di Fausto Durante* e Leopoldo Tartaglia*
Avviati i negoziati per la TTIP. Ma è forte il rischio che gli interessi di deregolamentazione delle grandi imprese colpiscano i diritti sociali e del lavoro, l’ambiente, i servizi pubblici e i beni comuni.
Nonostante l’ombra del ‘datagate’, si è tenuto a Washington, tra l’8 e il 12 luglio scorsi, il primo round di negoziati per l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Usa. Nei giorni precedenti, fonti della Commissione Europea avevano precisato che il ‘datagate’ non rientra nei negoziati su cui e’ invece stato deciso un gruppo di lavoro con i servizi della commissaria Ue, Viviane Reding.
Le trattative per l’accordo commerciale, hanno sottolineato le fonti, ”non sono il luogo dove negoziare la protezione dei dati”, anche se a livello commerciale la questione rientra per quanto riguarda i servizi. In questo ambito, pero’, come in tutti gli altri che rientrano nei negoziati, questi avverranno ”nel contesto della legislazione Ue esistente che non puo’ essere cambiata o indebolita”, secondo le stesse fonti CE.
Secondo la Commissione e l’Amministrazione Usa, i negoziati per l’accordo di libero scambio, la cosiddetta T-Tip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), dovrebbero portare ”all’accordo del secolo”.
Secondo fonti Usa i vantaggi che l’accordo potrebbe portare sono un aumento annuale, per il 2027, (cioè tra 14 anni!) dello 0,5% del Pil europeo e dello 0,4% di quello americano, pari ad una iniezione di 86 miliardi di euro nell’economia Ue e di 65 mld in quella americana: un approdo francamente un po’ modesto per un trattato definito già in partenza come “storico”.
La crisi economica dell’Europa e il declino della sua popolazione hanno spinto i leader europei a cercare di promuovere la crescita economica interna mediante l’esportazione in mercati extra-europei. Da parte loro, gli Stati Uniti sperano di beneficiare di un simile accordo, che probabilmente ridurrebbe il deficit commerciale di Washington con l’Europa e incrementerebbe le esportazioni americane.
Il 14 giugno, i membri dell’Unione Europea hanno dato ufficialmente alla Commissione Europea il mandato di negoziare l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Le parti vogliono concludere i negoziati entro la fine del 2014. Gli Stati Uniti e l’UE hanno già una relazione economica piuttosto robusta. Sono le due più grandi economie del mondo; costituiscono il 40% della produzione economica mondiale; hanno le più grandi relazioni economiche bilaterali del mondo, il che rappresenta circa il 33% del commercio mondiale, e gli Stati Uniti sono la più grande fonte e destinazione degli investimenti diretti esteri dell’Unione Europea.
Alla luce della crisi europea in atto e del re-engagement di Washington con l’Asia, Bruxelles e Washington vedono un accordo di libero scambio come un modo per rafforzare l’alleanza transatlantica, mentre l’Unione Europea vorrebbe rafforzare le sue economie attraverso l’aumento degli scambi.
Dal momento che le tariffe tra i due sono già basse, l’Unione Europea stima che l’80% dei benefici da un accordo di libero scambio sarebbe il risultato dell’abbattimento delle barriere commerciali non tariffarie unificando la regolamentazione e liberalizzando i servizi, il commercio e gli appalti pubblici. Attraverso la regolamentazione unificata transatlantica, le due parti sperano anche di fissare standard normativi globali.
Proprio qui stanno le principali preoccupazioni dei sindacati europei e americano e delle organizzazioni della società civile: il forte rischio che negoziati, dettati dagli interessi di deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione delle grandi imprese americane ed europee, portino ad un ulteriore sfondamento sui terreni dei diritti sociali e del lavoro, delle norme ambientali, della privatizzazione dei servizi pubblici e dei beni comuni, con, inoltre, impatti negativi sul terreno dell’occupazione, sia in termini di quantità che di qualità.
Inoltre, il TTIP si pone chiaramente come “modello” di accordi bilaterali, in alternativa alle negoziazioni multilaterali che vedono lo stallo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC-WTO), che, pur tra mille contraddizioni e con il peso preponderante delle economie avanzate, vede la partecipazione di tutti i paesi, compresi i più poveri e in via di sviluppo, che chiedono regole globali favorevoli al loro sviluppo e non “neocoloniali”.
