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Strage di Bologna | Beirut 1981. Ecco cosa ci disse Abu Ayad

Nel marzo 1981, Abu Ayad capo dei servizi di sicurezza dell’Olp, ricevette nella sua abitazione di Beirut, una delegazione parlamentare unitaria (DC, PCI, PSI, PDUP, PR) così composta:

di Agostino Spataro (articolo del 3 Agosto 2017)

“La delegazione, in missione in Libano, incontrò Abu Ayad il 5 marzo 1981. Era guidata dall’on. Giuliano Silvestri (Dc) ed era composta da Andrea Borri e Francesco Lussignoli (Dc), Guido Alberini e Giorgio Mondino (Psi), Agostino Spataro e Alessio Pasquini (Pci), Aldo Ajello (Partito radicale), Eliseo Milano e Alfonso Gianni (Psiup). Al seguito della delegazione parlamentare, vi erano quattro giornalisti: Igor Man (La Stampa), Maurizio Chierici (Il Corriere della Sera), Domenico Del Giudice (Ansa) e Vincenzo Mussa (Famiglia Cristiana). All’epoca, presidente della Commissione Esteri della Camera era l’on. Giulio Andreotti” (da documentazione Commissione parlamentare d’inchiesta Mitrokhin)

Un incontro difficile da dimenticare non solo per gli argomenti trattati, ma anche per un episodio indicativo della tensione, del clima di violenza, d’intrigo che si respiravano a quel tempo a Beirut. Successe che, mentre consumavamo un sobrio pasto a base di cous cous, udimmo un forte botto provocato dall’esplosione di una bomba collocata all’interno di un’auto posteggiata proprio davanti il portone dell’abitazione del nostro ospite.

Ayad, con un sorriso appena accennato, ci rassicurò: “Questo é il saluto degli israeliani alla delegazione italiana”.

Nel corso dell’incontro chiedemmo eventuali notizie relative alla terribile strage della stazione di Bologna. Il dirigente palestinese ci disse che avevano già trasmesso le informazioni in loro possesso alle autorità italiane (servizi) presenti a Beirut. Ci fece un sunto (che, grosso modo, é quello che dichiarò nell’intervista a Rita Porena – vedi sotto).

Al suo rientro in Italia, per prima cosa, la delegazione trasmise un documento unitario informativo alla Procura della Repubblica di Bologna la quale provvide a interrogarci nel merito, presso la Camera dei Deputati.

Il contenuto del colloquio fu pubblicato dai giornalisti al seguito e da altri organi di stampa italiani e stranieri.
Per chi non ricorda. Abu Ayad fu ucciso, a Tunisi, 10 anni dopo, da un commando israeliano venuto dal mare. Tuttavia, tale brutale assassinio non sembra avere avuto a che fare con la vicenda di Bologna.

In sede di Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività d’intelligence italiana. Relazione: sul gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980 (1), la maggioranza di centro-destra tentò d’ ipotizzare, di accreditare una “pista palestinese”.

Com’è noto, tale “pista, non trovò conferma nelle diverse inchieste giudiziarie, nelle sentenze definitive relative alla strage di Bologna.

Nonostante ciò, oggi, taluni vorrebbero riproporre quella “pista”, anche contro il punto di vista dell’Associazione dei familiari delle vittime che la considera una perdita di tempo, al limite deviante.

Sperando che un giorno si potrà far piena luce sull’orribile strage, desidero ribadire l’immutato cordoglio per le vittime innocenti dell’attentato e la più sincera solidarietà ai loro familiari e alla città di Bologna.

 

(Agostino Spataro – già membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati)

 

 

(1) Allego alcuni brani ripresi dalla documentazione della citata Commissione d’inchiesta :

“…. La circostanza così riferita dai magistrati di Bologna, con la quale si circoscrive la cosiddetta “pista libanese” al “sospetto di responsabilità dell’OLP palestinese” nell’attentato alla stazione ferroviaria, è errata e smentita sulla base degli stessi rilievi probatori ormai oggetto di giudicato.

È vero, invece, il contrario Trascriviamo qui di seguito le valutazioni dei giudici istruttori di Bologna

che si sono occupati delle indagini sull’attentato del 2 agosto 1980, così come rassegnate nel capitolo 6°, intitolato “Le attività di copertura e sviamento compiute da alcuni settori dei servizi di sicurezza” (pag. 780 e seguenti) 13 dell’ordinanza sentenza di rinvio a giudizio sulla strage di Bologna, proc. pen.344/A/80 contro Dario PEDRETTI e altri imputati di strage e altro: A pochi giorni di distanza dall’emissione degli ordini di cattura nei confronti di numerosi imputati (avvenuta il 26 agosto 1980), comparve sul Corriere del Ticino il 19 settembre 1980 un’intervista resa da Abu AYAD, esponente dell’OLP alla giornalista Rita PORENA.

