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Ucraina/Gaza: Un po’ d’ordine nella situazione globale.

di Piero Bevilacqua

Le sorti della guerra in Ucraina

Non lasciamoci fuorviare dai proclami e dalle irresponsabili dichiarazioni di guerra mondiale da parte di dirigenti della Nato, dai politici-pubblicitari e dai giornalisti padronali a pieno servizio. La “guerra americana” in Ucraina è perduta. Le nuove armi messe a disposizione dagli USA e dalla Nato non cambieranno le condizioni sul campo di battaglia. Come ha ricordato Putin in una intervista di qualche mese fa, in previsione di questa escalation: «ci faranno del male, certamente, ma non cambieranno le sorti del conflitto». I missili che colpiranno obiettivi in territorio russo produrranno morte e distruzione in questo o in quel luogo, ma l’esercito russo proseguirà il suo corso sul fronte ucraino. Il popolo russo è abituato a sopportare ben altre sofferenze. Gli attacchi occidentali avranno l’effetto di rinserrare i ranghi della popolazione e di renderla più impegnata nei compiti di produzione e difesa, rinsaldando lo spirito nazionale e il consenso a Putin e all’attuale classe dirigente.

Ricordiamo che la mira fondamentale degli USA e dei suoi alleati è, come voleva l’istituto di studi strategici USA Rand Corporation, in un rapporto del 2019, “Sovraccaricare e destabilizzare la Russia” con una lunga guerra di logoramento. Prospettiva a cui Mosca si è prontamente preparata, evitando di ripetere gli errori dell’Unione Sovietica, che era arrivata a impiegare il 13% del PIL in spese militari (finendo coll’implodere), e indirizzando l’economia verso lo sviluppo di tecnologie a doppio uso, bellico e civile e destinando solo il necessario alle spese di guerra. Non a caso di recente Putin ha sostituito il ministro della Difesa Sergei Shoigu, un militare, con un abile economista, Andrei Belousov. Nel frattempo le relazioni economiche russe si sono quasi tutte spostate verso le regioni dell’Asia e soprattutto della Cina, oltre che verso l’Africa e l’America Latina. Significativamente, sul fronte ucraino l’esercito impiega il minimo delle sue forze, per risparmiare vite e mezzi, sapendo che il tempo lavora per il collasso interno dell’Ucraina.

Appare evidente dunque che i nuovi armamenti inviati a Kiev faranno correre nuovi rischi all’umanità (la Russia non si farà sconfiggere e umiliare perché preferirà la distruzione universale alla sua sottomissione), ma non cambieranno il corso della guerra, che ha come obiettivo un nuovo assetto politico delle province russofone, una ridefinizione e sicurezza dei confini territoriali, la neutralità militare dell’Ucraina. Inventarsi mire espansionistiche della Russia – che ha il più esteso territorio statale del globo, con oltre 17 milioni di km2 per soli 160 milioni di abitanti – serve per far dimenticare la cocente sconfitta subita dall’Occidente, le bugie ridicole del giornalismo padronale e per far morire inutilmente altre migliaia di ucraini (e di russi) con la distruzione più o meno completa dell’Ucraina.

Nuovi scenari

Nel suo incontro con Putin, Xi Jinping ha affermato: «Siamo di fronte al più profondo mutamento degli ultimi 500 anni e siamo noi a guidarlo». In che cosa consiste questo mutamento?

1.La cosiddetta globalizzazione negli ultimi 30 anni ha cambiato i termini dell’economia mondiale. La delocalizzazione del capitalismo occidentale nei paesi del Sud del mondo, dove ha accumulato ingenti profitti grazie ai bassi salari locali, ha dato vita a una diffusa economia manifatturiera che oggi fa concorrenza ai paesi colonizzatori.
 
2.Queste economie, come quella cinese, ma anche indiana, brasiliana, vietnamita, ecc. si sono evolute o si stanno evolvendo verso l’alta tecnologia, ponendo le basi di una piena autonomia politica, finanziaria e anche militare. Il vantaggio competitivo di questi paesi, gran parte dei quali fanno parte dei BRICS, appare storicamente incontenibile per almeno due ragioni: a) lo slancio verso lo sviluppo e il benessere delle popolazioni; b) il ruolo strategico dello stato nel promuovere gli investimenti, regolamentare il mercato, tutelare la forza lavoro, indirizzare gli investimenti privati. Un’economia mista simile a quella che ha fatto il successo economico dell’Italia del dopoguerra e che l’Occidente ha abbandonato in preda al delirio neoliberistico.

3. Sul versante occidentale a tali fenomeni ha corrisposto un parallelo processo di riduzione o smantellamento delle manifatture nazionali. In USA i prodotti cinesi a basso costo hanno favorito i prezzi contenuti dei beni per i consumatori americani (limitando l’inflazione), ma hanno messo in moto un vasto processo di deindustrializzazione interna e di finanziarizzazione sempre più spinta dell’economia. La ricchezza di carta sostituisce la ricchezza in forma di beni. Questo fenomeno riguarda in varia misura tutti i paesi a capitalismo maturo. Si pensi alla vicenda della FIAT in Italia.

4.Sul piano politico le strategie neoliberiste, che hanno posto al centro il mercato ed emarginato lo stato, perché – come aveva sostenuto Reagan nel 1981 – esso costituiva “il problema”, hanno svuotato il ruolo dei partiti e perciò hanno ridotto la democrazia a un simulacro. Il potere è nelle mani dei grandi aggregati economico-finanziari, che dettano l’agenda ai governi, mentre i partiti, che un tempo rappresentavano gli interessi popolari e organizzavano il conflitto sociale, svolgono un compito subalterno di mediazione tra i poteri apicali e i cittadini, considerati solo nel loro profilo di elettori-consumatori.

Quali elementi di novità ha introdotto e sta introducendo in questo scenario la guerra in Ucraina e in Medio Oriente?

1. La fine della corsa espansiva degli USA. E’ vero che la NATO si è allargata e rafforzata, che l’Europa pare esserne diventata un’appendice subalterna, ma bisogna valutare a che prezzo e con quali
esiti ultimi.

2. La sconfitta militare degli USA nella sua guerra per procura con l’esercito ucraino contro la Russia, getta un’ombra di discredito sul suo prestigio imperiale. Essa segue a una sequela di disfatte: alla fuga dall’Afghanistan dopo 20 anni d’inutile sperpero di risorse e di vite umane, al caos tribale lasciato in Iraq e in Libia, al fallimento dei tentativi in Siria, ecc.

3. La sconfitta con la Russia, sia pure per interposto esercito, ma con armi di tutto l’Occidente, ha tuttavia un significato più vasto. Il tentativo di vincere la guerra calda dopo aver vinto quella fredda si è rivelato gravemente sbagliato. Ha mostrato al mondo che la dirigenza USA non aveva più il polso della situazione mondiale. Che le sue mire strategiche non sono più sostenibili.

4.In questi due anni di guerra, mentre si sono arricchite le industrie belliche americane (che spesso hanno venduto agli ucraini anche armi obsolete) la posizione debitoria degli USA verso l’estero corre verso il precipizio. Gli analisti calcolano attualmente in 4000 miliardi l’anno l’indebitamento corrente dello stato. Il tesoro americano stampa carta verde, ma ormai il timore del default è sempre più ampio. Significative le vendite di asset finanziari da parte della Cina negli ultimi tempi. Comunque vada a finire, due conseguenze sono evidenti: gli USA non possono più permettersi di fare i gendarmi del mondo per mezzo di carta, senza avere ricchezza reale alle spalle, il dollaro ha perso la centralità imperiale che deteneva da mezzo secolo. La retorica liberista viene smentita, come ci ricorda Emiliano Brancaccio, dal protezionismo dichiarato del friendshoring, cioè dello scambio alla pari solo con i paesi alleati.

5. Le sanzioni alla Russia hanno avuto un effetto rovesciato. Hanno spaventato tutti i paesi non allineati agli USA, spingendoli a uscire dalla sua orbita finanziaria, ha obbligato la Russia a una scelta strategica rivelatasi vincente. Putin ha scelto la strada dell’autosufficienza economica, indirizzando l’apparato produttivo verso le tecnologie prima acquistate dalla Germania e da altri paesi occidentali, ma ha reso autonomi anche gli altri settori, come quello alimentare, il più debole per tradizione, che costituiva un mercato fruttuoso per i prodotti italiani. Oggi la Russia sta sviluppando un’industria alimentare di prim’ordine.

6. Le arroganti minacce USA e Nato (che ha mostrato il suo ridicolo e irresponsabile dilettantismo nel suo maggiore rappresentante, Stoltenberg, già stolto nel nome) e le guerre in corso hanno spinto Cina e Russia a superare antiche divergenze e a stringere un’alleanza strategica che costituisce il nucleo di riferimento alternativo all’Occidente di una vasta parte di popoli del globo. Mentre era in corso la guerra in Ucraina e in Medio Oriente diversi paesi africani si sono liberati degli ultimi avamposti del colonialismo francese e la tendenza prosegue.

