Proponiamo alcuni interventi da diversi organi di stampa italiani sulla questione Immigrazione, in un momento in cui ci si appresta a scelte ancora una volta dettate dall’emergenza (un’emergenza che dura da anni e che continua a non affrontare i nodi strutturali del rapporto nord-sud) e quindi a rischio di effetti negativi e ulteriormente problematici. (a cura di M.Zanetta)
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Fabio Marcelli
Cronaca
Barconi e migranti: l’Europa ha scelto la soluzione finale?
di Fabio Marcelli | 20 aprile 2015
L’immane massacro avvenuto ieri nel Canale di Sicilia dimostra come sia purtroppo vero quello che da tempo andiamo denunciando e che cioè l’interruzione dell’operazione Mare nostrum, voluta dalle cricche dirigenti dell’Europa della finanza, ha preparato il terreno per nuove tremende stragi di migranti.
Quello che questi signori fanno finta di non capire o forse non riescono proprio a capire è che chi parte dall’Africa o dal Medio Oriente non intraprende una gita di piacere da cui possa essere dissuaso. Chi fugge la morte, la fame e la disperazione non ha alternative se non mettersi nelle mani dei trafficanti criminali che costituiscono paradossalmente per lui l’unica speranza di vita. Ciò a fronte dei focolai di guerra e distruzione alimentati dallo stesso Occidente, e dall’Europa per prima, in situazioni come la Libia, la Siria e in molte parti dell’Africa. Occorrerebbe, certamente, combattere in modo duro questi trafficanti e il modo migliore per farlo è provvedere alternative praticabili ai disperati che giustamente cercano la propria sopravvivenza. Questo era lo scopo dell’operazione Mare Nostrum ingiustamente soppressa.
Personaggi come la sottosegretaria agli esteri britannica Joyce Anelay, che a suo tempo sostenne in modo sciagurato che Mare nostrum aveva creato un “fattore di attrazione” nei confronti di migranti e richiedenti asilo e che per questo tale missione di salvataggio, con la quale la Marina italiana ha tratto in salvo più di centomila persone, andava soppressa, andrebbero rinviati a giudizio per crimini contro l’umanità. E’ infatti a causa di personaggi di questo tipo che l’Europa si sta rendendo responsabile di un’enorme omissione di soccorso. La conseguenza, come scrive ilGuardian, è che il numero delle morti avvenute per annegamento nei primi tre mesi del 2015 è di dieci volte superiore a quello dei primi tre mesi del 2014 (stima effettuata prima dell’immane disgrazia di ieri e delle altre di questi giorni).
L’Europa della finanza ha evidentemente scelto la strada della “soluzione finale” contro i migranti. Inutile sperare che lo scolaretto diligente servo della Merkel, Renzi abbia quel sussulto di dignità di cui perfino Letta junior fu a suo tempo capace confermando l’operazione di salvataggio nonostante le contrarietà degli ipocriti e disumani compari europei.
In questo quadro di morte, si registrano le dichiarazioni di Salvini e Santanché che, facendo propria la linea della citata Anelay, affermano che la colpa delle morti è di chi non fa abbastanza per fermare i viaggi della disperazione. Inoltre il Matteo leghista tuona contro i rom, i centri sociali e i campi migranti. Mai che questi signori se la prendano con qualche potere. Mai che colpiscano i veri responsabili della crisi, meglio prendersela con i poveracci con chi si impegna davvero per un’alternativa all’attuale fallimentare sistema politico e sociale. Che se la prendano con la finanza e ipoteri forti naturalmente è impossibile dato che la loro più grande aspirazione è divenirne i servi al posto di quelli attuali. In fin dei conti il Matteo leghista è l’altra faccia della medaglia di quello democristiano. Concorrenti ma complementari. Se il primo, come probabile, fallirà, c’è pronto il secondo. Se Tsipras verrà sconfitto dagli europitocchi, c’è pronta Alba dorata, fascismo al servizio del potere economico come fu quello di Mussolini nel 1922 e quello di Hitler nel 1933.
Che dire di una classe politica del genere? Se i politici incapaci sono una vera iattura e quelli corrotti una piaga d’Egitto, i politici che puntano sull’odio e sulla stupidità per incrementare i propri scarsi consensi elettorali sono ancora peggiori. Essi andrebbero sradicati come un cancro dalla società, minacciando altrimenti di moltiplicare nel suo corpo, già indebolito dalla crisi e dall’approfondimento delle distanze sociali, i veleni mortali dell’odio e dell’ignoranza. A tale categoria abietta appartengono, con ogni evidenza, personaggi come Matteo Salvini e Daniela Santanché. Mosche cocchiere dell’Europa governata dalla finanza che ha perso completamente ogni idea di solidarietà umana.
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Marco Rovelli
Cronaca
Immigrazione: corridoi umanitari unica soluzione
Ed io aggiungo: NO alle ARMI, NO alle GUERRE, SÌ ALLA REDISTRIBUZIONE della RICCHEZZA!
Ciao a tutte/i, Franco
Cronaca
di Marco Rovelli | 20 aprile 2015
Ne ho conosciuti tanti che hanno attraversato il mare per arrivare in Europa, e me li rivedo davanti. Le storie che mi hanno raccontato, la morte guardata in faccia. Tu e l’abisso, da affrontare per poter fuggire da un luogo dove non si può vivere. Perché l’Europa non ti dà altra possibilità, non ti offre alcun ‘corridoio’ di salvezza in quella cimiteriale distesa del mare nostro.
