A causa dei cambiamenti climatici, ondate di calore, inondazioni e pesanti piogge si fanno più frequenti un po’ ovunque nel mondo, ma è l’Africa a pagarne le conseguenze più severe: l’intensificarsi di eventi meteorologici estremi sta minacciando gravemente la salute umana, la sicurezza alimentare, la pace e la biodiversità del continente africano. A rivelarlo è il nuovo studio pubblicato da Greenpeace Africa e dall’unità scientifica di Greenpeace “Weathering the Storm: Extreme Weather and Climate Change in Africa“.
Lo studio si basa su diversi scenari climatici: tutti prevedono che le temperature medie future in Africa aumenteranno a un ritmo più veloce della media globale. Se non si interverrà al più presto per ridurre e poi azzerare le emissioni, l’aumento medio della temperatura di gran parte del continente supererà i 2 gradi centigradi, per ricadere nell’intervallo da 3 a 6 gradi centigradi entro la fine del secolo, da due a quattro volte rispetto a quanto consentito dall’Accordo di Parigi.
Questo aumento incontrollato vuol dire purtroppo che ci saranno morti, migrazioni, conflitti climatici, scarsità di acqua potabile, impatti sulla produzione agricola ed estinzione accelerata di specie endemiche africane.
Ondate di calore, inondazioni, siccità e cicloni hanno assunto una scala finora sconosciuta. Questi eventi sono ancora più impattanti per le comunità più povere, meno attrezzate per fronteggiare e adattarsi ai cambiamenti climatici.
C’è ben poco di naturale nei disastri che colpiscono l’Africa. La salute, la sicurezza, la pace e la giustizia non si otterranno solo con le preghiere e i sacchi di riso e mais consegnati all’indomani di un disastro: i leader africani devono dichiarare l’emergenza climatica per preservare il futuro del continente.
Come ha spiegato Hindou Oumarou Ibrahim, direttrice dell’Associazione delle donne e dei popoli indigeni del Ciad (AFPAT), “nel Sahel il cambiamento climatico ha distrutto i nostri raccolti, le nostre case e le nostre famiglie, costringendole a una migrazione forzata. Ma l’Africa non è solo il palcoscenico in cui si verificheranno i peggiori impatti sul clima: è un continente di milioni di persone decise a fermare il cambiamento climatico, ad abbandonare i combustibili fossili, e a lottare per proteggere le nostre foreste e la nostra biodiversità dall’agricoltura industriale”.
Nel 1981 presentammo la proposta di legge n. 2990* mirata a riconoscere agli immigrati regolari tutti diritti e i doveri attribuiti agli emigranti italiani soprattutto in Europa.
Certo, oggi, il contesto politico nazionale e internazionale è mutato, tuttavia i valori restano. L’immigrazione è necessaria, ma va regolata, accolta nella legalità e nella solidarietà.
In Italia siamo di fronte a un grave dilemma politico. Da un lato, l’ex compagno Salvini avrà tenuto a mente la citata proposta di legge e oggi, nella veste di leader della Lega nord (non più secessionista?), la usa a suo vantaggio elettorale, dopo averla depurata del suo carattere umanitario e solidaristico.
Dall’altro lato, gli “eredi” del Pci l’avranno dimenticata lasciandosi fagocitare da una lettura equivoca, distorta della crisi del mondo, da una visione destabilizzante del dramma delle migrazioni che non può essere affrontato nella logica degli interessi delle oligarchie finanziarie. I sedicenti “eredi” del Pci ragionano sulla complessa materia (anche da posizioni di governo) come se l’Italia e l’Europa si trovassero nel migliore dei mondi possibili quando, invece, sono vittime delle disuguaglianze, delle pretese del neoliberismo dominante.
Due “opposti estremismi” (razzismo e buonismo) cui contrapporre una terza via possibile, da costruire nell’ambito di una vera politica di cooperazione Nord-Sud, nella legalità e nella solidarietà.Continua a leggere →
Un interessantissima discussione tra il Presidente argentino Alberto Fernandez e l’ex Presidente del Brasile, Lula, insieme ad altri importanti esponenti istituzionali, sindacali e politici dei due paesi, tra cui Perez Esquivel. Emerge la specifica prospettiva delle forze di progresso latino-americane che dovrebbe avere molto più spazio di conoscenza in Italia e in Europa.