7. I cosiddetti BRICS, che costituiscono per il momento un aggregato molto eterogeneo e con non poche contraddizioni all’interno, hanno tuttavia un grande potere attrattivo fondato su due ragioni:
a) si pongono fuori dal campo aggressivo dell’impero americano sempre più impotente e sempre più sanguinario; b) offrono a tutti i paesi aderenti l’uscita dal dominio unipolare americano e l’approdo a un assetto multilaterale e alla pari delle relazioni internazionali. Condizione questa per lo sviluppo autonomo di ciascun paese, fuori dai vecchi vincoli coloniali, e base imprescindibile di un assetto pacifico del mondo su cui fondare una comune strategia di transizione ambientale e cura del Pianeta Senza questa condizione sarà impossibile intraprendere l’unica strada che può portarci a evitare o contenere il collasso della biosfera: un Costituzionalismo Globale, come quello teorizzato da Luigi Ferrajoli.

8. Il successo degli USA in Occidente ha il fiato corto e appare alla lunga controproducente. L’assoggettamento dell’Europa è in realtà un asservimento delle sue élites, non delle opinioni pubbliche, sempre più contrarie alla continuazione della guerra in Ucraina a cui oggi il massacro in corso a Gaza aggiunge una sempre più dispiegata avversione antiamericana. Ma la politica USA, la spesa in armamenti per sostenere Kiev, le sanzioni anti-Russia, la chiusura dei rapporti economici e commerciali, soprattutto della Germania, la fine degli approvvigionamenti di energia a buon mercato, hanno inflitto un danno troppo conclamato alle economie del Vecchio Continente. La Germania costituisce il caso più clamoroso. Al quale danno in entrata si aggiunge quello in uscita: la crescente compromissione del grande mercato di sbocco della Cina. Per l’Europa si è spezzato un modello economico vantaggioso, durato alcuni decenni, di acquisto a buon mercato di energia e materie prime e vendita di prodotti finiti ad alto valore aggiunto.

Consideriamo questa scelta suicida non più sostenibile da parte del ceto politico europeo la cui condotta autolesionista e servile nei confronti degli USA non ha più il consenso dei propri popoli. Tanto più che dopo due anni di guerra in Ucraina, durante i quali la Russia stava ogni giorno per crollare, i cittadini del mondo hanno sperimentato un fatto memorabile. Gli organi di informazione, i grandi media, sono apparsi nella loro realtà di un unico e gigantesco edificio costruito per manipolare l’opinione pubblica. Pure macchine pubblicitarie al servizio del potere economico e finanziario. Essi hanno infatti potuto verificare, come mai era accaduto in tutta la storia passata, che per due anni i media hanno mentito con ogni mezzo sulle sorti della guerra. Ma i cittadini europei hanno anche dovuto constatare che le menzogne erano costruite contro gli interessi dei propri paesi, per sostenere le mire belliche di un impero oltre Atlantico. E nessuna pagina di storia si è mai costruita con questa logica perversa: i gruppi dirigenti che spingono i propri popoli a operare in sostegno di chi li impoverisce e danneggia.

9. Infine. La perdita di credibilità dei grandi media costituisce un colpo formidabile all’impalcatura del potere capitalistico, che non a caso sta dando vita alla fioritura di canali informativi alternativi
che ridurranno la TV a mero intrattenimento pubblicitario e la grande stampa padronale a materiale del chiacchiericcio autoreferenziale della politica politicata. L’informazione dell’opinione pubblica troverà e sta già trovando altre strade di libertà e di verità.

Gaza e Medio Oriente

1. Chi condanna l’iniziativa sanguinaria e disperata del 7 ottobre da parte di Hamas dovrebbe tener conto che essa è stata giocata come forse l’ultima carta per tenere aperta una prospettiva di patria e di dignità al popolo palestinese. Com’è noto a Gaza, una prigione a cielo aperto, i palestinesi abbandonati da Abu Mazen e compagni, e soggetti alla costante umiliazione e violenza dell’esercito israeliano, non avevano più prospettiva di redenzione. Con gli accordi di Abramo tra Israele e i l’Arabia Saudita, mediatori gli onnipresenti USA; nell’indifferenza sovrana dell’UE, compresa l’Italia, antica amica del fronte arabo in Medio Oriente; dopo il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele da parte di Trump; con l’intensificarsi dell’occupazione violenta della Cisgiordania da parte dei coloni israeliani; in presenza di una vasta frantumazione degli insediamenti palestinesi, creata ad arte da Israele per impedire l’unità territoriale di un possibile stato sovrano, il destino di un antico e pacifico popolo appariva segnato alla consunzione e alla definitiva irrilevanza storica.

2. Quella sanguinosa apertura di una prospettiva statuale da parte di Hamas, che sta costando decine di migliaia di vittime ai palestinesi, ha conseguenze diverse, ma segna forse una svolta decisiva per la storia del Medio Oriente e un avvenire sicuramente fosco per Israele.
Non sappiamo quale precaria e provvisoria situazione territoriale e politica verrà trovata per i palestinesi, che tuttavia godono del favore dell’opinione pubblica mondiale, della mobilitazione della gioventù anche dei paesi occidentali, e oggi appaiono, come mai in tutta la storia passata, le vittime di uno stato terrorista e sanguinario, che viola il diritto internazionale e si fa beffa dell’ONU.

3. Ma il futuro più o meno immediato di questa regione appare destinato a cambiare profondamente i rapporti politici e militari finora dominanti. Grandissima parte dei parenti uccisi a Gaza diventeranno i militanti e anche guerriglieri di Hamas. Le nuove generazioni arabe, le prossime élites dei paesi che circondano Israele, saranno culturalmente plasmate dall’odio antiebraico e guarderanno sempre più decisamente agli USA come un potere nemico. Ma in questi mesi di guerra è accaduto qualcosa che la grande stampa ha camuffato, ma che ha allarmato chi doveva capire. La risposta dell’Iran all’attentato alla sua ambasciata, a Damasco, non è stato un fallimento, com’è stato strillato con giubilo, ma un sorprendente e inquietante successo. Quel paese, che oggi non vuole entrare in conflitto aperto con Tel Aviv e con gli USA, ha annunciato per tempo la sua ritorsione militare, sicché Israele ha potuto predisporre la batteria antimissilistica sorretta anche da alleati occidentali. Una semplice dimostrazione per salvare l’onore, ma al tempo stesso un segnale e un avvertimento di potenza balistica che mostra il grado di avanzamento tecnologico militare raggiunto da questo Paese. I droni iraniani, infatti, strumenti di morte costruiti dagli ingegneri a poco prezzo, hanno scatenato una tempesta sui cieli di Israele che ha esaurito in occasione dell’attacco, tutte le sue armi di difesa, con un costo che è stato valutato per un miliardo di dollari. Ma quando da Teheran sono arrivati i missili balistici essi hanno colpito con precisione millimetrica le basi militari israeliane cui erano destinati. Che tali missili abbiano mirato i loro obiettivi a oltre 1.500 km di distanza costituisce la prova che l’Iran ha raggiunto una potenza tecnologica e militare in grado di colpire Israele in maniera devastante. Ricordiamo che l’Iran è uno dei più grandi paesi del Medio Oriente, con un territorio di oltre 1 milione e 600 mila km2 e quasi 90 milioni di abitanti. Mentre Israele è un minuscolo stato di poco più di 22 mila km2, con 9 milioni di abitanti. Si aggiunga che Teheran, anche per responsabilità degli USA, si sta fornendo di un arsenale atomico (che secondo alcuni analisti possiede già) e si comprende bene che per Israele sta per terminare l’epoca dell’arbitrio militare eslege in Medio Oriente. La sua supremazia bellica, com’era prevedibile, compresa la deterrenza atomica, è alla fine (la globalizzazione delle merci, come vuole questo magnifico capitalismo, comporta   la globalizzazione delle armi e delle tecnologie di morte più sofisticate, compreso il commercio dell’uranio arricchito) e il suo futuro, malgrado la potenza omicida che sta mettendo in mostra a Gaza,è appeso al filo di una soluzione pacifica soddisfacente della questione palestinese. Bisogna dare una patria a questo popolo, che altrimenti alimenterà una guerriglia logorante e insostenibile. Questa è l’unica via di salvezza per Israele. Un coraggio politico e strategico di cui le classi dirigenti israeliane e grandissima parte del mondo ebraico internazionale sembrano oggi rovinosamente incapaci.

4. Il massacro in corso a Gaza aggiunge alla sconfitta americana nella guerra in Ucraina un’altra onta difficilmente occultabile. Gli USA sono corresponsabili del genocidio a Gaza, sia perché loro sono le armi che hanno ucciso almeno 35 mila civili, loro sono i divieti al Consiglio di sicurezza e all’Assemblea generale dell’ONU, che hanno impedito ripetutamente e sistematicamente il cessate il fuoco. Al tempo stesso gli USA vengono umiliati dal loro protetto che non accetta nessun condizionamento nella mitigazione del massacro della popolazione. L’impero che foraggia uno stato fuorilegge non è in grado di camuffare il proprio oltraggio al diritto internazionale e il proprio impegno genocida, ma non riesce neppure a chiedere al suo agente in Medio Oriente di coprire o mitigare le proprie responsabilità.

5. Quel che sta accadendo a Gaza infligge un colpo mortale alle retoriche sul cosiddetto mondo libero, fronte democratico, ecc. Oggi appare in filigrana la qualità della democrazia USA: Biden non può ridurre le dimensioni del massacro, premendo su Israele, perché i grandi banchieri ebrei minacciano di non finanziare la sua campagna elettorale. La vita di decine di migliaia di persone subordinata al calcolo elettorale di un presidente la cui elezione non cambierà assolutamente nulla nel destino dei cittadini statunitensi, non modificherà di un’oncia il grado di partecipazione degli americani alle decisioni che saranno prese dal Congresso, formato da parlamentari i quali hanno dovuto impegnare e sperperare una fortuna per essere eletti. Costoro contrarranno debiti morali e politici pesanti con i loro finanziatori, il mondo delle imprese e della finanza, e non certo con i loro elettori. Una democrazia davvero da prendere a modello e da esportare nel mondo per tenere alta la fiaccola della civiltà.