Ogni volta accade una tragedia, e stavolta è la più mostruosa. Ma ho esaurito il mio serbatoio di parole, le ho usate tutte. Ho già detto e scritto in passato che il nostro è negazionismo di un vero e proprio sterminio, ho già detto e scritto, dopo altre stragi, che nulla sarebbe cambiato, dopo le parole formali di indignazione. Tutto continua come sempre, una macina senza requie, questo ho pensato ieri, che poi sì, certo, restano solo i requiem da sussurrare a mezza bocca, tra un pensiero distratto e un altro, e quel che ci resta – questo solo riuscivo a pensare – è un sommesso pensiero enunciato e impotente come questo, fàtico eppure necessario, perché non dire, anche una volta esaurite le parole, sarebbe comunque, sempre, complice di questo infinito massacro, di questo scientifico sterminio.
Poi ci si riprende, e pur sapendo che non c’è nulla di nuovo da dire, occorre dirlo. Dire che addossare la colpa agli scafisti, come fa anche il governo, è l’ennesimo scaricarsi della coscienza sui dispositivi terminali di un ingranaggio criminale, che comincia all’altezza della Fortezza Europa e della legge Bossi-Fini. E dire, soprattutto, che bisogna smettere di indignarsi, se l’indignazione finisce subito, e al post della domenica di pianto seguono tutt’altri post e ci si dimentica di tutto fino alla prossima ecatombe. Se vogliamo essere all’altezza del nostro lutto, dobbiamo fare, tutti quanti, un passo avanti, e porre, ora, davanti alle prefetture, con tweetstorm, con mille altri modi, insomma con ogni mezzo necessario, la questione dei ‘corridoi umanitari’, l’unica soluzione possibile. Ovvero, aprire ambasciate e consolati europei ai profughi e ai richiedenti asilo, dando loro la possibilità di arrivare legalmente in Europa. Fuori di questo, c’è una responsabilità etica abissale, che non ci è più possibile schivare.
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Francesco Piobbichi
Cronaca
Naufragio migranti: Mediterraneo come campo di sterminio. Risponda l’Onu, in maniera globale
di Francesco Piobbichi | 19 aprile 2015
Ieri nel centro del paese c’erano bambini lampedusani che giocavano a calcio con i profughi, ridevano e scherzavano, mentre nella chiesa con i volontari stavamo dando vestiti alle persone che vengono dal mare. Ho visto le donne di quest’isola, messa al fronte dall’indifferenza europea, fare qualcosa di straordinario nella sua semplicità. Riuscire a regalare sorrisi e abbracci nel percorso di queste persone, svuotare i loro armadi e dare quello che potevano. Sono andato a letto felice, pensando a loro, e ai bambini che ho preso in braccio in questi giorni per le strade di Lampedusa. Sani, salvi e morbidi come lo era il mio in quell’età. Nessuna emergenza, solo bella umanità ho incontrato in questi giorni.
Questa mattina però, di nuovo, ho dovuto mettermi davanti le agenzie e contare i morti nel Canale di Sicilia. Sentire le dichiarazioni dei soliti sciacalli, le solite frasi di commento dei politici europei, incontrare i giornalisti. Mi escono le lacrime in diretta su un’intervista in radio perché ho troppa rabbia addosso. Penso alle storie che ho sentito dai ragazzi in questi giorni e penso a quelli come loro che stanotte sono stati inghiottiti per sempre dal mare. Nel nero della notte, senza stelle.
Mentre scrivo questo post un amico mi manda un messaggio con i commenti degli italiani che godono della morte degli innocenti sui social network. Respiro e penso che il sistema mediatico italiano è riuscito dove nemmeno Goebbels era arrivato, far odiare talmente degli innocenti da far gioire cittadini della loro morte pubblicamente. Siamo oltre la banalità del male, nell’indifferenza generale stiamo diventando parte attiva nello sterminio, tifiamo la morte. Con rabbia infinita penso a chi scrive queste cose, poi mi calmo e mi sforzo di restare lucido, cerco di trovare le parole per dire che queste non sono tragedie. Questo infatti è un crimine contro l’umanità.
Il Mediterraneo è un campo di sterminio prodotto dall’indifferenza europea, dal suo egoismo diffuso, dalle guerre per il gas e per il petrolio, dallo sfruttamento di interi continenti. No, non è questione di riflettere se aumentare o meno le missioni di salvataggio per uomini, donne e bambini. Il semplice discuterne dal punto di vista economico è il segno della devastazione in cui siamo sprofondati. Occore invece affrontare una questione che è politica e da venti anni ed oltre sbatte sulle frontiere d’occidente. Una questione che non può e non deve essere affrontata solo dall’Europa, ma dal Consiglio di sicurezza dell’Onu che deve riunirsi immediatamente e mettere in piedi un corridoio umanitario globale per proteggere i profughi e richiedenti asilo. Utilizzando le ambasciate come luoghi in cui presentare domanda di protezione umanitaria risolveremmo molti dei problemi e al tempo stesso toglieremmo ai criminali il mercato di carne umana. Ogni nazione aderente alla Carta dei diritti dell’uomo dovrebbe aderire per comune responsabilità.
Risponderemmo così, in maniera globale, ad un fenomeno globale che per dimensioni è paragonabile agli effetti di una guerra mondiale. Sono quasi 25 anni che l’Occidente fa le guerre, destabilizza intere nazioni impoverendole, togliendo la speranza per milioni di persone che prendono così le rotte del nord. Usa e Francia, per non parlare della Gran Bretagna e delle monarchie dei petrodollari, oggi si lavano le mani in un mare che hanno contribuito a trasformare in cimitero. Non serve accusarli semplicemente per questo crimine, ma costruire una campagna globale, di massa, in grado di costringere le potenze del mondo a rimediare ai danni che hanno provocato.
