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Israele: per un posto alla Knesset, si fa di tutto

knessetdi  Masri Ahmad (Bruxelles)
Il 22 gennaio 2013 gli israeliani andranno alle urne per eleggere la diciannovesima Knesset. Mai come in queste elezioni i cittadini hanno avuto le idee tanto confuse sui programmi dei candidati dei vari partiti. In Israele, sino al 2005, c’erano due grandi orientamenti che si divedevano i voti. La destra rappresentata da partiti come il Likud, Yisrael Beytenu degli immigrati russi e vari partiti ebrei religiosi. La sinistra in cui confluivano i Laburisti, Meretz e i piccoli partiti arabi (che non hanno mai contato nella politica israeliana). Nel 2005 Ariel Sharon fondò il partito del centro Kadima, raggruppando vari parlamentari che non avevano trovato collocazione negli altri partiti.

Ma in queste elezioni i ribaltoni e i passaggi dei parlamentari da un partito all’altro hanno confuso gli elettori tanto che non si riesce ad individuare un vero e proprio avversario che minacci Netanyahu alla guida del prossimo esecutivo. Basti pensare al giochetto, firmato da Netanyahu e dal suo Ministro degli Esteri Liberman, di presentarsi alle elezioni fondendo le liste del Likud – destra conservatrice – con  Yisrael Beytenu di estrema destra.

Negli ultimi mesi si è assistito a un po’di tutto, ci sono stati tradimenti e colpi bassi, il tutto per assicurarsi un posto. Questo a cominciare dalla stessa maggioranza, coi suoi tre partiti maggiori: il Likud di Netanyahu,Yisrael Beytenu alla guida del ministro degli esteri Liberman, e  Shas con la guida spirituale del Rabbino Sfaradita Ovadia Yosef.

Nonostante tutto, comunque, a Netanyahu non mancano le preoccupazioni visto che il ministro più popolare in questa cadenza, Moshe Kahlon, che ha fatto una rivoluzione nell’ambito della concorrenza telefonica, si è dimesso a causa delle difficoltà di convivenza con il premier. In più, dopo le primarie tenutesi il mese scorso, Netanyahu si è trovato a guidare una squadra di estrema destra: i moderati come Meridor e Begin si sono trovati esclusi dalla rosa dei destinatari di cariche ambite, mentre gli estremisti tipo Feglin si sono assicurati posizioni di rilievo.

Anche nel partito Yisrael Beytenu non sono mancate le sorprese. L’autoritario Ministro degli Esteri Avigdor Liberman, assieme ad una fantomatica commissione, ha deciso la composizione della lista del suo partito. Essa non comprende alcuni dei personaggi che hanno lasciato il segno negli ultimi anni. Ad esempio Anastasia Michaeli, che versò l’acqua su un parlamentare arabo e  che definì i gay come poveracci che muoiono a 40 anni. Un altro personaggio escluso è il Ministro del Turismo israeliano, Stas Meseznikov, che paga il prezzo del suo stile di vita che comprendeva alcol, donne e bella vita e poi finito con le inchieste della televisione israeliana. Ma il deluso d’eccellenza è il vice di Liberman stesso, Danny Ayalon, al quale venne notificata la notizia della propria esclusione la sera prima della presentazione della lista. Leggende raccontano che il motivo sarebbe il comportamento poco diplomatico tenuto tre anni fa con l’ambasciatore turco, quando ricevette quest’ultimo su una sedia bassa, per umiliare la Turchia o forse per punirlo per aver definito Liberman “un piccolo Stalin”. La vera motivazione? Solo Liberman la conosce.

Non mancano le sorprese anche nel partito religioso di  Shas, diviso in due gruppi:  simpatizzanti di Eli Yishai, il Ministro degli Interni, da una parte, e simpatizzanti del’ex leader molto popolare Arye Deri (che fu accusato e condannato per corruzione) dall’altra. Il Rabbi Ovadia Yosef, la guida spirituale e padre fondatore del partito, ha emesso un verdetto assieme al consiglio dei rabbini decidendo di riservare il primo posto ad Eli Yishai. Tutti assicurano pero’ che i  veri guai devono ancora arrivare.