Tuttavia, anche tra le parti governative interessate ci sono notevoli ostacoli all’ambizioso progetto di avere un accordo completo entro la fine del 2014. I governi europei, in particolare, affrontano un dilemma. Poiché la domanda interna ristagna, l’Europa ha interesse a ottenere un più facile accesso ai mercati esterni, attraverso accordi di libero scambio. Ma quegli stessi accordi porterebbero una maggiore concorrenza per alcuni settori economici europei e per paesi che già lottano per competere nel mercato comune europeo ed aumenterebbero le differenze tra paesi “forti” e paesi “deboli” in Europa e nell’eurozona, in particolare.
Washington, dal canto suo, ha dichiarato che cercherà di proteggere le proprie industrie finanziarie e assicurative, e le società statunitensi sono riluttanti ad allentare le norme sugli appalti pubblici per dare agli europei un accesso più ampio.
In applicazione del Trattato di Lisbona, gli accordi commerciali necessitano di essere approvati solo a maggioranza qualificata dei membri dell’UE e ratificati da parte del Parlamento europeo, e questo percorso può consentire, da un lato, una maggior contrapposizione tra diversi paese, dall’altro uno spazio di inziativa per i sindacati e la società civile.
Intanto, sia l’Amminstrazione Usa che la Commissione Europea hanno aperto la consultazione con la società civile, ricevendo, da tutte e due le parti dell’Oceano, le profonde preoccupazioni e proteste dei sindacati e della società civile per la scarsa trasparenza e per l’eccessivo peso che, nei negoziati, gioca il mondo imprenditoriale e delle imprese multinazionali.
A Bruxelles l’incontro al Civil society dialogue del 16 luglio scorso ha riscontrato le ampie preoccupazioni perchè il rischio è che davanti alla retorica negoziale ed alla divinità del mercato ad essere agnello sacrificale siano la democrazia, la trasparenza e i nostri diritti.
Con una Lettera aperta al presidente Usa Obama, al presidente della Commissione UE Barroso e al presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy, oltre 60 organizzazioni della società civile di Stati Uniti e Europa hanno manifestato le loro preoccupazioni sul contenuto del negoziato e sull’uso di condurre le trattative a porte chiuse, in nome della protezione del segreto commerciale e a dispetto della partecipazione democratica dei cittadini alla difesa dei propri diritti.
La CGIL, nell’ambito dell’iniziativa della Ces, e all’interno dell’Osservatorio sul commercio internazionale Trade Game (vedi nota del 14 giugno scorso) continuerà a monitorare il negoziato e a premere sul governo italiano e sulla Commissione perchè il negoziato rispetti e promuova i diritti ambientali, sociali e del lavoro.
L’Osservatorio ha istituito un proprio blog, sul quale è possibile reperire documentazione e leggere e postare informazioni e commenti: http://tradegameblog.com/
*) – Uff. Politiche globali CGIL
FONTE: http://www.rassegna.it/
TRANSATLANTIC TRADE AND INVESTMENT PARTNERSHIP – LIBERO SCAMBIO USA-UE, UN ACCORDO A PERDERE
http://miccolismauro.wordpress.com/2013/07/08/transatlantic-trade-and-investment-partnership-libero-scambio-usa-ue-un-accordo-a-perdere/
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Il trattato in fieri farà gli interessi degli USA, sicuro ! So come lavorano gli Americani, che hanno generalmente piani chiari e nascondono le intenzioni.
Se gli Europei continuano a essere supini sulle proposte americane (accettare tutto), peggio per loro e per tutti noi.
Conviene che gli Eur. aprano gli occhi e siano mefiants, invece di essere totalmente chiari. La buona tecnica per discutere con Americani ? Mercanteggiare su tutto : do ut des ! Non concedere mai senza tornaconto europeo … !
Un ex negoziatore,
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Il Ttip, ovvero la deregulation planetaria
http://www2.rifondazione.it/primapagina/?p=6502
di Fabio Amato –
L’offensiva neoliberista contro i diritti del lavoro, l’ambiente e i diritti sociali, non conosce tregua né confini.
Nelle scorse settimane sono iniziati i negoziati per l’approvazione del Ttip, il nuovo trattato di libero, anzi liberissimo scambio fra Ue e Usa. Ttip significa trattato transatlantico sul commercio e sugli investimenti.