IlFattoQuotidiano.it / Archivio Cartaceo
La Tortuga delle milizie
Le coste dell’ex colonia sono ormai come il rifugio dei bucanieri
di Stefano Citati | 21 aprile 2015
L’oro nero sotto il deserto e l’oro bianco che arranca sopra le dune. La Libia, lo “scatolone di sabbia” d’imperiale memoria italica esporta petrolio (sempre meno) e migranti (sempre più). Gli italiani dell’Eni sono ormai quasi i soli a continuare a pompare greggio dai giacimenti meridionali dell’ex colonia e dalle piattaforme off shore lungo la costa, approvvigionando di energia anche i due governi rivali: uno confinato a Tobruk a est e quello di Tripoli. Ma il vero potere sul terreno è nelle mani delle milizie che debellarono Gheddafi e che cercano soprattutto di allargare le loro aree di influenza, contrastando nel contempo la propagazione dei guerriglieri islamici emanazione dell’Isis. Dalla cittadina di Derna, in Cirenaica (est) – non lontano da Tobruk, sede del governo riconosciuto anche dall’Italia – i movimenti islamici hanno espanso la loro influenza su Bengasi e sono arrivati da qualche settimana nell’area di Sirte, città natale di Gheddafi cacciato e ucciso nella rivoluzione del 2011.
Misurata fu il cuore della ribellione al raìs dopo Bengasi e i suoi miliziani cacciarono il Colonnello da Tripoli, restando a lungo in amri nella capitale per ottenere la supremazia nei confronti delle altre bande unite solo per la guerra civile contro la famiglia Gheddafi. Proprio tra la città-Stato di Misurata e Tripoli la zona di Garabulli, dalle cui spiagge partono nelle ultime settimane una parte rilevante dei barconi. Dal porto di Misurata salpano invece i guardacoste con equipaggi formati da ex militari di Gheddafi che tentano di intercettare i barconi entro le acque territoriali libiche, come nella missione di pochi giorni fa nella quale venne invece bloccato un peschereccio di Mazara del Vallo che aveva sconfinato.
A ovest di Tripoli – sede del governo non riconosciuto dalla comunità internazionale – verso il confine con la Tunisia, nelle spiagge di Zuwara e Zawia è da lungo tempo attiva la tratta dei migranti subsahariani che attraversano il deserto. Ai tempi di Gheddafi – quando i migranti erano già utilizzati come arma non convenzionale contro l’Europa – uomini donne e bambini erano smistati nei centri di detenzione, come da accordi sottoscritti nel trattato di amicizia tra Tripoli e Roma.
Nel dopo-Gheddafi il Trattato controfirmato per l’ultima volta tra Gheddafi e Berlusconi soltanto pochi mesi prima della fine del raìs è carta straccia. Al suo posto vige la legge dei mercanti di uomini che hanno abbassato i prezzi rispetto a qualche anno prima, avendo eliminato l’intermediazione di buona parte delle forze di sicurezza, aumentando nel contempo il numero e la frequenza – inversamente proporzionali alle condizioni dei natanti – dei viaggi.
Dalle montagne di Nefusa, i miliziani di al Zintan, i più agguerriti e organizzati insieme a quelli di Misurata, controllano le rotte dall’interno verso il mare, con labili intese con trafficanti più o meno professionali.
Pacificare le milizie per ottenere un governo unitario con il quale affrontare insieme l’emergenza, ormai cronica, dell’immigrazione: questa l’idea alla quale lavora l’Onu, con l’inviato speciale Bernardino Leon che ha annunciato proprio ieri che il prossimo round dei colloqui tra gruppi rivali potrebbe tenersi a Roma, dopo l’Algeria e il Marocco. Nell’attesa i barconi continuano a prendere il mare.
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Criminali di pace incapaci e felici
di Antonio Padellaro | 21 aprile 2015
Siamo ancora alla contabilità dei morti: i 1.600 in questi primi cinque mesi, più i 3.500 del 2014, più la moltitudine incalcolabile che giace laggiù in fondo al mare. Siamo ancora al decisionismo domenicale “Adesso l’Europa cambi strategia” (Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento) e al rimpallo di responsabilità buono per i tg della sera: “L’Ue non ci lasci soli” (Matteo Renzi). Siamo ancora alle “riunioni urgenti a Bruxelles”, ai “ Cinque piani”, alle “Due opzioni” e alla “Guerra agli scafisti” (sempre Renzi) che, basta, non si può più sentire.
Siamo ancora alle ideone di palazzo Chigi: “distruggere i barconi in porto” (“ma serve un mandato internazionale”, chi l’avrebbe detto). Se dunque si è sprecato un ventennio a parlare del nulla, perché nulla di nulla nel frattempo è stato fatto non è inevitabile che vengano a galla i pensieri peggiori? Che, poniamo, intorno alla fossa comune nel Mediterraneo si stia giocando un’oscena partita a carte coperte e che tutti quei morti, in fondo, facciano comodo a qualcuno.
Al fronte antimmigrati che dalla Francia, alla Germania, all’Italia può comodamente speculare in chiave elettorale (vero Salvini?) attaccando l’inerzia colpevole dei governi. E ai Paesi membri dell’Unione che restii perfino ad aumentare gli scarsi fondi per la missione di salvataggio Triton, forse si auguravano (o s’illudevano) che la crescita esponenziale delle stragi, finisse per dissuadere i disperati a imbarcarsi per i viaggi della morte quasi sicura.