Qualche conclusione

Le guerre fanno fare passi indietro a tutta l’umanità e chi è costretto a indietreggiare di più sono le forze che ambiscono di cambiare il mondo. Quindi è difficile essere ottimisti per l’immediato futuro e la sinistra deve scendere a un nuovo livello di umiltà, di ricerca e di riflessione da cui riprendere una battaglia di prospettiva anticapitalistica.

Certo, in questi due anni l’UE ha manifestato la sua drammatica pochezza strategica e la sua servile subalternità agli USA. Rammentiamo che il Parlamento europeo – che mai ha avanzato una proposta di trattativa e di pace per il conflitto in Ucraina – ha votato per l’impiego di una parte di fondi del PNRR in armamenti, ed è rimasto silente e inerte mentre sulle sponde del “nostro” mare, a Gaza, si consumava il più atroce massacro di popolazione del XXI secolo. E francamente una realtà sovranazionale, l’UE, che ha tolto sovranità ai singoli stati per consegnarla – attraverso l’alleanza militare della Nato – a una potenza straniera, ha tradito dalle fondamenta ogni sua ragione di esistere.

E’ lecito tuttavia sospettare (e anche sperare) che da parte delle classi dirigenti europee, dietro tanta fuffa bellicista, si nasconda la consapevolezza (nel frattempo maturata e tenuta nascosta) della
necessità di costruire una difesa comune sempre più autonoma dalla Nato. Molte cose del resto concorrono verso questo esito. La sconfitta in Ucraina, l’inaffidabilità finanziaria e politica degli USA, che forse finiranno in mano a Trump, i vincoli autolesionistici di bilancio del patto di stabilità, il declino della Germania e la crisi del modello economico europeo, costringeranno l’UE a rendersi autonoma nelle spese militari e a fare i conti con una opinione pubblica sempre più sfiduciata e distante dai propri rappresentanti e dal ceto politico. Ma tutta l’UE, che ha sottratto in questi anni troppa democrazia ai cittadini europei, va discussa dalle fondamenta.

Purtroppo per la sinistra le prospettive sono francamente sinistre. La guerra ha diviso profondamente il suo fronte e soprattutto ha messo in evidenza, in una forma sorprendente e drammatica, l’analfabetismo culturale, il nulla di memoria e conoscenza storica, l’insipienza teorica di una gran parte di essa. Non aver capito le ragioni vere e profonde della guerra in Ucraina, l’aver accettato il racconto occidentale del disegno imperialistico russo, che faceva tappa in Ucraina per poi arrivare a Lisbona, ha svelato l’americanizzazione delle menti che tanto popolo e intellettuali di sinistra hanno subito in questi anni. Elly Schlein è l’ultima incarnazione di questo disastro culturale, che in politica estera la porta sulle stesse posizioni di una neofascista oggi presidente del Consiglio. Ma tali questioni hanno bisogno di altra sede e altro spazio.

FONTE: http://www.umbrialeft.it/editoriali/po-dordine-nella-situazione-globale

Ali Rashid: la testimonianza di una vita

di Michele Nardelli (*)

Un’intera vita. Lungo questo arco temporale, nel quale l’impegno politico si è imposto pressoché naturalmente tratteggiando le nostre esistenze, quella che Nelson Mandela ebbe a definire come “la questione morale del nostro tempo” ci ha nostro malgrado accompagnati.

Come una sorella maggiore che ti riporta alla nuda realtà velando di tristezza il tuo passaggio terreno, come un monito permanente a ricordarci di luoghi dove l’immane tragedia della seconda guerra mondiale, nel dolore delle vittime e dei loro cari come nella falsa coscienza dei tanti che scelsero di guardare altrove, non si era mai conclusa.

Quell’eredità, in assenza di un processo di elaborazione individuale e collettiva, non è affatto estranea al dramma delle nuove guerre che dilaniano il nostro tempo e all’inquietudine che pervade un presente che ci sta portando verso una nuova guerra mondiale.

Di quella eredità, la questione palestinese occupa, sul piano simbolico come nella sofferenza di un popolo, uno spazio grande. Ci riporta alle radici della cultura mediterranea; ci racconta che la mezzaluna fertile del Mediterraneo è la culla delle religioni monoteiste e il luogo dove nacque un profeta condannato a morire per le sue idee di fratellanza universale; ci rammenta del cinismo dei potenti (e noi europei fra questi) che l’antisemitismo l’hanno inventato e praticato prima, durante e dopo l’olocausto; ci ammonisce su come la dignità dei popoli sia insopprimibile.

Nel mio colloquio ininterrotto con Ali Rashid, nei frammenti di vita come nella ricerca comune di vie d’uscita per quella terra che risultassero almeno accettabili, questo sguardo insieme critico ed esigente è diventato un caleidoscopio sul quale misurare la deriva della nostra civiltà. Ad ogni piccolo passo in avanti, ne sono seguiti di ben più pesanti in direzione opposta. Contrariamente a quel che si pensa, il tempo non è galantuomo e le ferite lasciate senza cure non possono che generare nuove tragedie. Così oggi – come ha scritto Ali nei mesi scorsi – dilaga il nichilismo (1) .

In molti abbiamo sperato che l’Europa potesse rappresentare un’ancora per tutto il Mediterraneo e dunque anche per la sua Mezzaluna fertile, facendo prevalere finalmente – per usare la metafora di Albert Camus – il meriggio sulla mezzanotte 2 . Non è stato così e ancora una volta, ignara delle proprie radici, l’Europa ha lasciato il passo agli interessi nazionali, ai nazionalismi e al rinchiudersi in fortezza.

Ma l’Europa politica è un’idea di pace, o non è. Per questo, quando l’amico Ali mi ha chiesto cosa pensassi di una sua candidatura al Parlamento Europeo per “Pace, Terra, Dignità”, a prescindere dalla sua realizzabilità, ho per un attimo immaginato al significato che avrebbe potuto avere la sua voce nella più alta espressione della democrazia europea.

Da tempo con Ali stavamo ragionando attorno all’ipotesi di una sua autobiografia, come un contributo per rileggere la vicenda palestinese in controluce rispetto alla sua storia personale. La storia di un padre che fu fondatore dell’OLP, quella del bel borgo di Lifta a Gerusalemme vittima come la sua famiglia della pulizia etnica israeliana, di un bambino nato profugo nella diaspora ad Amman, di un giovane militante che ancora adolescente viene incarcerato per le sue idee e poi come figlio maggiore mandato a studiare da medico in Italia, del rappresentante degli studenti palestinesi in questo paese che nel tempo diviene vice ambasciatore di Nemer Hammad, di uno spirito libero che mal sopporta la deriva burocratica dell’Autorità nazionale palestinese, della scelta di mettere su famiglia a Orvieto con la nascita di Aida Clara, della controversa scelta di mettere fine alla sua attività diplomatica diventando cittadino italiano per essere eletto alla Camera dei Deputati nella legislatura più breve che abbia conosciuto la nostra Repubblica, degli anni della riflessione ma anche della solitudine. Un lavoro – quello autobiografico – che avrebbe un grande valore di ripensamento e di restituzione, che solo per il momento abbiamo messo da parte.

Senza dimenticare che di fronte ad un crescente scenario di guerra tutto si radicalizza e un approccio nonviolento fatica a trovare rappresentazione. Prevale – ed è comprensibile – il bisogno di non stare a guardare e riconosco che anche il palcoscenico elettorale debba essere usato per esporre le ragioni del dialogo e della pace.

Da qui il mio personale appello al voto per un amico fraterno come Ali Rashid. Una testimonianza che va oltre il riconoscimento di gratitudine verso una delle poche voci che, nel delirio della guerra e nella contrapposizione che induce, invita l’umanità ad “uscire dalla gabbia” 3 per ritrovare l’antica saggezza di un mondo oltre ogni confine.

FONTE: Michele Nardelli * Il mio fraterno amico Ali è candidato al Parlamento Europeo nella Circoscrizione Centro Italia per Pace Terra Dignità

NOTE:

1 Ali Rashid, Eppure una volta eravamo fratelli. In https://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=5000

2 Albert Camus, L’uomo in rivolta. Bombiani, 1957

3 https://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=5022

Ali Rashid, frammenti di vita

“Avevamo una casa di pietra bianca nel mio villaggio: Lifta, fondato 4.000 anni fa dai Cananei e conosciuta dai Romani come Nifta.
Il suo territorio si estendeva fino alla porta di Damasco e alla porta dei Fiori sotto le mura di Gerusalemme.
Poco lontano, mio nonno aveva un oliveto su una collina, oggi chiamata la collina francese, con olivi secolari. Mio nonno conosceva ogni olivo, a ciascuno aveva dato un soprannome.
Lì, avevamo una seconda casa, dove andavamo in autunno.

Da diversi anni, al posto dell’oliveto è sorto un quartiere residenziale per coloni dell’Europa centro-orientale, che non sanno distinguere un fico da un olivo.
Alcuni di quegli olivi sono rimasti in piedi come testimoni silenziosi delle guerre dei conquistatori. Guerre in nome di Dio o degli imperi, che cambiano nome, ma restano sempre le stesse.

