di Gabriele Giorgi
La posizione del governo inglese che punta alla “immunità di gregge” conquistabile con circa 400/500 mila decessi da coronavirus, invita a tentare di chiarire qual è la posta in gioco.
Bisogna premettere che l’approccio anglosassone è stato preceduto da quello USA, contraddistinto da una ampia omertà sui casi di polmoniti atipiche (almeno 30mila) registratesi già a fine 2019 sul territorio statunitense che avrebbero portato alla morte oltre 20.000 persone già prima di fine anno.
Omertà confermata dalle dichiarazioni della governatrice dell’Ohio che due giorni fa ha affermato, per prima, che i casi reali di contagio presenti soltanto nel suo stato, sono già circa 100mila.
La linea “inglese” viene quindi già percorsa da diversi mesi in alcuni paesi, in primis dagli USA.
E’ importante capire cosa significa “immunità di gregge”. Essa nasce dalla previsione che il coronavirus, sia pandemico e endemico, cioè permanente. Che si ripresenterà ogni anno, analogamente a quanto accade con le normali influenze. E che quindi, non c’è modo di ostacolarlo o di combatterlo in modo diretto.
L’unica possibilità quindi, è che una parte maggioritaria della popolazione sviluppi anticorpi in grado di contenerlo.
Questa ipotesi prevede che le mutazioni del virus non siano decisive. Se lo fossero, l’immunità di gregge lascerebbe il tempo che trova, cioè non risolverebbero il problema. (Le numerose mutazioni già registrate indicherebbero una sua alta capacità di mimesi).
Ma magari, col tempo necessario, si potranno sviluppare diversi vaccini di volta in volta, analogamente a quanto si fa con le più normali influenze.
Quindi, nella scelta inglese vi è una opzione essenzialmente a breve termine, più che di lungo periodo:
considerato che il primo vaccino arriverà troppo tardi, meglio non accanirsi in ingenti operazioni di salvaguardia della parte di popolazione a rischio o anziana. E però è opportuno convincere l’opinione pubblica che ci stiamo predisponendo a scenari di lungo periodo.
Nel frattempo, nel giro del primo anno, avremo:
1), risparmiato risorse importanti altrimenti scarsamente efficaci;
2), rafforzato la popolazione ed eliminato il peso sociale ed economico rappresentato dai più anziani;
3), ricondotto ad equilibrio i bilanci degli enti assicurativi e pensionistici;
4), aumentato la proporzione tra popolazione giovanile e popolazione anziana, come condizione per un futuro rilancio dei consumi e dello sviluppo.
Possono esserci diversi altri corollari (tra cui quelli evidentemente geopolitici generali e congiunturali legati alla Brexit e al progetto di rinascita nazionale e imperiale inglese) in questa scelta, ma quelle centrali possono essere quelle indicate. Che non riguardano solo la Gran Bretagna e gli USA, ma anche altri paesi di mezzo dove convivono e si scontrano culture diverse: per esempio Germania e Francia.
Il problema di tutte queste varianti è il confronto con la Cina. La Cina sembra aver dimostrato che una forte capacità di mobilitazione statuale fondata su ancestrali principi di solidarietà comunitaria che prescindono ed anzi ordinano il mercato, può risolvere il problema del contagio. Di questo contagio e anche di contagi futuri (quelli su cui investono e scommettono gli anglosassoni).
Il terreno della scommessa è uno: la concezione della storia e della costruzione della socialità. La cultura cinese, la più antica società organizzata del pianeta, è fondata sul riconoscimento della accumulazione dei saperi attraverso le generazioni. Organizzare questi saperi (ivi inclusa la capacità di imparare laicamente dagli altri) in modo non per forza subalterno ad altre logiche, ha portato questo paese nel giro di poco più di mezzo secolo da uno stato di povertà estrema a quello di superpotenza economica e tecnologica. La guida statuale (sui generis democratica e certamente pragmatica) di questo processo è stata la variabile decisiva.
In questa visione è stato conservato il riconoscimento di saperi ancestrali trasmessi via via dalle generazioni che ci hanno preceduto, a partire dal Confucianesimo. Gli anziani dell’attuale generazione (molto meno anziani di noi, mediamente) costituiscono il punto di trasmissione di questi saperi.
Si tratta di una visione che ha punti significativi di contatto con quelli di paesi altrettanto antichi: per esempio l’area persiana e quella latina. O di altre culture “indigene” nelle quali il sapere ancestrale è fondativo delle rispettive socialità.
La impressionante evoluzione della divisione del lavoro, dei saperi specialistici e della capacità produttiva settoriale manifestata dalla Cina negli ultimi 40 anni non è in contraddizione con la sua capacità di ricondurre ad unità valoriale e ad orientamento culturale, la potenza dell’agire di grandi masse di lavoratori e di imprenditori. Il nuovo Principe è il timone, la rotta che si intende seguire.
