di Massimo Demontis (Berlino)
A Berlino congresso dei socialdemocratici tedeschi senza visioni per il futuro della sinistra in Germania e in Europa. Schiaffo a Sigmar Gabriel rieletto presidente del partito con il 74 per cento dei voti. Il congresso dice sì agli accordi commerciali TTIP e CETA con gli Stati Uniti e il Canada
Erano in pochi ad aspettarsi un cambiamento di rotta del partito o un aggiustamento della linea a sinistra, un ritorno – in chiave moderna – alle radici storiche di un partito socialdemocratico. Queste fievoli attese sono state ampiamente deluse dal congresso SPD conclusosi venerdì scorso a Berlino.
Il presidente Sigmar Gabriel ha deciso, in-seguendo le orme di Gerhard Schröder, di mantenere ferma la barra del partito al centro, politico e elettorale. Niente di nuovo da questo punto di vista. Da anni la socialdemocrazia tedesca è condizionata dal gruppo maggioritario interno di destra, il Seeheimer Kreis e dalla frazione centrista Netzwerk, del quale fa parte lo stesso Gabriel. La sinistra interna è minoranza, non annovera nelle sue fila grandi personalità e non è in grado di mettere in discussione i centri di potere interno che hanno fatto dell’SPD un partito liberale. A dirla tutta non è nemmeno chiaro, visibile, cosa vuole e dove vuole andare la sinistra interna.
Poteva essere il congresso dell’incoronazione anticipata come candidato cancelliere per Sigmar Gabriel. In Germania le elezioni politiche si terranno nel 2017. Le attese nell’entourage del presidente, e quelle dello stesso Gabriel, erano alte. Ottimistiche le dichiarazioni di fiducia nel partito. Si sentiva forte Gabriel e pensava di avere ben salde in mano le redini del partito.
La débâcle e lo shock
Qualcuno, pur conoscendo bene la storia e il rapporto controverso dell’SPD con i suoi presidenti, parlava di un risultato avvicinabile al 90 per cento. E invece il voto si è trasformato in débâcle. Per una parte della stampa tedesca addirittura in un voto di sfiducia. Quando è stato annunciato il risultato del voto per la rielezione del presidente del partito, inquadrato dalle telecamere, il volto di Gabriel era di pietra. Troppo sonante lo schiaffo appena ricevuto dai delegati: soltanto il 74,3 per cento dei voti il verdetto dell’urna. Il suo risultato peggiore da quando è alla guida del SPD. Quasi 10 punti in meno rispetto al 2013 quando era stato rieletto con il 83,6 per cento, 20 punti in meno rispetto alla sua prima elezione nel 2009. Allora ottenne il 94,2 per cento.
Difficile dire quali conseguenze potrà avere nel futuro il deludente risultato ottenuto da Gabriel. Certo è che l’eco dello schiaffo ricevuto riecheggerà ancora a lungo nel partito, nei gruppi parlamentari e nella compagine SPD di governo.
Sotto shock, Gabriel deve aver pensato per qualche minuto di gettare la spugna. Meglio lasciare che apparire dimezzato, sotto tutela, privo di autorità, presidente a tempo, incerto sul suo futuro. Alla fine, sicuramente convinto dai capigruppo parlamentari e dagli altri ministri del “suo” governo, Gabriel è vice cancelliere e ministro dell’Economia, ha accettato la rielezione reagendo da par suo, in modo ostinato, combattivo.
Il congresso dice sì al TTIP e al CETA
Nel suo discorso di chiusura del congresso Gabriel è andato all’attacco mettendo in guardia il partito, che “non può essere il partito del rigore, delle posizioni inflessibili, perché la vita non è bianco o nero”.
Gabriel si era speso in prima persona per il TTIP e il Ceta perché li considera necessari. Dopo lo schiaffo della sua rielezione ottiene un successo, il sì del congresso agli accordi commerciali TTIP e Ceta con gli Stati Uniti e il Canada. Nel documento finale si legge che i due accordi, pur da migliorare, “sono una chance per dare un’impronta politica alla globalizzazione economica” con l’obiettivo di “creare standard globali per un’economia sostenibile”.
Barra al centro politico ed elettorale
“I tre quarti del partito hanno deciso per me e dunque dove andare, e così faremo” afferma Gabriel dal palco puntando la barra del partito al centro, politico ed elettorale. Per Gabriel, l’SPD deve essere un “Leistungspartei”, il partito che offre soluzioni politiche “all’operoso centro della società”.
Netto il suo no alla richiesta di introdurre una patrimoniale perché “non ha più senso combattere per la patrimoniale in campagna elettorale”. E netto il suo no all’aumento delle tasse, “perché non tutti i problemi possono essere risolti con più tasse”, e a una redistribuzione della ricchezza a favore dei più poveri. Sul tema caldo dei rifugiati, Gabriel vuole ridurne la velocità di affluenza.
Durante il congresso il presidente del partito era stato attaccato duramente dalla presidente dei giovani socialdemocratici Johanna Uekermann. La Uekermann aveva accusato l’SPD di “non fare una politica credibile” affermando che “la gente non crede più a quello che diciamo”.
Della società del futuro, del futuro dell’Europa, della forbice tra nord e sud dell’Europa, della forbice sempre più ampia che divide i pochi ricchi dai tanti sempre più poveri, dei disoccupati, dell’accesso all’istruzione per tutti, dei disoccupati, di diritti, dei bassi salari si è parlato poco e niente al congresso di Berlino.
Titolo originale: “Quo vadis SPD?”
FONTE: http://www.buongiornoberlino.com/index.php/2015/12/15/quo-vadis-spd/
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