Nelle diverse occasioni di uscita dalle crisi che hanno sconvolto l’Italia fin dalla sua unità, l’emigrazione è stata una delle variabili centrali: nel senso – molto negativo – di usarla come un decongestionante, come una sorta di antinfiammatorio, agevolandola e addirittura di incentivandola in modo mirato. E’ avvenuto alla fine dell’800 e all’inizio del ‘900 e, ancora in modo esplicito, nel secondo dopoguerra, quando si invitarono le masse inoccupate e contadine a “imparare una lingua e andare all’estero”.
Forse in pochi lo ricordano, ma anche a ridosso del nostro presente, la cosa si è di nuovo ripetuta, solo 8 anni fa, con il messaggio lanciato ai giovani italiani da Mario Monti, in sede di investitura a Presidente del Consiglio, “a prepararsi ad una nuova mobilità nazionale ed internazionale”. Cosa che anche questa volta è puntualmente avvenuta, portando all’estero, nell’arco di un decennio quasi 2 milioni di persone e un altro milione dal sud al nord. Continua a leggere →
Ci indigniamo perché la Cina vìola i diritti di Hong Kong e delle minoranze, inorridiamo per il razzismo in Usa ma per i palestinesi sotto casa nostra non alziamo un sopracciglio. L’annessione della Cisgiordania è un atto illegale contro ogni accordo e convenzione internazionale ma qui nessuno dice niente. Continua a leggere →
Se si hanno chiari i termini della lotta di classe, si sa che la sfacciataggine delle classi dominanti aumenta quanto più diminuisce il potere di chi dovrebbe contrapporglisi. Indignarsi serve a poco se non ci si organizza per cambiare le cose. Smascherare l’ipocrisia delle corporazioni mediatiche che servono il potere di quelle economiche è tuttavia un compito da prendere molto sul serio, a fronte dell’importanza crescente che i media hanno assunto nei conflitti di nuovo tipo. Continua a leggere →
Il Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati è da tempo impegnato a denunciare le manipolazioni del sistema d’informazione mainstream, Rai in prima fila, rispetto alle vicende latinoamericane tese a condizionare negativamente l’opinione pubblica nazionale in merito a questioni di stati o movimenti che aspirano all’emancipazione dei popoli e alla giustizia sociale. Emblematico il caso di Cuba, da cui abbiamo ricevuto generoso soccorso tramite l’invio una corposa squadra di medici per far fronte alle carenze della nostra struttura sanitaria di fronte all’emergenza pandemica, è passato praticamente inosservato l’appello dell’ex leader Cgil Susanna Camusso (https://fortebraccionews.wordpress.com/2020/04/05/bene-applaudire-i-medici-cubani-ma-ora-sospendiamo-le-sanzioni-susanna-camusso/) in merito alla rimozione dell’embargo, che la sta strangolando economicamente causando gravi sofferenze alla popolazione. Anche le violente repressioni, del governo di destra, tutt’ora in atto in Cile vengono ignorate dal nostro apparato mediatico mainstream. Infine in Venezuela, rispetto al quale la disinformazione ha raggiunto livelli inaccettabili con servizi raramente corrispondenti al vero e realizzati da giornalisti mai presenti in loco (o da studio o da altri paesi americani), divulghiamo, per completezza di informazione, questo articolo realizzato da un esponente della Rete di Solidarietà Rivoluzione Bolivariana che trovandosi in Venezuela ha potuto fornire una testimonianza, diretta e suffragata di dati oggettivi, della reale situazione e delle strategie implementate con successo per contrastarla.
Il Coordinamento del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
«Il collasso economico dovuto alle misure anti-Covid ha reso visibili gli invisibili. Adesso diamo valore al loro lavoro, mal pagato, sempre considerato fungibile»: un’affermazione che si adatta benissimo al contesto dell’Italia. Quelli che stavano a casa si sono accorti di dipendere da figure professionali prima neglette: agricoltori, commesse, fattorini – oltre che dal personale sanitario a tutti i livelli. E soprattutto, si è capito quanto siano essenziali le braccia straniere per la raccolta dell’ortofrutta, componente fondamentale della nutrizione. Non per niente oggi 21 maggio è il giorno dello sciopero dei braccianti stranieri (anche in nome degli italiani) https://twitter.com/aboubakar_soum/status/1263445146705825792?ref_src=twsrc%5Egoogle%7Ctwcamp%5Eserp%7Ctwgr%5EtweetContinua a leggere →
Regolarizzazione dei migranti:la proposta di un gruppo appena costituito di 250 persone, rappresentanti della diaspora migrante in Italia, ricercatrici/ori dell’immigrazione, giornaliste/i, imprenditrici/ori, esperte/i del diritto del lavoro e dell’immigrazione, di Associazioni ed Esponenti Terzo Settore, dell’Università, del mondo cooperativo hanno partecipato alla discussione lanciata via Whatsapp da Ugo Melchionda, corrispondente italiano dell’OCSE per l’International Migration Outlook, a rispetto alla proposta di regolarizzazione ed emersione su cui il governo sta discutendo in seguito alla richiesta della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova.