Non mancano le sorprese nelle opposizioni tra colpi bassi, rovesciamenti e tradimenti. Kadima, dopo il ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza, ha avuto il maggior numero di candidati nelle ultime elezioni: 28 seggi su 120. Attualmente Kadima, secondo i sondaggi, rischia di sparire completamente in queste elezioni.  Ehud Olmert, la mancata promessa politica (sostituì Sharon alla guida del governo dopo che quest’ultimo venne colpito da ictus), venne costretto alle dimissioni per le accuse di corruzione. La sostituta di Olmert, Tzipi Livni, nonostante abbia portato ben 28 seggi alla Knesset nelle ultime elezioni, non è poi riuscita a creare una maggioranza per un governo (61 parlamentari), per colpa di un patto segreto tra Netanyahu e il partito Shas. Mofaz, il leader di Kadima dopo le primarie nel gennaio 2012, non perdonò Livni per il suo rifiuto di far parte della coalizione di Netanyahu. Livni si mise allora da parte ed uscì – momentaneamente – dalla politica israeliana. Mofaz cadde nello sbaglio politico che gli costò l’intero partito: portò Kadima a far parte della coalizione di Netanyahu, formando così la più grande maggioranza di destra mai creata nella storia della politica israeliana.

Netanyahu provò a tutti d’essere una vera volpe della politica israeliana riuscendo a portare Kadima a far parte del proprio governo, dopo vari tentavi di frantumarla dall’interno cercando inutilmente di far passare i vari parlamentari nelle file del Likud. Il malessere nel partito costrinse Mofaz a presentare le dimissioni dal governo, visto che le promesse fattegli da Netanyahu non potevano essere mantenute. Ma oramai i buoi sono scappati, Mofaz ha perso credibilità, l’ala destra del suo stesso partito è passata al Likud, mentre i simpatizzanti della Livni non hanno intenzione di sostenerlo. La Livni stessa nelle prossime elezioni si presenterà con un nuovo partito chiamato il Movimento (Hatnoà) al quale hanno aderito ben sette parlamentari di Kadima.

Ma come nelle storie più belle i colpi di scena non finiscono qui: Netanyahu aveva già minato dall’interno un altro partito storico, quello Laburista (Havoda), riuscendo a convincere il leader Ehud Barak (il Ministro della Difesa) a distaccarsi dal suo partito assieme ad altri parlamentari e a creare il nuovo partito Indipendenza (Azmaut).

I laburisti, dopo l’uscita di scena di Barak, scelsero alle primarie l’ex giornalista Shelly Yacimovich alla guida del partito. Quest’ultima, nonostante fosse nuova nella politica israeliana e nonostante non avesse esperienza nell’esercito (quasi un obbligo in Israele per diventare Primo Ministro), diede subito prova di aver la stoffa per diventare una grande leader. Tutti i sondaggi degli ultimi mesi, infatti, davano al partito dei laburisti quasi 20 mandati, fatto che lo avrebbe portato ad essere di nuovo al centro della scena politica israeliana. Ma presto i guai sono arrivati, Shelly si è dimostrata una donna autoritaria, ha preso alcune decisioni non ben viste da alcuni membri storici del partito – come l’annullamento dei seggi riservati alle minoranze e ai rappresentanti dei Kibbuz e l’allontanamento delle frange troppo di sinistra – ed ha così cominciato ad avere non pochi nemici all’intero del suo partito. Ma il vero dramma si è consumato con l’abbandono del partito laburista da parte dell’ex Ministro della Difesa, Amir Peretz, che che è passato al partito della Livni.

Confusione? Netanyahu ha giocato bene le sue carte adottando la strategia del divide et impera, arrivando alle prossime elezioni da vero favorito. Questo nonostante la rivolta sociale dell’anno scorso contro il caro vita, nonostante che ancora oggi i prezzi continuino ad aumentare, nonostante l’aumento dell’Iva che pesa soprattutto sulla popolazione di basso e medio reddito, nonostante abbia aumentato la tassa sulla benzina, e nonostante il fallimento colossale della guerra contro Gaza agli occhi della maggioranza degli israeliani che volevano che l’esercito israeliano entrasse a Gaza per raderla a suolo – fatto che da solo poteva portare alla caduta di qualsiasi governo in Israele. Ma è chiaro che, in assenza di un vero e proprio leader nell’opposizione, anche messe insieme tutte le pecche di Netanyahu non potranno portare alla sua sconfitta… almeno fino al prossimo colpo di scena!

Fonte: http://www.rifondazione.be

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