In tale articolo, Abu AYAD, uno dei capi di Al FATAH rispondendo alle domande della giornalista dichiarava testualmente:

“Un anno fa siamo stati informati dell’esistenza di campi di addestramento per stranieri tenuti dai Kataeb nei pressi di Aqura, nella zona est (da Beirut nord est fino a 20 km da Tripoli), controllata dalle destre maronite. Abbiamo fatto un’indagine per appurare la nazionalità degli ospiti dei campi e siamo riusciti ad entrare in contatto con due tedeschi occidentali che avevano preso parte all’addestramento e che in questo momento si trovano a Beirut presso di noi. Da loro abbiamo appreso che nel campo di Aqura sono stati addestrati vari gruppi, per un totale di circa 30-35 persone, tra cui italiani, spagnoli e tedeschi occidentali. Il responsabile del gruppo tedesco si chiama HOFFMANN, e da lui abbiamo saputo che era in arrivo un altro gruppo di tedeschi.

Allora abbiamo deciso di tendere un agguato e abbiamo catturato nove persone che in questo momento si trovano presso di noi, ma che non sono nostre prigioniere. Dai tedeschi abbiamo appreso che circa undici mesi fa nel campo di Aqura il gruppo aveva discusso con gli italiani la strategia per restaurare il nazifascismo nei loro Paesi ed erano arrivati alla conclusione che l’unica via sarebbe stata l’attacco contro le istituzioni più importanti. I fascisti italiani hanno affermato che il loro maggior nemico è rappresentato dal Partito comunista e dalla sinistra in generale e che perciò avrebbero cominciato le loro operazioni con un grosso attentato nella città di Bologna, amministrata dalla sinistra. Quando è avvenuta la strage abbiamo subito messo in relazione l’attentato con quanto avevamo appreso sui progetti degli italiani nel campo di Aqura.

Al momento opportuno faremo in modo che i tedeschi rendano pubblico tutto quello che hanno visto e udito nei campi di addestramento, compresi i nomi ed il numero degli italiani che erano con loro. Da parte nostra abbiamo provveduto a tenere al corrente le autorità italiane, alle quali abbiamo dato i nomi degli italiani di Aqura. I nomi,probabilmente, non sono precisi, perché i tedeschi li hanno citati basandosi solamente sulla loro memoria, ma credo che per le autorità italiane non sia difficile riuscire ad identificare le persone. È certo che si tratta di fascisti che appartengono ad organizzazioni conosciute. Se le autorità italiane avessero messo in relazione le informazioni avute da noi con le altre in loro possesso, avrebbero avuto un quadro chiaro della situazione…”

Già il quotidiano La Repubblica , del 17 settembre 1980, aveva pubblicato un trafiletto nel quale veniva riportata una dichiarazione di certo Salah KHALAF, del seguente tenore: “Abbiamo documenti che provano il coinvolgimento falangista nell’esplosione di Bologna”.

Con eccezionale tempismo, il 20 settembre 1980 il procuratore della Repubblica di Bologna, in persona del suo capo Ugo SISTI, trasmetteva mediante corriere richiesta di informazioni al SISDE, in relazione alla notizia Ansa che riportava la sostanza delle dichiarazioni rese da Abu AYAD.

Il 21 ottobre 1980, il CESIS riferiva sulla questione. Alla nota era allegato un appunto nel quale erano riportati termini dell’intervista di Abu AYAD a Rita PORENA. Veniva allegato anche un altro appunto contenente dichiarazioni di un portavoce falangista che smentiva le rivelazioni di Abu AYAD, definito un “grande mentitore”. In tale appunto, veniva altresì riferito, per la prima volta, che Abu AYAD altro non era che il nome di copertura di Salah KHALAF.

Che la questione venutasi a creare fosse particolarmente ambigua non sfuggì agli inquirenti. Il 4 novembre 1980, infatti, il pubblico ministero, dott. Claudio NUNZIATA, richiese l’esame diretto della giornalista Rita PORENA e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, on. Francesco MAZZOLA , al fine essenziale di verificare l’esatta cronologia e la natura dei fatti.

