parte riguarda la creazione di incentivi aggiuntivi per attirare giovani professionisti nelle scuole dove vedranno opportunità professionali e di carriera. A tal fine, approveremo stanziamenti mirati di oltre 9 miliardi di rubli dal bilancio federale per il miglioramento dell’infrastruttura delle università di formazione pedagogica.

Il nostro sistema di istruzione scolastica è sempre stato famoso per i suoi insegnanti innovativi e metodi di insegnamento unici. Sono i team di tali insegnanti che prenderanno parte alla creazione di scuole lungimiranti. La costruzione delle prime scuole di leadership di questo tipo inizierà quest’anno nelle regioni di Ryazan, Pskov, Belgorod, Nizhny Novgorod e Novgorod. Successivamente verranno costruiti in tutti i distretti federali, in Estremo Oriente, in Siberia e nel Donbass. Nel complesso, apriremo 12 scuole di questo tipo entro il 2030.

Per quanto riguarda i contenuti educativi, il carico di lavoro dei nostri figli deve essere ragionevole ed equilibrato. E decisamente non va bene quando ai bambini viene insegnata una cosa durante le lezioni e vengono chieste cose completamente diverse durante gli esami. Questa discrepanza, per usare un eufemismo, tra il programma di studio e le domande poste durante gli esami, che purtroppo accade, costringe i genitori ad assumere tutor privati, cosa che non tutte le famiglie possono permettersi. Chiedo ai nostri colleghi del governo di collaborare con insegnanti e genitori per risolvere questo problema evidente.

A questo proposito vorrei spendere qualche parola sull’Esame di Stato Unificato. che è una questione di ampia discussione e dibattito pubblico, come tutti sappiamo. È vero che il meccanismo dell’esame unificato deve essere migliorato.

Cosa suggerisco in questa fase? Propongo di fare un ulteriore passo dando una seconda possibilità ai diplomati. In particolare, avranno la possibilità di sostenere nuovamente un esame in una delle materie d’esame unificate prima della fine del periodo di iscrizione all’università in modo da poter inviare nuovamente i nuovi voti. Tali questioni possono sembrare banali, ma in realtà sono piuttosto importanti per le persone.

Colleghi,

L’anno scorso, l’economia russa è cresciuta più velocemente dell’economia mondiale e abbiamo sovraperformato non solo i principali paesi dell’UE, ma anche tutte le economie del G7. Ecco cosa vorrei sottolineare a questo proposito: le massicce riserve create negli ultimi decenni hanno avuto molto a che fare con questo.

La quota delle industrie non legate alle materie prime nella struttura di crescita è ora ben superiore al 90%, il che significa che l’economia è diventata più complessa e tecnologica e quindi molto più sostenibile. La Russia è la più grande economia europea in termini di prodotto interno lordo e parità di potere d’acquisto, nonché la quinta economia mondiale.

Il ritmo e, soprattutto, la qualità della crescita rendono possibile sperare e persino affermare che saremo in grado di fare un altro passo avanti nel prossimo futuro e di diventare la quarta economia mondiale. Questo tipo di crescita dovrebbe avere un effetto diretto sui redditi delle famiglie.

La quota dei salari nel PIL nazionale dovrebbe aumentare entro i prossimi sei anni. Stiamo adeguando il salario minimo ai tassi di inflazione e ai tassi di crescita salariale medi nell’economia. A partire dal 2020, il salario minimo è aumentato del 50%, da 12.000 a 19.000 rubli al mese. Entro il 2030, il salario minimo sarà quasi raddoppiato, arrivando a 35.000 rubli, il che farà sicuramente la differenza nel numero di benefici sociali e salari nei settori pubblico ed economico.

Siamo consapevoli dei rischi e dei fattori che potrebbero portare a un rallentamento della crescita economica e del nostro progresso in generale. Questi includono, principalmente, la carenza di personale qualificato e della nostra tecnologia avanzata e persino la totale mancanza di essa in alcune aree. Dobbiamo essere proattivi a questo riguardo, quindi oggi discuterò in dettaglio questi due argomenti strategicamente importanti.

Inizierò con il personale. La Russia ha una numerosa generazione di giovani. Stranamente, stiamo affrontando problemi demografici legati alla crescita della popolazione, ma abbiamo ancora una generazione giovane piuttosto numerosa. Nel 2030, questo paese avrà 8,3 milioni di persone di età compresa tra i 20 e i 24 anni, e 9,7 milioni, ovvero 2,4 milioni in più, nel 2035. Senza dubbio, questo è il risultato delle misurazioni demografiche degli anni precedenti, tra le altre cose.

È importante sottolineare che gli adolescenti di oggi dovrebbero diventare professionisti pronti a lavorare nell’economia del 21° secolo. Questo è il focus del nuovo progetto nazionale del Personale.

Ne abbiamo discusso molto, ma dobbiamo davvero rafforzare il collegamento tra tutti i livelli di istruzione, dalla scuola all’università. Dovrebbero funzionare insieme per ottenere un risultato comune. Naturalmente, il coinvolgimento dei futuri datori di lavoro è importante. Quest’anno è stato lanciato un sistema di orientamento professionale in tutte le scuole a livello nazionale. Gli alunni dalla prima media in su possono acquisire familiarità con diverse specialità.

Ora esorto i capi delle imprese, dei centri di ricerca e dei centri medici a incoraggiare gli scolari a visitarli. Far vedere loro i workshops, come mi è stato offerto di fare durante uno dei miei viaggi, i musei e i laboratori. Assicurati di partecipare a questo sforzo.

La promozione di una stretta collaborazione tra le istituzioni educative e l’economia reale ci ha guidato nel progetto Professionalitet per la promozione della formazione professionale. Ci ha permesso di aggiornare i programmi formativi per i settori dell’aviazione, della costruzione navale, farmaceutico, dell’elettronica e della difesa, tra gli altri.

Dovremo formare circa un milione di lavoratori altamente qualificati per questi settori entro il 2028, assicurandoci al tempo stesso che il sistema di formazione professionale nel suo insieme passi a questi approcci, anche in termini di sviluppo delle risorse umane per le scuole, gli ospedali, gli ambulatori, i servizi settore, turismo, istituzioni culturali e industrie creative.

In una nota separata, sto dando istruzioni al governo di collaborare con le regioni su un programma per rinnovare e attrezzare gli istituti di formazione professionale. Questo sforzo deve andare oltre il rinnovamento delle strutture educative e coprire anche le strutture sportive, nonché i dormitori degli studenti che servono queste scuole e università di formazione professionale. Assegneremo 120 miliardi di rubli in finanziamenti federali per questi scopi nel prossimo periodo di sei anni.

Inoltre, spenderemo altri 124 miliardi di rubli per effettuare importanti riparazioni in circa 800 dormitori universitari nei prossimi sei anni.

Per quanto riguarda l’istruzione superiore in generale, il nostro compito è sviluppare centri di ricerca e formazione in tutto il nostro Paese. Per questo costruiremo 25 campus universitari entro il 2030. Ne abbiamo già parlato, ma vale la pena ripeterlo. Suggerisco di espandere questo programma per costruire almeno 40 campus studenteschi di questo tipo.

Per fare ciò, dovremo stanziare circa 400 miliardi di rubli dal bilancio federale per garantire che studenti, laureati, docenti e giovani famiglie abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno per studiare, lavorare e crescere i propri figli.

Nel complesso, dobbiamo esaminare tutte le diverse situazioni che le giovani madri o i giovani genitori affrontano nella loro vita e utilizzare queste informazioni per perfezionare e migliorare i servizi pubblici, il settore sociale, l’assistenza sanitaria, nonché le infrastrutture urbane e rurali. Chiedo al governo e alla regione di prestare la dovuta attenzione quando si lavora su questo programma.

Andando avanti, nel discorso dell’anno scorso, ho annunciato importanti cambiamenti nel modo in cui funziona il nostro sistema di istruzione superiore e ho parlato della necessità di utilizzare le migliori pratiche nazionali. Le basi per il futuro successo in una professione vengono gettate nei primi anni di università, quando vengono insegnate le materie fondamentali. Credo che dobbiamo offrire a coloro che insegnano queste materie salari più alti. Pertanto, chiedo al governo di suggerire modalità specifiche per realizzare ciò e di lanciare un progetto pilota a partire dal 1° settembre.

Ciò richiederà risorse aggiuntive. Secondo le stime preliminari, ciò ammonterebbe a circa 1,5 miliardi quest’anno e a 4,5 miliardi in futuro. Abbiamo preso in considerazione questi importi nelle nostre proiezioni.

Per noi è importante rafforzare le capacità e la qualità del sistema nazionale di istruzione superiore, per sostenere le università che lottano per lo sviluppo. Questi obiettivi vengono raggiunti dal nostro programma Priorità 2030. I finanziamenti per questo scopo sono stati stanziati fino alla fine di quest’anno. Propongo certamente di prorogarlo per altri sei anni e di stanziare altri 190 miliardi di rubli.

I criteri di efficienza per le università partecipanti dovrebbero includere progetti relativi al personale e alla tecnologia con le regioni, le industrie e il settore sociale della Russia, la creazione di aziende e start-up innovative ed efficaci con la capacità di attrarre studenti stranieri. Inoltre, valuteremo sicuramente tutte le università, i college e le scuole tecniche russe in base alla domanda di laureati dal mercato del lavoro e alla crescita delle loro retribuzioni.

Amici,

Vorrei spendere alcune parole sulle basi tecnologiche dello sviluppo e qui la scienza è certamente la pietra angolare. In un incontro con gli scienziati dell’Accademia russa delle scienze, che quest’anno ha celebrato il suo 300° anniversario, ho affermato che, anche durante i periodi più difficili, la Russia non ha mai rinunciato ad affrontare i suoi imperativi fondamentali, ha sempre pensato al futuro e dobbiamo fare lo stesso adesso. È un dato di fatto, stiamo cercando di fare esattamente questo.

Ad esempio, nessun altro paese al mondo dispone di una così vasta gamma di megastrutture scientifiche come quella della Russia oggi. Questi centri offrono opportunità uniche ai nostri scienziati e ai nostri partner, ricercatori di altri paesi, che invitiamo a collaborare.

L’infrastruttura scientifica della Russia rappresenta il nostro forte vantaggio competitivo, sia nel contesto della ricerca fondamentale che nella creazione di innovazioni per i prodotti farmaceutici, la biologia, la medicina, la microelettronica, i prodotti chimici e i nuovi materiali, nonché per i programmi spaziali.

Credo che dovremmo più che raddoppiare gli investimenti pubblici e privati totali nella ricerca e nello sviluppo, fino al 2% del PIL entro il 2030. Ciò dovrebbe garantire alla Russia il posto di una delle principali potenze scientifiche del mondo.

Vorrei ribadire che le imprese private dovrebbero contemporaneamente aumentare gli investimenti nella scienza, almeno raddoppiando i programmi attuali entro il 2030. Resta inteso che questi fondi dovrebbero essere spesi in modo efficace e dovrebbero essere determinanti per ottenere un risultato specifico in ogni specifico progetto di ricerca. A questo proposito, dobbiamo sfruttare l’esperienza positiva dei nostri programmi di ricerca federali in genetica e agricoltura, nonché i progetti promossi dalla Fondazione scientifica russa.

Alla luce degli obiettivi e delle sfide attuali, abbiamo adattato la strategia russa per lo sviluppo scientifico e tecnologico che utilizziamo come punto di partenza per lanciare nuovi progetti nazionali di sovranità tecnologica. Vi fornirò un elenco delle aree principali.

In primo luogo, dobbiamo essere indipendenti e possedere tutte le chiavi tecnologiche in aree sensibili, come la tutela della salute pubblica e la garanzia della sicurezza alimentare.

In secondo luogo, dobbiamo raggiungere la sovranità tecnologica in ambiti critici che determinano la resilienza della nostra economia in generale, come i mezzi di produzione e le macchine utensili, la robotica, tutte le modalità di trasporto, i sistemi aerei senza pilota, subacquei e di altro tipo, l’economia dei dati, i materiali innovativi e la chimica.

In terzo luogo, dobbiamo creare prodotti competitivi a livello globale basati su innovazioni nazionali uniche, tra cui le tecnologie spaziali, nucleari e delle nuove energie. Dobbiamo iniziare a lavorare ora per creare un ambiente giuridico che promuova le industrie e i mercati del futuro, per generare una domanda a lungo termine – almeno fino alla fine dell’attuale decennio – per prodotti ad alta tecnologia in modo che le aziende abbiano regole coerenti con cui agire.

È inoltre imperativo creare catene di cooperative interne e piattaforme tecnologiche internazionali, avviare la produzione in serie delle proprie attrezzature e componenti e guidare l’esplorazione geologica verso la ricerca di terre rare e altre materie prime per la nuova economia. Abbiamo tutto questo.

Per ribadire, stiamo parlando di un punto d’appoggio strategico per il futuro, quindi utilizziamo tutti gli strumenti e i meccanismi di sviluppo disponibili per raggiungere questi obiettivi e per garantire un finanziamento di bilancio prioritario. Invito il Governo e l’Assemblea federale a tenerne conto durante la stesura del bilancio. Ti preghiamo di considerare sempre questo aspetto come una priorità assoluta.

I progetti di sovranità tecnologica dovrebbero diventare un motore per rinnovare il nostro settore e aiutare l’intera economia a raggiungere un livello avanzato di efficienza e competitività. Propongo di fissare l’obiettivo di aumentare la quota di beni e servizi high-tech nazionali sul mercato interno del 150% entro i prossimi sei anni e di aumentare il volume delle esportazioni non di materie prime e non energetiche di almeno due terzi.

Citerò qualche altra cifra. Nel 1999, la quota delle importazioni nel nostro paese ha raggiunto il 26% del PIL, il che significa che le importazioni rappresentavano quasi il 30% del nostro mercato. L’anno scorso era pari al 19% del PIL, ovvero a 32 trilioni di rubli. Entro il 2030, dobbiamo raggiungere un livello di importazioni non superiore al 17% del PIL.

Ciò significa che dobbiamo produrre noi stessi molti più beni di consumo e di altro tipo, tra cui medicinali, attrezzature, macchine utensili e veicoli. Non siamo in grado di produrre tutto e non ne abbiamo bisogno, ma il governo sa su cosa deve lavorare.

Vorrei sottolineare che nei prossimi sei anni il valore aggiunto lordo nel settore manifatturiero dovrebbe aumentare almeno del 40% rispetto al 2022. Questo sviluppo industriale accelerato implica la creazione di migliaia di nuove imprese e di posti di lavoro moderni e altamente retribuiti.

Abbiamo già preparato una sorta di “menu” industriale. Le aziende che realizzano progetti industriali potranno scegliere misure di sostegno adeguate, accordi sulla protezione e sugli incentivi degli investimenti, contratti di investimento speciali, una piattaforma di investimento cluster e simili. Abbiamo ideato e stiamo già implementando molti di tali strumenti. E svilupperemo ulteriormente questi meccanismi.

Nei prossimi sei anni stanzieremo inoltre 120 miliardi di rubli per sovvenzionare progetti aziendali di ricerca e sviluppo e per rafforzare il sistema dei mutui industriali. Utilizzeremo questo programma anche per costruire e rinnovare ulteriormente oltre 10 milioni di metri quadrati di superficie industriale.

Vorrei aggiungere quanto segue a scopo di confronto, oltre al ritmo che abbiamo già raggiunto.

Quindi, facciamo alcuni confronti. Oggi in Russia costruiamo ogni anno circa quattro milioni di metri quadrati di superficie industriale. Si tratta di un indicatore sostanziale dell’ammodernamento delle nostre capacità industriali; inoltre, come ho detto, costruiremo 10 milioni di metri quadrati.

Successivamente, investiremo 300 miliardi di rubli nel Fondo per lo sviluppo industriale. Quasi raddoppieremo il suo capitale e concentreremo la sua attenzione sul sostegno a progetti ad alta tecnologia. Nell’ambito di una piattaforma di innovazione verranno inoltre stanziati almeno 200 miliardi di rubli per sovvenzionare i tassi di interesse per progetti che realizzano prodotti industriali prioritari.

Propongo di aumentare la base di calcolo degli ammortamenti per stimolare la modernizzazione degli impianti industriali nel settore manifatturiero. Ammonterà al 200% della spesa per attrezzature e ricerca e sviluppo di fabbricazione russa. Può sembrare noioso, ma spiegherò cosa significa. Se un’azienda acquista torni di fabbricazione russa per 10 miliardi di rubli, può ridurre la propria base imponibile di 20 milioni di rubli. Si tratta di un’assistenza sostanziale.

Continueremo a sviluppare parchi tecnologici industriali focalizzati sulle piccole e medie imprese negli ambiti tecnologici prioritari. È importante sfruttare i vantaggi dell’approccio cluster, quando le aziende crescono insieme ai loro subappaltatori e fornitori la loro cooperazione avrà un effetto benefico su tutte le parti. Vorrei sottolineare al Governo che dobbiamo creare almeno 100 piattaforme di questo tipo entro il 2030. Fungeranno da punti di crescita su tutto il territorio nazionale e incoraggeranno gli investimenti.

Abbiamo fissato l’obiettivo di aggiungere il 70% agli investimenti nei settori chiave entro il 2030. A proposito, qui abbiamo avuto buone dinamiche; molto buone, direi. Bene.

Nel 2021, la crescita cumulativa degli investimenti è stata dell’8,6%, contro un obiettivo del 4,5%. Nel 2022 era del 15,9%, con un obiettivo del 9,5%. Nei primi nove mesi del 2023, l’aumento è stato del 26,6%, quando il piano per l’anno era del 15,1%. Dobbiamo continuare ad andare avanti rispetto al piano.

Il nostro sistema bancario e il mercato azionario devono garantire pienamente l’afflusso di capitali nell’economia e nel settore reale, anche attraverso progetti e finanziamenti azionari. Nei prossimi due anni progetti industriali per un valore di oltre 200 miliardi di rubli saranno sostenuti attraverso fondi azionari. In sostanza, ciò significa che la VEB.RF Development Corporation e diverse banche commerciali entreranno nel capitale azionario delle società high-tech e le assisteranno durante la fase di crescita più attiva.

Ho già impartito istruzioni per introdurre uno speciale regime IPO per le aziende dei settori prioritari ad alta tecnologia. Vorrei sottolineare ai miei colleghi del Ministero delle Finanze e della Banca Centrale che dobbiamo accelerare il lancio di questo meccanismo, compreso il risarcimento dei costi della società associati ai titoli fluttuanti. Ciò deve essere fatto senza indugio.

Ancora una volta, il mercato azionario russo deve svolgere un ruolo maggiore come fonte di investimenti. La sua capitalizzazione dovrebbe raddoppiare entro il 2030, passando dal livello attuale al 66% del PIL. Allo stesso tempo, è importante che gli individui abbiano l’opportunità di contribuire allo sviluppo della nazione, beneficiando allo stesso tempo dell’investimento dei propri risparmi in progetti a basso rischio.

È già stata presa una decisione: gli investimenti volontari in fondi pensione non statali fino a 2,8 milioni di rubli saranno assicurati dallo Stato, il che significa che il rendimento è garantito.

Inoltre, i conti di investimento individuali a lungo termine saranno assicurati fino a 1,4 milioni di rubli. Estenderemo la detrazione fiscale unificata ai singoli investimenti in strumenti finanziari a lungo termine fino a 400.000 rubli all’anno.

Allo stesso tempo, ritengo opportuno lanciare un nuovo strumento denominato certificato di risparmio. Acquistando questo prodotto, gli individui depositeranno i propri risparmi nelle banche per più di tre anni. Il certificato sarà irrevocabile; pertanto, le banche offriranno ai propri clienti un tasso di interesse migliore. Inoltre, i detentori di certificati di risparmio avranno il loro denaro assicurato dallo Stato fino a 2,8 milioni di rubli, ovvero il doppio rispetto alla normale assicurazione sui depositi bancari.

Vorrei sottolineare che tutte le misure di sostegno statale agli investimenti e la creazione e modernizzazione di strutture industriali dovrebbero portare a salari più alti, migliori condizioni di lavoro e pacchetti sociali per i dipendenti.

Naturalmente, in linea di principio, le aziende russe devono operare all’interno della nostra giurisdizione nazionale e astenersi dal trasferire i propri fondi all’estero dove, a quanto pare, si può perdere tutto. Quindi ora, io e i miei colleghi della comunità imprenditoriale dobbiamo tenere sessioni di brainstorming per trovare modi per aiutarli a recuperare i loro soldi. In primo luogo, non trasferire i vostri soldi lì. In questo modo, non dovremo capire come recuperarli.

Le imprese russe devono investire le proprie risorse in Russia, nelle sue regioni, nello sviluppo di aziende e nella formazione del personale. Il nostro Paese forte e sovrano offre loro una protezione senza rivali per i loro beni e il loro capitale.

La stragrande maggioranza dei leader aziendali dà priorità agli interessi nazionali e sono patrioti. Pertanto, le aziende che lavorano qui in Russia devono beneficiare dell’inviolabilità garantita delle loro proprietà, dei beni e dei nuovi investimenti. Naturalmente, gli investimenti nazionali e la protezione degli investimenti vanno di pari passo con la difesa dei diritti degli imprenditori ed è nostro compito rendere questo una realtà. Ciò servirà ai nostri interessi nazionali e alla società in generale, così come ai milioni di persone che lavorano per aziende private, siano esse grandi aziende o PMI.

Lo dico da sempre, ma lasciatemelo ripetere: nessuno, nessun funzionario governativo o agente delle forze dell’ordine, ha il diritto di molestare le persone, infrangere la legge o utilizzarla per obiettivi personali ed egoistici. Dobbiamo essere presenti per le persone, per i nostri imprenditori: sto parlando proprio di loro adesso. Sono loro che creano posti di lavoro, danno lavoro alle persone e pagano gli stipendi. Essere presenti e aiutarli è la missione del governo.

Colleghi,

Le piccole e medie imprese svolgono un ruolo sempre più importante nel guidare la crescita economica. Oggi rappresentano oltre il 21% dei settori manifatturiero, turistico e informatico. Centinaia di marchi russi hanno dimostrato risultati eccezionali. L’anno scorso in Russia sono state registrate 1,2 milioni di nuove PMI.

Permettetemi di attirare la vostra attenzione sul fatto che si tratta del massimo quinquennale. Le persone vogliono avviare un’attività in proprio e credere in se stesse, nel proprio Paese e nel proprio successo. Vorrei sottolineare che il numero di giovani imprenditori sotto i 25 anni è aumentato del 20% nel 2023. Oggi sono oltre 240.000.

Dobbiamo assicurarci di sostenere queste iniziative creative e orientate ai risultati al fine di garantire che il reddito medio dei lavoratori delle PMI superi la crescita del PIL nei prossimi sei anni. Ciò significa che queste aziende devono migliorare la propria efficienza e fare un salto di qualità nelle proprie prestazioni.

Ho già detto che dobbiamo eliminare le situazioni in cui l’espansione delle operazioni diventa una situazione perdente per le aziende perché devono passare da un quadro fiscale snello con le sue aliquote vantaggiose a un regime fiscale generale. Quando ciò accade significa che lo Stato sta sostanzialmente promuovendo la frammentazione aziendale o costringendo le imprese a utilizzare altri mezzi per ottimizzare le proprie passività fiscali.

Chiedo al governo di collaborare con i parlamentari sui termini di un’amnistia per le PMI che non avevano altra scelta che fare affidamento su schemi di ottimizzazione fiscale mentre espandevano le loro attività.

È importante sottolineare che queste aziende dovrebbero evitare la pratica di frazionamento artificiale, essenzialmente fraudolento, delle attività e abbracciare operazioni civili e trasparenti. Per ribadire, non ci saranno multe, penalità, sanzioni, né ricalcolo delle imposte per i periodi precedenti. Questo è lo scopo dell’amnistia.

Inoltre, incarico il governo di introdurre un meccanismo per un aumento graduale e non brusco del carico fiscale per le aziende che stanno passando dalla procedura fiscale semplificata a quella generale a partire dal prossimo anno.

Successivamente, abbiamo deciso di introdurre una moratoria temporanea sulle ispezioni. Questa misura si è pienamente giustificata. Le aziende che garantiscono la qualità dei propri prodotti e servizi e agiscono in modo responsabile nei confronti dei propri consumatori possono e devono godere della nostra fiducia.

Pertanto, dal 1° gennaio 2025, credo che potremo revocare le moratorie temporanee sulle ispezioni aziendali e invece, basandoci sulla nostra esperienza, passare completamente a un approccio basato sul rischio e sancirlo nella legge. Se non ci sono rischi, dovremmo utilizzare misure preventive e quindi ridurre al minimo il numero di ispezioni.

C’è dell’altro. Propongo di concedere speciali agevolazioni fino a sei mesi una volta ogni cinque anni alle piccole e medie imprese, senza incidere sulla loro storia creditizia.

Ancora una volta, dobbiamo creare condizioni adeguate affinché le piccole e medie imprese possano crescere in modo dinamico e migliorare la qualità di questa crescita attraverso forme di produzione ad alta tecnologia. In generale, il regime fiscale per le piccole e medie imprese manifatturiere dovrebbe essere allentato.

Invito il governo a presentare proposte specifiche al riguardo. Ne abbiamo discusso molte volte. Per favore, fatelo. Le proposte sono state articolate.

Vorrei sottolineare il lavoro delle piccole e medie imprese nelle zone rurali, nel settore agricolo. Ora siamo completamente autosufficienti in termini di cibo e la Russia è leader sul mercato globale del grano. Siamo tra i 20 principali esportatori di prodotti alimentari. Ringrazio i lavoratori agricoli, gli agricoltori e gli specialisti impegnati nell’agricoltura in generale per le loro prestazioni impressionanti.

Entro il 2030, la produzione del complesso agroindustriale russo dovrebbe crescere di almeno un quarto rispetto al 2021 e le esportazioni dovrebbero aumentare del 50%. Continueremo sicuramente a sostenere il settore e il programma di sviluppo rurale integrato, compresa la ristrutturazione e l’ammodernamento degli uffici postali.

Utilizzeremo una soluzione speciale per lo sviluppo delle regioni costiere. Permettimi di ricordarti che abbiamo una regola della “quota per la chiglia”. Deve essere seguita rigorosamente. Come alcuni di voi sanno, stiamo parlando di aziende che ottengono quote per la produzione di frutti di mare a fronte dell’obbligo di acquistare nuovi pescherecci di fabbricazione russa e di rinnovare la flotta.

Allo stesso tempo, quest’anno il bilancio federale ha ricevuto una notevole quantità di denaro – circa 200 miliardi di rubli – dalla vendita delle quote di prodotti ittici. Il signor Siluanov è qui e siamo arrivati a un accordo. Propongo che parte di questi fondi sia destinata allo sviluppo sociale dei comuni, che costituiscono la base della nostra industria della pesca.

Colleghi,

Nelle condizioni odierne, l’aumento dell’efficienza in tutti gli ambiti della produttività del lavoro è direttamente collegato alla digitalizzazione e all’uso della tecnologia AI, come ho detto. Tali soluzioni ci consentono di creare piattaforme digitali per semplificare l’interazione tra persone, imprese e Stato nel miglior modo possibile.

Dobbiamo quindi creare una piattaforma che aiuti le persone a utilizzare le capacità del nostro sistema sanitario per tenere sotto controllo la propria salute e rimanere in buona salute per tutta la vita. Ad esempio, potranno utilizzare i dati delle loro identità digitali per richiedere e ricevere consigli da remoto da specialisti presso centri medici federali, mentre i medici di medicina generale potranno formare un quadro completo della salute di un paziente, prevedendo possibili malattie, prevenire complicazioni, e scegliere un trattamento individuale più efficace.

Tutto ciò che dico non è l’immagine di un futuro lontano. Queste pratiche vengono introdotte oggi nei nostri principali centri medici. L’obiettivo è applicarli in tutto il Paese e renderli accessibili a tutti.

Credo che entro il 2030 dobbiamo formulare piattaforme digitali in tutti i principali settori economici e nella sfera sociale. Questi e altri compiti globali saranno affrontati nel quadro del nuovo progetto nazionale The Economy of Data. Stanzieremo almeno 700 miliardi di rubli per attuarlo nei prossimi sei anni.