Del resto, sulla distruzione di vite umane il potere ha sempre massicciamente investito e lucrato. Con Mussolini che lo disse pure di essere entrato in guerra perché necessitava di qualche migliaio di morti da buttare sul tavolo della pace. Mentre ai tempi nostri i morti sono utili per alimentare il solenne piagnisteo mediatico del: ci hanno lasciati soli. Se il contesto è tale che forse per certi criminali di pace non basterebbero neanche le dimissioni da uomo, chiedere che Angelino Alfano si dimetta semplicemente da ministro degli Interni potrebbe essere giusto ma non del tutto esauriente.
Vero infatti che è opera sua la retrocessione per motivi di cassa delle missioni italiane di salvataggio, spostate dalle acque internazionali (che avrebbero potuto soccorrere il barcone dei 900) a quelle limitate a sole 30 miglia dalla costa, ma nel combinato disposto inettitudine più inerzia c’è posto anche per Matteo Renzi e per Federica Mogherini. Il premier dovrebbe cominciare a rendere conto dell’inutile semestre di presidenza italiana dell’Unione, occasione gettata al vento quando avrebbe potuto invece essere usata per imporre a Bruxelles quelle decisioni che oggi vengono pietite con il cappello in mano. Quanto all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (niente di meno), potrebbe dimettersi per palese inadeguatezza dalla parola “Alto”. Aggettivo che dovrebbe spettare di diritto agli uomini, alle donne e agli ufficiali della Marina militare e in particolare della Guardia Costiera che in silenzio e spesso oltre le loro forze hanno soccorso e salvato, uno per uno, migliaia di esseri umani e che ora sono stanchi di pescare cadaveri.
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Nuove tragedie e vecchie domande
di Maurizio Chierici | 21 aprile 2015
Lacrime di coccodrillo, in fondo sono appena 900 morti in coda a un secolo di massacri che spogliano l’Africa di ogni dignità. Esempio nella Nigeria sconvolta per le ragazze rapite da Bobo Haran. Il pil del petrolio la sistema fra le 30 economie felici, ma resta nelle immondizie se si fa il conto cosa guadagna ogni persona.
Miserie perché la ricchezza la pompiamo noi. Metodo inaugurato da Leopoldo I del Belgio incaricato dai sovrani d’Europa di cristianizzare il continente nero. Ordina di tagliare la mano destra ai minatori che battono la fiacca. Premi ai capataz per ogni mano consegnata. Era il primo Novecento, un secolo dopo cambia la forma non la rapina. Continuano a scappare. Scappavano anche i lombardo-veneti dalle macerie Anni 50, avanguardie dei treni del Sud. L’invasione preoccupava il dottor Schwarzenbach profeta a Zurigo dei respingimenti: organizza un referendum per “ripulire“ la patria di Guglielo Tell.
Quel fastidio degli italiani sporchi, rumorosi, bugiardi: l’espulsione ci salverà. Si ribella lo scrittore Max Frisch, “cercavamo delle braccia, sono arrivati degli uomini“ non cancelliamo la loro umanità. Vince la ragione ma impossibile bruciare il sospetto che riaffiora appena la nostra disperazione intiepidisce nel benessere. I veneto-lombardi s’improvvisano ariani delle pance d’Italia impaurite dagli “avanzi“ che attraversano il mare. Avanzi che la burocrazia industriale ingentilisce nell’eufemismo degli “esuberi“, dipendenti fuori dal lavoro come burattini da smontare: 1.350 della Whirlpool bloccano le strade dei nostri giorni e il governo ripete la commedia delle promesse. Teatro dell’apparenza per mascherare la sottomissione al mercato duro e puro. Salamelecchi di convenienza ma come si fa a prenderli sul serio?
Qualche giorno fa se ne è andato Eduardo Galeano, scrittore dell’America “dalle vene aperte“ analisi- racconto sui popoli saccheggiati quindi pericolosi per gli gnomi degli affari. Ecco la sorpresa: nel settembre ‘99 lo studio Ambrosetti lo invita al Forum di Villa d’Este palcoscenico per chi decide dove va il mondo: Kissinger, Christine Lagarde, Bill Gates, Draghi. E per rilassare la platea siparietti con Berlusconi, Alberto di Monaco, Casaleggio. Galeano non era rilassante eppure lo fanno arrivare dall’Uruguay per il piacere di confrontare la concretezza di chi programma la vita di tutti con l’utopia dell’indagare fuori dalla modernità. Parliamo nella terrazza sul lago mentre Franco Modigliani (Nobel dell’economia) ascolta dalla poltrona accanto. Si scusa con la grazia di un vecchio gentiluomo: “Mi occupo di altre cose, non ho sfogliato i suoi libri…“
Vuol sapere cosa dirà e Galeano lo informa che dalla sua America ha portato solo domande. Perché le società del Nord comprano le fabbriche del Sud per chiuderle appena il libero mercato annacqua il consumismo? Cancellano col gomito le promesse firmate con la mano. Del formaggio arrivano solo i buchi e gli umiliati devono obbedire accettando il socialismo rovesciato: privatizza il guadagno, socializza le perdite. Argentina e Brasile hanno privatizzato per pagare i debiti ai fondi monetari. Anni dopo debiti raddoppiati. Altra curiosità: come mai i paesi che armano le guerre sono i custodi delle missioni di pace? Modigliani s’annuvola “Un appuntamento…” e va via perplesso. L’indomani il Corriere della Sera arriva a Cernobbio alle 7 del mattino. “Un delirio…” dev’esser il pentimento di chi ha invitato Galeano. Con la morbidezza delle maniere dovute alle nove fanno sapere che l’intervento è cancellato “per ragioni di tempo“. Non si sa mai le borse che non sopportano le male lingue. Avanti così.
