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Mes: spinge al default. Il Governo non ha mandato a firmare, riconosca la funzione del Parlamento

di Stefano Fassina

Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) non è nel programma sul quale il Governo Conte ha avuto la fiducia di Camera e Senato. Il Pd eviti forzature. Sul Mes, il Parlamento italiano non “si è svegliato tardi”. Al contrario, il 19 Giugno scorso, ha impegnato in modo molto chiaro il governo a “render note alle Camere le proposte di modifica al trattato ESM, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato.” Come noto, il Parlamento non è stato chiamato a pronunciarsi nel merito. Non vi può essere stata, quindi, nessuna determinazione definitiva, né può esservi il 13 Dicembre. Senza ulteriori drammatizzazioni, il governo riconosca che non ha avuto e non ha il mandato per firmare il Trattato. Si impegni per riaprire il negoziato, in stretto rapporto con gli altri due capitoli del “pacchetto”: l’Unione bancaria e lo strumento di bilancio per l’euro-zona. Poi, si metta il Parlamento nelle condizioni di fare un’approfondita valutazione complessiva.

Nella discussione del Mes, è autolesionistica la rappresentazione alimentata da parte dell’intellighenzia progressista e dal Pd come scontro tra europeisti responsabili, da una parte, e irresponsabili sovranisti o inaffidabili populasti dall’altra; tra chi vuole salvaguardare la continuità dell’Italia nella Ue e nell’eurozona e chi vuole rompere. Va, invece, valutato il testo del Trattato e il contesto politico e macroeconomico nel quale opererà, nel tentativo di stare nel gorgo europeo con un minimo di autonomia culturale e politica e attenzione alle fasce sociali più deboli.

In estrema sintesi, il testo, per Paesi in condizioni di finanza pubblica come l’Italia, elimina le possibilità di sostegno finanziario senza dover ristrutturare il debito pubblico, quindi determina un enorme rischio di default che si auto-avvera. La ristrutturazione del debito pubblico non è più un evento possibile, ma improbabile, estremo, da scongiurare con ogni mezzo (dal “whatever it takes”, all’Omt e relativo programma di aggiustamenti strutturali): diventa, invece, uno strumento ordinario, previsto e disciplinato con tanto di clausole (le single limb Cacs) per evitare anche a larghe maggioranze di risparmiatori al dettaglio di bloccare l’offerta di tagli al capitale investito.

Gli articoli più pericolosi sono il 13 e il 14, integrati dall’Annex III, del testo ridefinito: rispetto alla versione in vigore, l’Italia è esclusa anche formalmente dalla linea di credito precauzionale (Precautionary Conditioned Credit Line), ma è di fatto esclusa anche dalla seconda linea di credito (Enhanced Conditions Credit Line), poiché per l’attivazione di quest’ultima è previsto un debito sostenibile e la capacità di ripagamento dei prestiti, la cui valutazione è affidata esclusivamente al board del Mes.

Gli articoli 13 e 14 sono diretta conseguenza di alcuni punti della premessa: il punto 12), dove è scritto che “il Mes può facilitare il dialogo tra un Paese membro e i suoi creditori privati, su basi volontarie, informali, non vincolanti, temporanee e riservate”; il punto 12A) dove, come ricordato sopra, è affermata la responsabilità esclusiva del Mes stesso a valutare la capacità di un Paese di ripagare il prestito ricevuto (in altri termini, la Commissione europea ha l’ultima parola sulla sostenibilità del debito pubblico di chi è in difficoltà, ma è il Mes, in realtà, a decidere se il malcapitato può ricevere aiuto senza ristrutturare il suo debito pubblico); il punto 12B), dove è prevista “in casi eccezionali, un’adeguata e proporzionata forma di coinvolgimento del settore privato quando è concesso il supporto finanziario per la stabilità”. Insomma, come è stato efficacemente sottolineato da Vladimiro Giacchè, Presidente del CER, in audizione in Commissione Bilancio alla Camera, viene definito un quadro da “Comma 22”: si predispone un efficace meccanismo di sostegno finanziario per i Paesi in difficoltà di finanza pubblica per evitar la ristrutturazione del debito; ma se sei un Paese in difficoltà di finanza pubblica, non puoi accedere al meccanismo finanziario a causa delle condizionalità ex ante. Allora, qual è il senso di policy del revisionato Trattato: innalzare la funzione disciplinante dei mercati finanziari in aiuto alle normative del Fiscal Compact aggirate nella loro efficacia dalla cosiddette clausole di flessibilità.