Il Massacro di Deir Yassin del 1948 costrinse la gente a fuggire, creando la parte israeliana di Gerusalemme.
La mia famiglia riuscì a trasferirsi nella casa d’autunno.
Secondo i nuovi storici israeliani, per svuotare città e villaggi palestinesi ci fu sempre un massacro.
Lungo la strada Lifta-Romema fino a via di S. Giorgio, infatti, non si trovano più palestinesi.
Le loro tracce furono cancellate.

Nahlul è sorto al posto di Mahlul. Gevat al posto Yibat. Kifar al posto di Tell Shaman.

Anche i cognomi subirono lo stesso destino.

L’autorità giordana decise che il mio cognome, Al Rashid, doveva diventare Khalil.

Tre anni dopo, ridisegnarono i confini tra Giordania e Israele e la mia famiglia fu espulsa nuovamente verso un campo di rifugiati nel deserto giordano.

La nostra casa, con tutte le nostre cose, fu espropriata.
I nuovi arrivati trovarono una casa pronta e arredata, promessa loro da Dio. La nostra identità fu così definitivamente annientata.
La Palestina fu cancellata dalla carta geografica e spartita tra nuovi Stati nazionali creati dalle potenze coloniali europee, a misura dei propri interessi.

Generazioni di palestinesi sono nate e cresciute in queste condizioni.
Venivamo chiamati giordani e il semplice dirsi palestinesi o esporre la bandiera della Palestina era punibile con il carcere.

Quando avevo 11 anni, io, mio padre, mia madre, tre sorelle e un fratello più piccoli di me, vivevamo nel campo rifugiati in una tenda, trasformata lentamente in una casa di fango.
Il nostro sogno è sempre stato quello di tornare alla casa di pietra bianca di Lifta.
Grazie all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, abbiamo avuto accesso a istruzione e assistenza umanitaria.
A Zarqa, sul margine del deserto, ho camminato per ore ogni giorno per raggiungere la scuola.

Nel 1971, dopo il Settembre Nero in Giordania, fui arrestato e incarcerato per sei mesi perché figlio di un leader palestinese.
Avevo quasi 17 anni. Mia madre mi portava i libri in carcere perché voleva che studiassi. Sapeva che quella era la chiave per rendere liberi i suoi figli.
Nonostante le condizioni disumane della prigione, tra malattie della pelle e sporcizia, una volta liberato, passai l’esame di maturità. A quel punto la mia famiglia e la comunità decisero di mandarmi all’estero per studiare. Nonostante il ritardo per la consegna dei documenti, l’addetto culturale della ambasciata italiana mi prese in simpatia e fece di tutto per farmi partire per l’Italia e farmi arrivare a Parma, per intraprendere il mio percorso accademico.

Arrivai a Parma alle 4 del mattino, solo, con solo il nome di uno studente palestinese da incontrare. Seduto su una panchina vicino alla stazione, osservavo la gente che si affrettava al lavoro, in bicicletta o in Fiat 500.
Era una scena straordinaria, piena di vita, lavoro e diritti. Nell’ambiente accademico scoprii un mondo di conoscenza e opportunità. I libri senza censura e le discussioni del movimento studentesco mi avvicinarono alla libertà e all’impegno.

L’ingiustizia che abbiamo subito riguarda non solo le vite che abbiamo perso, riguarda la storia passata e il nostro presente.
Siamo stati raccontati da una potente macchina di disinformazione che non ha risparmiato nemmeno i libri di storia.

Ma la speranza è un obbligo morale, un faro di luce nel buio dell’ingiustizia e della violenza.

Continuo a chiamarmi Ali Rashid e continuo a sognare quella casa di pietra bianca.”

(Ali Rashid)

LINK al VIDEO: https://youtu.be/WVXzkv0lDCI?si=VPRN_W5yUzCs94qF

Assemblea! Per la Pace, la Terra e la Dignità – diretta web dal teatro Ghione di Roma


L’Appello

Noi sottoscritti, amanti della pace e più ancora della vita, sgomenti per gli sviluppi incontrollati della guerra d’Ucraina e per l’istigazione da parte dei governi a perpetuarla ed estenderla, sentiamo l’urgenza di un impegno personale e intendiamo riunirci in una pubblica Assemblea il 30 Settembre prossimo a Roma per promuovere un’azione responsabile volta ad invertire il corso delle cose presenti, istituire la pace e ristabilire le condizioni di un sereno futuro.

Rivolgiamo perciò un appello:

Ai pacifici, alle donne e agli uomini di buona volontà, ai resistenti perché nessun volto sia oltraggiato e la dignità sia riconosciuta a tutti gli esseri viventi, agli eredi di milioni di uomini e donne che hanno lottato per il lavoro, per l’emancipazione e per la libertà dal dominio pubblico e privato, a quanti si ribellano al sacrificio degli uni per il tornaconto degli altri, ai giovani che abbiamo perduto, a cui non abbiamo saputo garantire il futuro.
Ai credenti e ai non credenti, agli organizzati e ai disorganizzati, ai militanti di tutti i partiti, agli elettori di tutte le liste, agli assenti dalle urne e a quelli di deluse speranze, a quanti godono di buona fama e a chi soffre di una cattiva reputazione, agli inclusi e agli scartati.

Noi ci rivolgiamo a voi non perché siamo più importanti, ma perché siamo voi.
E vogliamo dare una rappresentanza a tre soggetti ideali che ancora non l’hanno o l’hanno perduta, a tre beni comuni: la PACE, la TERRA e la DIGNITÀ.

La Terra: è in pericolo, essa non è un patrimonio da sfruttare, un ecosistema da aggredire, ma la casa comune da custodire, da tornare a rendere abitabile per tutte le creature, da arricchire con i frutti del nostro lavoro e le opere del nostro ingegno.

La Dignità: è la condizione umana da riconoscere, restaurare e difendere. La dignità della libertà e della ragione, del lavoro e del tenore di vita, del migrante per diritto d’asilo e del profugo per ragioni economiche, del cittadino e dello straniero, dell’imputato e del carcerato, dell’affamato e del povero, del malato e del morente, della donna, dell’uomo e di ogni altra creatura.

La Pace: tutti dicono di volere la pace nel mondo, ma questa non si può nemmeno pensare se prima non finisce questa guerra in Europa, dunque è una seconda pace, ed è una bugia quella di chi dice di volere la seconda pace se non vuole e impedisce la prima. Noi sappiamo invece che la pace del mondo è politica, imperfetta e sempre a rischio. È assenza di violenza delle armi e di pratiche di guerra, vuol dire non rapporti antagonistici né sfide militari o sanzioni genocide tra gli Stati, implica prossimità e soccorso nelle situazioni di massimo rischio a tutti i popoli.

Il sistema di guerra è diventato il vero sovrano e comanda ogni cosa, pervade l’economia e domina la politica anche quando la guerra non c’è o non è dichiarata. È questa la ragione per cui la stessa guerra d’Ucraina non riesce a finire, benché in essa entrambi i nemici già ne siano allo stesso tempo vincitori e sconfitti e non finisce perché, così ben piantata nel cuore dell’Europa per rialzare la vecchia cortina sul
falso confine tra Occidente e Oriente, la guerra d’Ucraina, è funzionale o addirittura necessaria a quel sistema, e perciò gli stessi negoziati sono stati proibiti.

È esplosa con la funesta offensiva di Putin ma ha subito suscitato una reazione straordinaria avente lo scopo di dividere l’Europa su una frontiera di odio e di sangue tra Ucraina e Russia, così da lasciare agli Stati Uniti una potenza ineguagliabile, e la Cina come vero e ultimo nemico.

LA TERRA stessa è in pericolo, le politiche ecologiche sono sospese e rovesciate, il clima si arroventa e le acque si rompono. Già ora i Grandi col nucleare sfregiano la Terra (in Ucraina con le bombe ricche di uranio impoverito). Per i potenti della Terra si direbbe che non esiste il futuro.

LA DIGNITÀ delle persone e di tutte le creature viene negata e umiliata, a cominciare dalla dignità dei migranti che sono abbandonati al mare o vengono scambiati per denaro perché siano trattenuti nei lager libici o nei deserti tunisini.
A tutto questo noi diciamo NO. Siamo sicuri che se si potesse fare un referendum mondiale, la grande maggioranza dei popoli e dei cittadini della Terra direbbe NO alla guerra come salute dei popoli, NO all’entusiasmo per il massacro, NO alla competizione strategica per il dominio del mondo, NO alla sfida culminante dell’area euro-Atlantica con la Russia e con la Cina.

Noi non neghiamo rispetto e stima ai partiti e alle loro personalità più eminenti e non condividiamo la ripulsa e il discredito di cui oggi sono fatti oggetto. Il nostro è piuttosto un Partito Preso per la Pace, per la Terra e per la Dignità delle creature, senza riserve ed eccezione alcuna.
La prima occasione in cui tutto ciò sarà messo alla prova saranno le elezioni europee. Risuona per l’Europa la domanda gridata da papa Francesco: “Dove vai Europa?”. Dove stai navigando, senza la bussola della pace?