I sommersi che nessuno vuole salvare
— il collettivo del manifesto, 20.4.2015
Il corpo del bambino che galleggia con il volto immerso nella densa macchia nera di petrolio che circonda il luogo del naufragio. Un piccolo fagotto di lana che un pescatore passa nelle mani di un altro. Immagini, impensabili e reali, della tragedia nelle acque del Mediterraneo. Morti annunciati, senza confini, al vertice della crudeltà con cui il mondo, l’Europa, l’Italia assistono alla condanna degli ultimi, dei deboli, dei sommersi che la culla dell’inciviltà rifiuta di salvare.
In queste ore, come sempre, abbondano commenti e lamenti di ipocriti e sciacalli, e la retorica è merce copiosa pronta a marcire nella falsa coscienza dei nostri confini, individuali prima che nazionali.
Da politici e autorità nemmeno un cenno al ruolo di tribunale speciale che l’Europa, e questo governo, si sono assegnati sei mesi fa con la decisione di condannare a morte bambini, donne e uomini cancellando l’operazione Mare Nostrum, l’unica, provvisoria zattera di salvataggio per più di centomila profughi nel 2014.
L’Europa ha brandito un nefasto Tritone capace solo di assistere impotente all’ultima ecatombe. Non è finita, le destre invocano il blocco navale, il premier chiede droni armati per colpire gli scafisti, le diplomazie arrancano al seguito delle guerre che i rispettivi governi neppure dichiarano ma semplicemente praticano. Le opinioni pubbliche seguono sugli schermi l’inevitabile sobbalzo mediatico, spettatrici di una deriva democratica che semina una progressiva assuefazione all’orrore assorbito ogni giorno.
E un’ecatombe in più o in meno non fa differenza, al massimo serve, come capita in queste ore, a raddoppiare l’inutile replica di Triton. Peggio di niente.
Migranti: sommersi e abbandonati
— Federico Scarcella , CATANIA , 20.4.2015
La strage del canale di Sicilia. Su 20 mila persone giunte in Italia, il 10% sono morte. Il procuratore Salvi «Triton crea problemi anche sul piano delle indagini»
Quel barcone era un sepolcro per vivi, con i due livelli inferiori adibiti alla «terza classe» dei migranti, quella riservata a chi ha i soldi per imbarcarsi ma non per garantirsi l’aria da respirare e l’acqua, privilegio degli occupanti dell’unico piano alto.
Giù, negli inferi, la poca acqua fornita agli assetati veniva miscelata con un po’ di gasolio, in modo da farsi passare la voglia di bere. Giù, dice il procuratore di Catania Giovanni Salvi, prima della partenza le porte sono state sprangate, perché nessuno doveva uscire, perché ogni movimento può mettere a rischio l’equilibrio dell’imbarcazione, che infatti è colata a picco all’alba di sabato scorso, quando i migranti in coperta si sono spostati tutti su una fiancata alla vista del container portoghese «King Jacob» giunto in loro soccorso dopo un sos lanciato con un telefono satellitare.
L’invito a mantenere la cautela sul numero dei morti, fatto ieri dal procuratore Salvi, non cambia le dimensioni della tragedia: 700 — come detto nell’immediatezza dei fatti — o 900 come ha riferito un superstite domenica sera, si tratta comunque di un’ecatombe.
Se quest’anno su 20 mila persone giunte in Italia, quasi 2mila (il 10%) sono morte, vengono i brividi a pensare cosa ancora potrà accadere. Lo scorso anno ne sono arrivate 170 mila in 12 mesi; nel 2015 le previsioni più ottimistiche ne stimano 250 mila.
Stavolta lo «spread» tra i vivi e i morti è impressionante: soltanto 28 sopravvissuti e tra loro anche due migranti che hanno raccontato di essersi «aggrappati ai morti per non finire in fondo»; mentre gridavano, aggiungono i soccorritori, «per attirare la nostra attenzione». I 28 superstiti sono arrivati a Catania nella tarda serata di ieri sulla nave Gregoretti della Guardia costiera, che in mattinata aveva fatto tappa a Malta per lasciare i 24 cadaveri che troveranno sepoltura a La Valletta.
Da noi non c’è più neanche posto per i morti, e mentre sono tante le parole in libertà, scarsissima è la libertà di parola, quella che dovrebbe inchiodare alle proprie responsabilità la ricca Europa, che facendo i conti della serva ha fatto in modo che la «costosa» e ben più efficace operazione Mare Nostrum (9 milioni al mese) fosse sostituita dalla più economica Triton (3 milioni al mese). È ancora il procuratore Salvi a parlare:
«Triton — spiega — crea problemi anche sul piano delle indagini, rispetto alla precedente operazione, e si basa fondamentalmente sulle navi mercantili», cioè sui natanti in navigazione nel Mediterraneo, precettati e dirottati sui «target» man mano individuati nelle varie aree. Non solo mercantili, ma anche pescherecci, come è accaduto alle cinque motonavi di Mazara del Vallo — marineria allo stremo per i sequestri e per la crisi che ha corroso l’economia locale — inviati sul luogo del naufragio.
