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Report Istat 2015: un paese in grave crisi sociale stretto fra declino economico, politiche di austerity e riforme strutturali

popolazione_italianadi Andrea Vento (Gruppo GIGA)

Il report sulla popolazione italiana 2015 pubblicato venerdì 19 febbraio dall’Istat dipinge uno scenario a tinte fosche, ma drammaticamente fedele, delle condizioni sociali del nostro paese. La crisi economica, che dal 2008 sembra non trovare vie d’uscita concrete, e gli effetti delle riforme neoliberiste imposte dalla  Commissione europea e attuate dagli ultimi governi, hanno prodotto inevitabili contraccolpi sociali che gli indicatori dell’istituto centrale di statistica fotografano in maniera impietosa.

Un paese piegato da una crisi economica senza sbocchi che, anche a causa di una politica industriale ormai inesistente, non solo ha registrato, dal 2008, una perdita del 25% della produzione industriale e una contrazione del Pil di circa il 10%, ma non riesce nemmeno a fermare l’incontenibile emorragia di aziende nazionali verso l’estero. Negli ultimi sette anni ben 473 marchi del Made in Italy sono finiti in mano straniera: Telecom, Pirelli, Italcementi , Ansaldo Breda e Ansaldo Sts, sono alcuni fra gli assi portanti della nostra economia sfuggiti al controllo dello stato e del declinante capitalismo nostrano.

All’interno di questa cornice economica, il quadro sociale che emerge dagli indicatori dell’Istat non poteva che risultare allarmante, tant’è che il 2015 passerà alla storia come l’anno dei record negativi:

1)la popolazione residente diminuisce di 139.000 unità attestandosi al 31/12 a quota 60.569.000, registrando, dopo la rettifica censuaria del 2011, la prima effettiva contrazione dal dopoguerra (vedi tabella 1);

2)le morti, in allarmante crescita (+54.000), salgono a ben 663.000 (+9,1%) raggiungendo il massimo dalla Seconda Guerra Mondiale (tabella 2);

3) le nascite continuano a ridursi (- 15.000)crollando a 488.000, minimo storico dall’unità d’Italia;

4)la speranza di vita, dopo una lunghissima fase, interrotta solo dalle Guerre Mondiali, caratterizzata da un inarrestabile allungamento che ci ha portato ad essere una fra le tre popolazioni più longeve del pianeta, ha invertito la tendenza, iniziando per la prima volta a ridursi;

5)continua il trend negativo, iniziato nel 2008, del numero di immigrati in entrata, fermatosi a 245.000 unità, mentre 45.000 stranieri residenti hanno lasciato il nostro paese.

La popolazione residente nel nostro paese dunque registra, nel 2015, un allarmante calo demografico generale: nonostante il saldo migratorio sia positivo per 128.000 unità (sceso però al 25% rispetto al 2007), non riusciamo a compensare lo sprofondamento, a meno 165.000, di quello naturale. Gli immigrati, aumentati di sole 40.000 unità e sostanzialmente fermi all’8,3% del totale, non riescono più a compensare la contrazione storica della popolazione autoctona che nel 2015 scende, in base al saldo naturale, di ben 179.000 elementi.

Se la mortalità, frutto dell’invecchiamento della popolazione e della crisi sociale, ha raggiunto  il massimo storico al 10,7 per mille, la fecondità, in calo ormai da 5 anni consecutivi, scendendo a 1,35 ritorna ai livelli del 2004, a testimonianza che anche gli immigrati, che contribuivano a rallentarne la discesa, hanno diminuito la loro propensione alla procreazione a causa delle ripercussioni occupazionali della crisi, dalle quali non sono stati certamente risparmiati. Tendenza confermata anche dalla riduzione delle iscrizioni degli stranieri alle anagrafi (immigrati) che dalle 558.00 del 2007 sono diventati, lo scorso anno, meno della metà. Mentre la mancanza di prospettive lavorative per le giovani generazioni, afflitte da un tasso di disoccupazione intorno al 40%, ha spinto, nel 2015, ben 100.000 connazionali ad abbandonare il nostro paese in cerca di un’occupazione. In sostanza arrivano sempre meno stranieri e crescono i giovani in cerca di lavoro all’estero mentre calano le nascite e aumentano le morti. Un paese in inesorabile fase di invecchiamento, con l’età media della popolazione che sale a 44,6 anni (+0,2 rispetto al 2014), con i sessantenni, che, costretti a prolungare l’attività lavorativa, rinviano di fatto il fisiologico turn-over a danno dei giovani che si vedono, così, costretti a cercare migliori prospettive all’estero.

Gli anziani sopra i 65 anni raggiungono i 13,4 milioni, pari al 22% del totale della popolazione, con il Centro-Nord in condizioni più critiche, con Liguria (28,2%), Friuli Venezia Giulia (25,4%) e Toscana (24,9%) in testa alla poco invidiabile graduatoria regionale. Nel contempo si riducono le fasce di età comprese fra 15-65 (39 milioni, il 64,3% del totale) e 0-14 (8,3 milioni, il 13,7%), facendo salire l’indice di dipendenza strutturale al 55,5%, situazione poco invidiabile che si riflette negativamente sul sistema economico e su quello pensionistico nazionale.