Riunitosi sabato mattina via Zoom, il Gruppo di Riflessione su Regolarizzazione e Inclusione (Grei250o Gruppo dei 250) ha analizzatola situazione, rilevando «un’emergenza dalla triplice dimensione: sanitaria, sociale ed economica»attraverso notizie dirette dai membri stessi impegnati in prima linea nel lavoro con i migranti. Continua a leggere →
La visita in Israele del Segretario di Stato degli USA
La visita del Segretario di Stato degli USA in Israele non può non destare vivissima preoccupazione in chiunque sia consapevole che qualsiasi violazione della Legalità internazionale, ovunque avvenga, costituisce un pericoloso precedente ed una incombente minaccia per gli assetti internazionali.
Sarebbe gravissimo se il viaggio di Mike Pompeo volesse essere un segnale di incoraggiamento per le mire di Israele di annettersi la Valle del Giordano,una volta considerato il “cestino del pane” dell’economia palestinese, e delle altre parti dei Territori Palestinesi Occupati sulle quali in totale dispregio delle norme internazionali sono stati costruiti gli insediamenti coloniali da Israele,”potenza occupante” a seguito della guerra del 1967. Continua a leggere →
L’articolo. Quando l’apocalisse bussa alla nostra porta
di Ignacio Ramonet
Nato da appena cento giorni in una lontana città sconosciuta, un nuovo virus ha già percorso tutto il pianeta, e ha obbligato a chiudersi in casa miliardi di persone. Qualcosa immaginabile solo nei film post-apocalittici… L’umanità sta vivendo una esperienza del tutto nuova. Verificando che la teoria della “fine della storia” è una menzogna, scoprendo che la storia, in realtà, è imprevedibile.
Ci troviamo di fronte a una situazione enigmatica. Senza precedenti. Nessuno sa interpretare e chiarire questo strano momento di profonda opacità, quando le nostre società continuano a vacillare sui loro pilastri come scosse da un cataclisma cosmico. E non esistono segnali che ci aiutino a orientarci. Un mondo crolla. Quando tutto sarà terminato, la vita non sarà più la stessa.
Solo qualche settimana fa, decine di proteste si erano diffuse a scala planetaria, da Hong Kong a Santiago del Cile. Il nuovo coronavirus le ha spente una a una estendendosi, rapido e furioso, nel mondo. Alle scene di masse in festa che occupavano strade, si sostituiscono le immagini di viali vuoti, muti, spettrali. Emblemi silenziosi che segneranno per sempre il ricordo di questo strano momento.
Stiamo subendo nella nostra stessa esistenza il famoso “effetto farfalla”: qualcuno, dall’altro lato del pianeta, mangia uno strano animale, e tre mesi dopo metà dell’umanità è in quarantena. Afflitti, i cittadini voltano gli occhi verso la scienza e gli scienziati – come un tempo verso la religione – implorando la scoperta di un vaccino salvatore, la cui scoperta richiederà lunghi mesi. Continua a leggere →
Questo articolo comparso ieri sul più diffuso settimanale tedesco è molto importante.
Non solo per ciò che riconosce nei nostri confronti, ma perché la lucida analisi che fa ci dovrebbe indurre tutti a recuperare il rigore dell’analisi politica: i cosiddetti sovranismi e i pericolosi personaggi che li rappresentano sono solo un sottoprodotto delle guerre imperialiste (per ora ancora sul piano economico e commerciale).
Ma quando nasce un movimento sovranista nasce quasi sempre come elemento di difesa da sovranismi ben più scaltri o potenti. E a cascata i sovranismi meno potenti tentano di sottomettere altre aree o paesi meno in grado di difendere la propria sovranità. Chi sostiene questi movimenti ?