Il passaggio decisivo avvenne, tuttavia, nel gennaio del 1981, quando, come si vedrà, era già in atto la parallela manovra “depistante” dell’esplosivo Taranto

Milano. Il 30 gennaio 1981, infatti, veniva trasmesso al procuratore della Repubblica di Bologna un appunto concernente le risultanze degli accertamenti condotti dal SISMI sulla vicenda. L’appunto era datato 23 gennaio 1981 e forniva una serie di notizie, partendo proprio dalle affermazioni di Abu AYAD e riportava l’esito di un presunto incontro con due tedeschi che avrebbero frequentato il campo di addestramento falangista.

In sostanza, nessun esito concreto e una serie di indicazioni vaghe e non suscettibili di verifica tali da porre i magistrati nella difficile posizione di dover valutare l’attendibilità di spunti informativi più che di indicazioni precise ed esaurienti.

Ai primi di marzo del 1981, la “pista libanese” riprese nuovo impulso a seguito della visita a Beirut di una delegazione di parlamentari italiani , ai quali Salah KHALAF dichiarò di aver fornito alle autorità italiane elementi di prova sulla responsabilità dei neofascisti che si addestravano in Libano.

Al rientro dalla visita in Libano, alcuni parlamentari facenti parte della delegazione riferivano alla stampa il contenuto del colloquio avuto con l’esponente palestinese e l’intera stampa nazionale diffondeva, pertanto, la notizia.

Il 7 marzo 1981, quale diretta conseguenza di queste dichiarazioni, il giudice istruttore richiedeva al SISDE di riferire se rispondeva al vero che il Servizio era stato contattato dall’OLP nei termini riferiti dai parlamentari e, ovviamente, il 25 marzo 1981 il SISDE asseriva di non aver avuto contatti con l’OLP

La pubblicazione di un articolo sul settimanale Panorama, a firma di Pino BUONGIORNO, il 23 marzo 1981, relativo ai nomi di estremisti di destra che avevano trovato rifugio in Libano produceva l’effetto voluto, perché il 24 marzo 1981 i giudici istruttori indirizzavano al BKA una richiesta di informazioni sulla identità dei cittadini tedeschi addestrati in Libano nell’estate del 1980 cui le autorità federali rispondevano con nota in pari data…”

 

FONTE: https://www.agoravox.it/Strage-di-Bologna-Beirut-1981

 

Di seguito l’articolo pubblicato su La Repubblica (redazione di Bologna) l’11 febbraio 2020.

 

Strage di Bologna, processo ai mandanti: Bellini tra gli esecutori per conto di Licio Gelli

Strage di Bologna, processo ai mandanti: Bellini tra gli esecutori per conto di Licio Gelli

“Flussi di denaro miliionari” verso i Nar. La ‘primula nera’ accusata di concorso in strage. Altri tre (Spella, Segatel e Cadracchia) di depistaggio. I presunti finanziatori e organizzatori Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi sono già deceduti. Bolognesi (associazione famigliari vittime): “Si potevano risparmiare 15 anni”

di GIUSEPPE BALDESSARRO

 

BOLOGNA – Sono quattro gli avvisi di conclusione indagine notificati questa mattina dalla Procura generale di Bologna nell’ambito dell’inchiesta sui finanziatori e sui mandanti della strage del 2 Agosto 1980, costata la vita a 85 persone e il ferimento di oltre 200. In un caso viene contestato il concorso in strage, in altri tre il reato di depistaggio. Nello stesso provvedimento affiorano poi anche i nomi dei mandanti che però sono tutti già deceduti, circostanza che spingerà i magistrati a chiedere l’archiviazione di alcune posizioni per “morte del reo”.

Di aver concorso alla strage è accusato Paolo Bellini, 63 anni, di Reggio Emilia. Il nome dell’ex primula nera di Avanguardia Nazionale e informatore dei servizi è entrato nel fascicolo lo scorso maggio, quando il gip, Francesca Zavaglia ha accolto la richiesta di revocare il proscioglimento che era stato deciso nel 1992. Bellini avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, questi quattro tutti deceduti e ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori, oltre che i concorso con i Nar già condannati.

Flussi di denaro per alcuni milioni di dollari movimentati e, attraverso varie e complesse operazioni, partiti sostanzialmente da conti riconducibili a Licio Gelli e Umberto Ortolani e alla fine destinati, indirettamente, al gruppo dei Nar e a coloro che sono indicati come organizzatori, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi.

Il giro di denaro è stato ricostruito dall’indagine della Guardia di Finanza di Bologna, nell’ambito dell’inchiesta della Procura generale sulla Strage del 2 agosto 1980.

Per i magistrati ci sono elementi che attribuirebbero a Bellini un ruolo nell’attentato. Le indagini hanno portato alla luce un video amatoriale Super 8 (girato in stazione a Bologna da un turista straniero il 2 agosto su cui gli investigatori hanno disposto una perizia antropometrica) in cui sarebbe apparso un uomo con le fattezze dell’ex estremista di destra.