Lasciamo per un momento da parte le infinite contraddizioni di questo processo che comunque seguono le stesse linee di sviluppo dei paesi occidentali che hanno avviato il processo di parcellizzazione produttiva ben 150 anni prima nell’occidente, ivi inclusa la questione ambientale, la quale, in ogni caso andrebbe proporzionata al numero delle persone coinvolte in tale processo. Sono questioni che restano in gran parte irrisolte e con cui qualunque sia l’umanità che sopravviverà alla pandemia dovrà confrontarsi senza possibilità di alternativa.
Torniamo alla duplice opzione sul contenimento della pandemia: quella proposta dai cinesi (ma anche da italiani e spagnoli) e quella che sta emergendo con variazioni, dal mondo anglosassone.
L’immunità di gregge proposta da Boris Johnson implica l’assunzione della distruzione del patrimonio storico-culturale dei soggetti più esposti alla pandemia come conseguenza collaterale e secondaria di altri obiettivi che evidentemente sono ritenuti capitali: quali sono le considerazioni di fondo e quali sono questi obiettivi?
a), non si possono destinare risorse enormi a salvare gli anziani e le categorie di popolazione più a rischio. Lo scarto è scarto e può essere sacrificato.
b), se ci togliamo dalle scatole lo scarto, avremo più risorse per altro: cos’è l’altro ? È la massimizzazione dell’investimento su altre componenti della popolazione che sono più produttive e capaci di costruire ricchezza.
c), tolto lo scarto e avendo più disponibilità di risorse per la futura ricchezza, il paese sarà un competitor più agguerrito nella competizione globale.
d), la nuova popolazione con età media più bassa, potrà competere meglio con altri paesi che l’occidente globalizzato ha messo nella condizione di divenire sede di delocalizzazione competitiva per la massimizzazione del profitto.
e), dunque una correzione degli errori fatti (dall’occidente) può essere risolta recuperando un “equilibrio” nella composizione delle fasce di età della popolazione.
f), la “correzione” tra fasce di età serve anche a tranciare la trasmissione del residuo sapere storico-sociale tra le generazioni, cassando le componenti ritenute residue o ostative.
g), il recupero di percentuale di giovinezza delle popolazioni può rilanciare lo sviluppo in termini di investimento privato e di nuova accelerazione del consumo – superfluo – legato alle condizioni “ormonali” dei soggetti. La super-accumulazione ritroverebbe uno spazio. L’asticella della crisi sistemica viene posticipata.
h), e può consentire una ristabilizzazione della logica del capitalismo finanziarizzato ed estrattivo (di risorse naturali, comprese quelle umane) sulla linea di evoluzione dell’ultimo ventennio.
i), la centralità del profitto e della salvaguardia sistemica possono esserne agevolate, almeno per un’altra generazione.
Ognuno può arricchire questo compendio di ulteriori possibili conseguenze.
Lo scontro tra diversi modelli di reazione alla pandemia non è una questione marginale. Si tratta di modelli interpretativi della pandemia stessa, della sua possibilità di evolversi e del modo in cui gli umani a diverse latitudini la concepiscono e la comprendono in funzione della loro sopravvivenza: trattasi evidentemente, di visioni che possono essere molto diverse in considerazione di status, classe, età, ecc.
Il coronavirus ha dunque costruito un nuovo spazio di interazione, di riflessione e di confronto valoriale e geopolitico.
Ad esempio, se agli “scarti” e agli anziani (che hanno avuto più tempo per riflettere e confrontarsi con le dinamiche della vita e del mondo) non viene riconosciuta alcuna significativa capacità euristica e di orientamento, cioè di contributo alla vita, essi possono essere tranquillamente sacrificati. Altrettanto, anzi, ancora di più, se essi vengono vissuti come un bastone fra le ruote della massimizzazione del profitto.
Se invece il problema che ci troviamo di fronte è quello di un cambiamento sistemico, essi possono costituire un patrimonio (per alcuni) o un grande scoglio (per altri).
Immaginiamo una società fatta di persone la cui vita massima o la massima aspettativa di vita si aggiri intorno ai 50/60 anni: essa sarà di un certo tipo. Se questa età arriva agli 85/90 sarà di un altro tipo.
La cosa grottesca potrebbe essere quella di una società costituita da fasce di età medio-basse, con solo una parte ridotta che potrà accedere alle alte.
Sarebbe una trasposizione nella dimensione temporale della già nota differenza di classe spaziale. Con una ristretta elite che può essere compresente alle due dimensioni.
“Meglio un giorno da leoni, che cento da pecora” potrebbe ridiventare l’unica possibilità – molto romantica – a disposizione degli esclusi.
Ma, insomma, ci si può esercitare a lungo sui potenziali differenti scenari causati dal Covi-19 e dei suoi probabili successori. E magari anche su alcuni precursori. E mandanti.
Per il momento (e anche per il futuro) vale la pena attenersi a quanto suggerito dalla straordinaria dimostrazione dei nostri fratelli cinesi, secondo i quali, “siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori delle stesso giardino”. Parole di Seneca, pronunciate quasi duemila anni fa. Fa una certa impressione che siano loro a ricordarcelo.
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