Tali tecnologie e piattaforme di integrazione offrono grandi opportunità per la pianificazione economica e lo sviluppo di singoli settori, regioni e città, nonché per la gestione efficiente dei nostri programmi e progetti nazionali. La cosa più importante è che possiamo continuare a concentrare gli sforzi di tutti i livelli di governo sugli interessi di ogni individuo e di ogni famiglia e a fornire in modo proattivo servizi statali e municipali alle nostre persone e alle nostre imprese in una forma conveniente e il più rapidamente possibile.

La Russia è già in realtà uno dei leader mondiali nei servizi governativi digitali. Molti paesi, compresi quelli europei, devono ancora raggiungere il nostro livello. Ma non abbiamo intenzione di rallentare.

L’intelligenza artificiale è un elemento importante delle piattaforme digitali. Anche in questo caso la Russia deve essere autosufficiente e competitiva. È già stato firmato un decreto esecutivo che approva la versione aggiornata della Strategia nazionale per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il documento stabilisce nuovi obiettivi, inclusa la necessità di garantire la sovranità tecnologica in campi rivoluzionari come l’intelligenza artificiale generativa e i grandi modelli linguistici. L’applicazione pratica di tali sistemi promette di produrre una vera svolta nella sfera economica e sociale, e così sarà. Per questo dobbiamo aumentare le nostre risorse informatiche. Entro il 2030, la capacità totale dei supercomputer domestici dovrebbe essere almeno 10 volte maggiore. Questo è un obiettivo del tutto realistico.

Dobbiamo aggiornare l’intera infrastruttura dell’economia dei dati. Vorrei chiedere al Governo di proporre misure specifiche per sostenere le aziende e le start-up che producono apparecchiature per l’archiviazione e il trattamento dei dati e sviluppano software. Gli investimenti nell’IT domestico dovrebbero crescere almeno due volte più velocemente della crescita economica complessiva.

È necessario creare le condizioni per consentire ai russi di sfruttare la tecnologia digitale non solo nelle megalopoli, ma anche nelle città più piccole, nelle comunità rurali e nelle aree remote, lungo le arterie federali e regionali, nonché sulle strade locali. Mi riferisco alla necessità di fornire l’accesso a Internet ad alta velocità quasi ovunque in Russia entro il prossimo decennio. Per affrontare questo compito dovremo espandere considerevolmente la nostra costellazione di satelliti, per la quale stanzieremo 116 miliardi di rubli.

Colleghi,

A questo punto vorrei soffermarmi sullo sviluppo regionale. Quali sono i miei suggerimenti su questo argomento? La nostra priorità è ridurre il peso del debito delle regioni russe. Credo che dovremmo cancellare i due terzi del debito che le regioni hanno con i cosiddetti prestiti di bilancio. Secondo le nostre proiezioni, ciò consentirà loro di risparmiare circa 200 miliardi di rubli all’anno tra il 2025 e il 2028.

Permettetemi di attirare la vostra attenzione sul fatto che questi risparmi devono essere utilizzati per uno scopo specifico: le regioni dovrebbero incanalarli nel sostegno a progetti di investimento e infrastrutturali. Colleghi, vorrei attirare la vostra attenzione su questo punto.

Andando avanti, nel 2021, abbiamo lanciato un programma del valore di 500 miliardi di rubli per emettere prestiti di bilancio per le infrastrutture e abbiamo continuato ad espanderlo fino a trilioni di rubli. Come ricorderete, le regioni beneficiano di un tasso di interesse del 3% su questi prestiti con una durata fino a 15 anni. Un ottimo strumento di sviluppo. Questi fondi vanno a progetti di sviluppo e le regioni hanno apprezzato questo meccanismo per la sua efficacia. Non ci saranno cancellazioni per questi prestiti, ma quest’anno le regioni inizieranno a rimborsarli. Suggerisco di reinvestire il denaro restituito al bilancio federale nelle regioni emettendo nuovi prestiti di bilancio per le infrastrutture. Nel complesso, a partire dal 2025, espanderemo il nostro portafoglio di prestiti per le infrastrutture per le regioni della Russia di almeno 250 miliardi di rubli all’anno.

Credo inoltre che le regioni debbano avere maggiore influenza quando si tratta di gestire i fondi a loro disposizione per realizzare progetti nazionali.

Lasciate che ti faccia un esempio: una regione riqualifica un ambulatorio e fa un buon lavoro ristrutturandolo. Se non spendesse tutti i fondi stanziati per questo, non dovrebbe restituire la parte rimanente al bilancio federale. Può invece utilizzarli per acquistare attrezzature per la clinica rinnovata o per altri scopi.

Naturalmente, sosterremo le regioni per consentire loro di liberare il proprio potenziale lanciando progetti nell’economia reale e nello sviluppo delle infrastrutture come motori di sviluppo per questi territori.

Oggi, dieci regioni della Federazione che hanno una bassa capacità fiscale stanno portando avanti programmi di sviluppo socioeconomico su misura. Chiedo al governo di rinnovare questi programmi per un altro mandato di sei anni.

Entro il 2030, tutte le nostre regioni devono raggiungere l’autosufficienza economica. Vorrei ripetere che questa è una questione di giustizia e di offrire alle persone pari opportunità, oltre a garantire elevati standard di vita in tutto il Paese.

Colleghi,

Come potete vedere, i grandi progetti richiedono grandi spese. Verranno effettuati investimenti sociali, demografici ed economici su larga scala, nonché investimenti in scienza, tecnologia e infrastrutture.

A questo proposito, vorrei discutere del sistema fiscale. Inutile dire che deve garantire il flusso di risorse per affrontare gli obiettivi nazionali e attuare i programmi regionali. È progettato per ridurre le disuguaglianze non solo nella società, ma anche nello sviluppo socioeconomico delle entità costituenti della Federazione e per prendere in considerazione i redditi individuali e le entrate aziendali.

Suggerisco di sviluppare approcci per modernizzare il sistema fiscale e distribuire in modo più equo il carico fiscale verso coloro che hanno redditi individuali e entrate aziendali più elevati.

Occorre, al contrario, ridurre il carico fiscale sulle famiglie, anche attraverso le detrazioni, di cui ho parlato prima. Dobbiamo incentivare le imprese che investono nella crescita e in infrastrutture e progetti sociali. È altrettanto importante colmare le lacune utilizzate da alcune aziende per evitare le tasse o sottostimare le proprie entrate imponibili. Invito la Duma di Stato e il governo a presentare una serie specifica di proposte per affrontare al più presto queste questioni. In futuro, tenendo conto delle modifiche adottate, propongo di bloccare i parametri fiscali chiave fino al 2030 per garantire un ambiente stabile e prevedibile per l’attuazione di qualsiasi progetto di investimento, compresi quelli a lungo termine. Questo è ciò che la comunità imprenditoriale chiede durante i nostri contatti diretti.

Colleghi,

Le decisioni relative al sostegno finanziario per le regioni e alla crescita economica dovrebbero essere progettate per migliorare la qualità della vita in tutte le entità costituenti della Federazione. Abbiamo già rinnovato fino al 2030 programmi speciali per lo sviluppo di regioni come il Caucaso settentrionale e la regione di Kaliningrad, Donbass e Novorossiya, Crimea e Sebastopoli, l’Artico e l’Estremo Oriente. Sono stati elaborati piani generali di sviluppo per 22 città e aree metropolitane dell’Estremo Oriente e lo stesso lavoro è in corso per le comunità artiche.

Ora dobbiamo fare il passo successivo. Propongo di stilare un nuovo elenco di oltre 200 città e paesi, con un piano generale da sviluppare e attuare per ciascuno di essi. Nel complesso, il programma di sviluppo dovrebbe estendersi a circa 2.000 comunità, compresi villaggi e piccole città. In questi casi dovrebbero applicarsi tutte le politiche di sostegno alle regioni che ho menzionato oggi, compresi i prestiti per le infrastrutture.

Vorrei rivolgermi adesso ai capi delle regioni. Queste risorse dovrebbero essere utilizzate, tra le altre cose, per espandere le capacità dei comuni. Ricordo di aver incontrato i capi di alcuni comuni al loro forum qui a Mosca. Il livello di governo locale ha un ruolo e una speciale responsabilità. Comprende le agenzie e gli organismi a cui i russi si rivolgono per le loro necessità quotidiane. Vorrei ringraziare i nostri sindaci, capi di distretto e deputati locali per il loro lavoro, per la loro attenzione ai bisogni delle persone. E vorrei ringraziare in modo particolare il personale dei comuni che lavora nelle immediate vicinanze della zona di combattimento e condivide tutte le avversità con i residenti locali.

I residenti locali dovrebbero infatti essere co-creatori dei loro piani di sviluppo urbano locale. I comuni devono intensificare l’uso di meccanismi in cui i residenti possono votare per progetti, strutture o problemi che richiedono finanziamenti prioritari. Propongo di aumentare il cofinanziamento federale e regionale di progetti popolari come questo.

Estenderemo inoltre, fino al 2030, il concorso nazionale per i migliori progetti per creare un ambiente urbano confortevole nelle piccole città e nelle comunità storiche.

In totale, miglioreremo più di 30.000 spazi pubblici in Russia nei prossimi sei anni. Vorrei chiedere al Governo di fornire ulteriore sostegno alle regioni che stanno rinnovando argini, parchi, giardini e centri storici locali. Stanzieremo 360 miliardi di rubli per grandi progetti paesaggistici e di miglioramento.

Vecchi edifici, tenute e chiese sono l’incarnazione visibile della nostra identità nazionale, un legame inestricabile tra generazioni. Vorrei chiedere al governo, al parlamento e alle commissioni competenti del Consiglio di Stato di coinvolgere il pubblico e rivedere il quadro normativo per la protezione e l’uso dei siti del patrimonio culturale. Eventuali requisiti ovviamente ridondanti o contraddittori devono essere eliminati. In alcuni casi, un pezzo di patrimonio culturale potrebbe crollare proprio davanti ai nostri occhi, ma formalmente, tali normative imperfette rendono impossibile adottare misure tempestive per salvarlo.

Suggerisco di sviluppare un programma a lungo termine per preservare i siti del patrimonio culturale russo e spero che copra un periodo di 20 anni e includa misure di sostegno per persone, aziende e associazioni pubbliche disposte a investire lavoro, tempo e denaro nel ripristino dei monumenti storici .

Quest’anno testeremo questi meccanismi come parte di un progetto pilota portato avanti dall’istituto di sviluppo DOM.RF che copre cinque regioni: il territorio del Trans-Baikal, Novgorod, Ryazan, Smolensk e Tver. Il nostro obiettivo è riparare almeno un migliaio di siti del patrimonio culturale in tutto il Paese entro il 2030, dando loro una nuova prospettiva di vita in modo che possano servire le persone e abbellire le nostre città e i nostri villaggi.

Ci assicureremo di mantenere attivi i principali progetti legati alla cultura continuando a finanziarli. Intraprenderemo aggiornamenti delle infrastrutture per musei, teatri, biblioteche, club, scuole d’arte e cinema. Progetti creativi cinematografici, online e sui social media nei settori dell’istruzione, della sensibilizzazione, della storia e in altri settori riceveranno oltre 100 miliardi di rubli nei prossimi sei anni.

Suggerisco di espandere il programma Pushkin Card, che consente agli studenti e ai giovani di accedere gratuitamente a proiezioni di film, musei, teatri e mostre, offrendo allo stesso tempo alle istituzioni culturali un incentivo per espandere le proprie attività e lanciare nuovi progetti, anche raggiungendo il settore privato settore. Chiedo al governo di elaborare ulteriori proposte in tal senso.

Oltre a ciò, nel 2025 lanceremo un programma chiamato Operatore culturale rurale, sulla stessa falsariga dei programmi Insegnante rurale e Dottore rurale. Le persone continuano a sollevare questo problema durante i nostri incontri. Uno specialista che si trasferisce in una zona rurale o in una piccola città avrà diritto a un sussidio una tantum di 1 milione di rubli o il doppio, ovvero 2 milioni di rubli, se si trasferisce nell’Estremo Oriente russo, nel Donbass o nella Novorossiya.

C’è un’altra decisione aggiuntiva su cui dobbiamo lavorare e adottare. Chiedo al governo di offrire condizioni di prestito speciali per i mutui familiari nelle piccole città, così come nelle regioni che non costruiscono molti condomini o non ne costruiscono affatto. Dobbiamo farlo il più rapidamente possibile e definire i termini principali per questi prestiti, compresi l’acconto e i tassi di interesse. Vi sto chiedendo di tenere tutto questo sul vostro radar; Attendo con ansia le vostre proposte.

D’altra parte, rinnoveremo programmi mirati di mutui ipotecari con un tasso di interesse del 2% per l’Estremo Oriente russo, l’Artico, il Donbass e la Novorossiya. Anche i partecipanti alle operazioni militari speciali e i veterani avranno diritto a questi prestiti agevolati.

Forniremo un sostegno separato per le aree di sviluppo integrato, la costruzione di aree residenziali ricche di infrastrutture nelle regioni con livelli inadeguati di sviluppo socioeconomico, dove molte delle nostre solite proposte non funzionano. Per questi territori accantoneremo ulteriori 120 miliardi di rubli.

A questo proposito, ci troviamo di fronte a un’altra sfida a livello di sistema. Con il sostegno federale, molte regioni hanno aumentato in modo significativo il ritmo di trasferimento dei residenti da condomini fatiscenti. Un totale di 1,73 milioni di persone si sono trasferite in nuovi appartamenti negli ultimi 16 anni ed è importante non perdere questo slancio nei prossimi sei anni. Invito il governo a elaborare e lanciare un nuovo programma per il trasferimento dei residenti da edifici fatiscenti e strutturalmente non sicuri.

Per quanto riguarda gli alloggi e i servizi, accelereremo il ritmo di aggiornamento dell’infrastruttura dei servizi. Per questi scopi fino al 2030 verranno stanziati complessivamente 4,5 trilioni di rubli, compresi i fondi privati.

Continueremo a implementare il progetto Clean Water. L’acqua pulita è una priorità assoluta per molte delle nostre aree urbane e rurali. Stiamo parlando principalmente di una fornitura affidabile di acqua potabile di alta qualità.

La distribuzione del gas è un argomento a parte. I nostri piani includono la fornitura di questo carburante ecologico alle città e ai distretti di Yakutia e Buriazia, nonché ai territori di Khabarovsk, Primorye e Trans-Baikal, alle regioni di Murmansk e Amur, all’area autonoma ebraica, alla Carelia e alla principale città russa di Krasnoyarsk. . Forniremo GNL anche al territorio della Kamchatka e ad alcune altre regioni.

Naturalmente, ciò consentirà di estendere il programma sociale di fornitura di gas, già utilizzato per costruire gratuitamente l’infrastruttura di distribuzione del gas, alle linee immobiliari di 1,1 milioni di terreni. Le richieste continuano ad essere accettate e stiamo aiutando gruppi di cittadini aventi diritto, comprese le famiglie di coloro che partecipano all’operazione militare speciale, a installare linee di gas all’interno dei loro appezzamenti di terreno.

In una nota a parte, esistono partenariati orticoli non commerciali all’interno dei confini di molte comunità dotate di reti del gas. Per anni, a volte di generazione in generazione, le persone si sono prese cura dei propri terreni e ora stanno costruendo case adatte a vivere tutto l’anno, ma non sono in grado di collegarsi alla rete perché queste partnership non sono incluse nel Social Gas Programma di sviluppo delle infrastrutture.

Questo problema colpisce milioni di famiglie e deve essere risolto nell’interesse dei nostri cittadini, il che significa che il programma di sviluppo delle infrastrutture sociali del gas dovrebbe essere ampliato per includerli e la rete dovrebbe essere estesa fino ai confini dei partenariati.

Verranno supportati anche i residenti nei territori remoti del nord e dell’estremo oriente, dove il gas di rete non sarà disponibile a breve. Oggi riscaldano le loro case con carbone o legna. Ora, con i sussidi statali, potranno acquistare attrezzature moderne, prodotte internamente e rispettose dell’ambiente. Le famiglie più bisognose dovrebbero essere supportate per prime. Assegneremo ulteriori 32 miliardi di rubli per questi scopi.

Svilupperemo il trasporto pubblico considerando gli standard ambientali odierni e abbasseremo l’età media. Le regioni russe riceveranno altri 40.000 autobus, filobus, tram e autobus elettrici entro il 2030. Stanzieremo ulteriori 150 miliardi di rubli dal bilancio federale per questo programma di rinnovamento dei trasporti pubblici.

Sostituiremo inoltre la flotta di scuolabus a una velocità di almeno 3.000 veicoli all’anno, il che è particolarmente importante per le piccole città e le aree rurali. Ne parlano sia i residenti che i capi dei comuni e delle regioni. Questo programma è davvero molto importante. Pertanto, stanzieremo ulteriori 66 miliardi di rubli per l’acquisto di scuolabus. E, naturalmente, devono essere interamente realizzati in Russia o con un elevato grado di localizzazione.

Come sapete, siamo riusciti a ridurre le emissioni nocive nell’atmosfera in 12 centri industriali della Russia nell’ambito del progetto Clean Air, al quale altre 29 città hanno aderito l’anno scorso. Il volume delle emissioni nocive nell’atmosfera in tutto il paese deve essere dimezzato. Ci muoveremo verso questo obiettivo passo dopo passo. Verrà creato un sistema completo di monitoraggio della qualità ambientale per valutare i risultati.

Negli ultimi cinque anni, migliaia di chilometri di fiumi e sponde sono stati ripuliti e il deflusso sporco nel Volga è stato quasi dimezzato. Ora propongo di fissare l’obiettivo di dimezzare l’inquinamento dei principali corpi idrici della Russia.

Negli ultimi cinque anni sono state bonificate 128 grandi discariche nelle città e 80 siti di danni ambientali accumulati che stavano letteralmente avvelenando la vita delle persone in 53 regioni della Russia. I territori della discarica di Krasny Bor, della cartiera e della cartiera Baikal e di Usolye-Sibirskoye sono stati portati in uno stato sicuro.

A questo proposito, colleghi, vorrei sottolineare che finora in questi siti sono state attuate solo le misure più urgenti, ma non è ancora finita. In nessun caso dovranno essere lasciati nelle condizioni in cui si trovano adesso. Dobbiamo completare questo lavoro e creare lì tutta l’infrastruttura necessaria.

Nel complesso, continueremo a ripulire i siti più pericolosi dai danni ambientali accumulati. Nei prossimi sei anni almeno 50 di questi siti dovranno essere bonificati.

È necessario creare incentivi per le imprese, introdurre tecnologie verdi e passare a un’economia circolare. Inoltre, abbiamo di fatto creato da zero un settore avanzato di gestione dei rifiuti: sono state create 250 imprese per trattare e smaltire i rifiuti. L’obiettivo entro il 2030 è quello di differenziare tutti i rifiuti solidi e tutto ciò che necessita di essere differenziato e riutilizzarne almeno un quarto. Assegneremo finanziamenti aggiuntivi per questi progetti e insieme alle imprese costruiremo circa 400 nuovi impianti di gestione dei rifiuti e otto parchi ecoindustriali.

Cos’altro voglio dire? Negli incontri in Estremo Oriente, in Siberia e in altre regioni, si è parlato molto della necessità di preservare la nostra ricchezza di foreste, affrontare il disboscamento illegale e proteggere le nostre foreste. Questo problema ha una forte risonanza tra il pubblico. È importante per quasi ogni persona. Tutti noi stiamo unendo gli sforzi e la situazione sta gradualmente cambiando.

Un traguardo molto importante: dal 2021, la Russia ha ripristinato più foreste di quante ne abbia abbattute. Vorrei ringraziare tutti i volontari, gli studenti delle scuole e dell’università e tutti coloro che hanno piantato alberi e preso parte ad attività ambientali e, naturalmente, le aziende che hanno sostenuto tali progetti. Continueremo sicuramente a ripristinare foreste, parchi e giardini, compresi quelli che circondano le aree metropolitane e i centri industriali.

Suggerisco di prendere una decisione separata sull’aumento degli stipendi degli specialisti impegnati nel settore forestale, nella meteorologia e nella protezione ambientale, tutti coloro che si occupano delle questioni più importanti della sostenibilità ambientale. Dobbiamo ammettere francamente che svolgono un lavoro fondamentale ma la loro retribuzione è molto modesta.

Per sostenere le iniziative civili di tutela dell’ambiente credo sia necessario istituire un fondo per progetti ecologici e ambientali. Inizierà con sovvenzioni per un totale di un miliardo di rubli all’anno.

Continueremo a lavorare per preservare aree naturali particolarmente protette, nonché proteggere e ripristinare le popolazioni di specie di flora e fauna rare e in via di estinzione. Suggerisco di prendere in considerazione l’apertura di una rete di centri per la riabilitazione degli animali selvatici feriti e confiscati.

Entro il 2030, creeremo infrastrutture per il turismo ambientale in tutti i parchi nazionali del Paese, compresi eco-sentieri e percorsi escursionistici turistici, tour del fine settimana per scolari, aree ricreative all’aperto, musei e centri visita.

Costruiremo strutture moderne e sicure anche vicino a corsi d’acqua, compreso il Lago Baikal. Un resort aperto tutto l’anno verrà aperto lì entro il 2030. È importante aderire rigorosamente al principio dell’inquinamento zero, ovvero garantire che nel lago non entrino rifiuti o liquami non trattati di alcun tipo. La costruzione del resort Baikal farà parte del grande progetto Five Seas.

Complessi alberghieri moderni appariranno anche sulle coste del Mar Caspio, del Mar Baltico, del Mar d’Azov, del Mar Nero e del Mar del Giappone. Solo questo progetto consentirà di aggiungere altri 10 milioni di turisti all’anno.

Si prevede che il numero dei turisti raddoppierà praticamente fino a raggiungere i 140 milioni di persone all’anno entro il 2030 nell’intero paese, considerando lo sviluppo dinamico di centri turistici come Altai, Kamchatka, Kuzbass, il Caucaso settentrionale, la Carelia e il Nord della Russia. È importante sottolineare che anche il contributo del turismo al PIL russo raddoppierà, raggiungendo il 5%. Presto elaboreremo ulteriori decisioni su questo problema.

Le infrastrutture di trasporto sono cruciali per lo sviluppo del turismo e della regione nel suo insieme. Il traffico automobilistico ad alta velocità tra Mosca e Kazan è già stato aperto; quest’anno estenderemo la tratta a Ekaterinburg e l’anno prossimo a Tyumen. In futuro, un’arteria di trasporto moderna e sicura attraverserà l’intero paese fino a Vladivostok.

Inoltre, in Russia dovrebbero essere costruite più di 50 tangenziali urbane nei prossimi sei anni. Un altro progetto stradale significativo è sicuramente l’autostrada Dzhubga-Sochi. Ridurrà il tempo di viaggio dalla M-4 Don a Sochi di tre quarti (fino a un’ora e mezza) e promuoverà lo sviluppo della costa del Mar Nero.

Devo dirlo subito – ho raggiunto un accordo con il governo e voglio dirlo pubblicamente – che si tratta di un progetto complesso e ad alta intensità di capitale. Comprende molti tunnel e ponti; è un progetto costoso. Tuttavia, vorrei chiedere al governo di sviluppare un accordo di finanziamento per questo. Risolvetelo.

Abbiamo già riparato le strade federali russe e quasi l’85% delle strade nelle principali aree metropolitane. È essenziale continuare così. Allo stesso tempo, nei prossimi anni, porremo particolare enfasi sul miglioramento delle strade regionali.

I viaggi aerei dovrebbero diventare più convenienti. Dobbiamo aumentare la cosiddetta mobilità aerea dei russi. Entro il 2030, i volumi dei servizi aerei in Russia dovrebbero aumentare del 50% rispetto allo scorso anno.

A tal fine, prevediamo di accelerare lo sviluppo dei viaggi aerei intra e interregionali. A questo proposito, il governo ha istruzioni molto specifiche: modernizzare le infrastrutture di almeno 75 aeroporti, ovvero più di un terzo degli aeroporti russi, nei prossimi sei anni, stanziando almeno 250 miliardi di rubli in finanziamenti diretti a questo scopo. .

Le flotte aeree delle nostre compagnie aeree necessitano sicuramente di aggiornamenti aggiungendo i nostri aerei di fabbricazione russa. Questi nuovi aerei devono soddisfare tutti i requisiti moderni di qualità, comodità e sicurezza, il che è un compito impegnativo. Prima compravamo troppi aerei all’estero invece di sviluppare la nostra produzione interna.

Anche gli sviluppi avanzati russi nell’ingegneria meccanica, nell’edilizia, nelle comunicazioni e nei sistemi digitali saranno estremamente necessari nella costruzione delle ferrovie ad alta velocità. Vorrei spendere qualche parola al riguardo.

La prima linea ferroviaria ad alta velocità tra Mosca e San Pietroburgo passerà attraverso Tver e la nostra antica capitale, Velikij Novgorod. Successivamente costruiremo linee simili per Kazan e gli Urali, per Rostov sul Don, per la costa del Mar Nero, per Minsk, la nostra fraterna Bielorussia e altre destinazioni popolari.

La modernizzazione totale dell’hub dei trasporti centrale continuerà. I Diametri Centrali di Mosca, le nuove linee metropolitane di superficie, entreranno a far parte di una rete che collegherà la regione di Mosca con Yaroslavl, Tver, Kaluga, Vladimir e altre regioni attraverso moderni percorsi ad alta velocità.

È inoltre fondamentale potenziare la rete delle principali vie navigabili interne. Ciò dovrebbe garantire ulteriori effetti economici per quanto riguarda il turismo, l’industria, nonché lo sviluppo di alcune regioni sensibili che sono molto importanti per noi, comprese le regioni dell’estremo nord.

Cosa posso aggiungere a questo? Le infrastrutture moderne offrono valore aggiunto e aumentano la capitalizzazione di mercato per tutte le risorse nazionali e le regioni che servono flussi turistici in transito, contribuendo allo stesso tempo allo sviluppo di strutture manifatturiere e agricole, incoraggiando le persone a costruire case unifamiliari per le proprie famiglie e a creare un ambiente di vita migliore per loro. Ciò significa anche nuove opportunità di business, anche sui mercati esteri.

In questo contesto c’è una questione speciale di cui abbiamo discusso durante uno degli incontri che ho avuto. Sto parlando dei tempi di attesa ai posti di frontiera. Questa è diventata una questione urgente nell’Estremo Oriente russo. Secondo i nostri standard, lo sdoganamento deve durare 19 minuti, ma in realtà i camionisti di solito devono aspettare ore per attraversare il confine.

I nostri colleghi del Ministero dei Trasporti hanno l’obiettivo specifico di ridurre i tempi di sdoganamento per il trasporto di merci al confine in modo che non superino i 10 minuti. Le più recenti soluzioni tecnologiche possono far sì che ciò accada.

Questi requisiti sono essenziali anche affinché il corridoio di trasporto Nord-Sud sia efficace. Questa rotta collegherà la Russia ai paesi del Medio Oriente e dell’Asia e farà affidamento su autostrade e collegamenti ferroviari senza soluzione di continuità dai nostri porti nel Mar Baltico e nel Mar di Barents fino al Golfo Persico e all’Oceano Indiano. Aumenteremo inoltre la capacità di carico delle nostre ferrovie in direzione sud per sfruttare meglio i nostri porti nel Mar d’Azov e nel Mar Nero.

Lo sforzo di espandere il dominio operativo orientale copre la linea principale Baikal-Amur e la ferrovia Transiberiana. Stiamo per lanciare la terza fase. Ad un certo punto abbiamo rallentato, se permettete questa espressione. In effetti, non siamo riusciti ad agire quando avremmo dovuto, ma va bene così: ora dobbiamo recuperare il ritardo e lo faremo. Queste due ferrovie aumenteranno la loro capacità di trasporto annuale da 173 a 210 milioni di tonnellate entro il 2030. Allo stesso tempo, ci sarà uno sforzo per espandere i porti di Vanino e Sovetskaya Gavan.

Lo sviluppo della rotta del Mare del Nord merita un’attenzione particolare. Invitiamo le società logistiche straniere e i paesi stranieri a utilizzare questo corridoio di trasporto globale. L’anno scorso il volume delle merci lungo questa rotta ha raggiunto i 36 milioni di tonnellate. Colleghi, vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che questo supera di cinque volte il limite massimo dell’era sovietica. Renderemo operativa la rotta del Mare del Nord tutto l’anno e amplieremo i nostri porti settentrionali, compreso lo snodo dei trasporti di Murmansk. Ciò include, ovviamente, uno sforzo per espandere la nostra flotta artica.