Vincenzo Bonanno, comandante dell’«Antonino Sirrato», ha provato una grande delusione quando è giunto sul posto, alle quattro del mattino di sabato scorso, e ha trovato «solo giubbotti di salvataggio, vestiti, detriti d’ogni genere, una grande chiazza di gasolio e… morti. Nessuno da salvare, il mare ha inghiottito in fretta 900 persone, la popolazione di un paese». A questa gente, pronta a sacrificare il proprio pane e la propria vita per salvare i naufraghi, lo Stato non ha mai detto grazie: «Se salvi qualche migrante, dopo un paio d’anni qualcuno organizza una cerimonia e ti appuntano una medaglia sul petto. Mai un rimborso», dice l’armatore del «Sirrato» Piero Asaro.
Si fa economia e si fanno grandi proclami: «Arrestare gli scafisti è una priorità», dice ancora Renzi, dopo che all’alba di ieri la Dda di Palermo aveva fermato un gruppo di eritrei, etiopi, ivoriani e Ghanesi.
E in Calabria è finito in manette uno scafista — riconosciuto perché privo di una gamba — che lo scorso 12 aprile, per una manovra sbagliata, aveva provocato davanti alle coste libiche un naufragio costato la vita a 350 persone (150 i sopravvissuti). La notizia dei 350 morti era stata data dai media senza troppa enfasi, a sottolineare che anche l’informazione sta facendo il callo ai morti e rivedendo i propri parametri.
A Palermo la Dda ritiene di aver fatto un colpo grosso. Tra le 24 persone coinvolte nell’indagine (10 sfuggiti alla cattura) ci sono anche l’etiope Ermias Ghermay (latitante dal luglio scorso) e l’eritreo Medhane Yehdego Redae, ritenuti tra i più importanti trafficanti di migranti che operano su quella che viene chiamata la «rotta libica». L’organizzazione, con un cospicuo supplemento in denaro, gestisce le fughe dei migranti dai centri di accoglienza italiani verso altri paesi Ue, soprattutto Norvegia, Germania e Svezia. Si stima che 5mila persone si sono rivolte nel solo 2014 al gruppo criminale e alcuni hanno pagato con un metodo fiduciario usato nel mondo arabo, che si chiama «Hawala» e che non lascia tracce, messo a punto parecchi secoli fa per raggirare il diritto romano.
Ghermay è accusato del naufragio avvenuto il 3 ottobre 2013 davanti a Lampedusa, in cui persero la vita 366 migranti e per il quale è stato condannato a 20 anni uno scafista. Quella strage di un anno e mezzo fa impressionò il mondo intero, tanto che la data del 3 ottobre è stata scelta come Giornata per commemorare i migranti vittime di naufragi. 366 era una sorta di Linea Maginot, una cifra non superabile per la devastante dimensione della tragedia. Oggi i morti sono quasi il triplo e le parole di chi ha il compito di decidere le misure per arrestare questo genocidio restano le stesse e suonano sempre più beffarde: mai più.
Onu e Mattarella contro Bruxelles
— Leo Lancari, ROMA, 20.4.2015
Migranti. Il presidente della Repubblica e Ban Ki-Moon criticano l’Ue e chiedono interventi per salvare i migranti. Renzi dichiara invece guerra agli scafisti, ma nel mirino potrebbero finirci i profughi
«L’Unione europea non può sottrarsi alla prova di centinaia di migliaia di profughi che abbandonano le loro case per sfuggire alla morte», dice da Roma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. da New York, invece, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, riferendosi all’ultima strage di migranti avvenuta al largo delle coste libiche, parla di «tragedia umanitaria» che «ha scioccato le coscienze del mondo». Questa volta le critiche all’inerzia dimostrata finora dall’Europa di fronte ai tanti naufragi di carrette cariche di disperati non potrebbero essere più autorevoli né più chiare. Mattarella approfitta della riunione a Roma dei presidenti dei parlamenti europei per ricordare come siano proprio i valori fondanti dell’Unione che «ci impediscono di rimanere indifferenti alle immani tragedie che si svolgono spesso a poche miglia dal confine meridionale dell’Europa». Più esplicito l’alto commissario Onu per i rifugiati, Zeid Raàad Al-Hussein, che parla chiaramente «di monumentale fallimento» delle politiche dell’Ue sull’immigrazione.
