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Xenofobia e neoliberismo pari sono.

di Tonino D’Orazio

E’ il vero risultato delle elezioni europee. I partiti xenofobi etnici con principi anti-umanità e profondamente razzisti non hanno “sfondato”. I partiti al sostegno del neoliberismo, (dovrebbe esistere il termine xenofobi economici, o anti-lavoratori), cioè quasi tutti gli altri, hanno vinto, quindi abbiamo una continuità e una stabilità conservativa di destra ed estrema destra. Xenofobi etnici e neoliberisti (xenofobi economici) sono le interfacce di estrema destra. Hanno guerreggiato contro ma anche insieme, ognuno con il proprio capro espiatorio, uno l’immigrazione e la povertà, l’altro in nome di una loro democrazia. Innescando i due, tra l’altro, una vera guerra dei poveri contro i poveri. Un capolavoro di conservazione che ha schiacciato quel poco di vera sinistra rimasta.

Chi ha scelto, in Europa, la prima teoria, quella contro gli immigrati, ha perso, non ha i numeri necessari nemmeno per esistere veramente. Orban ha capito e rimane nel PPE, che ha bisogno dei suoi voti. Il “gran vincitore” Salvini è fuori gioco, non lo vuole nemmeno Farage. Ha vinto chi ha utilizzato il fascismo degli xenofobi (cosa vera) e non ha fatto altro che ribadire e chiedere un voto per un argine neoliberista, che di democratico non ha proprio nulla, spostando la guerra per la “democrazia” su una istituzione che fanno finta di considerare, ma che in realtà conta così poco. E molti ci hanno creduto, eccetto quel cittadino europeo su due che non vuole più votare per il quasi nulla. E ritrovarsi, da 20 anni a questa parte, con sempre gli stessi filo-banchieri a massacrarli socialmente con la stupida, ma digerita culturalmente, teoria della necessaria austerità.

Quindi non è cambiato nulla, il Pse e il Ppe possono ricominciare a “governare” il Parlamento europeo con i Liberali, altro forte gruppo, conservatore in alcuni paesi, di destra evidente in altri. Il gioco è fatto. Il sistema bipolare è ancora in piedi con l’unione di due blocchi non più contrapposti da decenni, e il resto. Un po’ come se in Italia si unissero il Pd e F.I.  con il sostegno dei lavoratori e dei poveri. Vince “paura e povertà”, ben inoculati, cioè la paura di perdere terreno, identità e futuro, e l’impoverimento che ha colpito il 90% degli italiani. Sembra che il proletariato sia stato “inghiottito dalla sua esistenza alienata”, (H. Marcuse), privato di ogni desiderio o bisogno di cambiamento, propenso al mantenimento dello status quo, anche se miserevole. Un tempo la sinistra e il popolo erano quasi la stessa cosa. Adesso in tutto il mondo le classi lavoratrici, i mestieri operai vecchi e nuovi, cercano disperatamente protezione votando a destra. Perché per troppi anni le sinistre hanno abbracciato il mortale capitalismo dolce, sostenendolo.

La politica europea così potrebbe continuare con il suo immobilismo, ad avere le élite e la finanza come stelle polari, mescolando all’agenda liberista qualche concessione sociale”, (Sbilanciamoci). Non esiste una terza via volta a superare il bipolarismo. Né i socialisti, così ridotti e asserviti, né la sinistra riuscirebbero a proporre un’alternativa e sconvolgere gli assetti euro-fascisti del potere della Troika. Troppo tardi. Il vuoto è incolmabile. Emerge soprattutto la debolezza dell’offerta a sinistra, con l’unica eccezione dei Verdi in Germania e altrove, se possono essere considerati tali, solo perché sembrano un granello anticapitalista nell’egemonia ecologica (diciamo anti-ecologica) della globalizzazione. Infatti in Italia il nuovo “Verdi” dovrebbe cavalcarlo l’inossidabile Sala.

Il sol dell’avvenire albeggia in Danimarca e tramonta in Italia. Vince le elezioni una sinistra profondamente diversa da quella italiana. La capeggia una donna che si chiama Laura Mette Frederiksen ed ha avuto coraggio. Due i temi con cui ha sconfitto la coalizione liberale uscente: più stato sociale, e finalmente ci sta. Ma anche fermezza contro l’immigrazione clandestina, insisto, clandestina. I Socialisti vincono in Spagna e in Portogallo perché hanno riscoperto l’accordo popolare e operaista alla loro sinistra.

Il voto europeo mostra l’avanzata delle destre nazionaliste, ma, di fatto, non è un blocco capace di cambiare le politiche europee e l’influenza sarà quindi limitata. Passa dal 20 al 23% dei seggi. E perché dovrebbero farlo, in realtà, visto che dei ricchi e delle banche se ne occupano già tre quarti del Parlamento europeo e per intero Bce e Commissione? La guerra degli xenofobi etnici contro gli xenofobi economici (i neoliberisti) e la continuità è persa dai primi. Ne siamo felici, ma torniamo semplicemente dalla padella alla brace. In genere si dice, dopo la tornata elettorale, “hanno vinto tutti”. Oggi si potrebbe dire “hanno perso tutti”, compreso quelli che “volevano modificare dall’interno” per l’“Europa che vogliamo”. E che oggi, insieme alla Commissione europea, sostengono per il popolo italiano il ritorno a una dura austerità per lavoratori e pensionati, la svendita al privato di quel poco che è rimasto, pensando strumentalmente di far cadere un governo che ha i numeri in Parlamento (quello italiano), e nel suo programma operazioni finanziarie per re-impossessarsi sovranamente la possibilità di “stampare” una propria moneta per interventi pubblici.

Gli economisti, quelli delle “politiche economiche”, non i ragionieri pallottolieri, hanno ritenuto che la forza dell’Italia nel periodo in cui divenne la quinta/quarta economia mondiale (oggi si trova nel G7 quasi per nostalgia), fu dovuta alla compresenza di tre fondamentali processi, vale a dire «l’espansione della domanda interna, la crescita delle esportazioni e l’intervento pubblico». L’aumento del reddito pro-capite rese infatti possibile «la crescita del mercato interno che si aprì ai consumi di massa»: a ciò si legò l’espansione della spesa privata e anche di quella pubblica, che ebbero la funzione importante di «consolidare la formazione del mercato nazionale» senza le delocalizzazioni. Ebbene è tutto quello che abbiamo perso negli ultimi venti anni. Il motore di un paese, la Cina insegna, ma anche Francia e Germania (ai nostri prenditori: provate a comprare qualche impresa da loro), è l’impegno dello Stato per il settore pubblico, per le grandi infrastrutture pubbliche e per i beni comuni. E’ tutto quello che l’Europa che ha vinto non ha voluto e non vuole. La xenofobia economica dice “che il più forte vinca”. Siamo quasi vinti e non siamo più nell’arena.

Però possiamo divertirci delle prossime scaramucce da spettacolo dei due blocchi falsamente contendenti, comunque a danno nostro.

 

12 giugno 2019.

 

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