Il primo punto di un programma elettorale è per noi il rifiuto della creazione di un esercito europeo, erroneamente considerata, nell’attuale deriva politica, il naturale coronamento dell’unità europea. È invece il residuo di una cultura arcaica che ritiene essenziale per la sovranità il potere di guerra e il disporre di un’armata. Un esercito europeo sarebbe integrato nella Nato con gli Stati Uniti al comando, renderebbe permanente la guerra civile europea innescata dal conflitto in Ucraina e il pericolo di una deflagrazione finale in una guerra mondiale già di fatto iniziata.

È invece l’Europa che dovrebbe promuovere la riforma dell’Onu e una politica attiva per il disarmo, con l’inclusione del Brasile, dell’India e del Sudafrica, nazioni che formano i BRICS, nel novero dei Cinque Membri Permanenti del Consiglio di sicurezza. In tal modo la leadership mondiale sarebbe direttamente rappresentativa del 47 per cento (quasi la metà) della popolazione mondiale.

L’Europa ha interesse a sostenere l’opposizione del presidente brasiliano Lula alla supremazia mondiale del dollaro e a sottrarre la moneta e il debito al dominio delle banche private e alla speculazione liberista del mercato di carta per recuperare la sovranità perduta e riconsegnare i beni comuni ai cittadini.
Il sistema di guerra è incompatibile con la democrazia perché porta inevitabilmente a galla fascismi vecchi e nuovi.

Non ci affascinano i Palazzi ma i Parlamenti. Vorremmo una scuola che non trasformi i ragazzi in capitale umano, in merce nel mercato del lavoro, in pezzi di ricambio per il mondo così com’è, ma in padroni della parola, coscienti e cittadini. Si decida di rendere vero anche nei fatti che la guerra è ripudiata come il patriarcato, che si salvino per primi “gli ultimi”, perché solo in questo modo si salvano anche i primi. Amiamo l’Europa e l’Occidente ma non pretendiamo un mondo a nostra misura, tanto meno uniformato al modello di “democrazia, libertà e libera impresa”, che si è voluto esportare con le guerre umanitarie e per procura, consacrando così l’economia che uccide.

Per promuovere l’Assemblea del 30 settembre a Roma chiediamo a tutti di firmare questo appello continuando a camminare insieme.

Raniero La Valle e Michele Santoro

FONTE: https://www.serviziopubblico.it/

Francia-Italia. Rivoluzione passiva e attiva, liberalismo, trasformazione delle forze produttive e rivoluzione oggettiva e soggettiva sono all’ordine del giorno

di Pierre Assante

Gramsci, rivoluzione passiva e attiva, liberalismo, trasformazione delle forze produttive e rivoluzione oggettiva e soggettiva sono all’ordine del giorno. Le azioni sindacali e politiche sollevano la questione della rivoluzione passiva nella trasformazione delle forze produttive, nella trasformazione digitale e nelle sue capacità di produttività che sono sia liberatorie che alienanti nel capitalismo e nella sua attuale estremizzazione.

Penso che qualsiasi studio, qualsiasi sforzo di conoscenza per “capire il mondo” e “cambiarlo” (11a tesi su Feuerbach) debba partire dalla tendenza al ribasso del tasso di profitto e dalla crisi della sovra-accumulazione del capitale (Paul Boccara), e non attenersi al rapporto salario/plusvalore su cui si è basata la formazione della socialdemocrazia, ai suoi tradimenti politici nei confronti dei salariati e alle sue derive ultraliberali, nella misura in cui non ha più i margini “sociali” che aveva nei cicli di crisi decennali e che non ha più nella crisi di lungo periodo.

Penso che tutti gli studi e gli sforzi di conoscenza debbano partire dal “calo tendenziale del tasso di profitto” e dalla “sovra-accumulazione del capitale”, e passare attraverso approfondite analisi multidisciplinari dello stato attuale della società e della conoscenza scientifica per tornare ad esso e cercare di rompere il boicottaggio che sta subendo l’economia marxista della regolazione sistemica, un boicottaggio e una barriera protettiva messa in piedi da tempo dal capitale (contro Marx, tra gli altri) per salvarsi mentre il suo sistema affonda, trascinando a fondo l’intera società umana.

La “disaderenza concettuale” (espressione-concetto di Yves Schwartz) è una necessità. Come l’immagine del “letto” di Platone, che deve essere estesa oltre l’atto dell’artigiano all’intera costruzione sociale, la “costruzione mentale” è indispensabile alla “costruzione fisica”. È una proprietà umana peculiare di una specie pensante nata dalla mano, dall’utensile, dalla trasformazione della natura attraverso il lavoro secondo le esigenze umane di sopravvivenza, sviluppo, complessificazione, crescita e condensazione.

I momenti di aderenza-disaderenza-riaderenza concettuale sono individuali-sociali e collettivi-sociali nell’unità e nello sviluppo ineguale. I cicli “micro” e i cicli “macro” di disaderenza-riaderenza si combinano e possono raggiungere una catarsi sociale generalizzata quando lo stato delle forze produttive e le leggi-tendenze su cui si fondano entrano in sufficiente contraddizione e in sufficiente stato patologico con il tipo di organizzazione sociale che le ha determinate, in modo non deterministico, ma causale e in modi molto diversi.

Penso che sia giunto il momento di rivoluzionare il modo di vedere le cose che si è sviluppato a partire dalle norme del sistema capitalistico e dalle sue estremizzazioni (Capitalismo Monopolistico Globalizzato, Informatizzato Digitalmente, Finanziarizzato Globalmente).

La crisi di lungo periodo e la “rivoluzione passiva” (Gramsci) dei mezzi di produzione, la guerra sociale di posizione, ci offre e apre le possibilità: la transizione generalizzata e globalizzata alla guerra sociale di movimento (Gramsci) a partire dalle condizioni locali e nazionali per estendersi alla classe operaia, alla classe salariata e alle popolazioni mondiali, la costruzione di un nuovo tipo qualitativo di organizzazione sociale “corrispondente” alle nuove forze produttive, tecniche e culturali, umane, e alle loro possibilità di uscire dal ciclo D-M-D’ e dall’acquisto della forza lavoro che lo alimenta.

L’Italia è rimasta indietro nel suo sviluppo industriale, nonostante i progressi degli Stati rinascimentali e delle vecchie culture della Magna Grecia nel sud della penisola. Ha pagato il prezzo del suo progresso in termini di divisione rispetto alla formazione di Stati centralizzati e alla “forza d’urto” che questa centralizzazione consentiva loro; il dominio “inglese” e “francese” dello sviluppo industriale, a differenza di quello della “Spagna”, con l’accaparramento coloniale, estremamente crudele nei confronti dei popoli, e il conseguente ritardo industriale nel mettere in pratica le tecniche di navigazione della rivoluzione scientifica del Rinascimento. Tutto questo, detto in breve, va sviluppato.

Le vecchie culture sono spesso freni e resistenze allo sviluppo di nuove forze produttive.

Il Risorgimento era soggetto alla dominazione industriale borghese della Francia di Napoleone III. Per molto tempo, Italia e Francia sono state cugine strette, dal saccheggio da parte di Francesco I o Luigi XIV della cultura nata dalla rivoluzione passiva del XVI secolo alla formazione di una borghesia industriale di “grandi famiglie nazionali” sotto l’egida dell’unificazione del 1870 e della “Repubblica fondata sul lavoro” del 1946, dei suoi servizi pubblici e del partito comunista dei “Partigiani” e della “Liberazione dal fascismo”, 25 aprile 1945.

La monarchia sabauda, in alleanza-sottomissione alla borghesia francese e in opposizione alla formazione del capitalismo rurale centro-meridionale, darà impulso all’industrializzazione torinese, al socialismo italiano, e dopo e in occasione della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione d’Ottobre e delle sue premesse socialdemocratiche “maggioritarie”, alla rivolta operaia torinese e all’organizzazione dei Consigli dei Lavoratori.

Gramsci e Togliatti, fondatori del PCI, e Bordiga, l'”ala settaria”, erano immersi sia nella formazione della classe operaia centralizzata locale, decine di migliaia nelle concentrazioni operaie, sia nel bolscevismo russo, nella sua formazione come movimento egemonico, e nella Rivoluzione d’Ottobre, nei suoi limiti dell’irraggiungibile “educare, educare, educare” di Lenin, nella NEP abbandonata nel gelo staliniano. Questo non vuol dire che i popoli dell’URSS non abbiano fatto nulla, anzi, in tutti i campi la base rivoluzionaria e dialettica ha dati i suoi frutti (*), contro l’ideologia e l’organizzazione staliniana stessa. Nessun popolo deve essere sottovalutato!

Il fascismo italiano, basato tanto sull’industrializzazione liberale quanto sull’organizzazione fascista del capitalismo rurale sotto forma di grandi aziende latifondiste (vedi il film ‘900), e il movimento taylorista globale guidato dal capitale statunitense, avrebbero fornito l’occasione per una revisione, non del marxismo istituzionale, ma di un’estensione erudita, popolare e progressiva al servizio della militanza operaia, salariale e popolare (bis), della ricerca comunista in relazione ai processi mondiali dei popoli (tris).

I dieci anni di carcere di Gramsci, sulla base dell’accumulazione culturale personale precedente e dell’esperienza militante internazionale, gli consentiranno di avviare un grande ciclo di disaderenza-rilettura concettuale che trasformerà i Quaderni del carcere in una visione approfondita del movimento nella società.

È necessario a questo punto sottolineare quanto (bis) i liquidatori interni del PCI abbiano meccanicamente confuso e assimilato l’egemonia elettorale con l’egemonia di classe. La parentesi è chiusa.