La Severny Polyus (Polo Nord), una piattaforma rompighiaccio di ricerca unica, è salpata l’anno scorso. Quest’anno, il cantiere navale Baltic ha iniziato a costruire il Leningrad, un nuovo rompighiaccio nucleare. L’anno prossimo inizieremo a costruire la Stalingrado, che appartiene alla stessa classe di navi. Per quanto riguarda il cantiere navale Zvezda, nell’Estremo Oriente russo, sta costruendo il Lider (Leader), un rompighiaccio di nuova generazione che avrà il doppio della potenza dei suoi predecessori.

I cantieri navali russi miglioreranno gran parte della nostra flotta commerciale, comprese le petroliere, le navi gasiere e le navi portacontainer. Si prevede che questo sforzo consentirà alle aziende russe di snellire le proprie operazioni commerciali considerando il mutevole ambiente logistico e i cambiamenti radicali nell’economia globale.

Concittadini, amici,

Vorrei fare una menzione speciale. Incontro regolarmente i partecipanti all’operazione militare speciale, compresi il personale militare di carriera e i volontari, nonché le persone con professioni civili che sono state mobilitate per il servizio militare. Tutti hanno preso le armi e si sono sollevati in difesa della nostra Patria.

Sapete, guardo questi uomini coraggiosi, a volte molto giovani e, senza esagerare, posso dire che il mio cuore trabocca di orgoglio per il nostro popolo, per la nostra nazione e per queste persone in particolare. Senza dubbio, persone come loro non si arrenderanno, non falliranno o non tradiranno.

Dovrebbero assumere posizioni di leadership nel sistema di istruzione e di educazione dei giovani, nelle associazioni pubbliche, nelle aziende statali e private, nell’amministrazione federale e municipale. Dovrebbero essere a capo delle regioni e delle imprese, nonché dei grandi progetti nazionali. Alcuni di questi eroi e patrioti sono piuttosto discreti e riservati nella vita di tutti i giorni. Non si vantano dei loro risultati né parlano in grande. Ma nei momenti cruciali della storia, queste persone vengono alla ribalta e si assumono la responsabilità. Alle persone che pensano al Paese e vivono come un tutt’uno con esso può essere affidato il futuro della Russia.

Sapete che la parola “élite” ha perso gran parte della sua credibilità. Coloro che non hanno fatto nulla per la società e si considerano una casta dotata di diritti e privilegi speciali, soprattutto coloro che hanno approfittato di tutti i tipi di processi economici negli anni ’90 per riempirsi le tasche, non sono sicuramente l’élite. Per ribadire, coloro che servono la Russia, grandi lavoratori e militari, persone affidabili e degne di fiducia che hanno dimostrato la loro lealtà alla Russia con i fatti, in una parola, le persone dignitose sono la vera élite.

A questo proposito vorrei annunciare una nuova decisione che, credo, sia importante. A partire da domani, 1 marzo 2024, i veterani delle operazioni militari speciali, nonché i soldati e gli ufficiali che attualmente combattono in unità attive, potranno presentare domanda per partecipare alla prima classe di un programma di addestramento speciale del personale. Chiamiamolo Tempo degli Eroi. A dire il vero, questa idea mi è venuta quando ho incontrato gli studenti di San Pietroburgo che hanno prestato servizio nell’operazione militare speciale. Questo programma sarà costruito secondo gli standard dei nostri migliori progetti, vale a dire la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, nota anche come “scuola dei governatori”, e il concorso Leader della Russia. I loro laureati tendono a raggiungere posizioni elevate in molti ambiti e persino a diventare ministri e capi di regioni.

I membri militari attivi e i veterani con titoli universitari ed esperienza manageriale saranno i benvenuti, indipendentemente dal loro grado o posizione. Ciò che conta è che quegli individui abbiano mostrato le loro migliori qualità, abbiano dimostrato di sapere come guidare i loro compagni.

Il percorso di studi avrà inizio nei prossimi mesi. Il primo gruppo di partecipanti sarà guidato da alti funzionari del governo, dell’ufficio esecutivo presidenziale, dei ministeri e delle agenzie federali, dei capi delle regioni e delle nostre aziende più grandi. In futuro amplieremo tali programmi di formazione del personale, lanceremo corsi di gestione presso l’Accademia presidenziale dell’economia nazionale e della pubblica amministrazione e ritengo opportuno elevare lo status dell’Accademia a livello legislativo.

Inoltre, i veterani e i partecipanti all’operazione militare speciale avranno il diritto prioritario di partecipare ai programmi di istruzione superiore nelle specialità civili presso le nostre principali università.

Vorrei chiedere al Ministero della Difesa e a tutti i comandanti delle unità di sostenere l’interesse dei propri soldati e ufficiali ad aderire al nuovo programma di formazione del personale, per dare loro l’opportunità di presentare domanda e di frequentare fisicamente le lezioni. Vorrei sottolineare che i partecipanti alle operazioni militari speciali, inclusi semplici soldati, sergenti e ufficiali di combattimento, sono già la spina dorsale delle nostre forze armate. E, come ho detto, coloro che intendono continuare la carriera militare avranno priorità di promozione, iscrizione a corsi di comando, scuole e accademie militari.

Amici,

Indipendenza, autosufficienza e sovranità devono essere dimostrate e riaffermate ogni giorno. Questa è la nostra responsabilità per il presente e il futuro della Russia, qualcosa che nessun altro può fare tranne noi. Si tratta della nostra Patria, la Patria dei nostri antenati, e nessuno ne avrà mai cura e ne farà tesoro come facciamo noi, tranne i nostri discendenti, ai quali dobbiamo lasciare un paese forte e prospero.

Negli ultimi anni abbiamo costruito con successo un sistema di gestione e implementato i nostri progetti nazionali facendo affidamento su grandi quantità di dati e moderne tecnologie digitali. Ciò ci ha permesso di aumentare l’efficienza, gestire i rischi, sfruttare l’intera quantità di informazioni disponibili e perfezionare continuamente i nostri progetti e programmi facendo affidamento sul feedback del nostro personale.

Vorrei ringraziare i miei colleghi del governo, delle agenzie e delle regioni che hanno meticolosamente costruito questo sistema in tutti questi anni, durante la pandemia e di fronte all’aggressione sanzionatoria contro la Russia. So che si è trattato di un lavoro impegnativo e difficile, ma il punto principale è che sta già dando i suoi frutti. Lo vediamo nei risultati.

Continueremo a seguire proprio questa logica. È necessario sostenere e coordinare tra loro tutti i progetti nazionali di cui ho parlato oggi. Vorrei sottolineare ancora una volta che questi non sono progetti di dipartimenti separati. Dovrebbero lavorare per obiettivi comuni a livello di sistema e per i nostri obiettivi di sviluppo nazionale. Detto questo, vorrei chiedere al Fronte popolare russo di continuare a monitorare l’attuazione delle decisioni a tutti i livelli di governo.

Vorrei sottolineare che il risultato principale dei nostri programmi non si misura in tonnellate, chilometri o denaro speso. La cosa principale è che le persone vedano cambiamenti in meglio nella loro vita. La portata delle sfide storiche che la Russia deve affrontare richiede un lavoro estremamente chiaro e coordinato da parte dello Stato, della società civile e della comunità imprenditoriale.

Ritengo necessario non solo preparare un progetto di bilancio per i prossimi tre anni, ma anche pianificare tutte le spese e gli investimenti più importanti fino al 2030. In altre parole, dobbiamo elaborare un piano sessennale in prospettiva per il nostro sviluppo nazionale che sicuramente integreremo con nuove iniziative. Naturalmente, la vita apporterà i propri aggiustamenti.

Stiamo delineando piani a lungo termine nonostante questo periodo complicato, nonostante le prove e le difficoltà attuali. Il programma che ho esposto nel discorso di oggi si basa sui fatti e affronta questioni fondamentali. Si tratta del programma di un paese forte e sovrano che guarda al futuro con fiducia. Disponiamo sia di risorse che di enormi opportunità per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati.

Ma ora sottolineerò la cosa principale. Oggi, il rispetto di tutti questi piani dipende direttamente dai nostri soldati, ufficiali e volontari, tutto il personale militare che ora combatte al fronte. Dipende dal coraggio e dalla risolutezza dei nostri compagni d’armi che difendono la Patria, che passano all’offensiva, avanzano sotto il fuoco e si sacrificano per il bene nostro, per il bene della Patria. Sono i nostri combattenti che creano oggi le condizioni assolutamente essenziali per il futuro del Paese e del suo sviluppo.

Avete il nostro più profondo rispetto, ragazzi.

Vorrei ringraziare tutti voi, colleghi e tutti i cittadini russi per la loro solidarietà e affidabilità. Siamo una grande famiglia; restiamo uniti e per questo motivo faremo tutto ciò che progettiamo, desideriamo e sogniamo.

Ho fiducia nelle nostre vittorie, nei nostri successi e nel futuro della Russia!

Grazie.

(Suona l’inno nazionale della Federazione Russa.)

FONTE: https://www.marx21.it/internazionale/discorso-presidenziale-allassemblea-federale/

Economia di guerra parte IX – Gli effetti delle sanzioni occidentali sulla dinamica economica e commerciale del 2022 dei Paesi co-belligeranti

di Andrea Vento

Nel contesto della nostra disamina relativa ai molteplici effetti innescati dall’escalation del conflitto in Ucraina, per ciò che concerne la sfera geoeconomica, per funzionalità di analisi, abbiamo suddiviso gli Stati in tre principali tipologie: quelli coinvolti direttamente nelle attività belliche, i co-belligeranti, vale a dire i 38 Paesi alleati Stati Uniti che hanno comminato le sanzioni economiche alla Russia e la galassia dei restanti Stati che, pur condannando l’invasione russa in sede Onu, hanno continuato ad aver rapporti economici con Mosca, intensificandoli in alcuni casi.

Dopo aver dettagliatamente analizzato in precedenza i casi di Ucraina e Russia, anche in relazione all’adozione di due economie di guerra dalle diverse caratteristiche, procediamo all’analisi dei riflessi economici sui Paesi co-belligeranti, definiti tali perché, oltre ad imporre misure restrittive a Mosca, stanno da due anni sostenendo, seppur in diversa misura, Kiev con aiuti militari, finanziari e umanitari. Corposo e imprescindibile sostegno che ha consentito all’Ucraina, da un lato, di sostenere lo sforzo bellico e, dall’altro, di evitare sia il crollo strutturale dell’economia che il default dello Stato.

La flessione dell’economia mondiale

Abbiamo precedentemente analizzato come alcuni fattori concomitanti, legati in primis agli effetti dell’escalation militare in Ucraina, abbiano determinato un rallentamento del ciclo economico e dei commerci mondiali già a partire dal quarto trimestre 2021. Infatti, da una previsione di crescita per il 2022 dell’economia mondiale del 4.9% dell’Outlook Fmi di ottobre 2021, il dato definitivo di +3,5% mostrava una significativa riduzione del 30% (tab. 1), con la flessione che, proseguita nell’anno successivo, dovrebbe portare, secondo i dati preliminari del Fmi del gennaio 2024, ad una chiusura intorno al 3,1% per il 2023.

Tabella 1: previsioni e dati definitivi in % anni 2022 e 2023 dei vari Word Economic Outlook Fmi

Tipologia di datiPrevisioni 2022Previsioni 2022Previsioni 2022Definitivo 2022Previsioni 2023Previsioni 2023Preliminare 2023
Economic Outlook FmiOttobre 2021Gennaio 2022Aprile 2022Luglio 2023Gennaio 2023Luglio 2023Ottobre 2023
Economia mondiale4,94,43,63,52,93,03.1
Economie avanzate4,53,93,32,71,21,51,6
Economie emergenti5,14,83,84,04,04,04,1
Russia4,74,5-8,5-2,10,31,53,0
Stati Uniti5,24,03,72,11,41,82,5
Germania4,63,82,11,80,1-0,3-0,3
Italia4,23,82,33,70,61,10,7
Eurozona2,83,50,70,80,90,70,5
Cina8,08,14,43,05,25,25,2
India9,59,08,27,26,16,16,7

Il trend economico globale del 2022 risulta, tuttavia, caratterizzato da una marcata articolazione, sia fra i vari raggruppamenti geoeconomici, nel cui contesto le Economie sviluppate hanno subito un pesante -40% (da +4,5% a 2,7% finale) di riduzione della crescita rispetto alle previsioni Fmi di ottobre 2021, che fra i principali Stati, fra i quali risultano i Paesi occidentali e la Cina ad aver subito i più gravi contraccolpi. Mentre, la Russia, benché gravata nel 2022 da un -2,1% finale, riesce a contenere la recessione ad un livello quattro volte inferiore rispetto al -8,5% del primo Outlook Fmi dopo l’escalation, quello di aprile.

Le Economie emergenti, interessate in minor misura dallo smottamento geopolitico e geoeconomico, sono invece riuscite nel 2022 a contenere, rispetto alle previsioni, la flessione al 20%, ripiegando dal +5,1% di ottobre 2021 al +4,0% finale (tab. 1) .

Fra queste merita sicuramente attenzione l’India, unica fra le principali 10 economie mondiali in fase marcatamente espansiva, che chiude il 2022 con un ragguardevole +7,2%, anche in virtù del vertiginoso aumento dell’import di petrolio1 a prezzi ribassati dalla Russia, il quale, trasformato nelle sue raffinerie in diesel e carburanti per aerei, viene rivenduto in primis all’Ue a prezzi competitivi2. New Delhi si è in tal modo trovata a beneficiare di una favorevole rendita di posizione determinata dalla rinuncia europea alle forniture energetiche russe, che ha contribuito a sostenere anche nel 2023 la sua ascesa in seno alle principali potenze economiche mondiali. Autorevoli istituti di ricerca hanno infatti rilevato che grazie alla crescita del 2023, prevista dal Fmi al 6,7% nel preliminare di gennaio (tab.1), l’india è arrivata a scalzare Il Regno Unito dalla quinta posizione della specifica graduatoria3.

Espletata la breve sintesi relativa all’andamento ciclo economico del 2022, anno di rottura degli equilibri internazionali geopolitici, passiamo all’individuazione dei principali fattori che stanno tutt’ora influenzando negativamente la dinamica economica mondiale, dei blocchi geoeconomici e dei singoli Paesi.

L’impennata del costo dell’energia: cause e dinamica temporale

Da una dettagliata analisi dei valori medi mensili dei contratti Spot4 di compravendita del gas naturale sul mercato TTF (Title Transfer Facility) di Amsterdam, abbiamo ricavato come l’inizio dell’impennata delle stesse trovi origine già nella tarda primavera 2021, a causa di carenze nell’offerta, innescate dalla ripresa post pandemica, prontamente colte dalla speculazione finanziaria. Dai 17,48 euro per megawatt/ora di aprile si era, infatti, saliti a 87,47 euro ad ottobre, per poi toccare i 110,12 a dicembre e ripiegare a 83,7 a febbraio 2022 (tab. 2). Proprio al termine di tale mese, l’approvazione della prima tranche di sanzioni occidentali il 23 e l’avvio dell’operazione militare russa in Ucraina il 24, hanno fornito nuovo terreno fertile alla speculazione finanziaria, la cui spregiudicata attività tramite i famigerati strumenti derivati, ha spinto nuovamente al rialzo le quotazioni del gas naturale, salite infatti a marzo a 125,42 euro a megawatt/ora, per poi ripiegare nei due mesi successivi intorno ai 90 euro.

Tabella 2: valori medi mensili dei contratti Spot del gas sul mercato TTF in euro al Smc e a MegaWatt/ora Fonte: https://luce-gas.it/guida/mercato/ttf-gas

Quotazioni medie mensili del Gas naturale sul mercato TTF
Mese/Smc/MWh
gennaio 20240,32130,00
dicembre 20220,37735,23
novembre 20230.46042,99
ottobre 20230.46042,99
settembre 20230,38335,79
agosto 20230,35533,17 
luglio 20230,31829,71 
giugno 20230,342 31,96 
maggio 20230,33931,68
aprile 20230,45942,89
marzo 20230,478 44,67
febbraio 20230,576 53,82
gennaio 20230,680 63,55
dicembre 20221,268 118,55
novembre 20220,975 91,18
ottobre 20220,85079,44
settembre 20222,019 188,69
agosto 20222,379 222,33
luglio 20221,837 171,68
giugno 20221,112 103,92
18 maggio: approvazione Piano REPowerEU
maggio 20220,956 89,34
aprile 20220,993 92,80 
marzo 20221,342 125,42
24 febbraio: avvio operazione militare speciale russa in Ucraina 23 febbraio: prima tranche di sanzioni alla Russia
febbraio 20220,88983,07 
gennaio 20220,895 83,63
dicembre 20211,178 110,12 
novembre 20210,87481,70 
ottobre 20210,936 87,47 
settembre 20210,679 63,45 
agosto 20210,472 44,12 
luglio 20210,31129,07
giugno 20210,26724,95
Ripresa economica post pandemica
maggio 20210,21820,37
aprile 20210,18717,48
marzo 20210,18517,29
febbraio 20210,21720,28
gennaio 20210,17316,17

Il piano comunitario REPowerEU del 18 maggio 2022, contenente le strategie energetiche per “ridurre le dipendenze” dalle convenienti e continuative forniture via gasdotto da Mosca al fine di mettere in crisi l’export della Russia, ha innescato una crisi da carenza negli approvvigionamenti europei di combustibili fossili. Nell’incerta nuova fase di ridefinizione delle impalcature energetiche europee, ha avuto nuovamente buon gioco la speculazione finanziaria, che lasciata libera di agire, ha spinto a livelli stratosferici le quotazioni nei mesi successivi, fino a raggiungere l’apice di 222,33 euro per megawatt/ora ad agosto. Dal mese successivo il gas naturale ha quindi imboccato un non lineare trend ribassista sfociato tuttavia in un rapida contrazione della sua quotazione media mensile fino al minimo di 29,73, euro a megawatt/ora a luglio 2023, per poi intraprendere una lieve risalita ed attestarsi nei mesi successivi nei mesi successivi fra i 30 ed i 43 euro.

I riflessi economici delle sanzioni alla Russia

Il tentativo di strangolare l’economia russa facendo leva sulle numerose tranche di sanzioni e il piano REPowerEU, tramite il quale abbiamo rinunciato al gas russo senza che ci venisse precluso da Mosca, si sono rivelati nel breve periodo un clamoroso boomerang per le economie europee. Queste ultime, hanno infatti subito immediati pesanti contraccolpi in termini di forte aumento del costo dell’energia e delle materie prime, aggravamento della bilancia commerciale, inflazione e rallentamento economico. L’economia dell’Eurozona da una previsione iniziale del Outllook Fmi di gennaio 2022 di buona crescita del +3,5%, registra un dato definitivo, ridotto ad 1/4, pari al solo + 0,8%, poco sopra la soglia della stagnazione. Mentre gli Stati Uniti, che come vedremo hanno subito effetti alquanti diversi rispetto ai paesi europei, da una previsione di +4,0% di gennaio, riescono a contenere la flessione a circa il 50%, attestandosi nel dato definitivo a + 2,1% (tab. 1).

L’impatto economico e commerciale sulla Russia

Diametralmente opposta, invece, la situazione della Russia, la quale nonostante fosse stata inizialmente prevista per il 2022 in grave recessione (-15% a febbraio, poi ridotta a -8,5 dal Fmi ad aprile5) e addirittura a rischio crollo6, grazie all’impennata delle materie prime, ha beneficiato di un incremento dell’attivo del saldo commerciale di 79,8 mld € nel 2021 e ulteriori 97,6 mld € nel 2022 (tab. 3), riuscendo ad attenuare la contrazione della propria economa nel corso dei mesi successivi ed a chiudere l’anno a -2,1% (tab. 1).

Tabella 3: export e import commerciale della Russia in miliardi di € anni 2020-22 con variazioni

Fonte: http://www.infomercatiesteri aggiornamento del 19 ottobre 20237

Bilancia commerciale Russia2020 dati rilevati2021 dati rilevatiVariazioni 2020/212022 dati rilevatiVariazioni 2021/22
Valore export totale (mld €)301,1431+ 129,9497,5+ 66,5
Valore import totale (mld €)206,9257+ 50,1225,9– 31.1
Saldo bilancia commerciale (mld €)94,2174+ 79,8271,6+ 97,6

Il saldo commerciale dell’Unione Europea cala a picco nel 2022

In controtendenza rispetto a quanto verificatosi in Russia, sempre nel 2022, l’Unione Europea ha subito un gravoso peggioramento delle relazioni commerciali con i Paesi extra-Ue. In base ai dati diffusi dall’Eurostat8, infatti, il deficit annuo relativo al commercio di soli beni, esclusi quindi i servizi, è sprofondato a ben -432 miliardi di euro, il livello più basso dall’inizio della serie temporale delle rilevazioni statistiche nel 2002 (grafico 1). Dopo aver registrato nel 2020, grazie al blocco delle attività produttive e al basso costo delle materie prime, un avanzo commerciale di +215,3 miliardi di euro9, nel 2021 il cospicuo aumento del 25% del valore dell’import dovuto all’impennata dei combustibili, aveva già impattato negativamente sul saldo facendolo ripiegare a soli +54,5% miliardi (tab.4).

Grafico 1: andamento del commercio internazionale extra-Ue di soli beni dell’Unione europea periodo 2012-2022. Fonte Eurostat (nota 10)

In merito alle cause della debacle, lo stesso Istituto specifica che “Il deficit era dovuto, in particolare al forte aumento del costo dell’energia importata, iniziato verso la fine del 2021 e proseguito per gran parte del 2022”. Precisando di seguito, per completezza e puntualità di analisi, che “Uno sguardo più dettagliato agli ultimi due anni mostra che le importazioni hanno iniziato a crescere più delle esportazioni da giugno 2021. Ciò è dovuto in particolare ai notevoli aumenti dei prezzi dei principali prodotti energetici, già in atto nel 2021 sulla scia della crescente domanda internazionale dopo la pandemia”10 (tab. 2).

Con un certo conforto rileviamo come l’analisi dell’autorevole istituto di Statistica comunitario concordi, sia per quanto riguarda la tempistica, il giugno 2021, sia in merito alle cause dell’aumento delle quotazioni del gas naturale, la speculazione finanziaria, con quanto da noi evidenziato al precedente paragrafo “L’impennata del costo dell’energia: cause e dinamica temporale”.

Tabella 4: valore dell’export, dell’import e del saldo commerciale di soli beni dell’Unione europea coi Paesi extra-Ue in miliardi di euro, periodo 2012-2022. Fonte: Eurostat11 – Rielaborazione: Giga

Bilancia commerciale Unione europea coi paesi extra-Ue (mld €)
AnnoSaldoEsportazioniImportazioni
2012+ 68,41.770,91.702,5
2013+ 149,31.780,11.630,8
2014+ 171,41.796,81.625,4
2015+ 228,21.876,31.648,1
2016+ 264,31.866,81.602,5
2017+ 222,11.994,21.772,1
2018+ 147,72.059,81.912,1
2019+ 191,12.132,01.940,9
2020+ 215,31.932,71.717,4
2021+ 54,52.180,72.126,2
2022– 432,62.571,43.004,0

La stretta correlazione inversa fra l’andamento del saldo commerciale comunitario ed il costo dei prodotti energetici, ad ulteriore conferma, emerge anche dalla comparazione della variazione delle quote di import per categorie merceologiche delle bilance commerciali del 2021 e del 2022. Nonostante il già elevato livello delle quotazioni degli idrocarburi del 2021, l’ulteriore impennata del 2022 incrementa la percentuale di import di tali materie prime dal 18% ad oltre il 27,5% (grafico 2).

La conseguente fiammata inflazionistica e l’innalzamento del tasso di riferimento da parte della Bce da 0% al 4,5%, teso a farla ripiegare, ha finito inevitabilmente per comprimere la domanda aggregata innescando un rallentamento dell’economia comunitaria che si è riflesso negativamente anche sulle quote di import delle altre tipologie merceologiche, dai macchinari ai manufatti di consumo e dai prodotti chimici a quelli alimentari, che infatti nel 2022 hanno evidenziato un generale arretramento (grafico 2).

Grafico 2: variazione delle quote di import extra- Ue per tipologia di prodotti confronto fra 2021 e 2022

In particolare, l’Unione europea ha subito riflessi negativi nell’interscambio commerciale con la Russia a seguito, da un lato, della sensibile riduzione dell’export, frutto dell’effetto combinato di sanzioni e contro-sanzioni, con rapida riduzione dei volumi scambiati (tab. 4 prime 2 colonne), e dall’altro, dall’aumento del costo delle materie prime agricole, minerarie ed energetiche (grafico 3) importate da Mosca, le quali, pur in presenza di una riduzione dei volumi, hanno registrato un aumento in valore (grafici 2 e 4).

Tabella 4: quota di import e di export di soli beni dell’U.e. ricoperto dalla Russia e saldo mensile in miliardi di euro dell’interscambio Ue – Russia. Fonte Eurostat12


Febbraio 2022Settembre 2022Marzo 2022Novembre 2022
Quota export Ue in Russia4,0%1,8%

Quota import Ue dalla Russia9,5%5,0%

Saldo bilancia commerciale Ue – Russia (mld €)

– 19,6– 6,9

Grafico 3: andamento dell’indice delle materie prime di Bloomberg fra gennaio 2021 e aprile 2023

Grafico 4: bilancia commerciale di soli beni Ue-Russia gennaio 2018 – maggio 2022

Il mese di febbraio del 2022 rappresenta, dunque, un fondamentale spartiacque nelle relazioni commerciali extra-Ue dell’Unione Europea. Nello specifico nell’interscambio con la Russia si è passati da una fase iniziale in cui il disavanzo commerciale comunitario ha raggiunto in marzo il picco su base mensile di ben – 19,6 miliardi di euro, a seguito principalmente dell’impennata delle quotazioni delle materie prime (grafico 3), ai mesi successivi, nei quali l’interscambio si è gradualmente ridotto, alleggerendo il deficit della bilancia commerciale Bruxelles-Mosca fino agli 8,1 miliardi di euro di novembre 2022. Ciò a seguito dell’effetto combinato della diminuzione della domanda comunitaria, dell’assestamento autunnale dei prezzi delle materie prime (grafico 3) e della diversificazione degli approvvigionamenti dei Paesi Ue.

Le ripercussioni negative dei provvedimenti restrittivi comminati alla Russia sulla dinamica economica e commerciale dei paesi dell’U.e. nel 2022, anche in considerazione degli effetti contrastanti sugli stessi parametri di Mosca, non ha purtroppo costituito elemento di riflessione né a Bruxelles, né tanto meno nelle cancellerie occidentali, incuranti del netto peggioramento che stavano registrando i loro parametri macroeconomici.

I governi europei invece di prendere atto del boomerang che stava ritornando minacciosamente verso di loro a seguito del piano REPowerEU e dei 10 pacchetti sanzionatori introdotti13, ignorando l’Outlook di ottobre del Fmi che dava la Russia in recupero dal -8,5% di aprile al – 3,4%14 di quel mese e i dati Eurostat sulla bilancia commerciale Ue in pesante passivo (tab. 2), hanno scelleratamente continuato, per servilismo verso Washington, sulla stessa strada introducendo l’undicesimo, il 16 dicembre15. Finendo in tal modo per creare le condizioni per il disastro economico-commerciale per l’anno 2022 che abbiamo esposto e per il 2023 che analizzeremo in seguito.

“Il mal voluto non è mai abbastanza” recita un vecchio adagio popolare pisano…

Andrea Vento – 21 febbraio 2024

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

NOTE:

1 “Secondo i dati ufficiali del Ministero del Commercio indiano, da aprile (mese di inizio dell’anno fiscale) a dicembre 2022 l’interscambio cumulato di beni tra Russia e India è ammontato a 35 miliardi di dollari, aumentando di quasi 4 volte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Con l’export verso la Russia che si contrae del 13,5%, il balzo si deve esclusivamente all’enorme crescita dell’import indiano da Mosca, pari a 32,8 (+399% su base annua)”.