Particolarmente preoccupante risulta la condizione di buona parte dei nostri giovani che dopo aver completato il percorso formativo, non trovando adeguata occupazione si trovano, loro malgrado, relegati allo status poco privilegiato di Neet – “Not (engaged) in Education, Employment or Training”, vale a dire le persone non impegnate nello studio, né nel lavoro,  né nella formazione. Di questa categoria deteniamo, dopo la Grecia, il triste primato europeo essendo ben il 26% della fascia di età compresa fra i 15 e i 29 anni. Quale alternativa si pone a questi ragazzi, formati e determinati nel valorizzare le proprie competenze, se non scegliere la via dell’estero, ripercorrendo, con una laurea o un dottorato in tasca, la stessa strada già intrapresa decenni or sono da alcuni dei loro progenitori?

La gravità della crisi sociale è fedelmente rappresentata da un altro evento demografico storico: la speranza di vita di entrambi i sessi, in continuo aumento dall’Unità d’Italia, ha registrato per la prima volta una inversione di tendenza, influenzata probabilmente anche dai tagli apportati alla spesa sanitaria. La longevità maschile scende a 80,1 anni, dagli 80,3 del 2014, mentre quella femminile passa da 85 a 84,7 anni. Se il trend demografico generale risulta inequivocabilmente involutivo  dobbiamo aspettarci a breve anche una ripresa della mortalità infantile?

Gli effetti deflagratori della crisi economico-finanziaria globale del 2007/2008, le politiche di austerity, la perdita di sovranità economica hanno prodotto una drammatica e prolungata crisi economica, classificata a W dagli economisti, che ha messo in ginocchio la capacità produttiva nazionale e che, combinata con riforme strutturali di stampo neoliberista, ha generato un aumento della povertà e dei divari nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Dal report pubblicato dalla divisione italiana della Ong inglese Oxfam risulta che nel 2015 il 20% più ricco della popolazione italiana deteneva ben il 67,6% della ricchezza nazionale mentre al 20% più povero soltanto il 14%. Situazione tipica da paese del Sud del mondo più che da potenza industriale caratterizzata dal “modello sociale europeo” anche se nella versione “mediterranea” con welfare state meno sviluppato rispetto ai paesi nordici e continentali.

Frutto di fallimentari politiche economiche, la drammatica crisi sociale certificata dal report dell’Istat rappresenta una priorità  che il governo e la classe dirigente devono inderogabilmente affrontare uscendo dalla gabbia del neoliberismo e delle politiche di austerity supinamente sin qui applicate, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti ma che a Bruxelles si ostinano a non vedere.

Di fronte a tale cecità, vi è il rischio, sempre meno improbabile, di implosione dell’attuale struttura finanziario-monetaria dell’Unione Europea a seguito dell’incapacità di affrontare e risolvere questioni epocali che toccano le esistenze della maggior parte dei suoi cittadini.

Prima che l’intera architettura comunitaria crolli sotto le pulsioni nazionalistiche che stanno portando all’innalzamento di muri e barriere e a respingere i profughi in fuga dalle guerre, riteniamo improrogabile la formazione di un forte movimento popolare e transnazionale che riporti le questioni dell’occupazione, dello stato sociale e del modello di sviluppo al centro dell’agenda politica.

Quando le istanze di giustizia sociale non trovano rappresentanza a sinistra, la storia ci insegna che possono diventare facile preda delle sirene populistiche della destra.

Le drammatiche vicende del XX secolo ci suggeriscono che forse è un rischio da non sottovalutare.

 

Andrea Vento

(Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)

 

Fonti:

http://www.istat.it

http://www.oxfamitalia.org

http://www.tuttitalia.it/statistiche/popolazione-andamento-demografico/

 


 

 

La tabella 1 riporta il dettaglio della variazione della popolazione residente al 31 dicembre di ogni anno dal 2001 al 2014

 

Anno Data rilevamento Popolazione
residente
Variazione
assoluta
Variazione
percentuale
Numero
Famiglie
Media componenti
per famiglia
2001 31 dicembre 56.993.742
2002 31 dicembre 57.321.070 +327.328 +0,57%
2003 31 dicembre 57.888.245 +567.175 +0,99% 22.876.102 2,52
2004 31 dicembre 58.462.375 +574.130 +0,99% 23.310.604 2,49
2005 31 dicembre 58.751.711 +289.336 +0,49% 23.600.370 2,48
2006 31 dicembre 59.131.287 +379.576 +0,65% 23.907.410 2,46
2007 31 dicembre 59.619.290 +488.003 +0,83% 24.282.485 2,44
2008 31 dicembre 60.045.068 +425.778 +0,71% 24.641.200 2,42
2009 31 dicembre 60.340.328 +295.260 +0,49% 24.905.042 2,41
2010 31 dicembre 60.626.442 +286.114 +0,47% 25.175.793 2,40
 2011  31 dicembre 59.394.207 -1.232.235 -2,03% 25.405.663 2,33
2012 31 dicembre 59.685.227 +291.020 +0,49% 25.872.613 2,29
2013 31 dicembre 60.782.668 +1.097.441 +1,84% 25.791.690 2,34
2014 31 dicembre 60.795.612 +12.944 +0,02% 25.816.311 2,34