I modi di pensiero si formano in infinita diversità, come le lingue (ma il pensiero si sviluppa prima del linguaggio, in rapporto dialettico con esso), dalla loro crescente contraddittoria fusione-diversificazione; fusione-diversificazione-crescita-condensazione. Essi (i modi) corrispondono alla biografia della persona nella storia dell’entità a cui appartiene. Esiste una “comunanza” nella formazione del “pensiero dell’entità” locale, nazionale e globale.

Ciò pone la questione della traducibilità dei pensieri e della loro trasmissione, nelle relazioni collettive, nelle analisi e nelle azioni collettive, nelle utopie operative e non operative che determinano, in modo non deterministico ma causale, la costruzione del futuro, della società che verrà, delle sue condizioni sufficienti o insufficienti per procedere. Gramsci ha posto la questione della traducibilità.

La nostra cultura, qui e ora, nel senso più ampio, riguardante tutte le attività umane e soprattutto quella del lavoro e della produzione, se si limita al franco-francese, all’etnocentrismo, non risolverà mai questa magistrale, ineludibile utopia operativa: “Proletari di tutti i Paesi, unitevi!”.

Sulla base di questa traducibilità, possiamo confrontare l’evoluzione di Marx giovane hegeliano verso una concezione “materialista dialettica”, attraverso la critica di Feuerbach, con quella di Gramsci attraverso Labriola, uno dei primi “marxisti italiani” nella cultura propria, nelle culture proprie dell’entità, delle entità italiane “concentrate o dissolte”.

Allo stesso modo, l’industrializzazione piemontese e i suoi effetti passarono attraverso un liberalismo con forti caratteristiche proprie che si ritrovano ancora nell’Italia di oggi e nell’ideologia di oggi. Il fascismo si ispirò direttamente al taylorismo e lo sviluppo economico del dopoguerra fu favorito da un compromesso storico piuttosto ingegnoso, anche se oggi criticato, da parte dei comunisti, con i suoi limiti sociali ovviamente, che conteneva elementi progressisti favoriti dal PCI, in un compromesso storico di lungo periodo (bis repetita) PCI-DC. In questo c’è anche un rapporto di cuginanza con la Francia, anche se il peso ideologico della religione, e l’ideologia nazionale idealista che ha formato, è molto diverso.

Il nazionalismo gollista nasce da una tradizione diversa e l’Illuminismo, pur essendo erede del Rinascimento italiano, compie un passo verso una nuova universalità che gli interessi di classe della borghesia non possono tuttavia accettare né all’inizio né alla fine del percorso. Galileo fu condannato dal Papa e Giordano Bruno al rogo. L’eredità del Rinascimento italiano fu migliore e più fruttuosa altrove che in Italia, nella scienza fondamentale e applicata, nella tecnologia e nella rivoluzione passiva e attiva. Il che non vuol dire che non siano stati fatti enormi progressi in Italia, e aggiungiamo nel Mondo, perché il mondo non si limita a queste due entità.

Anche lo studio di Stati Uniti, Russia e Cina non si limita a queste entità diverse e complesse, e l’analisi unitaria ad altezza di satellite e di microscopici “abbassamenti” (dobbiamo salire e scendere!) è l’unica tecnica di conoscenza sintetica e dialettica.

La rivoluzione liberale italiana all’indomani del Risorgimento fu segnata da due attori che a loro volta segnarono Gramsci: Croce e Gentile, lettori di Marx. Croce si oppose al fascismo sotto la bandiera del liberalismo, e Gentile mise in pratica il liberalismo nel regime fascista, ricoprendo persino la carica di Ministro della Pubblica Istruzione; per un filosofo fascista, l’istruzione pubblica non è un caso!

Veniamo ora ai rapporti di Gramsci con la Russia sovietica, la sua rivoluzione, il suo Stato, i suoi dibattiti originali che hanno preceduto lo stalinismo e lo hanno visto affermarsi.

Sulla scia del fallimento della rivoluzione del 1905, Lenin si propone, sull’esempio dell'”Anti-Dühring” di Engels, di ristabilire una visione del mondo, uno sforzo filosofico per comprendere la realtà al fine di cambiarla in meglio, piuttosto che per “cambiare tutto affinché nulla cambi”. A tal fine, scrisse “Materialismo ed Empiriocriticismo”. Questo studio si concentra sulle nuove teorie scientifiche sulla materia all’inizio del XX secolo che, secondo alcuni scienziati (in particolare quelli di destra), tendevano a confutare il materialismo come strumento di pensiero nella ricerca umana del sostentamento materiale e morale.

In questo dibattito, dopo la rivoluzione e durante la costruzione di uno Stato proletario, che non è l’obiettivo “in quanto tale” formulato dal materialista e marxista comunista Lenin, ma lo sviluppo nazionale del capitalismo regolato dall’egemonia della classe operaia, dei salariati alleati ai contadini, delle forze produttive in vista del socialismo, Bukharin scrisse un “Saggio di sociologia marxista”, il “manuale” di Bukharin, che era ben lontano dall’analisi dialettica e sintetica di Gramsci del processo di trasformazione oggettiva e soggettiva della società; di trasformazione storica concreta e non di trasformazione astratta di disaderenza concettuale senza ritorno.

E in questo dibattito si inserisce anche quello di Bogdanov, leader del Proletkult e discepolo del fisico Mach, già sottoposto alle gelide critiche di Lenin fin dal 1909, in “Materialismo ed Empiriocriticismo”.

Ho già detto cosa penso delle critiche mosse a Dietzgen per la sua visione (a mio avviso) corretta della realtà della materialità del pensiero, di questa attività concettuale della specie pensante-lavorante-produttrice che siamo. Questo non toglie nulla all’alto livello di coscienza giusta e di pedagogia popolare e operaia che “Materialismo ed Empiriocriticismo” contiene.

Tania, la cognata di Gramsci, che lo sostenne per tutta la vita e la prigionia, sia fisicamente che intellettualmente, gli chiese di tradurre un testo di Bogdanov, durante questo periodo di fondamentale dibattito, che poi si interruppe.

Si dà il caso che la fisica di oggi si basi sulle teorie di Mach, il che solleva interrogativi sia sui militanti dell’analisi e della filosofia marxista, del pensiero marxiano, sia sulla ripresa di crescenti tendenze “filosofiche idealiste” e antiscientifiche in tutti i campi e di tutti i tipi, in un momento in cui la crisi di lungo periodo della sovra-accumulazione e della svalutazione del capitale sta mettendo il mondo in pericolo e a rischio di non rinnovare il ciclo umano; tra l’altro, ci viene chiesto di limitare la produzione e l’uso di energia artificiale, per principio e per l’incapacità di sviluppare la ricerca necessaria a produrla su scala globale, in modo coerente e cooperativo, anche per rispondere alla crisi climatica, che ha strutturalmente bisogno di energia.

Non c’è bisogno di ricordare il legame tra il ciclo di vita dell’accumulazione del capitale e il criterio del P/C e dell’acquisto della capacità e della forza lavoro che lo alimenta.

L’Artificiale per intelligenza: che vergogna il termine intelligenza artificiale per una tecnica che il processo produttivo e il pensiero umano producono in unità. Fine delle parentesi!

La “Nuova Gazzetta Renana”: la politica di classe e le alleanze e i limiti delle alleanze sono già stati esposti da Marx ed Engels nella “Nuova Gazzetta Renana”, durante e dopo le rivoluzioni del 1848 e i loro progressi; e i fallimenti per quanto riguarda la classe operaia: il movimento democratico, il movimento operaio, le alleanze progressive e i compromessi e i limiti catastrofici.

Gabriel Chardin, in “L’insoutenable gravité de l’univers” (2018) solleva nuovamente la questione del principio di Mach. Dalla stesura di questo libro si sono accumulati nuovi dati nella nostra conoscenza della materia, così come nelle scienze della vita, della società e dell’uomo, che costituiscono un tipo di organizzazione transitoria della materia. A suo modo, Rovelli, scienziato del progresso, pone paradossalmente lo stesso tipo di problema, che solleva domande in entrambe le direzioni e a cui dobbiamo rispondere, relativamente.

Al livello più alto della conoscenza e della sperimentazione sulla materia, le tesi idealiste del primo Novecento e del primo XXI° secolo sono concordi. Ciò non mette in discussione l’ineludibile necessità e l’esigenza di una dissociazione concettuale nello sforzo di conoscere il reale, la realtà, attraverso ipotesi scientifiche fondamentali e sperimentali. L’unificazione della fisica quantistica e della relatività, compresa la relatività delle interazioni gravitazionali, è al centro sia dell’avanzamento della conoscenza sia della messa in discussione dello strumento del materialista dialettico, uno strumento che dobbiamo imparare, come in passato e in futuro, a utilizzare in contesti sempre nuovi nell’unificazione sintetica, sincronica e diacronica dei campi della conoscenza e dell’azione sociale che ne possono derivare o meno.

Unità e identità delle forze contrapposte che costituiscono il movimento nel movimento, l’accumulazione qualitativa, le microtrasformazioni qualitative nella macro trasformazione qualitativa. Ricerca di una salute sufficiente per procedere in modo praticabile e vitale nella produzione di beni materiali e morali necessari al processo di umanizzazione infinita e universale, al di là della stessa specie umana.

