di Marinella Correggia
L’unico ministro per l’ecosocialismo al mondo si trova in Venezuela, paese petrolifero da cento anni. Erik Rangel, in carica dal 14 giugno 2018, continua il suo lavoro mentre tutt’intorno la guerra economico-finanziaria al Venezuela (con durissime sanzioni) si intreccia con la disinformazione su scala planetaria e con i tentativi di destabilizzazione politico-militare (si pensi agli appelli dell’autoproclamato presidente Juan Guaidò affinché l’esercito si ribelli al presidente eletto Nicolas Maduro e magari gli Usa intervengano direttamente o tramite mercenari).
In questo contesto, sostenere come fece anni fa l’agroecologo venezuelano Miguel-Angel Nunez, che l’ecosocialismo può salvare la rivoluzione bolivariana può sembrare un’esagerazione. Ma non potrebbe essere davvero la strada? Lo chiediamo appunto al ministro Rangel.
Quali sono le attività peculiari del suo ministero?
Promuovere una rifondazione della relazione fra esseri umani e natura, alla quale va dato un valore non monetario. E’ un cambio di paradigma, a partire naturalmente dal potere popolare. In ogni consiglio comunale promuoviamo tavoli tecnici ecosocialisti, istanze di partecipazione per riforestare, riciclare, formare. Stiamo creando scuole di ecocittadinanza, per un impegno individuale e collettivo. Nel decreto del Chuquisacan nel 1826, Simón Bolívar sottolineava la necessità di riforestare…e la Misión Árbol, dedicata a questo, è un bastione del ministero. Abbiamo lanciato il programma Amigos del fruto, con l’obiettivo di piantare un milione di alberi da frutto su 3.600 spazi educativi in tutto il paese. Nostro compito è anche proteggere i bacini idrografici come base della vita, e le aree costiere; abbiamo proibito la pesca a strascico. Sosteniamo l’agricoltura organica e urbana, le biocostruzioni, la permacoltura, le tre r – ridurre, riutilizzare, riciclare. Il Quinto obiettivo storico del Plan de la patria (2019-2025), che ribadisce il piano precedente ispirato da Hugo Chávez, si riferisce alla preservazione della vita sul pianeta, considerando l’ecosocialismo una risposta fondamentale alla crisi del sistema capitalistico, predatorio, socialmente ed ecologicamente insostenibile.
Anche l’Assemblea Costituente nata nel luglio 2017 ha questo riferimento nell’ecosocialismo. Ma molte sono state le polemiche a proposito dello sviluppo estrattivista dell’Arco minerario nell’Orinoco, un’area che conta riserve immense di oro, diamanti, coltan, bauxite, rame, terre rare…
Quello che prima il presidente Chávez e ora il presidente Maduro hanno fatto, è stata la delimitazione di un’area dove l’estrazione è permessa. Non si tratta di una grande miniera a cielo aperto. Anzi, un esempio di organizzazione comunale si è sostituito all’illegalità. Certo, dobbiamo combattere le mafie. C’è la penetrazione dei garimpeiros brasiliani, di gruppi irregolari, non possiamo tollerarla. E l’uso del mercurio nelle attività estrattive è illegale. Inoltre, anche se non lo dice nessuno, nel 2017 è nato il Parco nazionale Caura, l’area protetta tropicale più grande del mondo.
In un paese petrolifero come il Venezuela, è pensabile una riflessione su come i proventi derivanti dai combustibili fossili, potrebbero non solo essere equamente redistribuiti e utilizzati a fini sociali, come è stato l’obiettivo dei venti anni bolivariani, ma anche essere in qualche modo piegati alla costruzione di un modello post-estrattivista che appare necessario di fronte alla crisi climatica e ambientale?
Vogliamo costruire società giusta, di uguali, nel rispetto della natura. Ma dobbiamo avvantaggiarci delle risorse che abbiamo. Partiamo da un principio: il Nord del mondo non può imporre ai paesi del Sud l’idea del non sviluppo delle loro risorse, dopo averle sfruttate indiscriminatamente – senza principi né valori – per la propria crescita. Sì, certo, dobbiamo costruire un modello economico diversificato. Siamo in piena transizione, e le transizioni sono complesse. Partono dalla realtà. Il reale e l’ideale si intrecciano. Ma importa la chiarezza su quali modelli si vogliano costruire. E’ la domanda centrale. Non dobbiamo vivere solo per soddisfare questa generazione ma promuovere condizioni materiali e spirituali che permettano a questa patria, nel nostro caso, di essere un riferimento mondiale, altro che American way of life.
E tuttavia, si può immaginare che, una volta diversificata in senso ecologico l’economia, la necessità di estrarre petrolio si riduca drasticamente?
Il petrolio è stato la chiave dello sviluppo sociale e dello sviluppo tecnologico ma ha anche definito il modello. Fino a 200 anni fa nessuno pensava all’auto. Non sappiamo che accadrà fra 50 anni. Del resto, come dico sempre, l’auto del futuro l’hanno inventata 200 anni fa: la bicicletta. Un nuovo programma del mio ministero si chiama En bici. La bicicletta è anche una connessione con la realtà, mentre l’automobile ti isola. Occorre un sistema di trasporto multimodale: pedali più mezzi pubblici. E’ uno dei grandi obiettivi di quest’anno, nel quale faremo tante cose perché la pace si imporrà. L’imperialismo ci minaccia? Ma ci rafforza anche. Nessuno lancia pietre a un albero che non dà frutti. Il Venezuela, con tutti i problemi, di frutti ne ha dati tanti. Cessino il bloqueo, la persecuzione, gli attacchi, la guerra multidimensionale e vedranno un esempio di paese e di un popolo che cercano di trasformare la realtà. Non è utopia né poesia. Qui la gente lavora e ha la speranza negli occhi.
ora capisco chi e’ l’autore intellettuale della distruzione della ecologia nella fascia dell’orinoco… o nella guyana…
altro che salvare il pianeta e l’eco sistema
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sempre a fare l'”indiano”? nel senso del furbetto? Ci si deve anche rassegnare a vedere sfumare i sogni di golpe, no?
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