 

La popolazione residente in Italia al Censimento 2011, rilevata il giorno 9 ottobre 2011, è risultata composta da 59.433.744 individui, mentre alle Anagrafi comunali ne risultavano registrati 60.785.753. Si è, dunque, verificata una differenza negativa fra popolazione censita popolazione anagrafica pari a 1.352.009 unità (-2,22%).

Per eliminare la discontinuità che si è venuta a creare fra la serie storica della popolazione del decennio intercensuario 2001-2011 con i dati registrati in Anagrafe negli anni successivi, si ricorre ad operazioni di ricostruzione intercensuaria della popolazione.

 


 

La tabella 2 riporta il dettaglio delle nascite, dei decessi e del movimento naturale dal 2002 al 2014.

 

Anno Bilancio demografico Nascite Decessi Saldo Naturale
2002 1 gennaio-31 dicembre 538.198 557.393 -19.195
2003 1 gennaio-31 dicembre 544.063 586.468 -42.405
2004 1 gennaio-31 dicembre 562.599 546.658 +15.941
2005 1 gennaio-31 dicembre 554.022 567.304 -13.282
2006 1 gennaio-31 dicembre 560.010 557.892 +2.118
2007 1 gennaio-31 dicembre 563.933 570.801 -6.868
2008 1 gennaio-31 dicembre 576.659 585.126 -8.467
2009 1 gennaio-31 dicembre 568.857 591.663 -22.806
2010 1 gennaio-31 dicembre 561.944 587.488 -25.544
2011  1 gennaio-31 dicembre 546.585 593.402 -46.817
2012 1 gennaio-31 dicembre 534.186 612.883 -78.697
2013 1 gennaio-31 dicembre 514.308 600.744 -86.436
2014 1 gennaio-31 dicembre 502.596 598.364 -95.768

 

Movimento naturale della popolazione

Il movimento naturale di una popolazione in un anno è determinato dalla differenza fra le nascite ed i decessi ed è detto anche saldo naturale. Le due linee del grafico in basso riportano l’andamento delle nascite e dei decessi negli ultimi anni. L’andamento del saldo naturale è visualizzato dall’area compresa fra le due linee.

La tabella 3 riporta il dettaglio del comportamento migratorio interno, con l’estero e per altri motivi in Italia negli anni che vanno dal 2002 al 2014.

 

Anno
1 gen-31 dic
Iscritti Cancellati Saldo Migratorio con l’estero Saldo Migratorio totale
DA
altri comuni
(*)
DA
estero
per altri
motivi
(**)
PER
altri comuni
(*)
PER
estero
per altri
motivi
(**)
2002 1.275.339 222.801 152.821 1.210.752 49.383 44.303 +173.418 +346.523
2003 1.301.837 470.491 285.642 1.269.159 62.970 116.261 +407.521 +609.580
2004 1.385.046 444.566 226.443 1.359.146 64.849 73.871 +379.717 +558.189
2005 1.417.782 325.673 108.109 1.410.310 65.029 73.607 +260.644 +302.618
2006 1.469.539 297.640 289.765 1.447.788 75.230 156.468 +222.410 +377.458
2007 1.446.334 558.019 57.857 1.435.693 65.196 66.450 +492.823 +494.871
2008 1.465.640 534.712 46.366 1.450.352 80.947 81.174 +453.765 +434.245
2009 1.369.303 442.940 38.239 1.353.421 80.597 98.398 +362.343 +318.066
2010 1.374.363 458.856 40.040 1.363.414 78.771 119.416 +380.085 +311.658
 2011  1.382.461 385.789 62.764 1.385.353 82.460 196.610 +303.329 +166.591
2012 1.567.143 350.772 270.955 1.553.559 106.216 159.378 +244.556 +369.717
2013 1.372.719 307.454 1.430.403 1.383.943 125.735 417.021 +181.719 +1.183.877
2014 1.313.840 277.631 176.508 1.312.316 136.328 210.623 +141.303 +108.712

(*) sono le migrazioni interne, cioè le iscrizioni/cancellazioni in Anagrafe per trasferimento di residenza da un comune italiano all’altro. Il motivo per cui i due valori non sono uguali (con saldo zero) è dovuto al fatto che nei trasferimenti di residenza le iscrizioni e le cancellazioni nelle Anagrafi dei comuni interessati non avvengono contestualmente.

(**) sono le iscrizioni/cancellazioni nelle Anagrafi comunali dovute a rettifiche amministrative.

 

 

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