Parole chiare, che invitano l’Europa a muoversi prima di tutto per salvare le vite di quanti cercano di arrivare in Europa, ma che sembrano destinate a rimanere inascoltate. Sia Roma che Bruxelles, sembrano infatti parlare un linguaggio diverso. Alla necessità di salvare le vite dei profughi anche ieri il presidente del consiglio Matteo Renzi ha preferito ribadire la linea di una lotta ai trafficanti di uomini. Non è un particolare di poco conto. Da almeno dieci anni l’Ue ha dichiarato guerra alle organizzazioni criminali che speculano sulle vite dei migranti, eppure ogni volta le stesse organizzazioni hanno dimostrato di poter continuare in tranquillità i propri traffici. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, con decine di migliaia di profughi che sbarcano sulle nostre coste e migliaia , meno fortunati, che perdono la vita nel tentativo di arrivarci. Colpire le organizzazioni finora ha significato soprattutto colpire i migranti, rendendo loro più ancora difficili le rotte verso l’Europa. E le prime notizie che arrivano d Lussemburgo, dove ieri si tenuto il vertice dei ministri degli Esteri dei 28, confermano questa tendenza. Si parla di impronte prese ai migranti e di un rafforzamento di Frontex per rimpatriare quelli irregolari. Più repressione che salvataggio, anche se mascherata da buone intenzioni. «Gli scafisti sono i nuovi trafficanti di schiavi, a loro dobbiamo dichiarare una guerra», ha ripetuto Renzi promettendo di presentare al consiglio europeo di giovedì proposte concrete. Renzi ha parlato con accanto il premier maltese Joseph Muscat, che pare abbia proposto un piano contro i trafficanti simile alla missione antipirateria messa in atto davanti alle coste della Nigeria e giudicato «serio» da Renzi. Né il premier italiano, né quello maltese, hanno però spiegato come intendono portare avanti la battaglia contro gli scafisti. Tolta di mezzo l’ipotesi di un intervento diretto in Libia (esclusa anche ieri da Renzi), cancellata anche la proposta di un blocco navale (che comunque non spaventerebbe certo i trafficanti) resta da capire come si caratterizzerebbe l’intervento. Siccome colpire gli scafisti in mare senza che a pagarne le conseguenze siano i migranti è impossibile, resta solo un intervento lungo le rotte dei profughi. Un’ipotesi avanzata è quella di maggiori controlli lungo il confine tra Niger e Libia. In tal caso però, si fermerebbero forse i trafficanti, ma anche i migranti che trasportano. Che è forse il vero obiettivo europeo. Perché se davvero si volessero salvare le vita di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini c’è solo un modo per farlo, ed è andare a prenderli con dei corridoi umanitari e portarli in Europa. Ma di questo non si parla, né a Roma né a Bruxelles.
In fuga dal Medio Oriente per la guerra globale mascherata da conflitti interni
— Chiara Cruciati, 20.4.2015
Iraq/Siria. Quasi 4 milioni di siriani e 2,7 iracheni profughi nella regione e nel mondo. Molti cercano scampo nei paesi vicini, alimentando le tensioni. 90mila in fuga da Ramadi in pochi giorni.
Il Medio Oriente sembra diventato un immenso campo profughi. Chi ha qualche soldo in più, sale su un barcone per l’Europa e si considera fortunato. Come Mahmoud e le figlie, Rose e Jasmine, arrivati in Italia un anno fa. La loro storia l’ha raccolta l’Unchr, poco dopo lo sbarco in Sicilia. Sono siriani, vivevano bene a Damasco, lui era avvocato. La guerra civile lo ha costretto alla fuga, dopo la morte della moglie in un raid: 1500 euro per avere posto in un barcone che dalla Libia li ha portati in Italia.
Mohammed, 23 anni, ha avuto meno “fortuna”. Palestinese rifugiato di Yarmouk, lo avevamo incontrato un anno fa a Gaza City. Aveva trovato rifugio nella Striscia, scappato alla fame che assedia da due anni il campo profughi. Quando parlammo con lui, durante una manifestazione per Yarmouk, non sapeva ancora di essere scappato dalla guerra civile siriana per finire sotto le bombe israeliane dell’operazione Margine Protettivo.
Le storie di Mahmoud e Mohammed sono le storie di 4 milioni di siriani e di 2,7 milioni di iracheni investiti dalle violenze di un conflitto globale mascherato da guerre intestine. Così la Siria ha visto letteralmente scomparire un terzo della sua popolazione: dei 23 milioni di abitanti nel 2011, ai 4 milioni di rifugiati fuori dai confini nazionali si aggiungono altri 4 milioni di sfollati interni.
Ironia della sorte, 250mila siriani avevano cercato la salvezza in Iraq e ora si ritrovano prigionieri di un paese nel caos per l’avanzata dell’Isis. Perché, seppure migliaia siano saliti sui famigerati barconi diretti in Europa, la stragrande maggioranza dei siriani fuggiti negli ultimi 4 anni è stata accolta dal mondo arabo: la Turchia ospita un milione e 700mila profughi siriani, il Libano un milione e 200mila, la Giordania 630mila, l’Egitto 133mila. Un flusso abnorme di profughi che destabilizza anche i vicini, a partire dal Paese dei Cedri che conta solo 4,4 milioni di residenti. Il Libano, nel timore di subire le conseguenze dei settarismi siriani (come se non fosse da mezzo secolo preda dei propri settarismi interni) ha provato a chiudere le frontiere soprattutto ai palestinesi, nella convinzione che questi ingressi diventino una minaccia economica e sociale.
E chi si imbarca per l’Europa? Una minoranza apparente. Mai tanti siriani, iracheni, palestinesi avevano tentato la fuga verso le nostre coste: non immigrati economici, ma profughi di guerra. L’Unchr, l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, tiene i conti: nel 2014 sono state presentate 866mila domande di asilo in Occidente, il 45% in più del 2013. E i più numerosi sono proprio i siriani, 150mila richieste, contro le 69mila degli iracheni.
Già gli iracheni: sotto embargo o guerra da tre decenni, ora pagano lo scotto dei desideri di grandezza del califfato, progetto transazionale che ha travolto anche la Siria e della cui crescita e prosperosità sono direttamente responsabili le strategie occidentali in Medio Oriente e gli interessi degli attori regionali, dall’Arabia Saudita alla Turchia.
I giornali da giugno raccontano di esodi di massa: dal milione di cristiani, sunniti e sciiti in fuga da Mosul quando il califfo entrò nella seconda città irachena ai 200mila sciiti e yazidi scappati da Sinjar. E i numeri degli ultimi giorni fanno spavento: dopo la nuova offensiva islamista contro la provincia di Anbar, dalla città di Ramadi sono fuggiti 90mila residenti.