2 “Kpler spiega che l’Europa rappresenta circa il 50% delle esportazioni di carburante per aerei indiano con Francia, Turchia, Belgio e Paesi Bassi tra i principali consumatori europei di diesel raffinato nel paese asiatico”

https://greenreport.it/news/energia/lindia-sta-vendendo-diesel-russo-allunione-europea

3 https://www.visualcapitalist.com/visualizing-the-105-trillion-world-economy-in-one-chart/

4 Il mercato spot e anche denominato mercato a pronti o mercato cash poiché la liquidazione dei contratti di compravendita negoziati in ogni giornata è eseguita con un differimento molto breve (pochi giorni). Il differimento è comunque legato solo a ragioni tecniche e l’acquirente deve disporre del denaro e il venditore deve disporre degli strumenti negoziati il giorno stesso nel quale lo scambio è effettuato. Essi si contrappongono ai mercati a termine nei quali, invece, i contratti conclusi dagli operatori prevedono una liquidazione differita nel tempo, anche di alcuni mesi. In questi mercati inoltre venditore e acquirente possono non disporre degli strumenti negoziati e del loro (intero) controvalore al momento dello scambio. Fonte: https://www.borsaitaliana.it/borsa/glossario/mercato-spot.html

5 https://www.limesonline.com/cartaceo/il-suicidio-economico-della-russia

6 https://www.milanofinanza.it/news/russia-verso-il-default-tecnico-non-paga-cedole-per-29-mld-rublo-sbriciolato-202203021104414596

7 https://www.infomercatiesteri.it/indicatori_macroeconomici.php?id_paesi=88#

8 Eurostat: Commercio internazionale di beni 2022 – https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=International_trade_in_goods#EU_trade_increased_strongly_in_2022

9 Nel 2020 la bilancia commerciale Ue ha registrato il più rilevante attivo dell’ultimo decennio dopo il triennio 2015-17

10 https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/w/DDN-20230331-1

11https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/EXT_LT_INTERTRD__custom_5507953/bookmark/table?lang=en&bookmarkId=ef704ca5-8523-4e0d-b22f-c34fba0e0159

12https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/EXT_ST_EU27_2020SITC__custom_4653539/bookmark/table?lang=en&bookmarkId=c588302b-a6e2-4cba-bce8-5714f45c3c1d

13 I primi 10 pacchetti sanzionatori dell’Ue alla Russia sono stati introdotti il 23, il 25 e il 28 febbraio, il 2, il 9 e il 15 marzo, il 8 aprile, il 3 giugno, il 21 luglio e il 6 ottobre 2022

14 mf.org/en/Publications/WEO/Issues/2022/10/11/world-economic-outlook-october-2022#:~:text=Press%20Briefing%3A%20World%20Economic%20Outlook%2C%20October%202022,-October%2011%2C%202022&text=The%20IMF%20forecasts%20global%20growth,2022%20and%202.7%25%20in%202023.

15 Per il dettaglio delle tranche di sanzioni Ue: https://www.confindustria.it/home/crisi-ucraina/sanzioni

MARIO DRAGHI: La globalizzazione ha fallito

Il discorso tenuto da Mario Draghi al Nabe, Economic Policy Conference di Washington è utile oggetto di lettura e di riflessione. Possibilmente senza restare avvinghiati dalla terminologia liturgica (d’obbligo per Draghi) dell’economia mainstream. Tentando quindi di estrarre dal lungo e in molte parti condivisibile ragionamento le questioni essenziali che possono anche essere riepilogate con un altro linguaggio, più comprensibile e svincolato dallo schema ideologico approntato nei territori del “miliardo d’oro” per attraversare la declinante epoca post-globale: quella per cui, come sostiene Mario Draghi, si dovrebbero preservare i valori alla base della civiltà occidentale evitando che le spinte interne ed esterne mettano definitivamente al tappeto questa costruzione.

Al netto dunque, dell'”ingratitudine” con cui Cina e altri paesi emergenti hanno colto il meglio di ciò che potevano ricevere dalla globalizzazione neoliberista senza venire abbagliati e penetrati dal complesso di valori che dovevano andare a braccetto con essa e conservando le architetture – autoritarie… – proprie degli altri mondi; al netto del fatto che la loro apertura all’occidente è stata solo utilitaristica e non ha consentito “l’esportazione della democrazia”; al netto cioè delle espressioni di natura ideologica a cui evidentemente ci si deve continuare ad aggrappare, tuttavia il discorso di Mario Draghi fotografa lo stato dell’arte di questi ultimi decenni in un modo che fino ad ora non aveva azzardato. E i consigli che dispensa senza remore sembrano essere un messaggio forte alle elites politiche e finanziarie, in parte ancora immerse nel sogno di un mercato che se la può cavare anche senza la politica, o meglio, orientando, come loro meglio aggrada, la dimensione politica nazionale e continentale europea.

Draghi taglia la storia in un prima (di cui è stato uno dei massimi interpreti) e un dopo (in cui sembra aspirare a mantenere quantomeno un ruolo di suggeritore di rango): l’epoca di prima è finita ed è fallita rispetto ai suoi obiettivi; ne è arrivata un’altra, che necessita di una impalcatura molto diversa, soprattutto per l’indispensabile funzione di riequilibrio che la politica dovrà svolgervi se non si vuole che il fallimento si trasformi in sconfitta definitiva.

La politica, nella nuova fase, è chiamata a garantire la riproduzione del territorio – spaziale e valoriale – dell’ Occidentale (una sorta di arrocco preservativo), ma soprattutto a riprodurre concrete condizioni di egemonia all’interno di questo spazio; vale a dire le condizioni materiali per cui gli abitanti/produttori/consumatori/elettori che lo abitano possano garantire il consenso necessario alla sua stabilizzazione. Altrimenti la creatura andrà in fumo, attratta, come sarà, dalle sirene dell’autoritarismo o di altre prospettive e aggredita da una frantumazione ideale e culturale.

Depurato dai suoi elementi ideologici, il discorso propone alcune correzioni al modello: recupera approcci di riequilibrio tra mercato e politica, (con la prevalenza della seconda che dovrebbe caratterizzare l’epoca in cui siamo entrati), di riequilibrio tra flussi di capitale (da sottrarre alla speculazione e riorientare verso gli investimenti), di riequilibrio nella distribuzione della ricchezza (con adeguate politiche salariali, fiscali e monetarie) in modo tale che le spinte disgregative vengano contenute e ricomposte.

Si tratta di una sorta di manuale di politica interna allo spazio occidentale e ai singoli paesi che lo compongono: i quali dovrebbero quindi attrezzarsi alla modifica sostanziale degli approcci prevalenti seguiti fino ad ora, con il passaggio dall’orientamento all’export che ha consentito enormi surplus solo ad alcuni paesi guida della fase di globalizzazione (e alle loro grandi imprese multinazionali, non citate), ad un ri-orientamento al/ai mercati interni tale da migliorarne le condizioni di vita e ambientali.

Un nuovo modello di competizione quindi, che dovrebbe recuperare la logica dei “massimi e migliori sistemi”, (inevitabilmente analoga al tempo della guerra fredda) che è al tempo stesso competizione culturale, organizzativa e redistributiva, quindi competizione ideale che deve essere corroborata da evidenti e concreti risultati ben percepibili dalle masse.

In tutto il discorso Draghi non cita, se non indirettamente quando accenna alle delocalizzazioni e alla competizione sul costo del lavoro, il ruolo centrale delle grandi imprese globali che sono state i soggetti reali della globalizzazione e i veri percettori dei sui vantaggi, come si evince dai picchi di ricchezza raggiunti e accumulati in sempre meno mani: ciò che in senso traslato definiamo “i mercati”. Ma si capisce che il bersaglio sono proprio loro. Non l’astratta globalizzazione ha fallito, ma queste grandi imprese hanno fallito nella loro presunzione di regolare il mondo e gli stessi Stati con gli annessi popoli che li abitano.

E allo stesso tempo, a parte le ovvie e necessitate invettive sull’autoritarismo, sembra di cogliere il riconoscimento di una superiorità verificabile di quei paesi che hanno mantenuto o potenziato la funzione della politica come centro decisivo di progettazione e programmazione economica e sociale: la Cina, da questo punto di vista è certamente l’esempio principe, nella sua capacità di aver utilizzato tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione sottraendosi però alla reclamata (da USA & C.) permeabilità totale dei flussi di capitale, a meno che non fossero destinati o destinabili agli investimenti. Ma è proprio il mancato rispetto di queste “regole” di libertà di scorazzare dei flussi di capitale internazionale ad aver consentito il grande sviluppo della Cina, poiché il loro orientamento produttivo ha permesso con successive messe a punto, un sensibile miglioramento delle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone. (Cosa che non ha fatto in maniera adeguata l’Occidente).

In questa competizione tra modelli e sistemi, tra grandi gruppi monopolistici e Stato, sembrano aver fallito i primi e aver vinto il secondo. Dunque, da quanto si coglie dal discorso, bisognerebbe seguire il modello vincente; rivisto e corretto sulla base dei principi costitutivi dello spazio occidentale.

Che questa scelta debba necessariamente implicare un nuovo keynesismo di guerra con massicci investimenti sulla “sicurezza” militare non viene detto. Forse è una variabile implicita dell’approccio proposto. O forse no. La questione, è che ciò che è da salvaguardare non è un generico e impersonale Occidente, ma i suoi attori reali (che continuano ad essere in primis le grandi imprese globali non citate). Il discorso di Draghi puntualizza cioè il perimetro del confronto tra le elìtes di questa parte di mondo e della vaga Europa.


Discorso integrale di Mario Draghi al Nabe, Economic Policy Conference di Washington, durante il conferimento del premio Paul A. Volcker Lifetime Achievement Award

Tutti i governi, fino a non molto tempo fa, nutrivano grandi aspettative sulla globalizzazione, intesa come integrazione dinamica dell’economia mondiale. Si pensava che la globalizzazione avrebbe aumentato la crescita e il benessere a livello mondiale, grazie a un’organizzazione più efficiente delle risorse mondiali. Man mano che i Paesi sarebbero diventati più ricchi, più aperti e più orientati al mercato, si sarebbero diffusi i valori democratici insieme allo Stato di diritto. E tutto ciò avrebbe reso le economie emergenti più produttive nelle istituzioni multilaterali, legittimando ulteriormente l’ordine globale. Lo stato d’animo prevalente è stato ben colto da George H.W. Bush nel 1991, quando ha affermato che “nessuna nazione sulla Terra ha scoperto un modo per importare i beni e i servizi del mondo fermando le idee alla frontiera”.

Questo circolo virtuoso porterebbe anche a una “uguaglianza per difetto”, nel senso che non sarebbe necessaria alcuna politica governativa specifica per raggiungerla. Piuttosto, avremmo una convergenza armoniosa verso standard di vita più elevati, valori universali e stato di diritto internazionale. Non c’è dubbio che alcune di queste aspettative si siano realizzate. L’apertura dei mercati globali ha portato decine di Paesi nell’economia mondiale e ha fatto uscire dalla povertà milioni di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha generato il più ampio e rapido miglioramento della qualità della vita mai visto nella storia. Ma il nostro modello di globalizzazione conteneva anche una debolezza fondamentale. La persistenza del libero scambio fra Paesi necessita che vi siano regole internazionali e regolamenti delle controversie recepite da tutti i Paesi partecipanti. Ma in questo nuovo mondo globalizzato, l’impegno di alcuni dei maggiori partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dall’inizio. A differenza del mercato unico dell’Ue, dove il rispetto delle regole è intrinseco e avviene attraverso la Corte di giustizia europea, le organizzazioni internazionali create per supervisionare l’equità del commercio globale non sono mai state dotate di indipendenza e poteri equivalenti. Pertanto, l’ordine commerciale mondiale globalizzato è sempre stato vulnerabile a una situazione in cui qualsiasi Paese o gruppo di Paesi poteva decidere che il rispetto delle regole non sarebbe servito ai propri interessi a breve termine.

Per fare solo un esempio, nei primi 15 anni di adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), la Cina non ha notificato all’Omc alcun sussidio del governo sub-centrale, nonostante la maggior parte dei sussidi sia erogata dai governi provinciali e locali. Questa inadempienza era nota da anni: già nel 2003 si era notato che gli sforzi della Cina per l’attuazione dell’Omc avevano “perso un notevole slancio”, ma l’indifferenza ha prevalso e non è stato fatto nulla di concreto per affrontarla. Le conseguenze di questa scarsa conformità a regole condivise sono state economiche, sociali e politiche.

La globalizzazione ha portato a grandi squilibri commerciali, ed i responsabili politici hanno tardato a riconoscerne le conseguenze. Questi squilibri sono sorti in parte perché l’apertura del commercio avveniva tra Paesi con livelli di sviluppo molto diversi, il che ha limitato la capacità dei Paesi più poveri di assorbire le importazioni da quelli più ricchi e ha dato loro la giustificazione per proteggere le industrie domestiche nascenti dalla concorrenza estera. Ma riflettono anche scelte politiche deliberate in ampie parti del mondo per accumulare avanzi commerciali e limitare l’aggiustamento del mercato.

Dopo la crisi del 1997, le economie dell’Asia orientale hanno utilizzato le eccedenze commerciali per accumulare grandi riserve valutarie e autoassicurarsi contro gli shock della bilancia dei pagamenti, soprattutto impedendo l’apprezzamento dei tassi di cambio, mentre la Cina ha perseguito una strategia deliberata a lungo termine per liberarsi dalla dipendenza dall’Occidente per i beni capitali e la tecnologia. Dopo la crisi dell’eurozona del 2011, anche l’Europa ha perseguito una politica di accumulo deliberato di avanzi delle partite correnti, anche se in questo caso attraverso le errate politiche fiscali procicliche sancite dalle nostre regole che hanno depresso la domanda interna e il costo del lavoro. In una situazione in cui i meccanismi di solidarietà dell’Ue erano limitati, questa posizione poteva persino essere comprensibile per i paesi che dipendevano dai finanziamenti esterni. Ma anche quelli con posizioni esterne forti, come la Germania, hanno seguito questa tendenza. Queste politiche hanno fatto sì che le partite correnti dell’area dell’euro siano passate da un sostanziale equilibrio prima della crisi a un massimo di oltre il 3% del Pil nel 2017. A questo picco, si trattava in termini assoluti del più grande avanzo delle partite correnti al mondo. In percentuale del Pil mondiale, solo la Cina nel 2007-08 e il Giappone nel 1986 hanno registrato un avanzo più elevato.

L’accumulo di eccedenze ha portato a un aumento del risparmio globale in eccesso e a un calo dei tassi reali globali, un fenomeno rilevato da Ben Bernanke già nel 2005. A questo non è corrisposto un aumento della domanda di investimenti. Gli investimenti pubblici sono diminuiti di quasi due punti percentuali nei Paesi del G7 dagli anni ’90 al 2010, mentre gli investimenti del settore privato si sono bloccati una volta che le imprese hanno ridotto la leva finanziaria dopo la grande crisi finanziaria. Questo calo dei tassi reali ha contribuito in modo sostanziale alle sfide incontrate dalla politica monetaria negli anni 2010, quando i tassi di interesse nominali sono stati schiacciati sul limite inferiore. La politica monetaria è stata ancora in grado di generare occupazione attraverso misure non convenzionali e ha prodotto risultati migliori di quanto molti si aspettassero. Ma queste misure non sono state sufficienti per eliminare completamente il rallentamento del mercato del lavoro. Le conseguenze sociali si sono manifestate in una perdita secolare di potere contrattuale nelle economie avanzate, poiché i posti di lavoro sono stati spostati dalla delocalizzazione o le richieste salariali sono state contenute dalla minaccia della delocalizzazione.

Nelle economie del G7, le esportazioni e le importazioni totali di beni sono aumentate di circa 9 punti percentuali dall’inizio degli anni ’80 alla grande crisi finanziaria, mentre la quota di reddito del lavoro è scesa di circa 6 punti percentuali in quel periodo. Si è trattato del calo più marcato da quando i dati relativi a queste economie sono iniziati nel 1950. Ne sono seguite le conseguenze politiche. Di fronte a mercati del lavoro fiacchi, investimenti pubblici in calo, diminuzione della quota di manodopera e delocalizzazione dei posti di lavoro, ampi segmenti dell’opinione pubblica dei Paesi occidentali si sono giustamente sentiti “lasciati indietro” dalla globalizzazione. Di conseguenza, contrariamente alle aspettative iniziali, la globalizzazione non solo non ha diffuso i valori liberali, perché la democrazia e la libertà non viaggiano necessariamente con i beni e i servizi, ma li ha anche indeboliti nei Paesi che ne erano i più forti sostenitori, alimentando invece l’ascesa di forze orientate verso l’interno.

La percezione dell’opinione pubblica occidentale è diventata quella che i cittadini comuni stessero giocando in un gioco imperfetto, che aveva causato la perdita di milioni di posti di lavoro, mentre i governi e le imprese rimanevano indifferenti. Al posto dei canoni tradizionali di efficienza e ottimizzazione dei costi, i cittadini volevano una distribuzione più equa dei benefici della globalizzazione e una maggiore attenzione alla sicurezza economica. Per ottenere questi risultati, ci si aspettava un uso più attivo dello “statecraft” (l’arte di governare), che si trattasse di politiche commerciali assertive, protezionismo o redistribuzione. Una serie di eventi ha poi rafforzato questa tendenza. In primo luogo, la pandemia ha sottolineato i rischi di catene di approvvigionamento globali estese per beni essenziali come farmaci e semiconduttori. Questa consapevolezza ha portato al cambiamento di molte economie occidentali verso il re-shoring delle industrie strategiche e l’avvicinamento delle catene di fornitura critiche.

La guerra di aggressione in Ucraina ci ha poi indotto a riesaminare non solo dove acquistiamo i beni, ma anche da chi. Ha messo in luce i pericoli di un’eccessiva dipendenza da partner commerciali grandi e inaffidabili che minacciano i nostri valori. Ora, ovunque vediamo che la sicurezza degli approvvigionamenti – di energia, terre rare e metalli – sta salendo nell’agenda politica. Questo cambiamento si riflette nell’emergere di blocchi di nazioni che sono in gran parte definiti dai loro valori comuni e sta già portando a cambiamenti significativi nei modelli di commercio e investimento globali. Dall’invasione dell’Ucraina, ad esempio, il commercio tra alleati geopolitici è cresciuto del 4-6% in più rispetto a quello con gli avversari geopolitici. Anche la quota di Ide che si svolge tra Paesi geopoliticamente allineati è in aumento. E, nel frattempo, è aumentata l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico. Raggiungere lo zero netto in tempi sempre più brevi richiede approcci politici radicali in cui il significato di commercio sostenibile viene ridefinito.

L’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti e, in prospettiva, il Carbon Border Adjustment Mechanism dell’Ue danno entrambi la priorità agli obiettivi di sicurezza climatica rispetto a quelli che in precedenza erano considerati effetti distorsivi sul commercio. Questo periodo di profondi cambiamenti nell’ordine economico globale comporta sfide altrettanto profonde per la politica economica. In primo luogo, cambierà la natura degli shock a cui sono esposte le nostre economie. Negli ultimi trent’anni, le principali fonti di disturbo della crescita sono state gli shock della domanda, spesso sotto forma di cicli del credito. La globalizzazione ha causato un flusso continuo di shock positivi dell’offerta, in particolare aggiungendo ogni anno decine di milioni di lavoratori al settore commerciale delle economie emergenti. Ma questi cambiamenti sono stati per lo più fluidi e continui. Ora, con l’avanzamento della Cina nella catena del valore, non sarà sostituita da un altro esportatore di rallentamento del mercato del lavoro globale. Al contrario, è probabile che si verifichino shock negativi dell’offerta più frequenti, più gravi e anche più consistenti, mentre le nostre economie si adattano a questo nuovo contesto.

È probabile che questi shock dell’offerta derivino non solo da nuovi attriti nell’economia globale, come conflitti geopolitici o disastri naturali, ma ancor più dalla nostra risposta politica per mitigare tali attriti. Per ristrutturare le catene di approvvigionamento e decarbonizzare le nostre economie, dobbiamo investire un’enorme quantità di denaro in un orizzonte temporale relativamente breve, con il rischio che il capitale venga distrutto più velocemente di quanto possa essere sostituito. In molti casi, stiamo investendo non tanto per aumentare lo stock di capitale, quanto per sostituire il capitale che viene reso obsoleto da un mondo in continua evoluzione. Per illustrare questo punto, si pensi ai terminali di Gnl costruiti in Europa negli ultimi due anni per alleviare l’eccessiva dipendenza dal gas russo. Non si tratta di investimenti destinati ad aumentare il flusso di energia nell’economia, ma piuttosto a mantenerlo. Gli investimenti nella decarbonizzazione e nelle catene di approvvigionamento dovrebbero aumentare la produttività nel lungo periodo, soprattutto se comportano una maggiore adozione della tecnologia. Tuttavia, ciò implica una temporanea riduzione dell’offerta aggregata mentre le risorse vengono rimescolate all’interno dell’economia. Il secondo cambiamento chiave nel panorama macroeconomico è che la politica fiscale sarà chiamata a svolgere un ruolo maggiore, il che significa – mi aspetto – deficit pubblici persistentemente più elevati.

Il ruolo della politica fiscale è classicamente suddiviso in allocazione, distribuzione e stabilizzazione, e su tutti e tre i fronti è probabile che le richieste di spesa pubblica aumentino. La politica fiscale sarà chiamata a incrementare gli investimenti pubblici per soddisfare le nuove esigenze di investimento. I governi dovranno affrontare le disuguaglianze di ricchezza e di reddito. Inoltre, in un mondo di shock dell’offerta, la politica fiscale dovrà probabilmente svolgere anche un ruolo di stabilizzazione maggiore, un ruolo che in precedenza avevamo assegnato principalmente alla politica monetaria. Abbiamo assegnato questo ruolo alla politica monetaria proprio perché ci trovavamo di fronte a shock della domanda che le banche centrali sono in grado di gestire. Ma un mondo di shock dell’offerta rende più difficile la stabilizzazione monetaria. I ritardi della politica monetaria sono in genere troppo lunghi per frenare l’inflazione indotta dall’offerta o per compensare la contrazione economica che ne deriva, il che significa che la politica monetaria può al massimo concentrarsi sulla limitazione degli effetti di secondo impatto.

Pertanto, la politica fiscale sarà naturalmente chiamata a svolgere un ruolo maggiore nella stabilizzazione dell’economia, in quanto le politiche fiscali possono attenuare gli effetti degli shock dell’offerta sul Pil con un ritardo di trasmissione più breve. Lo abbiamo già visto durante lo shock energetico in Europa, dove i sussidi hanno compensato le famiglie per circa un terzo della loro perdita di benessere – e in alcuni Paesi dell’Ue, come l’Italia, hanno compensato fino al 90% della perdita di potere d’acquisto per le famiglie più povere. Nel complesso, questi cambiamenti indicano una crescita potenziale più bassa man mano che si svolgono i processi di aggiustamento e una prospettiva di inflazione più volatile, con nuove pressioni al rialzo derivanti dalle transizioni economiche e dai persistenti deficit fiscali. Inoltre, abbiamo un terzo cambiamento: se stiamo entrando in un’epoca di maggiore rivalità geopolitica e di relazioni economiche internazionali più transazionali, i modelli di business basati su ampi avanzi commerciali potrebbero non essere più politicamente sostenibili. I Paesi che vogliono continuare a esportare beni potrebbero dover essere più disposti a importare altri beni o servizi per guadagnarsi questo diritto, pena l’aumento delle misure di ritorsione. Questo cambiamento nelle relazioni internazionali inciderà sull’offerta globale di risparmio, che dovrà essere riallocato verso gli investimenti interni o ridotto da un calo del Pil. In entrambi gli scenari, la pressione al ribasso sui tassi reali globali che ha caratterizzato gran parte dell’era della globalizzazione dovrebbe invertirsi.

Questi cambiamenti comportano conseguenze ancora molto incerte per le nostre economie. Un’area di probabile cambiamento sarà la nostra architettura di politica macroeconomica. Per stabilizzare il potenziale di crescita e ridurre la volatilità dell’inflazione, avremo bisogno di un cambiamento nella strategia politica generale, che si concentri sia sul completamento delle transizioni in corso dal lato dell’offerta, sia sullo stimolo alla crescita della produttività, dove l’adozione estesa dell’IA (intelligenza artificiale) potrebbe essere d’aiuto. Ma per fare tutto questo in fretta sarà necessario un mix di politiche appropriato: un costo del capitale sufficientemente basso per stimolare la spesa per gli investimenti, una regolamentazione finanziaria che sostenga la riallocazione del capitale e l’innovazione, e una politica della concorrenza che faciliti gli aiuti di Stato quando sono giustificati. Una delle implicazioni di questa strategia è che la politica fiscale diventerà probabilmente più interconnessa alla politica monetaria. A breve termine, se la politica fiscale avrà uno spazio sufficiente per raggiungere i suoi vari obiettivi dipenderà dalle funzioni di reazione delle banche centrali.

In prospettiva, se la crescita potenziale rimarrà bassa e il debito pubblico ai massimi storici, la dinamica del debito sarà meccanicamente influenzata dal livello più elevato dei tassi reali. Ciò significa che probabilmente aumenterà la richiesta di coordinamento delle politiche economiche, cosa non implicita nell’attuale architettura di politica macroeconomica. In effetti, questa architettura ha volutamente assegnato diverse importanti funzioni politiche ad agenzie indipendenti, che operano a distanza dai governi, in modo da essere isolate dalle pressioni politiche – e questo ha senza dubbio contribuito alla stabilità macroeconomica a lungo termine. Tuttavia, è importante ricordare che indipendenza non significa necessariamente separazione e che le diverse autorità possono unire le forze per aumentare lo spazio politico senza compromettere i propri mandati. Lo abbiamo visto durante la pandemia, quando le autorità monetarie, fiscali e di vigilanza bancaria hanno unito le forze per limitare i danni economici dei blocchi e prevenire un crollo deflazionistico. Questo mix di politiche ha permesso a entrambe le autorità di raggiungere i propri obiettivi in modo più efficace.

Allo stesso modo, nelle condizioni attuali una strategia politica coerente dovrebbe avere almeno due elementi. In primo luogo, deve esserci un percorso fiscale chiaro e credibile che si concentri sugli investimenti e che, nel nostro caso, preservi i valori sociali europei. Ciò darebbe maggiore fiducia alle banche centrali che la spesa pubblica corrente, aumentando la capacità di offerta, porterà a una minore inflazione domani. In Europa, dove le politiche fiscali sono decentralizzate, possiamo anche fare un passo avanti finanziando più investimenti collettivamente a livello dell’Unione. L’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a nostra disposizione, alleggerendo alcune pressioni sui bilanci nazionali. Allo stesso tempo, dato che la spesa dell’Ue è più programmatica – spesso si estende su un orizzonte di più anni – la realizzazione di investimenti a questo livello garantirebbe un impegno più forte affinché la politica fiscale sia in ultima analisi non inflazionistica, cosa che le banche centrali potrebbero riflettere nelle loro prospettive di inflazione a medio termine. In secondo luogo, se le autorità fiscali dovessero definire percorsi di bilancio credibili in questo modo, le banche centrali dovrebbero assicurarsi che l’obiettivo principale delle loro decisioni siano le aspettative di inflazione.

Nei prossimi anni la politica monetaria si troverà ad affrontare un contesto difficile, in cui dovrà più che mai distinguere tra inflazione temporanea e permanente, tra spinte alla crescita salariale e spirali che si autoavverano, e tra le conseguenze inflazionistiche di una spesa pubblica buona o cattiva. In questo contesto, una misurazione accurata e un’attenzione meticolosa alle aspettative di inflazione sono il modo migliore per garantire che le banche centrali possano contribuire a una strategia politica globale senza compromettere la stabilità dei prezzi o la propria indipendenza. Questo obiettivo permette di distinguere con precisione gli shock temporanei al rialzo dei prezzi, come gli spostamenti dei prezzi relativi tra settori o l’aumento dei prezzi delle materie prime legato a maggiori investimenti, dai rischi di inflazione persistente. Abbiamo bisogno di spazio politico per investire nelle transizioni e aumentare la crescita della produttività. Le politiche economiche devono essere coerenti con una strategia e un insieme di obiettivi comuni. Ma trovare la strada per questo allineamento politico non sarà facile. Le transizioni che le nostre società stanno intraprendendo, siano esse dettate dalla nostra scelta di proteggere il clima o dalle minacce di autocrati nostalgici, o dalla nostra indifferenza alle conseguenze sociali della globalizzazione, sono profonde.

E le differenze tra i possibili risultati non sono mai state così marcate. Ma i cittadini conoscono bene il valore della nostra democrazia e ciò che ci ha dato negli ultimi ottant’anni. Vogliono preservarla. Vogliono essere inclusi e valorizzati al suo interno. Spetta ai leader e ai politici ascoltare, capire e agire insieme per progettare il nostro futuro comune.