Le rispettive borghesie sotto la pressione di quelle più potenti. Quindi bisogna sempre avere l’occhio attento alla configurazione dei poteri nella loro dislocazione e nella loro specifica ideologia che, a parole, può anche essere apparentemente aperta e potabile…finché non viene messa in seriamente in discussione.
Bisogna anche ricordare che i movimenti nazionalistici non sono stati necessariamente regressivi, nel corso della storia. Se vuoi difendere la tua comunità da attacchi predatori, devi contemplare l’unità nazionale come un momento decisivo della tua battaglia, non puoi ignorarlo perché ti sembra inelegante…
Ciò che è decisiva è la prospettiva e chi la guida: non è che il nazionalismo mi può riportare in una condizione di peggiore sfruttamento di quello garantito dalle elites di sangue più o meno blu. Questo giochetto provino a giocarselo da sole le borghesie nazionali non ammesse alla mensa superiore.
Neanche dobbiamo lasciarci fregare dall’argomento dell’accentuata competitività con cui abbiamo già a che fare nello scenario post-covid. E’ fondamentale trasformare la guerra imperialista…in Fine dello sfruttamento di paesi su altri paesi e di uomini su altri uomini. Cioè fine del profitto come guida della storia.
Siamo maturi per altri scenari di cooperazione. Bisogna smetterla di farci dettare l’agenda dall’antique regime nelle sue varie declinazioni.
Il loro mondo è strutturalmente tramontato. Bisogna avere fiducia. Non bisogna giocare solo di rimessa. E bisogna giocare insieme agli altri popoli, facendo emergere le contraddizioni evidenti che riguardano tutti gli spazi nazionali.
La questione infine, come credo sia evidente, non riguarda solo lo spazio europeo. Questo è uno degli spazi, per quanto importante. Ve ne sono altri da aprire: quelli con altri paesi, sia del nord, ma soprattutto del sud del mondo, con le rispettive borghesie colluse e “compradore” o con quelle fasciste (che in realtà sono i diversi vestiti con cui si vestono al cambiar di stagione).
Bisogna tornare al futuro. Che può essere ostacolato e rallentato, ma non sconfitto. (red)
Secondo lo Spiegel, è sbagliato pensare al Belpaese spendaccione e indebitato. Thomas Fricke, autore di un lungo editoriale, non esita a parlare di “tutta questa arroganza tedesca che – non solo adesso, ma soprattutto adesso – è particolarmente tragica”. “In Italia come in Francia arriveranno al potere delle persone che, come adesso già fanno Donald Trump o Boris Johnson, non hanno nessuna voglia di stare al gioco: quel gioco sul quale la Germania da decenni costruisce il proprio benessere”.
È questa una fase di scelte importanti legate all’evolversi della pandemia. Adesso, dovranno essere prese decisioni che contemperino la priorità salute con la ripresa produttiva e sociale
di Fulvio Fammoni (*)
È questa una fase di scelte importanti legate all’evolversi della pandemia. La curva dei contagi pare si vada stabilizzando quindi, i meccanismi di separazione hanno prodotto effetti, seppur ancora parziali. Adesso, dovranno essere prese decisioni che contemperino la priorità salute con la ripresa produttiva e sociale. Consapevoli di proiezioni molto gravi per il futuro della nostra economia (per ultimi i dati del FMI e di BdI) ma evitando la falsa notizia che il virus è sconfitto (magari) e tutto può riprendere come prima. Continua a leggere →
Pandemia. I nuovi emigranti italiani perdono il lavoro in settori di rilievo. I Paesi Ue non devono escluderli sulla base della residenza ufficiale o del loro non inserimento nella previdenza locale. Così è necessario che in Italia gli aiuti previsti dai decreti in atto non escludano i lavoratori stranieri, compresi quelli impiegati al nero o in condizioni di irregolarità
Enrico Pugliese e Rodolfo Ricci
Forse su questo non si è riflettuto abbastanza. Pochi hanno parlato dell’angoscia per un congiunto lontano da casa – studente, operaio precario, o impiegato parimenti precario – confinato in un alloggio piccolo e affollato.
Tra tanta solidarietà nazionale che abbiamo osservato – e soprattutto osservato decantare – è mancato uno sforzo di solidarietà interregionale. Non sappiamo se si poteva fare diversamente. E certo bisognava scoraggiare le partenze incontrollate Ma di certo potevano essere seguiti migliori e più umani criteri.