A volerlo sono soprattutto Usa e Gran Bretagna. A storcere un po’ il naso i francesi, che temono per l’invasione della produzione audiovisuale e culturale americana, da loro frenata e che hanno ottenuto che questo settore venga escluso. Ma in realtà tutti hanno votato a favore dell’avvio delle trattative. Nel consiglio europeo lo hanno fatto i capi di stato ( incluso Letta, non si capisce se con mandato o meno del nostro Parlamento) Nel Parlamento europeo, come sempre accade hanno votato insieme a favore dell’avvio dei negoziati conservatori e socialisti europei, ormai campioni incontrastati del liberoscambismo neoliberista.
L’oggetto della trattativa non saranno i dazi commerciali, già bassi fra le due sponde dell’atlantico, ma quelli che vengono definite barriere non tariffarie. Ovvero quell’insieme di norme e e regolamenti specifici per categorie di prodotti che non sono omogenei.
Qual è il rischio di una trattativa di questo tipo? Che l’abbattimento delle barriere non tariffarie significhi la deregolamentazione totale in settori come l’agricoltura o i servizi, la definitiva mercificazione di salute, istruzione, beni comuni. Il potere assoluto delle multinazionali sulle nostre vite.
La retorica che accompagna la preparazione del trattato naturalmente parla di storica opportunità. Ma a ben guardare, il beneficio economico che scaturirebbe da questo nuovo trattato, visto il già imponente volume di scambi commerciali esistente, è irrisorio. Le previsioni più ottimistiche, fatte dalla stessa Commissione Europea, parlano di un aumento del Pil dell’eurozona dello 0,5% in dieci anni. Ovvero il nulla.
A rimetterci con questo trattato saranno come sempre i lavoratori e i diritti sociali e ambientali, subordinati alla logica spietata del profitto.
Coloro che guadagnerebbero da questo trattato sono solo le grandi multinazionali, che vedrebbero abbattute regole di garanzia sociale e ambientale, quelle a tutela dei consumatori e, questa è la parte più importante e taciuta, garantiti i loro profitti nel caso qualche stato voglia approvare norme sull’ambiente o sociali che ne possano intaccare gli interessi. Questo punto era il cuore anche di precedenti trattati come il Mai( Accordo multilaterale sugli investimenti) e l’Alca. Ovvero la possibilità per le compagnie sovranazionali di essere aldilà delle leggi degli stati nazione, e di poter garantire attraverso arbitrati internazionali i propri interessi.
Altro elemento critico del trattato in discussione è il capitolo servizi. Pubblici e sociali. Alla vigilia dello smantellamento in corso del sistema pubblico di welfare in corso in europa, in particolare nei paesi del sud, a fare gola alle multinazionali e ai fondi pensioni e d assicurativi d’oltreoceano è l’apertura di questo mercato, dove a farla da padrone sarebbero i colossi statunitensi.
Punto altrettanto delicato è quello dell’agricoltura, con la questione degli ogm e della salvaguardia delle produzioni europee.
I tecnici al lavoro per la scrittura del trattato non sono neutrali. Sono agenti delle multinazionali. Saranno loro, con i loro uffici lobbistici a dettare le norme e le materie da trattare.
La battaglia contro il Ttip può assumere il valore della battaglia che è stata vinta in america latina contro l’Alca, l’accordo di libero commercio delle americhe che Wasghington voleva concludere con il sub continente e che grazie all’azione dei movimenti sociali prima e ai governi progressisti che si sono affermati poi è stato respinto al mittente. Di quella contro il già citato Mai del movimento anti globalizzazione.
Dobbiamo lavorare per questo in tre direzioni. Primo informare su cosa è veramente questo trattato e sui suoi effetti nefasti per l’economi a europea e per il suo sistema sociale.
Secondo promuovere mobilitazioni a livello nazionale , europeo, e anche fra Europa e usa, costruendo coordinamenti e un vero e proprio movimento contro quella che si appresta a d essere una nuova rapina ai danni dei diritti sociali e ambientali, mettendo il rifiuto del Ttip come punto di tutte le piattaforme delle mobilitazioni sociali e politiche dei prossimi mesi contro l’austerità.
Terzo, e spetta a noi, dare vita alla campagna decisa comunemente come Partito della Sinistra Europea contro il Ttip, decisa a Porto nello scorso esecutivo di Luglio.
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