di Aldo Romano (da Contropiano)
Il diffondersi dell’epidemia da coronavirus sta esercitando una pressione continua e inarrestabile su tutti i rapporti sociali movimentando infinite linee di faglia.
Per primo viene travolto il Servizio Sanitario Nazionale, o meglio viene travolta la favola della sanità di eccellenza e vengono messi a nudo i limiti del servizio sanitario in quelle regioni come la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna che guidavano tutte le classifiche di qualità.
Alleggerito con tagli su tagli, controriformato per poter essere meglio privatizzato, riorganizzato in funzione delle cosiddette eccellenze, questo Servizio Sanitario Nazionale ha ormai perso la capacità di essere strumento di difesa della salute pubblica.
Assieme alla sanità viene travolta la politica di cui viene messa a nudo la subalternità agli interessi di banchieri e grandi industriali. Una subalternità bipartisan che vede da una parte il segretario del PD finire contagiato per aver risposto all’appello confindustriale #milanononsiferma, e dall’altra il governatore del Veneto che un giorno si erge a impavido condottiero del suo popolo e quello successivo si trasforma in marionetta degli interessi padronali.
E alla fine la spinta dell’epidemia sconvolge la società intera a partire dal basso, dalle carceri, dove la stupidità del sistema con il pretesto di prevenire un contagio nega tout court i colloqui con i familiari invece che metterli in sicurezza come si sta facendo nelle più diverse situazioni.
Ma la stupidità del sistema colpisce anche nelle fabbriche, nelle industrie, nei magazzini, nei cantieri. Si chiudono le scuole, le università, le palestre, le chiese, ma non le fabbriche. Si propone il lavoro da casa ma nella maggior parte dei posti di lavoro questa possibilità non esiste proprio, oppure si consiglia ai lavoratori di prendere ferie o congedi, come se i lavoratori dipendenti avessero la possibilità di decidere quando prendersi le ferie o non dovessero lottare ogni volta per ottenere un congedo.
E come sempre nell’emergenza risuona forte l’appello a non fare polemiche, a non disturbare il manovratore.
Ma nel momento in cui il manovratore oltre ad essere al servizio del nemico di classe, si dimostra incerto, indeciso e incapace è necessario sviluppare le conoscenze necessarie per forzare la situazione con proposte risolutive.
La ricerca dei contagi
L’analisi dei tamponi faringei per rilevare la presenza del coronavirus non è un esame banale e può essere effettuata solo nei laboratori di virologia e microbiologia, che sono pochi, pochissimi.
In Veneto questi laboratori si contano sulle dita di una mano e i tecnici in grado di effettuare le analisi sono meno di una ventina. Lavorando senza interruzione e saltando i turni di riposo al momento si è arrivati ad analizzare 4.000 tamponi al giorno.
I test eseguiti in Veneto dall’inizio dell’epidemia fino al 9 marzo sono stati 15.956[i] su una popolazione di quasi 4.900.000 abitanti, pari a un test per ogni 307 abitanti. In Lombardia i test sono stati 20.135, che su una popolazione di 10 milioni di abitanti significa un test ogni 496 abitanti. In Emilia Romagna sono stati solo 4.906 su una popolazione di quasi 4.500.00 pari a un test ogni 917 abitanti.
Questo vuol dire che quando il ministero della sanità diffonde un numero di nuovi contagi inferiore a quello del giorno precedente, come ad esempio è successo il 28 febbraio e il 2 marzo non è chiaro il significato da attribuire a questa informazione cioè se la crescita dei contagi è rallentata, oppure molto più semplicemente è rallentata la velocità dei laboratori di analisi.
La cosa assurda è che in Cina e in Corea si stanno facendo tamponi a decine di migliaia, mentre invece in Italia il governo ha deciso di testare solo chi ha sintomi o ha avuto rapporti con malati.
Tant’è che il 4 febbraio prima ancora che l’epidemia si espandesse in Italia, l’Università di Padova aveva proposto di sperimentare un nuovo test in grado di individuare il coronavirus in meno di tre ore effettuando uno screening di massa alla comunità cinese, ma ricevendo il rifiuto secco da parte del direttore generale della ASL Veneto e presidente dell’Agenzia Italiana del farmaco), Domenico Mantoan[ii].