Gaza: un sito documenta le atrocità israeliane contro i palestinesi

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Intento genocida: Nelle loro stesse parole

Alti funzionari israeliani, tra cui il Primo Ministro, il Presidente e il Ministro della Difesa, hanno usato pubblicamente un linguaggio disumanizzante e totalizzante sui palestinesi, segnalando il loro intento di distruggere e sfollare la popolazione di Gaza, imponendo un assedio implacabile e privandola intenzionalmente delle condizioni di vita necessarie alla sopravvivenza umana. Forse l’aspetto più inquietante è che Netanyahu ha citato la storia biblica di “Amalek” per giustificare le uccisioni di Gaza. Gli Amaleciti erano una nazione condannata allo sterminio totale nella Bibbia, come menzionato in 1 Samuele 15:3 “Ora andate, attaccate gli Amaleciti e distruggete totalmente tutto ciò che appartiene loro. Non risparmiateli; mettete a morte uomini e donne, bambini e lattanti, bestiame e pecore, cammelli e asini”.

Queste raccolte di dichiarazioni di leader e opinionisti israeliani, sia del passato che del presente, non sono affatto esaustive e rivelano l’intento genocida che sta dietro l’attuale attacco militare contro i palestinesi.

AVVERTENZA: il sito web contiene contenuti estremamente cruenti e si consiglia la discrezione degli utenti.

Massacri di civili: Nessun luogo è sicuro

Il 10 ottobre, il portavoce delle Forze di Difesa Israeliane ha annunciato di aver sganciato “centinaia di tonnellate di bombe”, poiché “l’enfasi è sui danni e non sulla precisione”. In realtà, in meno di un mese dall’inizio della campagna di bombardamenti, Israele ha sganciato più di 25.000 tonnellate di esplosivo sulla Striscia di Gaza, equivalenti a due bombe nucleari, secondo l’Euro-Med Human Rights Monitor.

I palestinesi sono stati uccisi a migliaia, mentre case, scuole, ospedali, rifugi, moschee, chiese, campi profughi e vie di “evacuazione” sono stati bombardati senza pietà. I video e le immagini grafiche che seguono presentano solo una parte delle tragiche perdite e sofferenze. Purtroppo, anche il giorno successivo porta con sé altre orribili perdite e patimenti.

La valutazione degli esperti:
Crimini di guerra e genocidio israeliano

Importanti personalità e dipartimenti delle Nazioni Unite, esperti di diritto internazionale e organismi mondiali per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch hanno rilasciato in cui affermano che Israele sta commettendo diversi crimini di guerra contro i palestinesi, che vanno dal trasferimento forzato della popolazione civile, alla punizione collettiva, all’uso sproporzionato della forza.
Alcuni hanno messo in guardia da un genocidio in atto o addirittura da un genocidio vero e proprio, viste le dichiarazioni di intenti degli israeliani, unite all’assedio totale, alla distruzione e alle uccisioni sul campo.


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Israel’s ongoing apocalyptic military campaign against Gaza comes on top of its 75+ years of persecution, displacement, and terrorism of Palestinians.

It has resulted in mass destruction, displacement of over 90% of the Gazan population, and the deaths and maiming of tens of thousands of civilians, mostly women and children.

Below we document what many authorities are calling war crimes, ethnic cleansing and genocide. Our aim is to give a voice to the voiceless, and raise awareness of the need for international action to ensure Palestinian people are finally free of brutal occupation and colonialization.

WARNING: This website contains extremely graphic content and viewer discretion is advised.

Civilian Massacres: Nowhere is Safe

On October 10, the Israel Defense Forces spokesperson announced dropping “hundreds of tons of bombs,” as “the emphasis is on damage and not on accuracy.” In fact, in less than one month after the onset of its bombing campaign, Israel dropped more than 25,000 tons of explosives on the Gaza Strip, equivalent to two nuclear bombs, according to the Euro-Med Human Rights Monitor.

Palestinians have been killed in their thousands, when homes, schools, hospitals, shelters, mosques, churches, refugee camps and “evacuation” routes have been mercilessly bombed. The following graphic videos and images present just a fraction of the tragic loss and suffering. Unfortunately, even day brings further similar horrific loss and limbs.

The Assessment of Experts:

Israeli War Crimes and Genocide

Leading UN figures and departments, international law experts, as well as worldwide human
rights bodies like Amnesty International and Human Rights Watch have released statements
asserting that Israel is committing various war crimes against the Palestinians, ranging from
forceable transfer of the civilian population, to collective punishment, to disproportionate use
of force. Some have warned of a genocide in the making or even an actual genocide, given
the statements of intent of the Israeli leaders, combined with the total siege, destruction, and
killing on the ground.

Palestinian Steadfastness: Strength Through Faith

Having already endured years of living in the largest open-air prison in the world that is Gaza, the Palestinians have now had to experience further displacement, destruction of their properties, and the loss of multiple family members in the indiscriminate bombing campaign, Nevertheless, inspired by their faith, they have remained steadfast and resilient in the face of such adversity, refusing to be cowered and determined to stand firm on their land.

The videos in this section inspire us to have hope with them, despite the desperation of the situation.

FONTE: https://israel-massacres.com/

Moni Ovadia: Il sionismo è l’opposto dell’ebraismo. Il sionismo è antisemitismo. (VIDEO)

FONTE: OttolinaTV

Gaza: “Cosa fate voi occidentali per aiutarci veramente?”

di Milad Jubran Basir

di Milad Jubran Basir

Cosa pensano i palestinesi del pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.

Entrare in contatto con la popolazione civile palestinese a Gaza o in Cisgiordania non è facile: non c’è solo un problema di funzionamento delle linee telefoniche ma anche l’aspetto umano, la paura, la diffidenza e il timore che parlando accadrà qualcosa. Dopo tanti tentativi sono riuscito entrare in contatto con un amico sfollato assieme alla sua famiglia, che preferisce non riportare il suo nome. In una conversazione precedente mi aveva informato che la sua casa è stata rasa al suolo e in questa situazione lui, come tantissimi altri, non riesce ad avere notizie di quanto accade nel mondo. Lui chiede di sapere più approfonditamente cosa ha deciso la Corte Internazionale di Giustizia, forse questo potrebbe essere un filo che restituisce un poco di speranza, in un momento in cui solo la sopravvivenza è lo scopo di tutti i giorni.

Ad un collega che esercita in Cisgiordania rivolgo la stessa domanda, e ricevo la conferma che per lui rappresenta il ripristino della onorabilità del diritto internazionale. Ha accolto con favore questa sentenza anche se non ha contemplato la decisione precauzionale per il cessate il fuoco, e la convocazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per prendere tutte le decisioni necessarie ad applicarla. “La responsabilità di questa mancanza è degli Usa – racconta – che impediscono qualsiasi risoluzione del Consiglio di Sicurezza in merito al cessate il fuoco e la protezione del nostro popolo a Gaza, in Cisgiordania e anche a Gerusalemme”.

Poi continua: “Vorrei rinnovare il mio ringraziamento al governo del Sudafrica. Una cosa molto importante che la sentenza contiene è che non esiste nessuno Stato al di sopra del diritto per cui, con tutto quello che possono fare gli Usa di tutela, protezione e copertura di Israele, tutto questo non durerà all’infinito, e sarà condannato. In più questa importante sentenza prepara il terreno per una fase nuova in cui il diritto internazionale sarà praticato e sarà vincolante per tutti gli Stati compreso Israele. Infine, nessuno era abituato a vedere Israele sul banco degli imputati”.

Un uomo politico dichiara di accogliere con favore la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, ringrazia il Sudafrica per il sostegno alla causa palestinese, e dichiara piena disponibilità a collaborare con il governo amico del Sudafrica per rispondere al rapporto che presenterà Israele alla Corte tra un mese, come è stato ordinato. Infine rivolge un invito ai Paesi arabi e islamici di lavorare assieme per fare pressione sugli Usa e Israele per il cessato il fuoco.

Un collega molto giovane di Gaza, che per puro caso è uscito da quell’inferno i primi giorni di ottobre ed oggi si trova in un paese arabo, mi dice che tutta la sua famiglia è a Gaza e non sa più nulla di loro. L’ordine di facilitare l’ingresso degli alimenti e dei medicinali è importantissimo, perché almeno così la gente non muore di fame. “In quanto giovane palestinese dico che la sentenza della Corte non ci ha reso giustizia e non ha adottato dei criteri giusti in merito alla nostra causa. Non vorrei pensare ad un accordo, o a un complotto regionale o internazionale, per liquidare la nostra giusta causa. La gente non crede più a certe cose, la sentenza a livello politico è molto importante, ma non ha ordinato di fermare il massacro”.

Ecco il parere di una signora molto attiva socialmente in Cisgiordania, inizialmente piena di sofferenza, dolore, ma anche rabbia: “Che importanza ha una sentenza che non mette fine a questa sofferenza?”. Poi con un lungo respiro aggiunge: “La dichiarazione di non archiviare la causa è una vittoria, la Corte ha visto e notato che di fatto c’è un genocidio in atto contro il popolo palestinese. La Corte sarà a Gaza, spero che i suoi rappresentanti possano vedere con i loro occhi come stanno massacrando il nostro popolo. La nostra aspettativa però resta l’ordine di cessate il fuoco immediato, ma noi resistiamo e i prossimi giorni ci porteranno delle buone notizie”.

Infine una dottoressa in Cisgiordania taglia corto in modo deciso, trasparente e determinato: “La gente non solo muore sotto i bombardamenti, ma anche letteralmente di fame. Nessuno sa quanti sono veramente i morti in questa assurda guerra, ma il mondo intero sa che la stragrande maggioranza sono bambini e donne. Accade tutto sotto gli occhi di tutti e nessuno fa nulla. Di fronte a questo genocidio che ci importa di questa o quella sentenza? Il mondo occidentale ci ha predicato per anni i diritti umani, la legalità, la comunità internazionale: ma sono vuoti slogan che per noi non esistono. Occorre finirla con questa ipocrisia, se Israele può fare tutto questo è perché il mondo occidentale non solo l’ha permesso, ma ha anche partecipato e quindi è complice”.

Altre persone hanno preferito non rispondere perché non davano importanza alle “chiacchiere”, di fronte alle scene raccapriccianti dei massacri di bambini. E tutti – quelli che hanno accettato di rispondere come quelli che hanno rifiutato – mi hanno posto una sola domanda: “Cosa fate voi occidentali per aiutarci veramente?”.

FONTE: https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/numero-03-2024/3074-cosa-fate-voi-occidentali-per-aiutarci-veramente-di-milad-jubran-basir

Pepe Escobar – Le 5 variabili che definiranno il nostro futuro

di Pepe Escobar – ( da L’Antidiplomatico)

Alla fine degli anni Trenta, con la seconda guerra mondiale in corso e pochi mesi prima del suo assassinio, Leon Trotsky aveva già una visione di ciò che avrebbe fatto il futuro Impero del Caos…

“Per la Germania si trattava di ‘organizzare l’Europa’. Gli Stati Uniti devono ‘organizzare’ il mondo. La storia sta mettendo l’umanità di fronte all’eruzione vulcanica dell’imperialismo americano… Con un pretesto o un altro, gli Stati Uniti interverranno nel tremendo scontro per mantenere il loro dominio mondiale.”

Sappiamo tutti cosa è successo dopo. Ora ci troviamo sotto un nuovo vulcano che nemmeno Trotsky avrebbe potuto identificare: un declino degli Stati Uniti di fronte alla “minaccia” Russia-Cina. E ancora una volta l’intero pianeta è interessato da importanti mosse nello scacchiere geopolitico.

I neocons straussiani a capo della politica estera degli Stati Uniti non potrebbero mai accettare che la Russia e la Cina aprano la strada a un mondo multipolare. Per ora abbiamo l’espansionismo perpetuo della NATO come strategia per debilitare la Russia… e Taiwan come strategia per debilitare la Cina.

Eppure, negli ultimi due anni, la feroce guerra per procura in Ucraina ha solo accelerato la transizione verso un ordine mondiale multipolare, guidato dall’Eurasia.

Con l’aiuto indispensabile del Prof. Michael Hudson, riassumiamo brevemente le 5 variabili chiave che stanno condizionando l’attuale transizione.

I perdenti non dettano le condizioni

  1. Lo stallo: Questa è la nuova, ossessiva narrazione statunitense sull’Ucraina – sotto steroidi. Di fronte all’imminente, cosmica umiliazione della NATO sul campo di battaglia, la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato hanno dovuto – letteralmente –  improvvisare.

Mosca, però, on si scompone. Il Cremlino ha fissato le condizioni molto tempo fa: resa totale e niente Ucraina come parte della NATO. “Negoziare”, dal punto di vista della Russia, significa accettare queste condizioni.

E se le potenze decise a Washington optano per mettere il turbo all’armamento di Kiev, o per scatenare “le più atroci provocazioni per cambiare il corso degli eventi”, come ha affermato questa settimana il capo dell’SVR, Sergey Naryshkin, bene.

La strada da percorrere sarà sanguinosa. Nel caso in cui i soliti sospetti mettano da parte il popolare Zaluzhny e installino Budanov a capo delle Forze Armate dell’Ucraina, l’AFU sarà sotto il totale controllo della CIA – e non dei generali della NATO, come avviene tuttora.

Questo potrebbe impedire un colpo di stato militare contro il fantoccio in felpa sudata di Kiev. Ma le cose si faranno molto più brutte. L’Ucraina passerà alla Guerriglia Totale, con due soli obiettivi: attaccare i civili russi e le infrastrutture civili. Mosca, ovviamente, è pienamente consapevole dei pericoli.

Nel frattempo, i ciancioni iperattivi a diverse latitudini suggeriscono che la NATO potrebbe addirittura prepararsi a una spartizione dell’Ucraina. Qualunque sia la forma che potrebbe assumere, non sono i perdenti a dettare le condizioni: È la Russia che lo fa.

Per quanto riguarda i politici dell’UE, è prevedibile che siano in preda al panico più totale, convinti che, dopo aver fatto piazza pulita dell’Ucraina, la Russia diventerà ancora di più una “minaccia” per l’Europa. Fesserie. Non solo Mosca se ne frega di quello che “pensa” l’Europa; l’ultima cosa che la Russia vuole o di cui ha bisogno è annettere isterismi baltici o dell’Europa orientale. Inoltre, persino Jens Stoltenberg ha ammesso che “la NATO non vede alcuna minaccia da parte della Russia verso nessuno dei suoi territori”.

  1. BRICS: Dall’inizio del 2024, questo è il Quadro Generale: la presidenza russa dei BRICS+, che si traduce in un acceleratore di particelle verso il multipolarismo. Il partenariato strategico Russia-Cina aumenterà la produzione effettiva, in diversi settori, mentre l’Europa sprofonderà nella depressione, scatenata dalla Tempesta Perfetta delle sanzioni contro la Russia e della deindustrializzazione tedesca. E non è mica finita qui, perché Washington sta ordinando anche a Bruxelles di sanzionare la Cina su tutti i fronti.


Come afferma il Prof. Michael Hudson, siamo nel bel mezzo della “spaccatura del mondo e della svolta verso la Cina, la Russia, l’Iran, i BRICS”, uniti nel “tentativo di invertire, annullare e far retrocedere l’intera espansione coloniale che si è verificata negli ultimi cinque secoli.”

Oppure, come ha definito il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, questo processo dei BRICS che si lasciano alle spalle i prepotenti occidentali, il cambiamento dell’ordine mondiale è come “una rissa in un parco giochi – che l’Occidente sta perdendo”.

Bye-Bye, Soft Power

  1. L’Imperatore Solitario: Lo “stallo” – cioè la perdita di una guerra – è direttamente collegato al suo compenso: l’Impero che schiaccia e rimpicciolisce un’Europa vassalla. Ma anche se si esercita un controllo quasi totale su tutti questi vassalli relativamente ricchi, si perde definitivamente il Sud Globale: se non tutti i loro leader, certamente la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. La ciliegina sulla torta tossica consiste nel sostenere un genocidio seguito dall’intero pianeta in tempo reale. Bye-bye, soft power.
  1. De-dollarizzazione: In tutto il Sud Globale hanno fatto i conti: se l’Impero e i suoi vassalli dell’UE possono rubare oltre 300 miliardi di dollari di riserve estere russe – a una potenza nucleare/militare di prim’ordine – possono farlo a chiunque, e lo faranno.

Il motivo principale per cui l’Arabia Saudita, ora membro dei BRICS 10, è così mite sul genocidio a Gaza è che le sue ingenti riserve di dollari sono ostaggio dell’Egemone.

Eppure la carovana che si allontana dal dollaro USA continuerà a crescere nel 2024: ciò dipenderà dalle cruciali deliberazioni incrociate all’interno dell’Unione Economica Eurasiatica (UEEA) e dei BRICS 10.

  1. Giardino e giungla: Ciò che Putin e Xi hanno essenzialmente detto al Sud Globale – compreso il mondo arabo ricco di energia – è abbastanza semplice. Se volete migliorare il commercio e la crescita economica, a chi vi rivolgete?

Torniamo così alla sindrome “del giardino e della giungla”, coniata per la prima volta dall’orientalista della Gran Bretagna imperiale Rudyard Kipling. Sia il concetto britannico di “fardello dell’uomo bianco” che quello americano di “Destino manifesto” derivano dalla metafora “del giardino e della giungla”.

Il NATOstan, e mica tutto, dovrebbe essere il giardino. Il Sud Globale è la giungla. Ancora Michael Hudson: allo stato attuale, la giungla sta crescendo, ma il giardino non sta crescendo “perché la sua filosofia non è l’industrializzazione. La sua filosofia è quella di fare rendite di monopolio, cioè rendite che si fanno nel sonno senza produrre valore. Si ha solo il privilegio di avere il diritto di incassare denaro su una tecnologia di monopolio che si possiede”.

La differenza oggi, rispetto ai decenni passati del “pranzo gratis” imperiale, è “un immenso spostamento del progresso tecnologico”, dal Nord America e dagli Stati Uniti verso la Cina, la Russia e alcuni nodi selezionati dell’Asia.

Guerre Eterne. E Nessun Piano B..

Se combiniamo tutte queste varianti – lo stallo, i BRICS, l’Imperatore Solitario, de-dollarizzazione, giardino e giungla – alla ricerca dello scenario più probabile, è facile vedere che l’unica “via d’uscita” per un Impero messo all’angolo è, che altro, il modus operandi predefinito: Guerre Eterne.

E questo ci porta all’attuale portaerei americana in Asia occidentale, totalmente fuori controllo ma sempre sostenuta dall’Egemone, che punta a una guerra su più fronti contro l’intero Asse della Resistenza: Palestina, Hezbollah, Siria, milizie irachene, Ansarullah nello Yemen e Iran.

In un certo senso siamo tornati all’immediato post-11 settembre, quando ciò che i neocon volevano veramente non era l’Afghanistan, ma l’invasione dell’Iraq: non solo per controllare il petrolio (cosa che alla fine non è avvenuta) ma, secondo l’analisi di Michael Hudson, “per creare essenzialmente la legione straniera dell’America sotto forma di ISIS e al– Qaeda in Iraq”. Ora, “l’America ha due eserciti che usa per combattere nel Vicino Oriente, la legione straniera ISIS/al-Qaeda (legione straniera di lingua araba) e gli israeliani.”

L’intuizione di Hudson sull’ISIS e Israele come eserciti paralleli è impagabile: entrambi combattono l’Asse della Resistenza, e mai (corsivo mio) si combattono tra loro. Il piano neocon straussiano, per quanto squallido, è essenzialmente una variante della “lotta all’ultimo ucraino”: “combattere fino all’ultimo israeliano” sulla via del Santo Graal, che è: bombardare, bombardare, bombardare l’Iran (copyright John McCain) e provocare un cambio di regime.

Così come il “piano” non ha funzionato in Iraq o in Ucraina, non funzionerà contro l’Asse della Resistenza.

Ciò che Putin, Xi e Raisi hanno spiegato al Sud Globale – in modo sia esplicito sia piuttosto sottile – è che ci troviamo proprio nel punto cruciale di una guerra di civiltà.

Michael Hudson ha fatto molto per ridurre in termini pratici questa lotta epica. Ci stiamo dirigendo verso quello che ho descritto io come techno-feudalesimo – che è il formato AI del turbo-neoliberismo a caccia di rendite? O ci stiamo dirigendo verso qualcosa di simile alle origini del capitalismo industriale?

Michael Hudson definisce un orizzonte di buon auspicio come “aumentare gli standard di vita invece di imporre l’austerità finanziaria del FMI sul blocco del dollaro”: ideare un sistema che Big Finance, Big Bank, Big Pharma e quello che Ray McGovern ha memorabilmente coniato come il MICIMATT (complesso militare-industriale-congressuale-intelligence-mediatico-universitario-tank tank) non possano controllare. Alea Jacta Est.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-putin_russia_e_bielorussia_lavorano_per_un_ordine_mondiale_multipolare_democratico_ed_equo/82_52656/

Articolo originale in Inglese su: Sputnik

L’ampliamento dei Brics ulteriore passo in avanti nella ridefinizione degli assetti geopolitici e geoeconomici internazionali – parte II°

La complessa questione della dedollarizzazione

di Andrea Vento

Il Sistema Monetario Internazionale (Smi) uscito dagli Accordi di Bretton Woods ha riservato al Dollaro statunitense la duplice funzione di moneta nazionale e di valuta di riferimento nelle transazioni internazionali, concedendo alla Federal Reserve il privilegio di poter indirizzare le politiche monetarie dell’intero campo capitalistico tramite l’orientamento delle manovre sul tasso di riferimento.

L’utilizzo del Dollaro come arma politica

A partire dal febbraio 2022, con l’escalation del conflitto in Ucraina, è tuttavia emersa nella sua piena dimensione anche una terza dirompente funzione, peraltro già utilizzata in passato con portata più limitata ai danni di 22 paesi: quella sanzionatoria. Le draconiane misure coercitive imposte dal 23 febbraio 2022 unilateralmente alla Russia, in 12 tranche successive, hanno infatti determinato “la trasformazione del dollaro in arma”, espressione giustappunto coniata nell’anno in questione.

In base agli studi di Christopher Sabatini del Royal Institute of International Affairs, storico think tank inglese comunemente noto come Chathan house, “Più di un quarto dell’economia mondiale si trova a subire una forma o l’altra di sanzione” anche a causa del fatto che, secondo il Financial Times, nel corso dell’ultimo decennio “I presidenti statunitensi che si sono susseguiti hanno optato per una strategia ritenuta poco onerosa in termini di sforzi e vite umane per risolvere i problemi di politica estera”1. Conseguentemente, gli Stati Uniti, oltre a godere dei privilegi dell’indebitamento incontrollato e della facoltà di orientare le politiche monetarie internazionali, si sono arrogati anche quello dell’extraterritorialità. Possedendo, infatti, la moneta su cui è strutturato il Sim, Washington risulta in grado di imporre le proprie volontà a tutti i soggetti statuali e non che, più o meno volontariamente, utilizzano il Dollaro. Infatti, oltre ad aver recentemente sanzionato diverse banche che avevano effettuato pagamenti per conto di paesi soggetti a sanzioni unilaterali Usa e comminato o inasprito misure ai danni di vari paesi come Cuba, Venezuela, Iran, Corea del Nord, Afghanistan e Siria2, Washington imprime alle misure coercitive un inedito salto di qualità a seguito dell’intervento russo in Ucraina. Mosca viene, infatti, estromessa dal sistema di pagamenti internazionali incentrati sul Dollaro denominato Swift e subisce il congelamento di 300 miliardi di dollari di riserve proprie depositati nelle banche occidentali.

Gli economisti Michel Aglietta, Guao Bei e Camille Macaire hanno affermato che “L’uso deliberato del sistema di pagamenti internazionale in dollari per bloccare le transazioni private, riguardanti paesi che gli Stati Uniti intendono sanzionare, può solo confermare la strumentalizzazione del dollaro come evidente mezzo di dominazione politica”3.

La tendenza verso transazioni in valute alternative al dollaro

Come già evidenziato in precedenza4, l’evoluzione del ruolo del Brics e l’ampliamento dei propri obiettivi registrati nel corso degli ultimi 15 anni si sono verificati in correlazione di eventi economico-finanziari e geopolitico-militari generalmente riconducibili ai paesi del G7, Stati Uniti in primis.

Anche tale utilizzo a fini politici dell’architettura finanziaria globale a guida statunitense ha finito per consolidare, nei paesi che si sentono minacciati dall’egemonia di Washington in questo campo, la necessità di realizzare una struttura internazionale alternativa a quella basata sul Dollaro.

In sostanza si tratta di attuare strategie tese alla dedollarizzazione delle transazioni internazionali, delle riserve monetarie e degli asset finanziari, componente essenziale della strategia di ridefinizione degli equilibri strategici internazionali.

Il dibattito che si è, quindi, aperto ruota, per i paesi sanzionati o potenzialmente nelle condizioni di esserlo e per il Brics nel suo complesso, intorno ad una questione ormai divenuta ineludibile, anche secondo autorevoli economisti non allineati all’egemonia dell’Occidente: quale moneta adottare?

Un quesito tanto di semplice formulazione quanto particolarmente complesso nella sostanza in quanto l’egemonia del Dollaro è ancora ben salda e nessuna delle valute alternative, dall’Euro allo Yuan, possiedono ad oggi le caratteristiche per sostituirlo all’interno di un nuovo Sistema monetario internazionale, considerando che per assurgere a tale ruolo una moneta deve svolgere funzione di unità di conto e di strumento di riserva, vale dire poter permettere gli scambi e accantonare capitali.

I paesi trovatisi nella necessità di procedere verso lo sganciamento dal Dollaro, in assenza di una moneta concretamente alternativa, hanno comprensibilmente optato per l’adozione della propria nelle transazioni internazionali, soprattutto nelle relazioni con partner interessati all’implementazione di un nuovo ordine valutario monetario, come quelli del Brics.

Conseguentemente, soprattutto dopo febbraio 2022, sono iniziati a proliferare tutta una serie di accordi bilaterali, promossi principalmente da paesi del Brics, per l’utilizzo della valuta di entrambe o di una delle due controparti. Fra i numerosi casi, riportiamo l’annuncio del marzo 2023 fra Brasile e Cina di regolare gli scambi in Real e Yuan e, quello del mese successivo, fra India e Malesia di effettuare le transazioni in rupie.

Nuova Delhi, pur alleata militarmente con gli Usa nel Quad (Quadrilateral Security Dialogue) in funzione anticinese5, si è distinta per un particolare attivismo nel processo di disgiungimento dal Dollaro. Infatti, l’Indian Oil Corp la principale raffineria di greggio del paese, nell’estate 2022 ha acquistato 1 milione di barili di petrolio dalla Abu Dhabi National Oil Company regolando per la prima volta la transazione in rupie e dal 2022 ha acquistato ingenti quantità di greggio da Mosca sempre nella propria valuta. Inoltre, nel 2023 erano diventate ormai 18 le istituzioni finanziarie internazionali autorizzate dalla Banca centrale indiana (Reserve Bank of India-Rbi) ad aprire conti speciali per regolare i pagamenti in rupie, favorendo l’internazionalizzazione della propria divisa, anche in considerazione dei progressi compiuti in termini di convertibilità in conto capitale e di integrazione nella catena del valore globale, anche tramite la creazione di un proprio hub finanziario, la Gurajat International Finance Tech (Gift) City6.

Il processo di dedollarizzazione con finalità di carattere geopolitico risulta, tuttavia, strettamente collegato al più pragmatico aspetto della riduzione dei costi delle transazioni gravate dalla doppia conversione in dollari delle due valute dei paesi coinvolti negli scambi: dalla Rupia al Dollaro e da quest’ultimo al Rublo, nel caso di scambi commerciali Russia – India.