Con tutto ciò ben più grave è la situazione per gli italiani che stanno all’estero. Tra di loro c’è una componente di dimensione non esattamente stimabile (ma pari almeno a un milione di persone) costituita da quella che è definita solitamente “la nuova emigrazione italiana”. Si tratta di giovani (e meno giovani) a diverso livello di istruzione e qualificazione caratterizzati da una situazione analoga nel mercato del lavoro. Siano essi camerieri, commessi di attività commerciali, impiegati in istituti di ricerca, collaboratori di studi di archistar per loro la condizione precaria è la norma. E al lavoro precario regolato si aggiunge anche all’estero il lavoro nero.
La stragrande maggioranza di questi nuovi emigranti vivono in quattro o cinque paesi europei. E fino a tempi molto recenti hanno vissuto la loro esperienza migratoria come una sorta di emigrazione interna. Si partiva senza passaporto, si conosceva o si imparava presto la lingua. E il lavoro, per quanto precario, era migliore di quello che si poteva trovare a casa, ammesso che se ne trovasse qualcuno.
Le notizie che vengono da associazioni operanti nel campo dell’emigrazione mostrano invece un numero significativo di casi di perdita di lavoro in settori dove i nuovi emigranti italiani hanno una presenza di rilievo. Non si tratta solo della chiusura dei ristoranti ma ad esempio anche della intera filiera alimentare che in paese come la Germania occupa decine di migliaia di nuovi emigranti italiani. E ci sono situazioni analoghe nel commercio, nelle attività di servizio ed altro.
Naturalmente molti dei paesi destinatari della recente emigrazione italiana avranno messo in campo misure di sostegno ai lavoratori analoghe a quelle italiane. Ma ci sono seri problemi riguardanti l’effettivo accesso ai benefici. Innanzitutto ne sono esclusi i lavoratori al nero. In secondo luogo ci si scontra con le usuali limitazioni discriminatorie a livello burocratico.
Su questo esprime serie preoccupazioni, avanzando qualche proposta, il Cgie (Consiglio generale degli Italiani all’estero) chiedendo al governo italiano di «sollecitare gli stati membri della Ue a farsi carico dell’emergenza di tali situazioni» e di «assicurare la sussistenza dei lavoratori stranieri, a prescindere dalla loro residenza ufficiale e inserimento nel sistema previdenziale locale». E aggiunge la richiesta di agire direttamente per casi di «particolare delicatezza che possono riguardare fasce di popolazione non coperte dai welfare locali in paesi molto svantaggiati».
Ciò per quel che riguarda gli italiani all’estero. Ma a questa urgente esigenza di solidarietà ne corrisponde un’altra, parimenti urgente, nei confronti degli immigrati stranieri in Italia. È necessario che gli aiuti previsti dai decreti in atto non escludano i lavoratori stranieri: non solo quelli in condizione regolare (cosa prevista dalla legislazione italiana) ma anche quelli impiegati al nero o in condizioni di irregolarità. Il che corrisponde esattamente a quello che il Cgie chiede ai governi europei per gli emigrati italiani.
Forte eco ha avuto sui social la decisione del governo portoghese di procedere alla immediata regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri presenti nel territorio nazionale. La motivazione del governo portoghese ha posto in primo luogo la questione dei diritti umani e della salute. In più non va dimenticato – e va ribadito in caso di sordità delle istituzioni – la indispensabilità di questi lavoratori per la vita economica e sociale del paese. Di questo si sono resi conto in molti e molte voci si sono espresse in questo senso nel nostro paese.
Il manifesto ha dato notizia nell’articolo di Massimo Franchi dell’appello della Flai-Cgil che tra le altre cose chiede la regolarizzazione di tutti gli immigrati. E mai come ora un intervento di questo genere è al contempo urgente e possibile. Innanzitutto perché i lavoratori precari o al nero dell’agricoltura, e non solo, attualmente senza lavoro possano godere dei sussidi previsti per tutti i lavoratori dipendenti ma anche perché essi possano affrontare in condizioni di vita più decenti questa situazione.
Ci sono anche dei buoni passi avanti in questa direzione. Nei giorni scorsi diversi esponenti politici e governativi, in particolare la Ministra dell’agricoltura e il Ministro, per il Sud hanno proposto la regolarizzazione dei lavoratori immigrati stranieri presenti sul territorio italiano.