Oltre a Bellini nel mirino degli inquirenti è poi finito anche l’ex generale dei servizi segreti di Padova, Quintino Spella (oggi novantenne), con l’accusa di depistaggio. Il militare, interrogato come testimone, avrebbe negato di aver ricevuto nel luglio 1980 dal giudice Tamburino le rivelazioni dell’ex terrorista nero Luigi Vettore Presili che aveva annunciato la strage.

Indagato per depistaggio anche Piergiorgio Segatel, ex carabinierie del Nucleo investigativo di Genova, nel 1980. Nei guai, sempre per aver ostacolato le indagini, Domenica Cadracchia, responsabile delle società, legati ai servizi segreti che affittavano gli appartamenti di Via Gradoli, nei quali nel 1981 trovarono rifugio alcuni appartenenti ai Nar.

Il lavoro dei finanzieri si è concentrato in parte sull’analisi di documentazione bancaria, poi su rogatorie con la Svizzera – alcune rimaste senza risposta – ma anche su carte sequestrate all’epoca e soprattutto ha preso spunto dal fascicolo del processo sul crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, consegnato agli inquirenti dagli avvocati dei familiari delle vittime.

In particolare all’interno del fascicolo c’è un atto chiamato ‘documento Bologna’, sequestrato nel 1982 a Gelli, capo della loggia P2, morto a dicembre 2015, quando fu arrestato in Svizzera: un manoscritto con intestazione ‘Bologna – 525779 – X.S.’, con il numero corrispondente ad un conto corrente acceso alla Ubs di Ginevra dallo stesso Gelli. Un documento le cui informazioni sono state collegate con altre.

Proprio sulla base della data in cui si ritiene che sia partita la prima movimentazione del denaro, cioè a febbraio 1979, la Procura generale ha inserito nelle imputazioni il momento di inizio della condotta preparatoria all’attentato: febbraio 1979, appunto, “in località imprecisata”.

Il sindaco di Bologna Virginio Merola ha annunciato che, in caso di processo, il Comune di Bologna si costituirà parte civile.

Nel corso delle indagini, condotte dalla Guardia di Finanza, dalla Digos e in una fase inziale anche dal Ros, la Procura generale ha analizzato documenti provenienti da diversi processi e sentito decine di testimoni.

L’inchiesta nasce da una corposa memoria difensiva presentata alla procura di Bologna dai legali dell’Associazione dei familiari delle vittime del 2 Agosto. In una prima fase la Procura aveva chiesto l’archiviazione a cui si erano opposte le parti civili. A quel punto è subentrata la Procura generale avocando l’inchiesta che proprio oggi ha portato alla notifica della conclusione delle indagini.

Il pool di pm (coordinato dal procuratore generale Ignazio De Francisci e composto dall’avvocato generale Alberto Candi e dai sostituti Nicola Porro e Umberto Palma) ha scandagliato conti cifrati svizzeri e i movimenti bancari riconducibili al capo della P2 Licio Gelli (già deceduto). In questo contesto sarebbero venuti fuori i flussi di denaro che dagli Usa arrivavano al “venerabile” e da questi ad esponenti di vertice dell’eversione nera collegati ai Nar.

Il 9 gennaio scorso, la Corte d’Assise di Bologna aveva già condannato all’ergastolo per concorso in strage, l’ex terrorista del Nar Gilberto Cavallini.

Bolognesi (Famigliari vittime): “Si potevano risparmiare 15 anni”

L’esito delle indagini della Procura generale di Bologna “è nella direzione dei documenti che avevamo predisposto noi per la Procura. Il problema è che sono passati 40 anni, forse se ne potevano risparmiare 10-15”, commenta Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime. “Ora speriamo che si possa mettere le mani sui mandanti fino in fondo. Bisognerà leggere i documenti, valutare, vedere e questo sarà compito degli avvocati. Mi fa piacere che possa avere efficacia la legge sul depistaggio che ho voluto quando ero in Parlamento”, aggiunge.

“Esprimiamo soddisfazione per l’indagine condotta in maniera ineccepibile e attenta dalla procura generale. L’addebito provvisorio a Paolo Bellini ce lo aspettavamo e ora abbiamo la conferma. L’ipotizzato concorso in strage di Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi è una novità assoluta che ci fa ritenere che questo processo possa cambiare la storia di questo paese”. Lo dice l’avvocato Andrea Speranzoni, per conto dei familiari delle vittime della Strage del 2 agosto 1980.

 

FONTE: https://bologna.repubblica.it/cronaca/2020/02/11/

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