Il tasso di letalità
Fino ad oggi (9 marzo) a livello mondiale i contagi sono stati 109.343 e i decessi 3.809, con un tasso di letalità (cioè il rapporto tra decessi e contagi) del 3,48%.
In Cina i contagi sono stati 80.904 e i decessi 3.123 con un tasso di letalità del 3,86%
Per quanto riguarda l’Italia il tasso di letalità è stato inferiore o al massimo uguale al 3% fino al 3 marzo e poi ha cominciato a salire arrivando il 9 marzo a oltre il 5%. (grafico 1)
Ci sono alcune differenze tra le diverse regioni. In Lombardia con 333 decessi su 5.469 contagiati il tasso di letalità è del 6,09% . In Emilia Romagna con 70 decessi su 1.386 contagiati il tasso è pari al 5,05%. In Veneto i decessi sono stati 20 e i contagiati 744 con un tasso di letalità del 2,69%.
Sono possibili diverse spiegazioni di queste differenze. La prima sta in quanto già scritto relativamente alla ricerca dei contagi. Semplicemente per le carenze di personale dei laboratori di analisi non si è riusciti ad analizzare tutti i tamponi e quindi il numero reale dei contagiati è in realtà più alto di quello pubblicato.
Se la spiegazione fosse questa, ipotizzando un tasso di mortalità allineato a quello cinese, cioè il 3,86% il numero reale dei contagiati in Italia il 9 marzo invece di essere 9.172 sarebbe di quasi 12.000, in Lombardia invece di 5.469 contagiati ce ne sarebbero stati oltre 8.600, in Emilia Romagna ce ne sarebbero stati 1813 invece che 1.386.
Un’altra spiegazione possibile riguarda invece l’età media della popolazione. In Cina solo l’11% ha più di 65 anni. In Italia invece il 35%. Se è vero che le vittime del coronavirus sono quasi tutte persone con un età maggiore di 65 anni si spiegherebbe perché in Italia muoiono più persone che in Cina.
C’è un’ultima spiegazione che è la più difficile da accettare e cioè che la sanità della Lombardia sia già andata in tilt e non riesca più a garantire le prestazioni salva vita.
Molto probabilmente la spiegazione corretta è un mix delle tre.
Le modalità di cura
All’oggi (dati di lunedì 9 marzo ore 18) in Lombardia su un totale di 4.490 pazienti in cura (cioè contagi meno decessi e guarigioni), il 10% è ricoverato in terapia intensiva, mentre la maggior parte, il 62%, è ospedalizzata in altro reparto e solo il 28% è in isolamento domiciliare.
In Emilia Romagna su un totale di 1.286 pazienti in cura solo il 7% è ricoverato in terapia intensiva, il 45% è ospedalizzato in altro reparto, mentre il 48% è in isolamento domiciliare.
In Veneto su un totale di 694 pazienti in cura la percentuale di quelli ricoverati in terapia intensiva è dell’7%, di quelli ospedalizzati in reparto è del 27%, e la percentuale di pazienti in isolamento domiciliare è la più alta, il 66%.
Bisogna chiedersi come mai in Lombardia ci sia una maggior percentuale di ricoveri in terapia intensiva e una minor percentuale invece di isolamenti domiciliari.
Anche qui ci sono più spiegazioni possibili. Una è quella già data relativamente al tasso di letalità del coronavirus. Se effettivamente in Lombardia il numero dei contagi fosse maggiore scenderebbero sia la percentuale di ricoverati in terapia intensiva che quella degli ospedalizzati, tornando in linea con i valori delle altre due regioni.
Un’altra spiegazione, più maliziosa, è che la sanità lombarda non solo è privatizzata ma finanzia le strutture pubbliche con gli stessi criteri adottati per pagare quelle private. E sicuramente ricoverare un paziente in terapia intensiva determina un rimborso più alto che gestirlo in reparto o in isolamento domiciliare.
Se davvero fosse così sarebbe un esempio chiarissimo di come la logica del profitto privato porti ad uno spreco irrazionale delle risorse.
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