Non si tratta solo un fondamentale gesto umanitario, perché se le centinaia di migliaia di lavoratori (in nero) se ne vanno la filiera agricola e alimentare salta, come già sta saltando quella dell’assistenza familiare basata sulle badanti. E bisogna far presto prima che, passato questo momento di solidarietà, le proposte umanitarie e razionali abbiano la stessa sorte delle proposte sullo ius soli.
Cosa non siamo e cosa non vogliamo. Meglio sarebbe chiarire fin da subito il peggioramento che non vorremmo vedere una volta finita l’epidemia: dalla cementificazione delle grandi opere ad un approfondimento delle diseguaglianze, ad un più ampio digital divide.
In queste settimane moltissimi commentatori si ingegnano a prevedere come e perché, dopo l’esperienza del coronavirus, le cose dovrebbero cambiare in meglio; e questo in molti campi, da un rinnovato intervento dello Stato nell’economia, a maggiori stanziamenti nel nostro paese per la sanità, la scuola, la ricerca, dopo decenni di tagli, ad una più forte solidarietà internazionale e così via. Alcuni arrivano sino ad affermare che il virus cambierà il mondo in maniera permanente e che il populismo e il sovranismo saranno sconfitti.
C’è anche chi non si limita a prevedere, ma chiede esplicitamente che le cose cambino in meglio e indica magari le mosse attraverso le quali questo dovrebbe succedere, a livello nazionale come a quello europeo e mondiale, come si riscontra ad esempio in diversi tra i contributi pubblicati di recente su questo stesso sito.
C’è, infine, chi, semplicemente e più modestamente, auspica soltanto che le cose cambino; così, ad esempio, George Monbiot (Monbiot, 2020), che intanto ci ricorda che è scoppiata una bolla, quella dei Paesi ricchi che vivevano in un’atmosfera compiaciuta e piena di confort e che credevano di potere ormai ignorare il mondo materiale, ponendo uno schermo tra loro e la realtà e non facendo niente per anticipare la catastrofe in atto. L’autore sottolinea come il virus sia alla fine un segnale di auspicabile sveglia per una civiltà che appare troppo compiaciuta di se stessa. Continua a leggere →
Le frettolose riconversioni di oggi per produrre mascherine e respiratori dimostrano che, con una domanda pubblica adeguata, il sistema produttivo potrebbe imboccare un’altra strada (cominciando col non produrre più armi); a condizione che ai lavoratori “in esubero”, in attesa di nuovi impieghi, venga garantito un reddito; per poi redistribuire il lavoro tra tutti e ridurre gli orari e i ritmi forsennati di ora. Una prospettiva che la stasi di oggi rende realistica se promossa almeno a livello europeo.
Il diffondersi dell’epidemia da coronavirus sta esercitando una pressione continua e inarrestabile su tutti i rapporti sociali movimentando infinite linee di faglia.
Per primo viene travolto il Servizio Sanitario Nazionale, o meglio viene travolta la favola della sanità di eccellenza e vengono messi a nudo i limiti del servizio sanitario in quelle regioni come la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna che guidavano tutte le classifiche di qualità. Continua a leggere →
Grazie all’impressionante mole di dati e di citazioni (più di 1000 pagine) contenute nel 32esimo rapporto Eurispes, “Italia 2020”*, diventa facile dimostrare come le argomentazioni su cui si regge la propaganda a sostegno dell’autonomia regionale differenziata non solo siano completamente slegate dalla realtà dei fatti, ma spesso addirittura antitetiche a essa.
Tutta la narrazione del Nord virtuoso e del Sud parassita si regge sul nulla più assoluto.