Ma c’è il backstop per le banche in difficoltà, insistono dal Mef. Vero. Ma per l’Italia, è una “protezione” virtuale, a parte il fatto che, più che una generosa concessione a noi, è una potenziale garanzia alle banche tedesche già salvate una volta dai contribuenti nazionali ed europei prima dell’avvio del bail-in. Come ha descritto qualche giorno fa il noto bocconiano anti-europeista prof Alessandro Penati, il backstop scatterebbe soltanto dopo aver azzerato azionisti, obbligazionisti subordinati e senior e i depositi bancari per la porzione superiore ai 100.000 euro: in sostanza, dopo un cataclisma che per noi implicherebbe, comunque, inesorabilmente, la ristrutturazione del debito pubblico.

Oltre al testo, rileva il contesto. Il testo è un fiammifero acceso vicino a un lago di benzina: ossia, la prospettiva di stagnazione economica, l’innalzamento dei tassi di interesse e inflazione zero. È pessimismo esagerato? Purtroppo, no. Perché? Primo elemento di contesto: siamo prigionieri di un’agenda di cronica anemia di domanda aggregata, determinata dalla resistenza a invertire la rotta di politica economica di fronte agli impedimenti strutturali alle esportazioni. Il mercantilismo praticato da un quarto di secolo in forma estrema dalla Ue e dall’eurozona determina, inevitabilmente, i dazi del Presidente Trump. Sarebbe necessaria e urgente una svolta keynesiana per alimentare la domanda interna attraverso investimenti pubblici per la riconversione ecologica dell’economia, ma la neo-Presidente della Commissione europea ha ribadito, subito dopo la “fiducia” data dal Parlamento di Strasburgo alla sua Commissione, il no senza se e senza ma all’esclusione dal calcolo del deficit della spesa green in conto capitale.

Secondo elemento di contesto: le pressioni tedesche e della cosiddetta “Lega anseatica” per invertire il segno della politica monetaria della Bce. La scorsa settimana, Moody’s ha rivisto da stabili a negative le valutazioni prospettiche per le banche tedesche in relazione alla loro scarsa redditività causata, in primo luogo, dai previsti tassi di interesse negativi. Insomma, il dopo Draghi, nonostante la resistenza di Ms Lagarde, va verso la fine del Quantitative easing e il ripristino della “normalità”.

Terzo elemento di contesto, la restrizione, più o meno accentuata, delle possibilità acquisto di titoli sovrani da parte delle banche, condizione posta da Berlino per il completamento dell’Unione bancaria. Qui, siamo di fronte al concreto esempio della definizione di stupidità di Carlo Maria Cipolla: una siffatta Unione bancaria sarebbe meglio perderla che trovarla, perché determinerebbe non soltanto un innalzamento dei tassi di interesse su titoli di debito pubblico, in particolare per noi, ma aumenti di capitale per l’intero mondo bancario, incluse le malmesse banche tedesche.

In conclusione, è vero quanto sostiene il Ministro Gualtieri: aspetti negativi erano inclusi anche nella versione del Mes ancora in vigore. È vero anche che, le proposte iniziali di Germania e Paesi nordici erano ancora più pericolose in quanto prevedevano ufficialmente un’automatismo per la ristrutturazione del debito. Ma sono argomenti deboli. “Poteva andare peggio, accontentiamoci”, è un principio-guida perdente e deleterio per l’interesse nazionale, come hanno dovuto riconoscere, ex-post, per il bail-in tanti sedicenti europeisti responsabili. Nella fase storica in corso e alla luce degli evidenti fallimenti dell’agenda mercantilista europea, sia sul versante dell’economia reale che di finanza pubblica, sarebbe necessaria un’inversione di rotta. O, almeno, non peggiorare il terreno di gioco. Invece, il Trattato revisionato conferma e aggrava un impianto insostenibile per l’Italia, ma anche per i paesi core, a partire dalle banche della virtuosa Germania.

 

FONTE: https://www.huffingtonpost.it/

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