Le famiglie di Ramadi hanno trovato rifugio a Fallujah e in Kurdistan, ma la maggior parte sta tentando di arrivare alla periferia di Baghdad, seppure le notizie dalla capitale siano contrastanti: secondo testimoni, ai profughi sunniti non è stato permesso entrare in auto a Baghdad dal ponte al-Bzayez, a meno che non abbiamo parenti o amici residenti in città che facciano da garanti. Il governo ha già promesso di cancellare il divieto e di inviare altre armi alle truppe impegnate ad Anbar, mentre fonti governative hanno detto alla stampa che l’esecutivo sta costruendo sei campi profughi nella capitale. Ad oggi, però, solo 10mila persone sono arrivate nella capitale, delle 90mila in fuga.
Intanto a Ramadi si continua a combattere: l’Isis ha assunto il controllo delle zone nord e ovest della città, a poche centinaia di metri dal centro, seminando mine lungo il cammino e colpendo ripetutamente gli edifici governativi. Il timore è che la caduta di Ramadi, cuore dell’instabile provincia di Anbar, possa fare da rampa di lancio per rinnovate offensive verso il resto dei villaggi della zona.
Tanti “cattivi motivi” per mettersi in viaggio
— Gina Musso, 20.4.2015
Africa. Dalla Somalia al Congo, la mappa dei conflitti e dei regimi da cui è normale fuggire. Ma oltre alle rotte verso nord si sommano quelle dirette in Sudafrica. E qui i pericoli maggiori sono all’arrivo
Migranti in transito tra il Niger e la Libia
C’era una volta il migrante economico africano e naturalmente c’è ancora, ma il numero di chi lascia la propria casa per sfuggire innanzitutto a conflitti e regimi persecutori è cresciuto a dismisura, negli ultimi anni.
Se è dalle guerre che si è costretti principalmente a scappare, l’Africa subsahariana ne è purtroppo infestata: Somalia, Nigeria, Congo, sono alcuni dei paesi con parti più o meno consistenti dei loro territori in preda ai combattimenti o a stragi di civili. Guerre a estensione e intensità variabili, con moventi economici, etnici, religiosi, secessionisti, con interventi dall’esterno o meno.
È comprensibile che tanta gente fugga dalla Somalia, squassata dal lontano 1991 da lotte intestine e interventi esterni che hanno peggiorato se possibile la situazione (dalle ingerenze Usa alla tendenza attuale da parte di Onu e Unione africana a mettere in campo forze composte da militari dei paesi vicini, scatenando vecchie e nuove tensioni); normale che la gente fugga dal nordest della Nigeria, dove la furia stragista di Boko Haram e un esercito corrotto e inefficiente mettono a repentaglio la vita di tante persone; come dal sud, dalla regione del Delta, sfregiato dalla presenza altamente inquinante delle compagnie petrolifere e dall’indole rapace dei governanti locali; naturale che chi può abbandoni il Kivu e la regione dei Grandi Laghi, nella Repubblica democratica del Congo, zone ostaggio di enormi interessi che contrappongono l’esercito governativo a una galassia di milizie appoggiate a vario titolo dalle nazioni vicine.
A questi paesi bisogna aggiungere Mali, Sud Sudan, Ciad, Niger, Costa d’Avorio, Repubblica centrafricana, dove la guerra è infuriata più o meno recentemente e dove malgrado attacchi, scontri armati e attentati non siano più quotidiani permangono dure condizioni di insicurezza, instabilità politica e crisi umanitaria che affliggono le popolazioni. E poi paesi in cui oppositori, dissidenti e disobbedienti vari rischiano il catalogo completo compreso tra il “semplice” arresto e l’eliminazione fisica: l’Eritrea di Isaias Afewerki, l’Etiopia di Hailemariam Desalegn, il Camerun di Paul Biya, il Gambia di Yahya Jammeh, per citare solo i casi più eclatanti.
Sulla composizione dei flussi migratori i dati in possesso del Viminale sono di difficile interpretazione, o comunque fanno capire al massimo le macrotendenze in atto in quel determinato periodo. L’anno scorso ad esempio, dopo gli eritrei, al secondo posto di questa drammatica classifica si sono piazzati i maliani, a causa del conflitto che nel nord del paese ha coinvolto esercito regolare, diverse formazioni ribelli tuareg, vari gruppi jihadisti e da ultime le truppe scelte francesi. Però i numeri sono da prendere con le molle, perché sono tanti coloro che, aspirando a raggiungere altri paesi europei preferiscono non lasciarsi identificare in un paese che considerano di transito, per non restare intrappolati nel regolamento di Dublino III.
Ma la pressione verso il Mediterraneo è solo una parte del problema. C’è un fronte sud e riguarda quanti si lasciano attrarre dal miracolo economico del Sudafrica, per vero, presunto o effimero che sia, e dalla Costituzione che il paese si è dato con la presidenza Mandela. Carta per molti versi esemplare, ma che non può di per sé offrire protezione a chi arriva dal Corno d’Africa, dal Congo, dalla Nigeria, oltre che dalla cintura degli stati confinanti, Mozambico, Zimbabwe, Malawi, Zambia, Angola. Il fiume Limpopo è sicuramente un ostacolo meno insidioso del Mediterraneo da attraversare, ma i pericoli attendono i migranti una volta arrivati nelle township, con l’ostilità spesso violenta dei residenti.
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