Altro fattore fondamentale nell’ambito di tale processo è determinato dalla imponente rete commerciale internazionale sviluppata dalla Repubblica Popolare Cinese, principale attore mondiale con un interscambio totale di ben 6.002 miliardi di euro nel 20227 e primo partner commerciale di ben 61 paesi, esattamente il doppio dei 30 degli Stati Uniti, in base ai dati forniti dalla Direzione delle statistiche sul commercio del Fmi (Dots)8

Il lento ma progressivo sganciamento dal Dollaro si scontra, tuttavia, con una serie di problematiche pratiche di non facile risoluzione. In primis, la situazione dei saldi commerciali fra i vari stati che, risultando di rado perfettamente equilibrati, determinano, nel caso di utilizzo di monete nazionali, un accumulo di valuta del paese partner, finendo per creare un problema soprattutto in presenza di valute soggette a fluttuazioni di valore e/o non facilmente convertibili. Condizione che ha determinato a maggio 2023 la sospensione delle transazioni russo-indiane in rupie9, in quanto Mosca con un saldo nettamente positivo, a seguito del vertiginoso aumento della quantità di greggio esportato (grafico 1), aveva accumulato una tale quantità di valuta indiana da divenire difficilmente impiegabile10. La soluzione è stata trovata utilizzando negli scambi fra Mosca e New Delhi anche i Dirham degli Emirati Arabi Uniti a partire dal febbraio 202311.

Grafico 1: quantità di greggio esportato dalla Russia nei 5 paesi con maggior aumento 2021 – 2022

Affinché le transazioni fra due paesi possano efficacemente avvenire nelle rispettive monete nazionali, risulta, infatti, determinante, che queste ultime possano essere trasformate in riserve valutarie, vale a dire in liquidità immediatamente utilizzabili e scarsamente soggette a marcate svalutazioni. Condizioni che al momento non possiedono le due valute principalmente designate a sostituire il Dollaro, vale a dire l’Euro e lo Yuan. Il primo in quanto l’incertezza causata dalla crisi del debito sovrano12 dei paesi periferici dell’Eurozona, iniziata nel 2010 e placata dal famoso “Wathever it takes” di Mario Draghi nel 2012, ancora ne condiziona la sua affidabilità, mentre il secondo tutt’oggi non gode della convertibilità in conto capitale ed è soggetto nei movimenti a rigidi controlli da parte delle autorità cinesi.

Affinché lo Yuan possa in futuro sostituire il Dollaro come moneta di riferimento degli scambi internazionali sarebbe dunque necessario che Pechino liberalizzi la propria divisa omologandola agli standard internazionali. Passi che il governo e la Banca centrale non sono propensi a compiere, in quanto ciò provocherebbe una rivalutazione della stessa con evidente penalizzazione nella competitività dell’export e lascerebbe mano libera al trasferimento all’estero degli ingenti capitali privati accumulati, oggi soggetti a stretti controlli. Inoltre, la deregolamentazione della moneta aumenterebbe il rischio di instabilità finanziaria in caso di turbolenze internazionali, come avvenuto del 2015-16 dopo un tentativo di parziale liberalizzazione da parte delle autorità cinesi, poi costrette a una rapida marcia indietro13.

Il processo di internazionalizzazione dello Yuan in atto, risulta pertanto trainato più dall’espansione commerciale cinese che da una precisa strategia di Pechino che al momento preferisce continuare ad attuare la politica monetaria adottata fino ad oggi, procedendo gradatamente verso l’aumento dell’utilizzo della propria divisa seguendo l’ampliamento del volume degli scambi.

Andrea Vento 27 gennaio 2024

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati


NOTE

1 “China exploits sanctions to undermine dollar” Michael Stott and James Kynge Financial Times 28 agosto 2023

2 Per una panoramica completa delle sanzioni recentemente comminate dal Tesoro Usa: https://ofac.treasury.gov/sanctions-programs-and-country-information

3Michel Aglietta, Guao Bei e Camille Macaire “La course a la suprematie monetaire mondiale”. Odie Jacob Parigi 2022

4 L’ampliamento dei Brics ulteriore passo in avanti nella ridefinizione degli assetti geopolitici e geoeconomici internazionali – parte I di Andrea Vento

5 Le nuove alleanze militari di Washington nell’area Asia-Pacifico di Andrea Vento

6 https://www.linkiesta.it/2023/09/dollaro-valuta-mondiale-commercio/

7Commercio Cina 2022: Export 3.423 + Import 2.579 Totale: 6.002 Saldo: + 844 miliardi di euro

Fonte: https://www.infomercatiesteri.it/bilancia_commerciale.php?id_paesi=122

8 https://data.imf.org/?sk=9d6028d4f14a464ca2f259b2cd424b85

9 https://formiche.net/2023/05/russia-india-rupia-petrolio-moneta-ucraina/

10 Michel Aglietta, Guao Bei e Camille Macaire “La course a la suprematie monetaire mondiale”. Odie Jacob Parigi 2022

11 https://www.reuters.com/business/energy/indian-refiners-pay-traders-dirhams-russian-oil-2023-02-03/

12 https://www.consob.it/web/investor-education/crisi-debito-sovrano-2010-2011

13 Siamo davvero di fronte alla fine del Dollaro? Di Reanud Lambert e Dominique Plihon. Le Monde diplomatique, novembre 2023

Ebrei e israeliani sull’orlo di una separazione. Il “caso” di Torino.

di Moni Ovadia

Lo spunto per questa riflessione, l’incipit di un articolo sulL’ ebraismo di Philip Roth pubblicato sull’ultimo numero del settimanale statunitense The Nation a firma di Eric Alterman.

Queste le sue parole: «I media hanno avuto recentemente un risveglio riguardo ad un fenomeno spesso argomento di discussione sulle pagine di questa rivista: che la cultura ebraica americana mainstream e la cultura israeliana mainstream sono nel corso di una separazione permanente dei loro cammini…Una recente indagine promossa da un comitato ebraico-americano, secondo quanto riportato da William Galstone sul Wall Street Journal, dice che Israele è uno stato rosso (repubblicano) e l’ebraismo americano è uno stato blu (democratico). Loro odiano Obama e amano Trump; noi il contrario. Loro vogliono mantenere i loro insediamenti e occupare il West Bank per sempre, si fotta la democrazia; noi siamo ancora democratici. Loro non sono per nulla disturbati dagli orrori di ciò che avviene a Gaza; noi ne siamo turbati. Loro permettono a Rabbini fondamentalisti di dire chi possono sposare, chi può essere sepolto e dove e persino chi è e chi non è un vero ebreo. Noi chiamiamo tutto ciò una porcheria!».

Mi scuso per questa lunga citazione ma la ritengo necessaria per il lettore italiano che è tendenzialmente disinformato su ciò che si muove nel mondo ebraico e in particolare nella più grande comunità ebraica della diaspora riguardo alla realtà israeliana, al netto della retorica e della propaganda sionista e soi- disant «filo-semita».

È bene ricordare almeno che il sostegno delle organizzazioni sioniste e pro governo israeliano a Trump, fingono artatamente di ignorare che il tycoon repubblicano è stato votato da nazisti, suprematisti bianchi, razzisti e antisemiti a vario titolo.

Ma per riportare la questione al piccolo e rigido microcosmo delle principali istituzioni ebraiche del nostro paese, esse perseguono con miope accanimento la trasformazione dell’ebraismo italiano organizzato in legazioni diplomatiche del governo di Bibi Netanyahu.

I dirigenti delle nostre comunità probabilmente ricevono ordini precisi e li eseguono con zelo.

Il primo «comandamento» da seguire è: Il governo e l’esercito di Israele hanno sempre ragione.

Il secondo è: gli israeliani sono sempre vittime anche se muoiono i palestinesi.

Terzo chi difende i diritti autentici del popolo palestinese è un agente di Hamas.

Quarto, chi denuncia ingiustizie, sadismi, stillicidi perversi contro i civili palestinesi è un antisemita e così via.

Per servire in modo non rischioso lo scopo di assolvere sempre e comunque il governo israeliano c’è la tecnica del silenzio omertoso o quello di contrastare ogni iniziativa di confronto sul tema dei diritti violati del popolo palestinese da parte dei militari o dei coloni israeliani.

E, nel caso che qualche associazione o qualche gruppo riesca egualmente ad organizzare incontri e confronti sul tema, la immancabile reazione delle comunità ebraiche è quella di intervenire sulla stampa o sui media criminalizzando gli organizzatori.

Il lettore si domandi se ha mai visto affrontare il tema della ultracinquantennale occupazione e colonizzazione israeliana della Palestina in uno dei principali talk show politici? Impossibile.

In questo quadro si inserisce il recentissimo episodio accaduto a Torino dove il consiglio comunale del capoluogo piemontese ha approvato un ordine del giorno in cui si esprime una condanna nei confronti dell’uso spropositato della forza da parte di Israele contro manifestanti disarmati di Gaza che legittimamente manifestavano contro la sciagurata decisione presa da parte del governo Trump in accordo con il plaudente Netanyahu di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme, in violazione delle risoluzioni dell’Onu.

L’ordine del giorno chiedeva anche di chiamare Israele alle sue responsabilità verso i civili come potenza occupante.

Subito si è levata la canea della Comunità ebraica torinese al grido di «antisemiti» e di «offesa agli ebrei».

Di questo si occupano invece di prendere coscienza della catastrofe incombente sull’ebraismo e sui suoi valori.

FONTE: https://ilmanifesto.it/il-caso-di-torino-ebrei-e-israeliani-sullorlo-di-una-separazione

La morte di Israele, uno stato coloniale in fase terminale

Gli Stati coloniali hanno una durata terminale. Israele non farà eccezione.

di Chris Hedges

Israele apparirà trionfante una volta terminata la sua campagna genocida a Gaza e in Cisgiordania. Sostenuto dagli Stati Uniti, raggiungerà il suo folle obiettivo. La sua furia omicida e la violenza genocida stermineranno o purificheranno etnicamente i palestinesi. Il suo sogno di uno Stato esclusivamente per gli ebrei, con tutti i palestinesi che rimarranno privati dei diritti fondamentali, si realizzerà. Si godrà la sua vittoria intrisa di sangue. Celebrerà i suoi criminali di guerra. Il suo genocidio sarà cancellato dalla coscienza pubblica e gettato nell’enorme buco nero dell’amnesia storica di Israele. Coloro che hanno una coscienza in Israele saranno messi a tacere e perseguitati.

Ma quando Israele riuscirà a decimare Gaza – Israele parla di mesi di guerra – avrà firmato la propria condanna a morte. La sua facciata di civiltà, il suo presunto rispetto per lo stato di diritto e la democrazia, la sua storia mitica del coraggioso esercito israeliano e della nascita miracolosa della nazione ebraica, giaceranno in cumuli di cenere. Il capitale sociale di Israele sarà speso. Si rivelerà come un regime di apartheid orribile, repressivo e pieno di odio, che aliena le giovani generazioni di ebrei americani.

Il loro protettore, gli Stati Uniti, quando le nuove generazioni saliranno al potere, prenderanno le distanze da Israele così come stanno prendendo le distanze dall’Ucraina. Il suo sostegno popolare, già eroso negli Stati Uniti, verrà dai fascisti cristianizzati americani che vedono il dominio di Israele sull’antica terra biblica come un presagio della Seconda Venuta e vedono nella sottomissione degli arabi un affine razzismo e supremazia bianca.

Il sangue e la sofferenza dei palestinesi – a Gaza è stato ucciso un numero di bambini 10 volte superiore a quello dei due anni di guerra in Ucraina – apriranno la strada all’oblio di Israele. Le decine, forse centinaia, di migliaia di fantasmi avranno la loro vendetta. Israele diventerà sinonimo delle sue vittime come i turchi sono sinonimo degli armeni, i tedeschi sono sinonimo dei namibiani e poi degli ebrei, e i serbi sono dei bosniaci. La vita culturale, artistica, giornalistica e intellettuale di Israele sarà sterminata.

Israele sarà una nazione stagnante dove i fanatici religiosi, i bigotti e gli estremisti ebrei che hanno preso il potere domineranno il discorso pubblico. Troverà i suoi alleati tra gli altri regimi dispotici. La ripugnante supremazia razziale e religiosa di Israele sarà il suo attributo distintivo, ed è per questo che i suprematisti bianchi più retrogradi negli Stati Uniti e in Europa, compresi i filosemiti come John Hagee, Paul Gosar e Marjorie Taylor Greene, sostengono con fervore Israele. La decantata lotta contro l’antisemitismo è una celebrazione sottilmente mascherata del potere bianco.

I dispotismi possono esistere molto tempo dopo la loro data di scadenza. Ma sono terminali. Non è necessario essere uno studioso della Bibbia per capire che la brama di Israele per i fiumi di sangue è antitetica ai valori fondamentali del giudaismo. La cinica utilizzazione dell’Olocausto come un’arma, inclusa l’etichettatura dei palestinesi come nazisti, ha scarsa efficacia quando si attua un genocidio trasmesso in diretta contro 2,3 milioni di persone intrappolate in un campo di concentramento.

Le nazioni hanno bisogno di qualcosa di più della semplice forza per sopravvivere. Hanno bisogno di una mistica. Questa mistica fornisce scopo, civiltà e persino nobiltà per ispirare i cittadini a sacrificarsi per la nazione. La mistica offre speranza per il futuro. Fornisce significato. Fornisce l’identità nazionale.

Quando le mistiche implodono, quando vengono smascherate come menzogne, crolla un fondamento centrale del potere statale. Ho riferito della morte dei mistici comunisti nel 1989 durante le rivoluzioni nella Germania dell’Est, in Cecoslovacchia e in Romania. La polizia e l’esercito hanno deciso che non c’era più nulla da difendere.

Il decadimento di Israele genererà la stessa stanchezza e apatia. Non sarà in grado di reclutare collaboratori indigeni, come Mahmoud Abbas e l’Autorità Palestinese – insultati dalla maggior parte dei palestinesi – per eseguire gli ordini dei colonizzatori. Lo storico Ronald Robinson cita l’incapacità dell’Impero britannico di reclutare alleati indigeni come il punto in cui la collaborazione si trasformò in non-cooperazione, un momento decisivo per l’inizio della decolonizzazione. Una volta che la mancata cooperazione da parte delle élite native si trasforma in opposizione attiva, spiega Robinson, la “rapida ritirata” dell’Impero è assicurata.

Tutto ciò che resta a Israele è un’escalation di violenza, compresa la tortura, che accelera il declino. Questa violenza su larga scala funziona nel breve termine, come è avvenuto nella guerra intrapresa dai francesi in Algeria, nella Guerra Sporca intrapresa dalla dittatura militare argentina e durante il conflitto britannico in Irlanda del Nord. Ma a lungo termine è un suicidio.

“Si potrebbe dire che la battaglia di Algeri è stata vinta con l’uso della tortura”, ha osservato lo storico britannico Alistair Horne, “ma che la guerra, la guerra d’Algeria, è stata persa”.

Il genocidio a Gaza ha trasformato i combattenti di Hamas in eroi nel mondo musulmano e nel Sud globale. Israele può spazzare via la leadership di Hamas. Ma l’assassinio passato – e attuale – di decine di leader palestinesi ha fatto ben poco per smorzare la resistenza. L’assedio e il genocidio a Gaza hanno prodotto una nuova generazione di giovani uomini e donne profondamente traumatizzati e infuriati, le cui famiglie sono state uccise e le cui comunità sono state cancellate. Sono pronti a prendere il posto dei leader martirizzati. Israele ha mandato le azioni del suo avversario nella stratosfera.

Israele era in guerra con se stesso prima del 7 ottobre. Gli israeliani stavano protestando per impedire l’abolizione dell’indipendenza della giustizia da parte del Primo Ministro Benjamin Netanyahu. I bigotti e i fanatici religiosi, attualmente al potere, avevano sferrato un attacco deciso al secolarismo israeliano. L’unità di Israele dopo gli attacchi è precaria. È un’unità negativa. È tenuta insieme dall’odio. E nemmeno questo odio è sufficiente a impedire ai manifestanti di denunciare l’abbandono degli ostaggi israeliani a Gaza da parte del governo.

L’odio è un bene politico pericoloso. Una volta finito un nemico, coloro che alimentano l’odio vanno alla ricerca di un altro. Gli “animali umani” palestinesi, una volta sradicati o sottomessi, saranno sostituiti da ebrei apostati e traditori. Il gruppo demonizzato non potrà mai essere redento o curato. Una politica dell’odio crea un’instabilità permanente che viene sfruttata da chi cerca di distruggere la società civile.

Israele ha imboccato questa strada il 7 ottobre, quando ha promulgato una serie di leggi discriminatorie nei confronti dei non ebrei che ricordano le leggi razziste di Norimberga, che hanno escluso gli ebrei dalla Germania nazista. La legge sull’accettazione delle comunità permette agli insediamenti esclusivamente ebraici di escludere i richiedenti la residenza sulla base dell’ “adeguatezza alle prospettive fondamentali della comunità”.

Molti dei giovani più istruiti di Israele hanno lasciato il Paese per trasferirsi in luoghi come il Canada, l’Australia e il Regno Unito, mentre un milione di persone si è trasferito negli Stati Uniti. Anche la Germania ha visto un afflusso di circa 20.000 israeliani nei primi due decenni di questo secolo. Circa 470.000 israeliani hanno lasciato il Paese dal 7 ottobre. All’interno di Israele, gli attivisti per i diritti umani, gli intellettuali e i giornalisti – israeliani e palestinesi – sono attaccati come traditori in campagne diffamatorie sponsorizzate dal governo, posti sotto sorveglianza statale e sottoposti ad arresti arbitrari. Il sistema educativo israeliano è una macchina per l’indottrinamento dei militari.

Lo studioso israeliano Yeshayahu Leibowitz ha avvertito che se Israele non separasse la Chiesa dallo Stato e non ponesse fine all’occupazione dei palestinesi, darebbe origine a un rabbinato corrotto che trasformerebbe l’ebraismo in un culto fascista. “Israele”, ha detto, “non meriterebbe di esistere e non varrebbe la pena di preservarlo”.

La mistica globale degli Stati Uniti, dopo due decenni di guerre disastrose in Medio Oriente e l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, è contaminata quanto il suo alleato israeliano. L’amministrazione Biden, nel suo fervore di sostenere incondizionatamente Israele e di placare la potente lobby israeliana, ha aggirato il processo di revisione del Congresso con il Dipartimento di Stato per approvare il trasferimento di 14.000 munizioni per carri armati a Israele. Il Segretario di Stato Antony Blinken ha sostenuto che “esiste un’emergenza che richiede la vendita immediata”. Allo stesso tempo ha cinicamente invitato Israele a ridurre al minimo le vittime civili.

Israele non ha alcuna intenzione di ridurre al minimo le vittime civili. Ha già ucciso 18.800 palestinesi, lo 0,82% della popolazione di Gaza – l’equivalente di circa 2,7 milioni di americani. Altri 51.000 sono stati feriti. Metà della popolazione di Gaza sta morendo di fame, secondo le Nazioni Unite. Tutte le istituzioni e i servizi palestinesi che sostengono la vita – ospedali (solo 11 dei 36 ospedali di Gaza sono ancora “parzialmente funzionanti”), impianti di trattamento delle acque, reti elettriche, sistemi fognari, abitazioni, scuole, edifici governativi, centri culturali, sistemi di telecomunicazione, moschee, chiese, punti di distribuzione di cibo delle Nazioni Unite – sono stati distrutti. Israele ha assassinato almeno 80 giornalisti palestinesi insieme a decine di loro familiari e oltre 130 operatori umanitari delle Nazioni Unite insieme ai loro familiari. Le vittime civili sono il punto. Questa non è una guerra contro Hamas. È una guerra contro i palestinesi. L’obiettivo è uccidere o rimuovere 2,3 milioni di palestinesi da Gaza.

L’uccisione di tre ostaggi israeliani che apparentemente erano sfuggiti ai loro rapitori e si erano avvicinati alle forze israeliane a torso nudo, sventolando una bandiera bianca e chiedendo aiuto in ebraico, non è solo tragica, ma è anche uno spaccato delle regole di ingaggio di Israele a Gaza. Queste regole sono: uccidere tutto ciò che si muove.

Come ha scritto su Yedioth Ahronoth il generale maggiore israeliano in pensione Giora Eiland, già a capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano, “lo Stato di Israele non ha altra scelta che trasformare Gaza in un luogo in cui sia temporaneamente o permanentemente impossibile vivere… Creare una grave crisi umanitaria a Gaza è un mezzo necessario per raggiungere l’obiettivo”. “Gaza diventerà un luogo dove nessun essere umano potrà esistere”, ha scritto. Il maggiore generale Ghassan Alian ha dichiarato che a Gaza “non ci saranno né elettricità né acqua, ci sarà solo distruzione. Volevate l’inferno, avrete l’inferno”.

La presidenza Biden, che ironicamente potrebbe aver firmato il proprio certificato di morte politica, è legata al genocidio di Israele. Cercherà di prendere le distanze in modo retorico, ma allo stesso tempo incanalerà i miliardi di dollari di armi richiesti da Israele – compresi 14,3 miliardi di dollari in aiuti militari supplementari per aumentare i 3,8 miliardi di dollari di aiuti annuali – per “finire il lavoro”. È un partner a pieno titolo nel progetto di genocidio di Israele.

Israele è uno Stato paria. Questo è stato pubblicamente mostrato il 12 dicembre, quando 153 Stati membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno votato per un cessate il fuoco, con solo 10 – tra cui gli Stati Uniti e Israele – contrari e 23 astenuti. La campagna di terra bruciata di Israele a Gaza significa che non ci sarà pace. Non ci sarà una soluzione a due Stati. L’apartheid e il genocidio definiranno Israele. Questo fa presagire un lungo, lunghissimo conflitto, che lo Stato ebraico non potrà vincere.

FONTE: https://open.substack.com/pub/chrishedges/p/the-death-of-israel?r=1tqdxn&utm_campaign=post&utm_medium=email

TRADUZIONE: cambiailmondo.org

L’egemonia statunitense e lo spettro del mondo multipolare

di Marco Consolo

Il mondo sta cambiando ad una velocità mai conosciuta prima verso una nuova e accelerata riorganizzazione multipolare.

Non c’è dubbio che la fase aperta con l’implosione della URSS e la caduta del muro di Berlino stia rapidamente volgendo al termine.  In questa accelerata transizione si sta chiudendo la fase in cui gli Stati Uniti erano l’unica superpotenza mondiale, con una indiscutibile egemonia planetaria. Ma come ricordava il nostro Antonio Gramsci, “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati[1] e in questa transizione in chiaroscuro nascono i mostri. La crisi di governance planetaria è squadernata davanti ai nostri occhi.

In un mondo in aperta transizione, una delle differenze con il passato è la presenza di una crisi globale multifattoriale, soprattutto economica, ambientale e alimentare. Si tratta di una crisi di lunga data, notevolmente aggravata prima con la pandemia e poi con la guerra in Ucraina.

Nessun Paese ne è indenne e il continente latino-americano è tra i più esposti, per vari motivi. La Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi delle Nazioni Unite (CEPAL) prevede un tasso di crescita di appena l’1% nel 2023. In un quadro di leggi fiscali fortemente regressive e in assenza di riforme profonde del sistema fiscale, le risorse disponibili (e il margine di manovra) per politiche pubbliche in grado di ridurre il divario sociale sono quindi fortemente ridotte.

Il baricentro della geo-politica si sta inesorabilmente spostando verso il continente asiatico.


Fascismo e guerra

Come nel caso della crisi del 1929, il capitale cerca di superare le proprie crisi attraverso due strumenti complementari: il fascismo (che oggi riprende fiato seppur con caratteristiche diverse dal passato) e la guerra. Entrambi appaiono come i mostri del giorno d’oggi (e dell’immediato futuro).

La guerra è presente in quasi tutti i continenti e, dopo quella nella ex-Jugoslavia, nel cuore dell’Europa la guerra in Ucraina è un altro importante tassello di questo sconvolgimento globale. La narrazione occidentale non è più egemone sulle cause e sulle responsabilità della guerra che non sono condivise a livello mondiale. Viceversa, la visione che si fa avanti è quella di una guerra degli Stati Uniti e della NATO alla Russia (ed all’Europa?), come ammettono gli stessi dirigenti politici che, da prima dello scoppio del conflitto, dichiarano di volere la caduta del governo Putin. Ed il fallimento della controffensiva ucraina contro la Russia rappresenta una sconfitta della strategia della NATO, che in questa guerra è coinvolta sin da prima che iniziasse.

Mentre scrivo questo pezzo, sulle sponde del Mediterraneo è in atto l’ennesima carneficina contro il popolo palestinese, un tentativo di “pulizia etnica” per mano del governo di Israele. Una situazione che non può essere definita di guerra, vista anche la sproporzione di forze in campo. Ed anche in questo caso, la narrazione occidentale a difesa di Israele perde forza ed egemonia di fronte al genocidio in atto a Gaza.

Negli Stati Uniti (anche se una guerra in appoggio a Israele ha maggiore consenso di quella ucraina), affrontare la lunga campagna elettorale per le presidenziali, con due conflitti aperti o sulle spalle, non è certamente la migliore opzione, né per Biden, né per il Partito Democratico. La paziente tessitura messa in piedi da Washington per ricucire i rapporti tra Israele, Arabia Saudita ed altri Paesi arabi (con i cosiddetti “Accordi di Abramo”), si è dissolta come neve al sole. Nei Paesi musulmani è riemerso il mai sopito sentimento anti-USA, identificati come i protettori di Israele.

Nel frattempo, nel quadrante dell’Asia-Pacifico e dei suoi importanti corridoi marittimi, cresce la tensione e gli Stati Uniti sperimentano ballon d’essai per preparare il conflitto con il pretesto di Taiwan.

Questa tendenza di fondo alla guerra (e quindi all’instabilità), di cui la NATO è la principale locomotiva, si intreccia fortemente con la crisi degli equilibri planetari usciti dalla IIa guerra mondiale e con il tentativo dell’Occidente globale di impedirne a tuti i costi la modifica.

Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi, la globalizzazione neo-liberista ha esteso su scala planetaria i rapporti socio-economici capitalistici ed accentuato il predominio dei Paesi occidentali e in particolare degli Stati Uniti. Mentre con la presidenza Trump avevamo assistito a un certo ripiegamento “deglobalizzante” verso l’interno, viceversa l’amministrazione Biden ha riproposto il ruolo centrale ed egemone degli Stati Uniti sullo scacchiere globale. Allo stesso tempo, ha approfondito il sistema delle cosiddette “sanzioni” (più correttamente “misure coercitive unilaterali” fuori dal sistema ONU), tra cui quelle contro la Russia nel quadro della guerra in Ucraina.

Le attuali élite al potere negli Stati Uniti e nei suoi satelliti sono i principali beneficiari dell’instabilità globale che usano per ricavarne profitto, con una chiara strategia di destabilizzazione. Sono i colpi di coda di un impero in fase di declino commerciale, economico e politico che farà l’impossibile per non perdere i propri privilegi come superpotenza globale. Gli Stati Uniti non sono disposti ad accettarlo e cercano viceversa di preservare ed estendere il loro dominio, perché ritengono che questo caos li aiuterà a contenere e destabilizzare i loro rivali geopolitici, ovvero i nuovi poli di crescita globale, integrati da Paesi sovrani indipendenti, non più disposti a inginocchiarsi nel ruolo di maggiordomi.

Allo stesso tempo,  l’irresistibile ascesa della Cina (prima economica, ora sempre più politica e in parte anche militare), il paradossale rafforzamento della Russia e il suo nuovo protagonismo, l’emergere di vari organismi internazionali basati su questi due Paesi, come la Shangai Cooperation Organization (SCO) [2] e soprattutto i BRICS+ (con  l’ingresso di altri importanti Paesi) stanno contribuendo a mettere in discussione l’egemonia degli USA, e a creare un forte contrappeso assente da decenni, con una modifica profonda dei rapporti di forza mondiali.


Uno spettro si aggira per il mondo: i Brics+

Da parte sua, l’Occidente ha sbandierato una serie di successi, come l’allargamento della Nato in Europa (ed in America Latina con la Colombia come “alleato strategico”) ed il presunto isolamento della Russia nello scacchiere mondiale. In realtà, il conflitto in Ucraina, ha rafforzato il multipolarismo e la crescita di diversi attori internazionali non in linea con la narrativa occidentale.

In questo nuovo quadro in transizione, un fantasma si aggira per il mondo: l’alleanza dei Paesi Brics. Un nuovo blocco economico e politico, alternativo al “giardino europeo” (Josep Borrell dixit) ed occidentale, in cerca di un nuovo ordine mondiale e un maggior equilibrio economico e geo-politico. Sul versante non occidentale è la realtà più solida. L’alleanza BRIC, formata nel 2009 (inizialmente da Brasile, Russia, India, Cina), si è ingrandita con il Sudafrica nel 2010 prendendo il nome di BRICS. Nel loro ultimo vertice a Johannesburg (agosto 2023), i Brics hanno deciso di espandersi ulteriormente con l’entrata di Arabia Saudita, Iran, Etiopia, Egitto, Argentina [3] ed Emirati Arabi Uniti, a partire dal gennaio 2024 (dando vita ai Brics+). Un “evento storico” secondo il Presidente cinese Xi Jinping, che viene al culmine di un processo maturato lentamente, ma che paradossalmente la guerra in Ucraina ha accelerato ed ampliato, con la presenza di più di 60 Paesi invitati.