I limiti di Lenin rispetto allo stato delle scienze del suo tempo (come lo stato delle scienze al tempo di Marx ed Engels, ecc…) e la lucidità di Lenin, la sua capacità di costruire l’egemonia del progresso, la transizione verso una società senza classi non pongono la questione di fare tabula rasa, anzi. Né significa ignorare le derive storiche, “evitabili” o meno, e le loro conseguenze catastrofiche per la salute umana nel presente e nel futuro. “I morti afferrano i vivi”, ma i vivi reagiscono ed eventualmente procedono.

Una buona bussola per la disaderenza-rilettura concettuale è la migliore conoscenza possibile dei Bisogni Umani, dei bisogni sociali, delle loro complessificazioni, della crescita della condensazione necessaria e dell’organizzazione sociale come utopia operativa che la rende possibile, ipoteticamente e urgentemente. Il SEF, l’uso alternativo della creazione monetaria, l’autonomia dell’individuo all’interno della dipendenza sociale, l’autogestione delle entità e dell’entità globale di produzione e scambio, la coerenza e la cooperazione globale in risposta alla guerra economica e militare sono momenti di transizione verso una trasformazione sociale qualitativa realizzabile. Questo è presente nella protesta sociale, contro la coercizione sociale e padronale, per i redditi transitori contro l’alienazione dei bisogni e dei loro processi, dei desideri e dei prodotti umani che li soddisfano, e nello sforzo di introdurre maggiori e migliori contenuti qualitativamente trasformativi e praticabili.

Il boicottaggio da parte del capitale e l’autocensura professionale della conoscenza della sovraccumulazione e della svalutazione del capitale si trovano in tutti questi tentativi di comprendere il mondo. Non ne usciremo senza rompere questo boicottaggio, e questa rottura dipende proprio dall’alleanza oggettiva delle forze produttive di cui la coscienza umana è parte, essendo la lotta di classe una parte organica di questa coscienza eventualmente salvifica.

Gramsci morì nel 1937 dopo dieci anni di carcere e di abusi. Alcuni hanno cercato di trasformarlo in un dottrinario del marxismo “occidentale” contro il marxismo “orientale” (vedi Losurdo). Al contrario, egli ha tratto dall’esperienza russa le proprie convinzioni e il loro movimento, e la propria azione, la propria conoscenza ed esperienza per il futuro di ciò che ha contribuito a creare in salute, quando ne aveva così poca. Sapeva come fare delle “differenze” le condizioni per relazioni di sostegno e di amicizia. Non era il solo, naturalmente, ma…

È stato prima di tutto un dirigente politico, un comunista, un umanista, un creatore, eminentemente onesto e devoto (non è una formula moralistica), a costo della propria vita, lui la cui vita umana era un motivo e una prova dell’esistenza universale, cercando vie d’uscita per il movimento operaio e popolare nazionale, nel contesto degli sviluppi mondiali, dell’umanità, della malattia del processo umano indotta dalla forma di sviluppo capitalista, e dopo che questo sviluppo aveva raggiunto i suoi limiti e i pericoli vitali che questi limiti comportavano.

Pierre Assante

(Ex-secrétaire de section PCF. Ex-militant syndical national. Adhérent du PCF depuis avril 1963)

(07/06/2023)

Traduzione: Fernando Vergani/Cambiailmondo

FONTE: http://pierre-assante.over-blog.com/2023/06/france-italie.revolution-passive-et-active-liberalisme-transformation-des-forces-productives-et-revolution-objective-et-subjective-sont-a-l-ordre-du-jour.html

Cet article fait suite à “L’alternative vitale” :ici

http://pierre-assante.over-blog.com/2023/05/critique-de-la-critique-critique-et-revolution-scientifique-et-technique.html

MONI OVADIA denuncia l’ennesima censura (questa volta dell’ANPI di Torino) contro pulizia etnica, razzismo e discriminazione condotta dal Governo israeliano.

IL 17 gennaio era stato organizzato in Val Di Susa un incontro ad Almese con Ahmed Abu Artema , Poeta e giornalista pacifista fondatore della Grande Marcia del Ritorno.L’incontro è stato organizzato da Progetto Palestina , BDS Torino, Anpi Avigliana e Anpi Valmessa. Tuttavia a 4 giorni dall’evento le due sezioni Anpi hanno annullato la loro partecipazione avendo ricevuto un diktat dalla Presidente provinciale Anpi Maria Grazia Sestero. Continua a leggere

Wikileaks, gen. Mini e amb. Bradanini: “Liberate Assange, ha detto solo la verità”

di Rossella Guadagnini (ADN-Kronos)

E’ fissata a febbraio la prossima udienza per la richiesta di estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti: se venisse accettata il fondatore di Wikileaks potrà essere trasferito in un carcere americano, dove lo aspettano un procedimento con 18 capi di imputazione e una condanna a 175 anni. Nel caso che il 48enne giornalista australiano venisse estradato non avrà più la possibilità di tornare indietro e probabilmente morirà in carcere. Continua a leggere

Se l’aereo del governo entra in stallo è destinato a precipitare

di Alfiero Grandi

La destra è in difficoltà, a partire da Salvini che ora ammette di avere fatto errori e sottovalutato le conseguenze della crisi di governo. La tenuta dell’alleanza di centrodestra è precaria e l’estremismo di Salvini, che arriva ad aprire le porte della manifestazione del 19 a casa pound, ha suscitato reazioni che confermano che la svolta verso una destra estremista egemonizzata dalla Lega non è apprezzata da una parte dello schieramento. Anche i toni iperpropagandistici e approssimativi sono indice di una difficoltà politica e anzichè rassicurare generano ansia che si aggiunge a quella che già esiste nel paese, ed è tanta. Continua a leggere

La “guerra dei dazi” è solo all’inizio

di Claudio Conti (da contropiano.org)

L’emersione di una certa classe politica è sempre l’indice di una “necessità storica”, non uno scherzo del destino cinico e baro. Anche e forse soprattutto quando questa classe politica è “impresentabile” secondo i canoni politically correct della fase che si è chiusa.

Vale per i Salvini e le Meloni, vale a maggior ragione per Donald Trump o Boris Johnson. Se Stati Uniti (l’imperialismo in crisi) e Gran Bretagna (l’imperialismo dominante fino a metà Novecento) si sono ridotti a far salire sul trono temporaneo personaggi del genere è perché questi pagliacci – in modo sicuramente miope e contorto – rappresentano un’esigenza neanche tanto confusa di “cambiamento” rispetto al tran tran precedente. Continua a leggere

Il racconto di Sandro, ospite in Venezuela della comunità italiana. “Pasta, olio e mandolino… contro diritti, salario e patria libera e grande”.

Riceviamo e pubblichiamo – Non si tratta di un servizio giornalistico strutturato ma forse proprio per questo offre una prospettiva che sarebbe da approfondire, sulle caratteristiche di parte della collettività italiana presente in Venezuela.

Sovranità, patria, popolo.

Premetto che nei confronti del Venezuela non avevo alcun preconcetto ideologico e neppure ero faziosamente a favore per presunte affinità ideologiche. Ci sono semplicemente andato per trovare parenti, per staccare dalla società in cui vivo e per toccare con mano la realtà… senza filtri di giornalisti o presunti tali che seduti al caldo, magari da New York, con i loro occhi prezzolati sputtanano o pontificano “a favore o contro” chi è in Siria, Iran, Argentina, Bolivia, Nuova Delhi o qualsiasi altra parte del mondo. Continua a leggere

Wikileaks rivela i garanti politici degli interessi USA in Italia

di Francesco Galofaro

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Purgatorio, VI, 76-78.

L’Espresso e Repubblica mantengono da tempo un archivio on line di documenti segreti o riservati “spifferati” da Wikileaks e che riguardano l’Italia [1]. Si tratta per la maggior parte di cablogrammi dell’ambasciata americana. In questo archivio si trova di tutto: dal caso Calipari ai tentativi italiani di salvare gli USA dalle inchieste della corte dell’Aia al rapimento di Abu Omar. Emerge un ritratto a tinte fosche dei protagonisti della storia recente, specie a confronto con le immaginette oleografiche proposte dalla stampa nostrana. Continua a leggere

Il Bitcoin e lo scontro ideologico intorno alla moneta

di Tonino D’Orazio

Da un lato vi sono le banche, dall’altro il tentativo di liberarsene, per quanto possibile. Tutti i mass media nostrani sono chiamati a raccolta per definire questa moneta virtuale, il Bitcoin: una nuova bolla speculativa. Può darsi, ma è sicuramente equivalente a quella reale, e non terminata, del sistema bancario mondiale gestito  da quello americano. Ovviamente, che sia un bene o un male, il Bitcoin sconvolge una serie di “valori totalitari” del sistema attuale sul valore della moneta e sul suo utilizzo, visto che è nata per questo, ma anche sul suo possesso, che per la prima volta ridiventa personale (e di nessun altro), se non dell’ algoritmo che lo crea. Continua a leggere

Michael Hartmann: Le élites europee ad un bivio di paradigma

“Corbyn come Thatcher: può avviare una rivoluzione tra le élite”. Intervista al sociologo Hartmann (di Alexander Ricci da Il Salto)

Michael Hartmann è un noto sociologo e politologo tedesco. Nel corso della sua carriera accademica si è occupato della trasformazione delle élite europee e globali, un tema trattato anche nel testo “The sociology of elites” (Routledge, 2006). Il suo ultimo libro si intitola “Le élite economiche globali. Una leggenda” (Campus Verlag, Francoforte sul Meno, 2016), monografia che sfata il mito della mobilità assoluta dei fattori produttivi e della delocalizzazione.  Da Thatcher a Corbyn, passando per Podemos, Syriza e gli euroscettici: un dialogo con Il Salto su 30 anni di mutamenti nella classe dirigente europea.