La celebre rivista online francese Médiapart, con la penna del suo esperto culturale Joseh Confravreux, ha dedicato una serie di 6 articoli che passano in rassegna le diverse posizioni inerenti la cosiddetta “controversia sulla questione della razza” e quindi la letteratura in questo campo[1]. Una controversia esaminata nella sua versione francese, che accenna anche a quella in altri Paesi e in particolare negli Stati Uniti. La scelta di dare attenzione a questa disputa è dovuta anche all’esarcebante attacco da parte degli integristi universalisti di destra – e in parte di “sinistra” – nei confronti degli antirazzisti e razzializzati, accusati di esasperare la loro difesa delle identità delle minoranze (nera, femminista, ecc.) e di provocare una “guerra civile” (di carta). Continua a leggere →
Wolfgang Streeck, nato a Lengerich il 27 ottobre del 1946, studia sociologia all’Università Goethe di Francoforte, proseguendo i suoi studi alla Columbia University tra il 1972 e il 1974. A Francoforte studia nel contesto dell’omonima scuola marxista, fondamentale per lo sviluppo del marxismo occidentale. Dopo aver insegnato in alcune università tedesche, nel 1995 diventa direttore dell’Istituto Max Planck per lo studio delle società mentre insegna sociologia all’Università di Colonia.Continua a leggere →
Giunto al suo diciassettesimo anno, il Rapporto sui diritti globali, promosso dalle associazioni più rappresentative, offre le analisi più approfondite, le cifre più aggiornate, il quadro più ampio.
Il Rapporto sui diritti globali è una pubblicazione annuale sui processi connessi alla globalizzazione e alle sue ricadute, sotto i vari profili economici, sociali, geopolitici e ambientali.
Lo studio è realizzato dalla Associazione Società INformazione Onlus, che cura il volume pubblicato da Ediesse editore, da 17 anni è promosso dalla Cgil nazionale con l’adesione delle maggiori associazioni, italiane e non solo, impegnate a vario titolo sui grandi temi trattati nel Rapporto. Continua a leggere →
PRIMA DI TUTTO LA PACE! Contro il terrorismo, le aggressioni, per fermare le guerre. Sostenere i movimenti popolari e dei lavoratori per la libertà, la democrazia, i diritti sociali.
Iniziativa di Sinistra Sindacale Roma, Cgil nazionale, 28 gennaio 2020
Introduzione di Leopoldo Tartaglia, Direttivo nazionale Cgil
1… La crisi libica (a due passi da casa nostra) e gli avvenimenti drammatici nella regione mediorientale e mediterranea orientale ripropongono la necessità di una riflessione sulla politica estera italiana per come è venuta evolvendo (?) durante questa lunga e confusa transizione in cui sono cambiati (in peggio) l’approccio, la concezione, gli obiettivi delle relazioni internazionali dell’Italia, dell’Europa verso il mondo arabo e altre regioni del Pianeta. Con la cd. “seconda” Repubblica, si è passati dal dialogo alla sfiducia, al conflitto; con la “terza” l’Italia é quasi allo sbando, non ha più una politica estera degna di questo nome! Continua a leggere →
Si tratta di uno dei maggiori archivi on line del suo genere, contenente oltre mille elaborati, centinaia di foto storiche ed oltre 80 video-documentari. Un totale di oltre 15 mila pagine tra memorie, racconti, diari, saggi, studi e ricerche.
Si tratta in gran parte degli elaborati selezionati durante le 9 edizioni del Premio Pietro Conti, a cui si aggiunge un altro analogo archivio messo a disposizione dalle associazioni della rete Filef in Italia e nel mondo e da altri partner.
Il progetto è stato realizzato da Filef con il sostegno della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano e grazie al contributo di CISE Multimedia-Lavoro e FIEI (Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione).
Il progetto ha consentito di recuperare e digitalizzare un ampio repertorio di oltre 500 racconti e memorie, e di altrettanti saggi, studi e ricerche sull’emigrazione italiana nel mondo e sull’immigrazione in Italia, raccolti da Filef negli ultimi decenni.Continua a leggere →
La Fondazione Svensson denuncia la “violazione sistematica e strutturale di diritti fondamentali”. Occorre un “radicale riorientamento dei sistemi di produzione e distribuzione agroalimentare”. Un rapporto Ue: “Condizioni da campo di concentramento”
di Davide Orecchio (da Rassegna.it)
Le aree agricole europee si stanno trasformando in “zone senza legge”, dove i migranti sono costretti ad affrontare “gravi violazioni dei diritti umani e dei lavoratori”. La denuncia arriva dalla Fondazione Svensson (un think tank norvegese pro-labour e vicino al mondo dei sindacati) che rilancia materiali e rapporti di origine comunitaria. Evidentemente non è una novità. Il settore dell’industria agroalimentare è uno dei più esposti alla competizione sui mercati globali, non solo europei, e sempre più spesso risponde alle difficoltà aumentando l’area di “prelievo” e sfruttamento della manodopera flessibile e a basso costo fornita da migranti. Continua a leggere →