I BRICS+ sono quindi un’alleanza delle maggiori potenze economiche non occidentali e dei principali Paesi produttori di petrolio del Medio Oriente, che ridisegna i rapporti di forza planetari. Come ha ricordato il presidente brasiliano Lula da Silva, “rappresenteranno il 36% del Pil mondiale e il 47% della popolazione dell’intero pianeta”. Ed “a questa prima fase se ne aggiungerà un’altra di ulteriore ampliamento” verso un nuovo ordine mondiale che appare sempre più affrancato da Stati Uniti e NATO. Oggi, alla porta dei Brics+ bussano più di 20 Paesi interessati a far parte di una organizzazione capitanata dalla Cina (avversario strategico degli Stati Uniti e della Nato) e di cui nel 2024 la Russia avrà la presidenza.

Come è del tutto evidente, i Brics+ sono Paesi molto diversi tra loro, ma uniti dall’obiettivo comune della cooperazione economica e della lotta all’unilateralismo. Lungi dall’essere una debolezza (come vociferano i suoi detrattori), la eterogeneità politica dei suoi governi ne rappresenta la forza intrinseca, non basata su una sintonia ideologica. Una parte importante dei Paesi del Sud globale non è più disposta a farsi impoverire dall’Occidente e dalle condizioni capestro delle sue istituzioni (a cominciare dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dal Club di Parigi). Questi Paesi ritengono che il loro sviluppo economico e sociale non possa dipendere principalmente (o quasi esclusivamente) dal rapporto con l’Occidente ed propongono una politica concreta di cooperazione mondiale alternativa alla globalizzazione a trazione statunitense ed occidentale.

Allo stesso tempo, i Brics si appellano all’ONU per riforme politiche e un maggiore dialogo, mentre sostengono una redistribuzione del potere nella governance globale, monetaria e politica, affinché il Sud globale sia equamente rappresentato.

Su quale debba essere il ruolo politico dei Brics (e dei Brics+), il dibattito interno è comunque aperto. Al momento prevale la visione di chi pensa più a un blocco non allineato per favorire gli interessi economici dei “Paesi in via di sviluppo”, più che a una alleanza politica di sfida aperta all’Occidente. La stessa Cina continua ad avere un atteggiamento prudente e pragmatico, mentre lavora incessantemente per il suo rafforzamento. Nonostante ciò, i Brics+ hanno buone possibilità di cambiare la direzione della Storia, e già oggi sono parte attiva di una nuova architettura politica, economica e finanziaria ancora in nuce, ma che sta provando a chiudere la fase del mondo unipolare a trazione Usa. L’obiettivo è avanzare verso un mondo multipolare, per sua natura obbligato al dialogo.

Data la complessiva potenza economica, industriale e tecnologica di questa alleanza e le immense risorse naturali a disposizione, l’emergere dei BRICS+ segna l’accelerazione del declino dell’unipolarismo statunitense, favorisce la transizione ad un ordine mondiale multipolare ed accelera il processo di de-dollarizzazione.


Sganciarsi dal dollaro

Lo strapotere occidentale e più di recente la guerra hanno obbligato questi Paesi a tessere una rete di rapporti diversificati, rafforzando la messa a punto di modalità di commercio alternative a quelle esistenti con la divisa statunitense, incrementandone la possibilità di perdere la sua posizione di valuta di scambio e di riserva internazionale.

Infatti, è bene ricordare che dagli accordi di Bretton Woods del 1944 fino ad oggi, il dollaro è stata la moneta di gran lunga più utilizzata nel commercio internazionale. Il suo ruolo dominante è stato rafforzato dall’avere anche avuto la funzione di valuta di riserva internazionale.  Un dominio accresciuto dopo il 1971, quando l’amministrazione statunitense di Richard Nixon ha abolito la convertibilità (e rimborsabilità) del dollaro in oro (il cosiddetto Gold standard) secondo un rapporto di cambio fisso. In altri termini, dal 1971 ciò ha significato una vantaggiosa posizione di rendita in quanto gli Stati Uniti erano liberi di stampare la moneta usata a livello mondiale senza garanzia, cioè senza l’obbligo di possedere una quantità d’oro pari ai biglietti verdi in circolazione e senza doverne rispondere. Un privilegio esclusivo che ha permesso agli Stati Uniti di comprare (e consumare) merci prodotte altrove senza rispondere dei propri debiti, ma semplicemente stampando dollari, ed inondandone il mondo, in base alle loro necessità.

Sul versante monetario, seppure fino ad oggi i Brics non hanno una loro valuta autonoma, cresce nel blocco la volontà di un progressivo sganciamento dal dollaro, con l’utilizzo di valute locali, di unità di conto monetarie, di misure di compensazione.  Come ha dichiarato a Johannesburg il Presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, i governi dei Brics “hanno incaricato i loro ministri delle Finanze e governatori delle Banche centrali, di considerare la questione di valute locali, strumenti di pagamento e piattaforme e di riferire agli stessi leader dei Brics nel prossimo vertice”.

Nel frattempo, i governi dei Paesi Brics non sono stati con le mani in mano e ormai da qualche anno commerciano utilizzando valute diverse dal dollaro.

Non c’è da stupirsi se, sin dall’inizio di questo percorso, i media occidentali hanno fatto a gara per cercare di minimizzarne l’impatto sul monopolio del biglietto verde. Ma, al contrario di quanto affermano, il lancio di una moneta comune da parte dei Brics+ potrebbe significare la fine dell’egemonia del dollaro ed un terremoto mondiale, con contraccolpi innanzitutto negli Stati Uniti.

Come si ricorderà, è stato proprio l’ennesimo rifiuto degli Stati Uniti di cedere una parte del potere nella gestione del Fondo Monetario Internazionale (FMI) a far traboccare il vaso e nel 2014 i Brics decisero di creare una propria banca, la Nuova Banca di Sviluppo, autonoma ed alternativa al FMI. Alla sua guida c’è oggi Dilma Roussef, ex-Presidente del Brasile. In altre parole, da quella data i Brics hanno lavorato per costruire una alternativa concreta alle istituzioni economiche internazionali, gestite da Washington e dai suoi alleati occidentali, anche in campo finanziario, di esclusivo predominio anglo-statunitense dalla fine del secondo conflitto mondiale.


Da Marco Polo alla Nuova via della Seta

Nel 2023 compie dieci anni l’iniziativa della Repubblica Popolare Cinese nota come One Belt, One Road Initiative, o anche come “Nuova Via della Seta”, lanciata da Xi Jinping nel 2013.

La Nuova Via della Seta è volta a migliorare i corridoi commerciali internazionali esistenti e a crearne di nuovi. Comprende diverse aree come, tra le altre, la Cintura economica della Via della Seta e la Via della Seta marittima. Il suo obiettivo iniziale era quello di costruire infrastrutture e collegare i Paesi eurasiatici, ma tra i più recenti obiettivi dichiarati c’è anche quello di garantire la sicurezza e la stabilità nel continente.

Come si ricorderà, il percorso della Belt and Road è iniziato con il primo Forum di cooperazione internazionale tenutosi a Pechino nel maggio 2017. Il secondo Forum si è svolto nella capitale cinese due anni dopo (aprile 2019), con un crescendo di presenze di capi di Stato e di governo. Dopo la pausa obbligata della pandemia del Covid19, il terzo Forum della Belt and Road si è di nuovo riunito a Pechino (17-18 ottobre 2023). In questa ultima occasione hanno partecipato delegazioni di oltre 140 Paesi e di più di 30 organizzazioni internazionali, e il numero di partecipanti ha superato le 4.000 presenze [4].


Risultati dell’iniziativa cinese

Il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese ha recentemente pubblicato un “Libro bianco sull’attuazione dell’Iniziativa della Nuova Via della Seta” [5].

Secondo il Libro bianco, negli ultimi 10 anni l’iniziativa ha attirato quasi 1.000 miliardi di dollari di investimenti e ha dato vita a più di 3.000 progetti di cooperazione congiunta. Secondo Pechino, ha creato 420.000 posti di lavoro di aziende cinesi nei Paesi lungo la Belt and Road. Nell’iniziativa sono coinvolti in totale più di 150 Paesi e più di 30 organizzazioni internazionali, con cui la Cina ha firmato circa 200 accordi di cooperazione, oltre a 28 “Trattati di Libero Commercio” tra la Cina ed altrettanti Paesi e regioni.

Il Libro bianco sostiene che l’iniziativa Belt and Road rende i Paesi partecipanti più attraenti per gli investimenti delle grandi imprese globali. Ad esempio, i flussi di investimenti diretti transfrontalieri nel Sud-est asiatico, in Asia centrale e in altre regioni, dove la maggior parte degli Stati ha aderito all’iniziativa cinese, sono in costante aumento. Nel 2022 gli investimenti diretti esteri (IDE) nel Sud-est asiatico hanno rappresentato il 17,2% del totale globale, con un aumento del 9% rispetto al 2013.

Sempre secondo Pechino, il commercio tra i Paesi partecipanti sta crescendo: dal 2013 al 2022, il valore totale delle importazioni e delle esportazioni tra la Cina e gli altri Paesi aderenti al progetto ha raggiunto i 19,1 trilioni di dollari, con un tasso di crescita medio annuo del 6,4% [6].

E secondo il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, il “Fondo per la Via della Seta”, che si occupa dell’attuazione dell’iniziativa, ha firmato accordi su 75 progetti.

Uno dei risultati concreti raggiunti negli anni è stato il lancio del treno container Cina-Europa, con un percorso che collega più di 20 Paesi [7].


Quali prospettive ?

Ci troviamo quindi di fronte a una situazione internazionale che obbliga a ripensare le strategie di partenariato globali e regionali e ad attribuire maggiore rilevanza ai legami Sud-Sud nel commercio, negli Investimenti Diretti Esteri (IDE) e nella cooperazione.

È chiara l’importanza che ha la Cina per l’economia globale. Il gigante asiatico è diventato il primo esportatore e il secondo importatore al mondo. Secondo la Banca Mondiale [8], nonostante le sue politiche rigorose, l’economia cinese è piuttosto aperta al commercio estero, un settore che negli ultimi anni ha rappresentato circa il 35% del suo Prodotto Interno Lordo, e i suoi principali partner commerciali sono attualmente gli Stati Uniti, Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Australia e Germania. I suoi principali prodotti di esportazione includono apparecchiature elettriche ed elettroniche, macchinari vari, reattori nucleari, produzione di pannelli solari, edifici prefabbricati, plastica, tessuti confezionati, strumenti tecnici e medici e veicoli.

Le importazioni comprendono apparecchiature elettriche ed elettroniche, carburanti, minerali, oli, prodotti di distillazione.

La crescente presenza della Cina nell’economia mondiale e la sua ascesa come potenza globale continuano a generare diverse preoccupazioni e più di una tensione nelle relazioni commerciali con gli Stati Uniti e le altre economie occidentali.

In effetti, il rafforzamento della presenza cinese rappresenta sempre più una sfida allo status quo internazionale ed alle potenze egemoniche esistenti in quanto al controllo di importanti aree del mondo. Il reclamo territoriale sulle isole nel Mar Cinese Meridionale e l’uso di vecchie e nuove rotte commerciali attraverso la “Nuova via della Seta” sono sfide “non dichiarate” a questo ordine mondiale e parte delle attuali tensioni con gli Stati Uniti.

Per quanto riguarda gli aspetti puramente economici e commerciali, l’evoluzione dell’apparato produttivo cinese negli ultimi anni ha permesso alle sue aziende di inserirsi nelle diverse filiere produttive globali. Così, sono passate da una produzione iniziale a scarso valore aggiunto a competere con successo nei settori più sofisticati e ad alta intensità tecnologica. È in questo processo che la Cina è diventata, per gli Stati Uniti e l’Unione Europea, un’economia rivale, dando così inizio ai diversi capitoli di una guerra commerciale [9].  Come afferma Broggi (2021) [10], i dati sono conclusivi: “nell’ultimo decennio, la Cina ha sostituito gli Stati Uniti come principale fornitore nella maggior parte dei Paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’Europa e del Sud America”. Appare chiaro che, più prima che poi, un nuovo ordine internazionale dovrà adattarsi a questa nuova realtà.

Anche se oggi siamo lontani dal periodo di crescita a due cifre, la posizione della Cina come potenza economica globale ha continuato a consolidarsi. Questo nonostante la battuta d’arresto rappresentata dalla pandemia e dalle politiche di forti restrizioni e di “Covid zero” che il governo di Xi Jinping ha applicato, chiudendo intere province che sono importanti centri economici, come Shanghai, Shenzhen e Chengdu.

In questo quadro complesso dobbiamo considerare anche gli impatti economici della guerra in Ucraina che ha rafforzato i rapporti con la Russia di Putin.

Il risultato del 2022 vede l’economia cinese crescere del 3%, uno dei valori più bassi degli ultimi decenni, mentre per il 2023 si prevede una crescita tra il 5% e il 6% [11]. Queste proiezioni si basano sulla ripresa dei consumi interni, con la crescita del credito, sugli investimenti infrastrutturali e su vari stimoli fiscali. Tuttavia, sarà necessario monitorare l’evoluzione del Covid e le risposte del governo cinese a un’eventuale sua ripresa.

Sul fronte esterno, oltre a uno scenario complicato in cui i suoi principali partner commerciali continueranno a rallentare le loro economie con politiche di contrazione della domanda, la Cina continuerà ad affrontare una guerra commerciale guidata dagli Stati Uniti, caratterizzata da forti restrizioni all’accesso alla tecnologia e da vari meccanismi di protezione. Ma nonostante questo scenario, è chiaro che la strategia di espansione della Cina continuerà a godere di un importante sostegno finanziario statale che garantirà una notevole autonomia.

In questo contesto generale, piaccia o meno, l’economia mondiale continuerà a dipendere in larga misura dal motore economico cinese.


E l’Europa ?

Per l’Europa il futuro è incerto, debole e pieno di ombre, nella misura in cui è in balia dei poteri forti e dei governi a loro alleati.

A partire dalla guerra in Ucraina, le “sanzioni” economiche, la rottura delle relazioni commerciali tra l’Unione Europea e la Russia, insieme all’attentato ad hoc al gasdotto North Stream, hanno pesantemente penalizzato l’economia europea e in particolare quella tedesca, che aveva, come uno degli elementi della sua competitività, l’approvvigionamento di materie prime a basso costo. Ma anche nel “Belpaese” le imprese italiane hanno subito forti perdite, in particolare per quanto riguarda l’export tricolore di prodotti chimici, alimentari, macchinari, abbigliamento e mobili, con pesanti crolli di fatturato [12].

Invece di seguire il cammino pragmatico dell’integrazione euro-asiatica e rafforzare i vincoli economici mutuamente vantaggiosi con la Russia e con la Cina, la UE si è imbarcata in una missione suicida per conto dei suoi curatori (fallimentari ?) di Washington nel tentativo, condannato al fracasso, di indebolire la Russia e contenere la Cina. Oggi l’Unione Europea si trova economicamente indebolita, senza un forte baricentro di governo, più divisa che nel passato e maggiormente subalterna alla volontà degli Usa.

Dopo essere stati condannati all’irrilevanza politica sullo scacchiere mondiale, i Paesi europei sono chiamati a pagare il conto delle ambizioni imperiali degli Stati Uniti e a fornire assistenza militare, visto che la strategia militare di Washington non dispone di mezzi sufficienti per farsene carico autonomamente [13].  E le “politiche di difesa e sicurezza” dell’Unione Europea sono sempre più una fotocopia di quelle della NATO (di cui ormai è un’appendice) che fa pressioni per destinare almeno il 2% del PIL dei diversi Paesi alla spesa militare.

Lungi dall’essere un attore geo-politico indipendente o una “potenza geo-politica” (nonostante i deliri di onnipotenza della sig.ra Von der Leyen e di Borrell), la attuale UE ha significato la riduzione del potere degli Stati membri con l’erosione delle proprie sovranità nazionali, in modo da non rappresentare una sfida per gli interessi ed il potere degli Stati Uniti.

I segnali di una profonda crisi del progetto di integrazione europea si sono moltiplicati e la Brexit è stata solo il segnale più evidente. Il potenziale di crescita economica sembra esaurito (almeno in questa fase) e la maggioranza dei membri del blocco hanno un cronico deficit di bilancio ed un debito eccessivo. Il livello di vita (ed il potere d’acquisto) delle popolazioni continua ad abbassarsi, mentre le promesse di prosperità e benessere del “giardino europeo” appartengono al passato. Cresce, quindi, la disillusione e lo scontento tra la popolazione.

E nella profonda crisi di identità europea, nell’insicurezza e la paura del presente, nell’incertezza del futuro, cresce anche il neo-fascismo del XXI° secolo, con caratteristiche diverse dal passato. Un fenomeno che trascende le frontiere europee e con cui l’orizzonte dell’Utopia dovrà fare i conti.


Note

[1] A. Gramsci, Quaderni dal carcere (Q 3, §34, p. 311)

[2] http://eng.sectsco.org/

[3] Nel caso dell’Argentina, l’entrata nei BRICS era stata decisa dal governo di Alberto Fernandez. Ma la vittoria nel novembre 2023 di Javier Milei, fino ad oggi fortemente contrario, potrebbe segnare una battuta d’arresto. D’altra parte, Brasile, Cina e India rappresentano quasi il 30% dell’export totale argentino.

[4] https://sputniknews.lat/20231017/las-claves-del-tercer-foro-de-cooperacion-internacional-de-la-franja-y-la-ruta-en-pekin-1144799870.html

[5] https://english.www.gov.cn/archive/whitepaper/202310/10/content_WS6524b55fc6d0868f4e8e014c.html

[6] Ibidem

[7] https://it.euronews.com/2022/07/31/treno-merci-cina-europa-primo-viaggio-hefei-budapest

[8] https://www.worldbank.org/en/country/china/publication/china-economic-update-december-2022

[9] Nel 2018, l’amministrazione del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha imposto dazi su una serie di prodotti cinesi.

[10] Brasó Broggi, Carles (2021): Algunas causas de la guerra comercial entre China y Los Estados Unidos. Universitá Oberta de Catalunya. Barcelona.

[11] https://www.worldbank.org/en/news/press-release/2023/06/14/priority-reforms-key-for-sustaining-growth-and-achieving-china-s-long-term-goals-world-bank-report

[12] https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=88#

[13] https://www.rand.org/pubs/commentary/2023/11/inflection-point-how-to-reverse-the-erosion-of-us-and.html

FONTE: https://marcoconsolo.altervista.org/legemonia-statunitense-e-lo-spettro-del-mondo-multipolare/

Le nuove alleanze militari di Washington nell’area Asia-Pacifico (Economia di guerra oggi, parte VIII)

di Andrea Vento

All’interno della la zolla geopolitica statunitense, posizionata a levante della frattura geopolitica presente ai bordi orientali della massa continentale euroasiatica1, il trend dell’impennata delle spese militari ricalca, seppur in tono leggermente minore, la traiettoria di crescita della Repubblica Popolare Cinese (tabella 1). L’incremento in corso risulta riconducibile anche all’impulso impresso dalle alleanze militari, tese al rafforzamento della cintura anticinese nell’Indo-Pacifico2, rivitalizzate e recentemente create dagli Stati Uniti nell’area, a partire dal Quad (Quadrilateral Security Dialogue) e dall’Aukus (Australia, United Kingdom, United States Security Teatry).

Tabella1: i primi 15 stati per spese militari nel 2022. Fonte Sipri 2023

I primi 15 stati per spese militari nel 2022
StatoSpesa militare in miliardi di $% di spesa globale% incremento 2021-2022% incremento 2013-2022Spesa militare in % sul Pil
Stati Uniti887,039,00,72,73,5
Cina292,013,04,2631,6
Russia86,43,99,2154,1
India81,43,66,04,72,4
Arabia Saudita75,03,316,0-2,77,4
Regno Unito68,53,13,79,72,2
Germania55,82,52,3331,4
Francia53,62,40,6151,9
Corea del Sud46,42,1-2,5372,7
Giappone46,02,15,9181,1
Ucraina44,02,06401.66134,0
Italia33,51,5-4,5241,7
Australia32,31,40,3471,9
Canada26,91,23,0491,2
Israele23,41,0-4,2264,5
Totale primi 151.842,082,0


Restanti stati398,018,0


Il Quadrilateral Security Dialogue

Il Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza (Quad) fondato nel 2007 da Stati Uniti, Giappone, Australia e India, allo scopo di stabilire un sedicente “Arco asiatico della democrazia” avrebbe dovuto comprendere anche gli Stati centro-asiatici, la Mongolia, la Corea del Sud, il Giappone e altri del Sud-Est asiatico, “praticamente tutti i Paesi ai confini della Cina, ad eccezione della Cina stessa”3. Rimasta tuttavia sin dalla nascita scarsamente operativa per la rinuncia dell’Australia nel 2007 e successive divergenze interne, torna a nuova vita su input dei quattro Paesi fondatori a seguito dell’incontro a margine del vertice dei Paesi Asean4 di Manila del 2017, nel cui contesto viene anche stabilita una sinergia militare anticinese con quest’ultima organizzazione.

Dal 2017 il Quad ha quindi progressivamente incrementato le proprie attività, soprattutto in termini di cooperazione ed esercitazioni militari congiunte, fornendo nuova linfa all’inasprimento del confronto globale Usa-Cina che proprio nel Sud-Est asiatico trova uno dei due principali suoi epicentri.

Il nuovo corso del Quad, trae ispirazione dalla strategia di Hillary Clinton dell’ “Indo-Pacifico libero e aperto” e costituisce un progetto di contenimento della Cina in risposta alle “Vie della seta”, non casualmente definito dall’ex funzionario del Dipartimento di stato Usa, Morton Abramowitz, come “una mossa anti-cinese”5.

Strategia di accerchiamento che ha spinto Pechino alle contromisure geopolitiche come il rafforzamento e l’ampliamento dello Sco, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai. Quest’ultimo, già creato nel 2001 da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, in risposta registra, infatti, l’ingresso di India e Pakistan nel 2017 e dell’Iran nel luglio 2023.

Gli alleati strategici di Washington nell’area aumentano le spese militari

Nella dinamicità dello scenario appena tratteggiato, sta acquisendo nuovo status geopolitico il Giappone. Secondo il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, l’ex potenza imperiale rappresenta infatti l’architrave del disegno strategico Usa nella regione. Tokyo ha ormai abbandonato la sua tradizionale politica non interventista e non militarista, sancita dall’articolo 9 della sua Costituzione6, tant’è che, senza essere stato modificato, il governo nipponico ha recentemente intrapreso una nuova corsa al riarmo in conseguenza della discontinuità sancita dalla “Nuova strategia di sicurezza nazionale”. Pubblicata nel 2022, quest’ultima, “Definisce piani ambiziosi per aumentare la capacità militare del Paese nel prossimo decennio in risposta alle crescenti minacce percepite da Cina, Corea del Nord e Russia”. In sostanza si tratta di una mutazione genetica della tradizionale postura pacifista imposta al Paese dagli Stati Uniti dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale7 che il ricercatore del Sipri, Xiao Liang, ha così puntualizzato: “Il Giappone sta attraversando un profondo cambiamento nella sua politica militare. Le restrizioni imposte al Giappone nel dopoguerra alle sue spese militari e alle sue capacità militari sembrano allentarsi”.

Un cambiamento di rotta pilotato da Washington il quale, accertata l’affidabilità dell’alleato, ha deciso per il suo riarmo8 in funzione del contenimento cinese, elevandolo ad asse portante della struttura militare erta ai bordi del mar Cinese Orientale, l’altro principale epicentro di instabilità nello scontro Usa-Cina.

L’analisi dell’andamento delle spese militari di Tokyo effettuate dal Sipri (tabella 1) confermano che il capovolgimento della sua politica militare ha origini molto recenti: al cospetto di un aumento nell’ultimo decennio del “solo” 18%, buona parte si è verificato nel 2022 quando l’incremento è risultato del 5,6%. Lo scorso anno, le uscite militari di Tokyo sono così salite a 46 miliardi di $, pari all’1,1% del Pil.

L’altro tradizionale alleato di Washington nella macroregione, la Corea del Sud, che ospita 8 basi militari statunitensi dalla guerra di Corea (1950-53), risulta, al pari del suo omologo del Nord, una delle zone più militarizzate del pianeta, in considerazione del passaggio della frattura geopolitica in questione lungo il 38° parallelo, la linea di armistizio sulla quale si concluse all’epoca il conflitto. Rappresentando la penisola coreana, l’unico tratto nel quale la linea di faglia scorre su territorio continentale, vi è stata creata una fascia smilitarizzata lunga 250 km e larga 4 km al fine di ammortizzare le tensioni fra le due zolle9 (carta 1). Nonostante la massiccia militarizzazione del territorio già in essere, nel decennio 2013-22, Seul ha aumentato le spese militari di ben il 37% attestandosi al nono posto nella graduatoria mondiale subito davanti al Giappone, con un esborso di 46,4 miliardi di $ nel 2022, pari al 2,7% del Pil.

Carta 1: la situazione militare nella penisola di Corea con la fascia smilitarizzata di separazione

Taiwan divenuto principale teatro di scontro fra Usa e Cina ad inizio agosto del 2022, dopo la visita della Speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi che ha scatenato la reazione di Pechino, ha anch’essa intrapreso la strada del riarmo già alla fine dello stesso mese quando il governo ha apportato una proposta di revisione al rialzo del budget militare per l’anno 2023 di ben il 13,9%, stanziando fondi anche per l’acquisto di nuovi caccia. La spesa militare di Taiwan dovrebbe quindi salire nel 2023 a 19,4 miliardi $, portando il Paese nella poco edificante Top20 mondiale, a ridosso della Spagna (grafico 1). Le spese militari rappresenteranno un crescente fardello per le casse pubbliche di Taipei visto che, secondo le previsioni, arriveranno ad assorbire ben il 14,6% del budget statale dell’anno in corso10.

Cifre più da economia di guerra che da tempi di distensione.

Grafico 1: previsioni di spesa militare nel 2023

A rendere più complicata la situazione nello stretto di Taiwan nell’ambito dello scontro fra la Repubblica Popolare e la Repubblica di Cina, risulta la delicata posizione geostrategica di alcuni arcipelaghi di Taipei localizzati in prossimità della costa continentale. In particolare, si tratta principalmente degli arcipelaghi Kinmen (Quemoy) e Matsu che trovandosi, il primo a 2 soli km di fronte alla metropoli cinese di Xiamen, nella provincia di Fujian, e l’altro, in posizione più settentrionale a 19 km dalle coste della stessa provincia cinese, potrebbero costituire elemento di criticità per entrambi i Paesi, in caso di ulteriore inasprimento della tensione (carta 2).

Carta 2: gli arcipelaghi taiwanesi a ridosso delle coste della Repubblica Popolare

Per la Cina, appurata l’estrema vicinanza alle proprie coste, rappresenterebbero una spina nel fianco, dall’altro per Taiwan risulterebbero difficilmente difendibili in caso di un ipotetico attacco. Soprattutto l’arcipelago Matsu, essendo dotato di un sito missilistico contrariamente al più popoloso Kinmen, secondo il ministero della difesa di Taipei costituisce uno dei primissimi obiettivi sensibili. Si tratta di foschi ma tutto sommato improbabili scenari che infatti non turbano la vita e i pensieri degli abitanti dei due arcipelaghi, i quali mantengono buone relazioni con la Repubblica Popolare: “La popolazione di Matsu si è sempre sentita appartenente a una sola famiglia, quella cinese”11. Una convinzione abbastanza diffusa fra gli abitanti di Matsu anche in considerazione del fatto che lo stesso Arcipelago fa parte della contea di Lienchiang, il cui territorio è diviso fra la parte amministrata dalle Matsu, quindi sotto Taipei, e una parte sotto il controllo della provincia di Fujian.

Il consolidamento del potere dell’Anglosfera tramite l’Aukus

L’altra alleanza militare, l’Aukus, lanciata da Washington il 15 settembre 2021 ha caratteristiche imperialistiche più marcate, appurato che raccoglie 3 dei Five eyes12 anglofoni, nell’ordine: Australia, unico presente geograficamente nella macroregione, Regno Unito e Stati Uniti.

