di Alessandro De Toni
I dirigenti del M5S spesso utilizzano argomenti in maniera approssimativa. La loro giusta denuncia del controllo neo-coloniale che la Francia esercita sulle sue ex-colonie anche tramite il franco CFA è parziale e strumentale in quanto utilizzata come arma di distrazione di massa rispetto alla loro politica migratoria succube dell’impostazione salviniana.
Questo non ci esime comunque dal denunciare nel suo insieme lo sfruttamento dell’Africa da parte dei centri finanziari internazionali sostenuti dai rispettivi Stati nazionali.
Vorrei aggiungere un aspetto, sia pure parziale, venuto alla luce in questi giorni e concernente il Ciad, il suo oro, il vero motivo dell’utilizzo di molteplici passaporti diplomatici da parte di Benalla, ex-guardia del corpo di Macron, e dei loro recenti viaggi in Ciad. Uno squarcio emblematico dei rapporti tra Parigi e le sue ex-colonie. Traggo lo spunto da un articolo di un oppositore ciadiano, Thomas Dietrich, apparso il 21 gennaio 2019 su Libération.
Il racconto inizia con un massacro di minatori e cercatori d’oro il 13 settembre 2018 a Kouri Bougoudi, alla frontiera ciadiano-libica, da parte di due elicotteri dell’esercito ciadiano. Per capire bene il perché di tale ecatombe di poveri cristi occorre sapere che il Presidente ciadiano, Idriss Déby è indebitato con le società che sfruttano il petrolio del Paese (170.000 barili al giorno) anche a causa del calo drastico del prezzo del greggio negli anni scorsi. Inoltre, secondo i Panama papers, il clan al potere avrebbe nascosto circa 11 miliardi di dollari nei paradisi fiscali. All’inizio del 2018, il Ciad è sull’orlo del fallimento. Il Governo taglia gli stipendi dei funzionari pubblici di un terzo scatenando uno sciopero generale. I creditori premono per essere rimborsati. Interviene Macron, anche perché N’Djanema è la sede dell’operazione Barkhane a cui partecipano 5 paesi del Sahel per contrastare Boko Haram. Macron incarica la banca Rothschild (suo ex datore di lavoro) di negoziare con i creditori di Déby. Il 23 febbraio si raggiunge un accordo. Ora il Presidente del Ciad deve trovare i mezzi per rimborsare i suoi debiti.
Lo può fare utilizzando l’oro che affiora nella regione del Tibesti, al nord del Paese anche a livelli superficiali, che già consentivano anche a cercatori d’oro artigianali di raccogliere una piccola fortuna. Gli viene in soccorso un centro pubblico di ricerca geologica francese che scopre che, in realtà, nella regione esistono nel sottosuolo immense quantità del metallo giallo. Il Presidente Déby fa dunque un accordo con una società del Qatar coinvolta nell’impresa dal duo Benalla-Hababou Solomon. Quest’ultimo è un uomo d’affari israeliano. Si istituisce una joint-venture che si terrà il 65% dei guadagni mentre il restante 35% andrà al clan Déby. Il Presidente ciadiano assicurandosi la collaborazione di Benalla ritiene di aver il consenso di Macron.
Ora, prima di fare intervenire le ruspe delle multinazionali dell’oro e sfruttare industrialmente le miniere aurifere occorre sloggiare i cercatori. Senonché quest’ultimi si organizzano anche militarmente e si alleano con i comitati di autodifesa della popolazione locale, i Toubou, da sempre in contrasto con D’Janema. A questo punto, nei mesi di ottobre e novembre, interviene l’aviazione ciadiana con il sostegno dei droni francesi, ed usufruendo delle forniture di carburanti della Francia. Vengono bombardati villaggi, e a più riprese la città di Miski, anche infierendo sulla popolazione civile. Il 22 e 23 dicembre 2018 il Presidente francese va a D’Janema e ribadisce il suo totale sostegno a Déby. Il 12 gennaio 2019, dei mercenari sudanesi, massacrano gli ultimi cercatori d’oro ancora presenti. Lo sfruttamento delle miniere d’oro può iniziare.
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