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Wolfgang Streeck: Solo negli stati nazionali può esserci vera democrazia

Thomas Isler intervista Wolfgang Streeck

Il futuro, sostiene il sociologo tedesco Wolfgang Streeck, appartiene allo Stato-nazione e non agli organismi sovranazionali. Solo all’interno degli Stati-nazione può essere esercitato un vero potere di controllo democratico.

Wolfgang Streeck (Lengerich, 1946) è stato dal 1995 al 2014 direttore del Max Planck Institute per la ricerca sociale di Colonia, oltre che membro del partito socialdemocratico tedesco (SPD) per molti anni. Tra i suoi lavori recenti, ricordiamo How will capitalism end? (Verso Book, 2016) e Tempo Guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico (Feltrinelli, 2013).

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Papa Francesco: Il discorso sul lavoro all’Ilva di Genova

A moment of Pope Francis’ encounter with the workers of Ilva’s establishment, Saturday, at Cornigliano, a district of Genoa, Italy, 27 May, 2017.
ANSA /LUCA ZENNARO

INCONTRO CON IL MONDO DEL LAVORO: DISCORSO di Papa Francesco allo Stabilimento Ilva di Genova – Sabato, 27 maggio 2017 Continua a leggere

La mia Europa

fine-europadi Tonino D’Orazio

Questa Europa è un disastro totale. Politico, culturale e sociale. Ha perso qualsiasi idealità. La baracca, costruita sull’egoismo dell’euro si sta sfasciando, pezzo per pezzo. Ci sono paesi che vorrebbero scappare ma non possono, o comunque non possono essere quelli più asserviti a farlo. Altri lo stanno decidendo a pezzettini, tirando la corda delle regole un po’ di qua, un po’ di là. Non ubbidisce più nessuno alle regole, eccetto quelle pregnanti della Bce. L’immigrazione clandestina o meno ha finito per sgretolare il bunker neoliberista. Diceva qualcuno: l’Unione imploderà dall’interno, a causa delle sue contraddizioni. Continua a leggere

La Repubblica di tutti gli italiani: Costituzione, diritti e lavoro dell’Italia migrante

Faim1° Assemblea Congressuale FAIM – 29 Aprile 2016 – Sala Fredda, Via Buonarroti, Roma – La Repubblica di tutti gli italiani:  Costituzione, diritti e lavoro dell’Italia migrante – La Relazione introduttiva di Pietro Lunetto, del Comitato di Coordinamento.

Si è svolto oggi a Roma il primo congresso del Faim (il Forum delle Associazioni Italiane nel Mondo) che raccoglie una base associativa di oltre 1.500 associazioni territoriali diffuse in tutti i maggiori paesi di emigrazione italiana. Presentiamo di seguito il testo integrale della relazione introduttiva presentata da Pietro Lunetto, de La Comune del Belgio, una associazione di mutuo soccorso dei giovani migranti italiani in Belgio.

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Europa e “Mezzogiorni”

Mezzogiorno_d'ItaliaQualche settimana fa abbiamo posto delle domande a Joseph Halevi su crisi, Europa e “mezzogiorni”. Abbiamo cominciato dal tema più attuale e più discusso, quello della crisi europea. Oramai, dopo l’accettazione dei memoranda da parte del governo Tsipras e dopo la sconfitta dell’ala sinistra di Syriza, si parla poco della Grecia. Si discute di un’ulteriore sforbiciata delle pensioni greche, tra le più basse d’Europa, su suggerimento delle istituzioni europee. Considerato che la strategia della “disobbedienza dei trattati” non è attuabile, abbiamo chiesto a Halevi come possono reagire le sinistre europee (quello che ne rimane) evitando la degenerazione nazionalistica degli apologeti della svalutazione e della monetizzazione dei disavanzi. La sua risposta, ricca ed intensa, sarà pubblicata in due parti. Ne proponiamo la prima.

Di seguito la risposta di Joseph Halevi. Continua a leggere

Europa: Il teatrino sul Titanic

eurotitanicdi Roberto Musacchio

Lo scambio di accuse e di battute e’ ormai quotidiano. Renzi e la UE se le mandano a dire di santa ragione. Per chi e’ abituato ai teatrini italici l’idea e’ quella di un gioco delle parti. Uno degli uomini, e dei governi, interpreti dei voleri della Troika e del pilota automatico manda in scena ora il repertorio del Partito della Nazione, quello che alza la voce e sbatte i pugni. D’altronde in tanti in Europa in questo momento riscoprono le loro prerogative di capi di Stato in particolare nell’orrida gara a chi si comporta peggio con i migranti. Continua a leggere

“BRAVO” CAMBIAILMONDO, ma non come i Canuts !

canuts-musee-lyon-gadagnedi Pierre Assante (Marsiglia)

Lo leggo ogni giorno e sono interessato ai diversi punti di vista che si esprimono e alle diverse visioni dell’Italia e del Mondo, che ci fanno uscire dal dominante suono di campane. Faccio una piccola osservazione su un punto sviluppato da qualche partecipante a questo sito dando succintamente il mio modo di vedere il problema dell’ Europa e dell’Euro: come si può pensare che il Capitale sarebbe più clemente con una Grecia, un’Italia, una Francia che tornasse alla moneta nazionale o/e che uscissero dall’Unione Europea ? Continua a leggere

Sveglia a sinistra: “Il nostro piano per rompere con questa Europa”

Stefano-Fassinadi Stefano Fassina, Yanis Varoufakis, Oskar Lafontaine, Jean-Luc Mélenchon (DIRETTA VIDEO QUI dalle 16,30 di sabato 12)
Il 13 luglio scorso, il governo democraticamente eletto di Alexis Tsipras è stato messo in ginocchio dall’Unione europea. “L”accordo” del 13 luglio è stato in realtà un coup d’état, messo in atto attraverso la chiusura delle banche greche indotta dalla Banca centrale europea, con la minaccia che non sarebbero state riaperte finché il governo non avesse accettato una nuova versione di quel fallimentare programma. Il motivo? L’Europa ufficiale non poteva tollerare che un popolo prostrato dalle sue politiche di austerità auto-distruttiva osasse eleggere un governo determinato a dire “No!”. Continua a leggere

Grecia: ora un referendum europeo contro l’austerità

referendum europeodi Fabio Marcelli (da Il Fatto Quotidiano on line)

Il grande valore del pronunciamento greco di domenica è stato quello di ridare la parola e la voce al popolo, in un contesto di oscura e antidemocratica tecnocrazia, nel quale economisti e sedicenti tali, dopo aver provocato con le loro folli teorie la crisi economica e finanziaria della fine del decennio discorso, vorrebbero continuare con incredibile faccia tosta sulla stessa strada. In realtà, come si è visto, i veri economisti, da Krugman a Piketty, da Galbraith a Stiglitz, si sono schierati senza se e senza ma al fianco del governo Tsipras e del popolo greco. Dalla parte dei cravattari di Berlino e Bruxelles sono rimaste le mezze figure, gente che più che il titolo di economista meritebbe forse quello di ragioniere, con tutto il rispetto che questi ultimi meritano, ovviamente. Continua a leggere

ITALIA, LA BORGHESIA “VENDEDORA”

borsa-milano_medium1di Agostino Spataro
1… C’era una volta in Italia una borghesia che da “compradora” è divenuta “vendedora”.
Ho usato questo incipit non per il vezzo di parafrasare il titolo del bel film di Sergio Leone *, ma solo per evocare quell’atmosfera e narrare la “favola” triste di tale mutazione ai giovani che, spesso, non comprendono le ragioni per le quali nel nostro Paese si continua a privatizzare, a vendere a stranieri pezzi pregiati della nostra industria, quartieri e alberghi di lusso, società di calcio, ecc. Continua a leggere

PAESE (o parlamento) DI MERDA

Moni-OvadiaRiconoscimento Palestina, Moni Ovadia: “Politici vigliacchi, rimpiango Andreotti”

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Convegno a Colonia su: nuova emigrazione dal sud e dall’est Europa e politica sociale europea

nuova emigrazione colonia-1Venerdì 2 maggio il Circolo Offene Welt – Mondo aperto, insieme e a FIEI, Filef e UIM Colonia organizza un’iniziativa volta ad analizzare e suggerire nuove proposte a livello di diritti e politiche sociali partendo dalla discussione sui nuovi fenomeni migratori dal sud e dall’est europeo. Continua a leggere

Estrema destra, paure, larghe intese e assenza di prospettive in Europa

europa-disgregazionedi Tonino D’Orazio
L’ascesa elettorale, con alte percentuali, delle destre estremiste, è utilissima a fomentare la paura del fascismo e dell’autoritarismo in larghi settori delle popolazioni europee. I sondaggi aiutano i governi a organizzarsi al centro, sempre più frequentemente con grandi coalizioni. La paura dei comunisti per il momento è passata, si fa per dire, anche se potrà risultare di nuovo utile in futuro. Per stare al centro bisogna isolare parimenti le aree politiche laterali, facendole vivere, ma possibilmente, demonizzandole. Democraticamente. Bipolarmente. Continua a leggere

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