Il programma dell’Aukus è incentrato sull’ammodernamento della flotta australiana di sottomarini con mezzi strategici a propulsione nucleare e rientra nel quadro di rafforzamento delle alleanze in funzione anticinese, per il mantenimento dell’ordine internazionale a guida statunitense (carta 3).

Carta 3: la dotazione di sottomarini da parte dei tre Paesi Aukus e della Cina

In sostanza si tratta di una strategia per fornire a Canberra sottomarini di progettazione statunitense, affinché l’Australia possa ampliare la profondità strategica della propria potenza navale13. L’annuncio della costituzione dell’Aukus è stato accompagnato da un clamoroso dietrofront dell’Australia che, pur avendo già sottoscritto contratti di fornitura di sommergibili a propulsione diesel-elettrico con la Francia stimati fra 40 e 55 miliardi di euro, non ha esitato a rinunciarvi a favore dei più potenti e tecnologicamente avanzati statunitensi. Mossa spregiudicata che ha indispettito non poco Parigi al punto di imbastirvi un caso diplomatico14, richiamando pro tempore gli ambasciatori a Washington e Canberra per consultazioni15 (immagine 1).

Immagine 1: la nascita dell’Aukus in funzione anticinese con risentimento francese e dell’Ue

La politica di riarmo dell’Australia, in linea con gli altri Paesi dell’area, risulta tuttavia aver origini precedenti rispetto al varo dell’Aukus, appurato che nel decennio 2013-22 l’incremento delle spese militari è risultato il terzo più elevato nella Top15 mondiale col +47%, a una corta incollatura da un altro Five eyes, il Canada (+49%), e a qualche lunghezza di distanza dalla Cina che detiene il triste primato con +63%, al netto del particolare caso dell’Ucraina (+1.661%) da un decennio in fase di massiccio potenziamento militare (tabella 1).

Trovandosi i contratti dei sottomarini nucleari statunitensi ancora in fase progettuale, le spese militari di Canberra lo scorso anno hanno registrato solo un modesto incremento dello 0,3%, con scarsa incidenza sul deciso trend di crescita decennale che ha portato nel 2022 le uscite a 32,3 miliardi di $, facendo attestare il Paese al 13° posto della graduatoria mondiale, davanti al Canada con 26,9 miliardi di $.

L’Australia alla luce del riarmo in corso, sottomarini nucleari compresi, e delle potenzialità di proiezione militare che scaturiscono dall’Aukus, sta acquisendo un ruolo geopolitico-militare di crescente importanza sia nello scacchiere Asia-Pacifico, sia su scala mondiale. A livello continentale, invece, l’Australia gode del tradizionale status di potenza egemone, appurato che nel 2022 da sola ha rappresentato il 91,5% delle spese militari totali dell’Oceania (35,2 miliardi di $).

L’India fedele alla politica di non allineamento

Ampliando lo sguardo su tutto lo scacchiere Asia-Pacifico, la partecipazione dell’India al Patto di Sicurezza Quadripartito, il Quad, ha determinato l’affermazione del concetto geostrategico, nato in seno all’Anglosfera, di Indo-Pacifico come area di propria influenza geopolitica. Progetto riguardante nello specifico l’ampliamento della fascia statunitense di contenimento dell’espansione cinese dal Giappone fino all’Oceano indiano, passando per l’Australia (carta 3). Una strategia di accerchiamento che ha indotto Pechino a dotarsi di infrastrutture di trasporto terrestri per raggiungere i porti nell’Oceano Indiano a occidente della penisola indiana: come il “corridoio Cina-Pakistan”16 che dallo Xinjang raggiunge Islamabad e trova conclusione nello strategico terminale di Gwadar sul Mar Arabico, in Pakistan. Paese quest’ultimo con il quale Pechino va consolidando alleanza e relazioni economiche.

L’India è, tuttavia, riluttante a sposare la linea dura del contenimento cinese, attuata da Washington e alleati17, e, fedele alla propria tradizione di Paese “non allineato”, non intende deteriorare, nonostante vari fronti di attrito e di scontro, i rapporti con Pechino. Il governo nazionalista indù di Narendra Modi seppur interessato a cooperare con i Paesi occidentali su tecnologia, armamenti e mantenimento dello status-quo nell’Indo-Pacifico, non sembra intenzionato ad elevare il livello dello scontro con la Cina in quanto New Delhi, nell’attuale scenario geopolitico in fase di trasformazione, è riuscita a conseguire una rendita di posizione internazionale che le consente di avere mano libera per tessere la tela su più fronti.

Il ruolo di battitore libero ritagliatosi dall’India risulta particolarmente propizio per i vantaggi economici che sta riuscendo a ricavarne. Fra le varie rileviamo come in base ai calcoli effettuati dall’agenzia russa Ria Novosti rielaborando i dati ufficiali Eurostat, nei primi 9 mesi del 2023 New Delhi sarebbe diventata il secondo fornitore di prodotti petroliferi raffinati all’Unione Europea, dietro solo all’Arabia Saudita18. L’aspetto singolare, oltre che beffardo, è rappresentato dal fatto che il 40% del petrolio raffinato dall’India e venduto all’Ue proviene dalla Russia19, con buona pace delle sanzioni e delle sue ricadute negative sui committenti europei.

La contemporanea adesione dell’India all’Organizzazione della Cooperazione di Shangai (Sco) e al Quad, solo ad un approccio superficiale può essere definito come semplice doppiogiochismo. Ad una analisi più approfondita, anche sulla scorta del sostegno all’allargamento dei Brics ad altri 6 Paesi all’ultimo vertice in Sud-Africa e dell’incremento delle relazioni commerciali con la Russia dopo il febbraio 202220, emerge infatti che New Delhi sta implementando una politica di potenza autonoma tesa ad accrescere il proprio status internazionale non solo dal punto di vista economico, ma anche militare e geopolitico. Inoltre, ponendosi insieme alla Cina a guida del Sud globale, tali potenze emergenti, di concerto con Russia e Brasile, tramite l’allargamento dei Brics ambiscono alla realizzazione di un ordine internazionale multipolare e al superamento della struttura economico-finanziaria incentrata sul dollaro sancita a Bretton Woods nel 1944-45.

La storica ostilità di New Delhi con il Pakistan, entrambi dotati di ordigni nucleari, ha da tempo comportato un aumento delle spese militari, contribuendo alla scalata dell’India al quarto posto nella graduatoria mondiale dietro a Usa, Cina e Russia. Nel 2022 le uscite indiane per la difesa sono ammontate a 81,4 miliardi di $, pari al 2,4% del Pil, quando erano solo 14,7 miliardi di $ nel 200221, nel cui contesto, il corposo aumento del 6% rispetto all’anno precedente va ricondotto ad una accelerazione nella politica di perseguimento dello status di potenza militare di livello mondiale.

Conclusioni

Il clima da nuova “Guerra fredda” che sta imperversando a livello internazionale, col suo progressivo carico di tensioni e scontri, sta inevitabilmente facendo da traino all’aumento tendenziale delle spese militari mondiali, i cui picchi vengono registrati dal Sipri proprio nei Paesi ai margini delle due principali faglie geopolitico-militari (tabella 2): quella nell’Est Europa fra Usa-Nato e Russia, deflagrata in conflitto militare, e l’altra ai bordi del continente asiatico fra Usa e suoi vari alleati, da un lato, e Cina e, secondariamente, Corea del Nord e Russia, dall’altro.

Nello scontro in atto fra il tenace tentativo degli Stati Uniti di mantenere il potere geopolitico unilaterale mondiale e le potenze emergenti che da parte loro hanno iniziato a realizzare un nuovo ordine internazionale multipolare, l’Occidente globale a guida statunitense continua a mantenere ancora nettamente, seppur in traiettoria declinante, il primato mondiale in campo militare.

Nel complesso, i Paesi della Nato nel 2022 hanno, infatti, totalizzato ben 1.232 miliardi di $ di spese militari, pari al 55,1% del totale mondiale, con un aumento dello 0,9% rispetto all’anno precedente. Di gran lunga in testa alla graduatoria mondiale sono saldamente attestati gli Stati Uniti, (tabella 1) con una spesa di ben 887 miliardi di $, pari al 39% delle spese mondiali, seguiti dai suoi principali partner europei tutti insediati nella Top15: il Regno Unito 6° con 68,5 miliardi, la Germania, anch’essa sulla via del riarmo con +33% nell’ultimo decennio, in settima posizione con 55,8 miliardi, seguite dalla Francia al 8° posto con 53,6 miliardi, dall’Italia al 12° con 33,5 miliardi di dollari e dal Canada al 14°.

Al fine di quantificare l’entità reale della potenza militare dell’Occidente globale occorre aggiungere le spese degli altri principali alleati statunitensi nei vari scenari regionali: Arabia Saudita 5° posto con 75 miliardi di $, Corea del Sud al 9° con 46,4, Giappone al 10° con 46,0, Australia al 13° (32,3) e Israele al 15° (23,2). Conseguentemente, considerando anche questi Paesi, la spesa complessiva della cosiddetta “Nato globale” sale a 1.455 miliardi di $, pari al 69,9% del totale mondiale.

La scelta strategica di Washington, teorizzata nei vari documenti annuali dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale (Nsa), di perseguire la strada del contenimento di Russia e Cina, principali due Potenze Emergenti, tramite l’opzione militarista sta aumentando le tensioni internazionali e alimentando focolai di scontro e addirittura di guerra, come in Ucraina.

Il conseguente incremento irrefrenabile delle spese militari a livello globale pari a +19% nell’ultimo decennio (tabella 2) risulta da un lato foriero di venti di guerra e dall’altro finisce inevitabilmente per impattare sui bilanci statali riflettendosi in tagli alle spese sanitarie, all’istruzione e all’assistenza sociale, nonché agli investimenti produttivi.

Tabella 2: ripartizione della spesa militare mondiale espressa in miliardi di $ per continenti e macroregioni terrestri e variazioni 2021-22 e 2013-22. Fonte: Sipri 2023

Ripartizione della spesa militare per continenti e macroregioni
Continenti e macroregioniSpesa militare 2022% incremento 2021-2022% incremento 2013-2022% di spesa mondiale
Totale mondiale2.2403,719100
Africa39,4-5,3-6,41,8
Africa Settentrionale19,1-3,2110,9
Africa Sub-sahariana20,3-7,3-180,9
Americhe9610,33,543
America Settentrionale9040,73,740
America Centrale11,2-6,2380,5
America Meridionale46,1-6,1-5,42,1
Asia e Oceania5752,74726
Asia Centrale1,4-29-200,1
Asia Orientale3973,55018
Asia Sud-Orientale43,1-4,0131,9
Asia Meridionale98,34,0464,4
Oceania35,30,5481,6
Europa480133821
Europa Centro-Occiden3453,63015
Europa Orientale13558726
Medio Oriente1843,2-1,58,2
Fonte Sipri: https://www.sipri.org/sites/default/files/2023-04/2304_fs_milex_2022.pdf

Il tutto, amplificato dal sensibile rallentamento delle economie europee causato dall’adozione delle sanzioni alla Russia e dai suoi nefasti effetti collaterali, quali aumento delle quotazioni delle materie prime, fiammata inflazionistica e rialzo dei tassi22.

L’aspetto maggiormente inquietante a nostro avviso, tuttavia, risulta rappresentato dal fatto che i governi, in linea con i principi dell’economia di guerra, stanno affrontando i problemi di bilancio tagliando la spesa sociale e gli investimenti, invece di diminuire i budget per la difesa.

Una politica scellerata che sta avendo pesanti ripercussioni sia nel ciclo economico che nelle condizioni sociali, già gravemente deterioratesi negli ultimi decenni di dominio del dogma neoliberista. Fase storica contrassegnata da crisi economiche cicliche dalle quali la ristrutturazione capitalistica in atto cerca di uscire rilanciando la finanziarizzazione, i conflitti e l’economia di guerra.

Come interrompere la spirale liberismo – spese militari – guerre rappresenta l’ineludibile questione che tutti noi dovremmo affrontare.

Andrea Vento – 10 dicembre 2023 – Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

NOTE:

1 L’aumento delle tensioni e delle spese militari nello scacchiere Asia-Pacifico

https://cambiailmondo.org/2023/11/07/laumento-delle-tensioni-e-delle-spese-militari-nello-scacchiere-asia-pacifico-economia-di-guerra-parte-vi/

2 Indo-Pacifico: termine geografico reso noto dallo studioso tedesco di geopolitica Karl Hushofer che lo utilizzò in molte sue opere negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. A partire dal 2010 è stato sempre più frequentemente utilizzato, a partire dagli Stati Uniti, nelle analisi geopolitiche. Viene ipotizzato che la sua accezione geopolitica potrebbe condurre ad una ridefinizione geostrategica delle macroregioni terrestri, in quanto la sua adozione e diffusione risulta correlata all’istituzione del “Dialogo quadrilaterale di sicurezza” (Quad), un’alleanza informale tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India, il quale, oltre ad ampliarsi fino all’oceano indiano, offre una visione geopolitica diversa rispetto al concetto di Asia-Pacifico. In sostanza il Quad consiste in un’ampia cintura di contenimento intorno alla Cina che attraversa parzialmente i due oceani in questione

3 Frank Ching, Asian Arc of Democracy su The Korea Times 224 febbraio 2008

4 Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico è stata fondata l’8 agosto 1967 a Bangkok, Thailandia, con la firma della Dichiarazione ASEAN (Dichiarazione di Bangkok) da parte dei Padri Fondatori dell’ASEAN: Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Thailandia. Il Brunei Darussalam è entrato a far parte dell’ASEAN il 7 gennaio 1984, seguito dal Vietnam il 28 luglio 1995, dal Laos e dal Myanmar il 23 luglio 1997 e dalla Cambogia il 30 aprile 1999, formando quelli che oggi sono i dieci Stati membri dell’ASEAN. https://asean.org/about-asean

5 https://it.wikipedia.org/wiki/Dialogo_quadrilaterale_di_sicurezza#cite_note-Ching-17

6Art. 9. – Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo  giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, ed alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali.

7 https://www.ilsole24ore.com/art/giappone-addio-pacifismo-tokyo-accelera-corsa-riarmo-AEXje4eB

8 https://www.analisidifesa.it/2022/07/il-giappone-gonfia-le-spese-militari-al-2-per-cento-del-pil-in-5-anni/

9 https://lospiegone.com/2017/03/13/usa-corea-del-sud-tra-propaganda-e-realta/

10 https://www.agi.it/estero/news/2022-08-25/taiwan-aumento-record-spesa-militare-17851034/#:~:text=AGI%20%2D%20Taiwan%20intende%20aumentare%20il,%2C4%20miliardi%20di%20dollari).

11 https://www.internazionale.it/reportage/lorenzo-lamperti/2022/04/24/isole-matsu-cina-taiwan

12 Five Eyes in inglese, acronimo: FVEY. I Cinque Occhi  è un’alleanza di sorveglianza che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti . Questi paesi fanno parte dell’accordo UKUSA, un trattato di cooperazione congiunta in materia di intelligence dei segnali

13 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/aukus-e-la-corsa-al-riarmo-sottomarino-nellindo-pacifico-132662

14 https://it.insideover.com/difesa/lalleanza-del-pacifico-che-fa-infuriare-la-francia.html

15 https://www.ilsole24ore.com/art/la-francia-richiama-due-ambasciatori-AERdbbj

16 https://www.limesonline.com/corridoio-cina-pakistan/96725

17 https://www.geopolitica.info/india-politica-estera-usa/

18 Tra gennaio e settembre di quest’anno l’UE ha importato 7,9 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi raffinati dall’India, una cifra più che doppia rispetto all’anno precedente e tripla rispetto al 2021. Secondo il rapporto, il volume di prodotti petroliferi raffinati di quest’anno ha catapultato l’India dal sesto posto del 2022 al primo posto del 2023, con Francia, Paesi Bassi e Italia come tre maggiori importatori, seguiti da Croazia, Lettonia, Romania e Germania.

19 La Russia è il secondo esportatore nella UE di prodotti petroliferi, attraverso l’India (scenarieconomici.it)

20 Secondo un rapporto della BBC, le importazioni di petrolio dell’India sono aumentate di dieci volte, raggiungendo i 2,2 milioni di barili al giorno in aprile rispetto alla media pre-invasione di 0,2 milioni di barili al giorno.

21 https://it.tradingeconomics.com/india/military-expenditure

22 Economia di guerra oggi, parte VII. Ormai il re è nudo. Bce: la recessione resta uno scenario possibile

Palestina. Uscire fuori dal tunnel: una proposta per la pace

La Palestina è stata già un Mandato britannico, oggi per la Striscia di Gaza si può resuscitare una sorta di Mandato affidato alle Nazioni Unite.

di Domenico Gallo

Qualsiasi reazione alla catastrofe che stiamo vivendo non può che partire da una rivisitazione del discorso pubblico. Deve essere respinta come totalmente falsa la narrazione dominante di uno Stato democratico costretto a stroncare un terrorismo diabolico che minaccia la sua stessa esistenza. Per quanto le incursioni compiute da Hamas il 7 ottobre possano facilmente essere assunte nella categoria del terrorismo e ricadere nel catalogo dei crimini contro l’umanità, non si può ignorare il fatto che esiste un popolo oppresso e uno Stato oppressore. Il diritto internazionale riconosce il diritto all’autodeterminazione dei popoli soggetti ad una dominazione coloniale o a forme di apartheid, che può essere esercitato anche ricorrendo alla lotta armata. Tuttavia il panorama del conflitto israelo-palestinese, è assolutamente differente da tutti gli altri casi storici in cui vi è una dominazione coloniale o un’occupazione straniera. Quando c’è un’occupazione militare o un dominio coloniale, la resistenza armata può costringere la Potenza coloniale o occupante a riportare in patria il suo esercito e a restituire la libertà al popolo oppresso. In questo caso è assolutamente impossibile. Qui vi sono due popoli che convivono nello stesso territorio, che va dalle rive del Giordano al mar Mediterraneo, e dovranno continuare a convivere qualunque sviluppo politico dovesse esserci in futuro (due Stati, un Stato federale, una Confederazione, un solo Stato binazionale). Per questo la lotta armata non si può fare perché si risolve in una serie di atrocità che renderebbero impossibile la convivenza, pregiudicando ogni futura soluzione politica. Hamas è un partito politico, presente nella società palestinese che esercita la resistenza all’oppressione con il ricorso al martirio. Spinge le persone ad affrontare e a subire il martirio per procurare il massimo del danno possibile al proprio nemico. Quello che è successo dal 7 ottobre in poi, dimostra che la strategia del martirio non produce nessun risultato politico utile per gli oppressi, provoca soltanto distruzione e morte, fino a livelli inimmaginabili, mentre la risposta di Israele che rilancia la strategia del martirio moltiplicandola per cento, non garantisce né la pace, né la sicurezza al popolo israeliano.

Quando si parla di guerra al terrorismo o comunque si definisce come “guerra”, la tempesta di fuoco che Israele ha scatenato contro Gaza, bisogna considerare che la morte di civili o combattenti non costituisce mai l’obiettivo della guerra, ma soltanto un prezzo da pagare per conseguire l’obiettivo politico che si vuole perseguire con la guerra. Invece, in questo caso la morte di civili e combattenti più che un costo sembra l’obiettivo della guerra.

Dobbiamo chiederci qual è il reale obiettivo politico che Israele vuole perseguire con la guerra, cosa vuole ottenere?

Orbene, oltre una tremenda vendetta, non è assolutamente chiaro quali siano gli obiettivi di Israele. Il dichiarato intento di eradicare Hamas e di eliminare tutti i suoi miliziani è un obiettivo impossibile ed assurdo. Impossibile perché non vi è un forte di Hamas da espugnare, non vi sono delle divisioni da affrontare e sconfiggere sul campo di battaglia. I miliziani di Hamas sono rifugiati in una selva che è la sfortunata popolazione della Striscia. Per eliminarli tutti bisognerebbe disboscare la selva. E’ quello a cui Israele sta dedicando attivamente, bombardando in modo massiccio ed indiscriminato, facendo sfollare 1.700.000 persone, attaccando gli ospedali, togliendo il cibo, l’acqua, l’energia, i medicinali alla popolazione e spegnendo le comunicazioni. Non si possono eliminare i miliziani di Hamas senza compiere un vero e proprio genocidio. Dal punto di vista della sicurezza di Israele è un obiettivo assurdo perché, dopo aver inflitto delle sofferenze così atroci, nulla può escludere che i giovani sopravvissuti alle bombe israeliane, alla fame, alla sete, alle malattie, alla morte dei loro genitori o dei loro coetanei, non sentano il bisogno di prendere le armi e di rimpiazzare i miliziani eliminati.

Le caratteristiche di questa operazione militare la rendono molto diversa dagli altri conflitti che abbiamo vissuto. Basti pensare che in 78 giorni di bombardamenti sulla ex Jugoslavia, la NATO ha provocato la morte di circa 600/700 civili, a fronte degli oltre 18.000 morti provocati da Israele in poco più di 60 giorni, mentre la Russia in 20 mesi di conflitto ha provocato la morte di circa 600 fanciulli, a fronte dei 6.500 uccisi nella Striscia di Gaza in soli due mesi. Questi numeri rendono evidente che quello in corso a Gaza è un genocidio, anche in senso tecnico-giuridico. La condotta di Israele, rientra nel concetto di “genocidio” come definito dalla Convenzione ONU del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio. L’art. 2 della Convenzione recita:

“Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:

a) uccisione di membri del gruppo;

b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;

c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale (..)”

Quello che qualifica come genocidio i fatti indicati ai punti a), b) e c) è l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, quali sono indubbiamente gli abitanti che popolano la striscia di Gaza. E’ difficile capire quali siano le reali intenzioni di Israele, però quando un ministro del governo Netanyahu, Amichai Eliyahu, esponente del partito “potere ebraico” sostiene che l’utilizzo della bomba atomica su Gaza è, a suo giudizio, “una delle possibilità in campo”, questa dichiarazione getta oscuri presagi sull’operazione spade di ferro. Comunque l’obiettivo massimo, esplicitato anche in documenti ufficiali, come quello del Ministero dell’intelligence del 13 ottobre, ribadito dalla Ministra Gila Gamliel sulle pagine del Jerusalem Post, è quello di espellere due milioni di palestinesi verso l’Egitto, cioè di realizzare una seconda e molto più grave Nakba. Anche questo, come l’obiettivo di eliminare tutti i miliziani di Hamas è un obiettivo impossibile da realizzare, però lo sforzo di Israele di perseguire questi due obiettivi irrealistici si traduce in un crescendo di distruzioni destinate a rendere impossibile la vita a Gaza.

A Gaza è calato l’inferno sopra una popolazione di oltre due milioni di persone. Di fronte ad una situazione così orribile si sbiadiscono e scompaiono le ragioni e i torti di una parte o dell’altra. E’ per tutti evidente che non si può invocare il diritto di difesa di Israele per giustificare attacchi ad un gruppo nazionale così massicci ed estesi che possono sfociare in un genocidio. Il genocidio è un affronto all’umanità in quanto tale ed è la principale minaccia alla pace ed alla coesistenza pacifica fra le Nazioni La comunità internazionale, tutti gli Stati hanno il dovere di agire per fermare il massacro e ristabilire la pace. Invece non solo non vengono applicate sanzioni di alcun tipo per fermare Israele, ma non si ha nemmeno il coraggio di invocare il cessate il fuoco per non disturbare i piani del governo israeliano. L’Italia e l’Unione Europea balbettano di tregua umanitaria, di far passare i convogli con i generi di prima necessità per la popolazione, di aumentare gli aiuti a Gaza. Ma a cosa serve una tregua, se poi i combattimenti sono destinati a riprendere, a lasciare libera la morte di mietere il campo? Il silenzio della politica ci rende complici. Quando ogni 10 minuti muore un bambino a Gaza, il fattore tempo è essenziale. Dobbiamo pretendere che il nostro Paese e le Istituzioni europee di cui facciamo parte chiedano a voce alta il cessate il fuoco ed esercitino su Israele delle pressioni non inferiori a quelle operate sulla Russia, per ottenere lo stop di ogni massacro. Bisogna dare il massimo sostegno politico all’iniziativa del Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, che l’altro ieri ha ulteriormente sollecitato l’intervento del Consiglio di Sicurezza per dichiarare il cessate il fuoco, invocando per la prima volta l’art. 99 della Carta. Il fatto che gli USA ieri sera abbiano posto di nuovo il veto ad una risoluzione sul cessate il fuoco li rende complici, pienamente corresponsabili del massacro in corso.

Il cessate il fuoco interrompe la fase cruenta della guerra, può favorire il rilascio degli ostaggi ma non assicura la pace. Dobbiamo guardare oltre, bisogna pensare agli scenari del dopo conflitto. Netanyahu ha comunicato l’intenzione di rioccupare Gaza per garantire la sicurezza di Israele. Soltanto gli Stati Uniti, che sono da sempre complici di Israele, hanno avuto qualcosa da obiettare. E’ assurdo che l’Europa non profferisca verbo. La rioccupazione della Striscia di Gaza da parte di Israele sarebbe il modo migliore per continuare la guerra dopo la guerra e rendere il conflitto permanente. Come si può pensare che dopo aver seminato lutti in tutte le famiglie, dopo aver trasformato in sfollati un milione e settecentomila persone, dopo aver distrutto il 60% delle abitazioni e gli impianti indispensabili per la vita civile, l’esercito israeliano possa amministrare il territorio e tenere sotto controllo la popolazione superstite di Gaza?

Dopo i disastri che ha combinato non può essere consentito ad Israele di restare arbitro della vita e della morte degli abitanti di Gaza.

Contestualmente al cessate il fuoco occorre progettare un intervento immediato per gestire la situazione nella Striscia di Gaza. A questo punto deve intervenire la Comunità internazionale attraverso l’ONU per definire lo status giuridico di Gaza, almeno con una soluzione transitoria. Se si vuole impedire che il conflitto continui anche dopo che la fase bellica sia cessata, se si vuole realmente garantire la sicurezza di Israele e dei suoi cittadini, c’è una sola soluzione: la Striscia di Gaza deve essere sottratta al controllo di Israele. Israele deve abbandonare quel territorio che ha distrutto e ridotto ad un cumulo di macerie, sottoponendo l’intera popolazione a sofferenze indicibili. Ciò può avvenire con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, adottata a norma del Cap. VII della Carta, come in passato avvenne per il Kosovo, che fu distaccato dalla Serbia e sottoposto ad una amministrazione ad interim delle Nazioni Unite, in virtù della Risoluzione 1244 del 10 giugno 1999. La Palestina è stata già un Mandato britannico, oggi per la Striscia di Gaza si può resuscitare una sorta di Mandato affidato alle Nazioni Unite. Un’amministrazione civile e militare dell’ONU dovrebbe liberare gli ostaggi, se ancora sequestrati, e procedere al disarmo di Hamas e della Jihad islamica, che potrebbero restare attivi come partiti politici assieme ad altri, impedire che dal territorio della Striscia possano partire atti di ostilità contro Israele, affrontare tutte le emergenze causate dalla guerra, rimettere in funzione le strutture sanitarie, ripristinare le telecomunicazioni, i collegamenti aerei e marittimi della Striscia con il resto del mondo, avviare la ricostruzione e ogni altro programma indispensabile per consentire alla popolazione civile di superare i traumi prodotti dai massacri e dalle privazioni causate dai lunghi anni di assedio a cui sono stati sottoposti. L’Amministrazione dell’ONU dovrebbe promuovere la creazione, in attesa di una soluzione definitiva, di una sostanziale autonomia e autoamministrazione della Striscia di Gaza. Non sarebbe un libro dei sogni. Netanyahu ha già dichiarato che non accetterà mai la presenza di una forza militare esterna ma il suo governo ha le ore contate, è destinato a cadere non appena cesserà il conflitto. Anche gli Stati Uniti si sono detti contrari alla rioccupazione di Gaza da parte di Israele. Su questo principio, se sostenuto dall’opinione pubblica internazionale, non dovrebbe essere impossibile realizzare una convergenza dei paesi titolari del diritto di veto al Consiglio di Sicurezza. Quando questa follia bellica sarà finita, bisogna fare tutto il possibile per impedire che la guerra continui dopo la guerra.

FONTE: https://www.domenicogallo.it/2023/12/uscire-fuori-dal-tunnel-una-proposta-per-la-pace/

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