di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
Cristina è tornata al lavoro dopo un delicato intervento chirurgico e come prima cosa ha annunciato importanti cambiamenti nel gabinetto di Governo. Si tratta, evidentemente, di una tempestiva – e pragmatica – reazione alla sconfitta elettorale nelle legislative dello scorso mese di ottobre. Tra le novità, la sparizione dalla scena della figura più polemica e discussa dai poteri economici, dall’opposizione e dai Media in questi anni: il segretario di Commercio Interno Guillermo Moreno. Il suo destino: l’ambasciata argentina a Roma.
Dopo 45 giorni di convalescenza (ha subito un intervento per un ematoma cranico), e una pesante sconfitta elettorale nelle elezioni legislative di medio termine di ottobre, erano molte le aspettative e i rumori che correvano riguardo al ritorno della Presidente, sia sul futuro corso politico che sulle sue condizioni di salute per riassumere la guida del governo. Cristina è tornata di buon umore, mostrando un tono addolcito e materno (ha alleggerito, ad esempio il lutto e accantonato le frasi di guerra contro “i nemici” delle azioni del governo), in un video girato in famiglia dalla figlia. Quasi in simultanea, il portavoce della Presidente annunciava cambiamenti molto significativi nello staff di Governo, a cominciare da un nuovo Capo di Gabinetto e da un riassetto dell’equipe di direzione economica.
“Un cenno a sinistra e un giro a destra”, hanno osservato alcuni analisti per caratterizzare i cambiamenti, i cui segnali più in vista sono l’uscita alla cupola del Ministero dell’Economia del ex vice-ministro Axel Kicillof – definito dai commentatori dal gruppo monopolista dei Media “Clarin”, in guerra col Governo, come“marxista” e “filocomunista” – e la nomina come nuovo Capo Gabinetto di Jorge Capitanich, rappresentante del peronismo tradizionale e dei potenti governatori delle province che in questi anni sono statati alleati del kirchnerismo e hanno garantito la governabilità.
Il kirchnerismo di Cristina, in quanto costola sinistra del peronismo, sta dando prova del pragmatismo che è nell’indole e nella storia di questo “movimento nazionale popolare”. La risposta delle urne ad ottobre, in occasione del rinnovo della metà dei membri del Parlamento, è stata forte. Anche se il partito della presidente (FPV-Frente per la Vittoria) è riuscito a mantenere il quorum nelle due Camere, il calo dei votanti rappresenta una seria sconfitta: il consenso al Governo è calato dal 54% nelle presidenziali del 2011 (elezione per il secondo mandato) all’attuale 32% del totale di voti. Sono tramontati definitivamente, quindi, i sogni di una terza rielezione di Cristina e di una riforma costituzionale che consenta questa possibilità.
I risultati sono stati avversi nei principali distretti elettorali: la città di Buenos Aires, la provincia di Santa Fe (che riconfermano, rispettivamente, il centrodestra e i socialisti alleati ai radicali), Cordoba, Mendoza… e soprattutto la provincia di Buenos Aires, dove si consolida la figura di Sergio Massa come aspirante alla successione presidenziale con il suo Frente Renovador, di grande appiglio tra i settori conservatori del peronismo e nel centrodestra.
L’uomo che oggi vuole strappare il potere al kirchnerismo ha un curriculum politico di cambi di posizione e giravolte, nonostante la sua gioventù. Cresciuto nella militanza nella destra liberale, è risuscito a guadagnare notorietà come funzionario del kirchnerismo, prima come dirigente del sistema pensionistico nazionalizzato dallo Stato e dopo come Capo Gabinetto della presidente Cristina (2008-2009). Oggi come Sindaco di Tigre, nel nord di Buenos Aires, cerca di acquisire l’adesione dei capi locali del Partito Peronista (PJ) e dei governatori delle province, che sono chiavi per sostenere la governabilità nel paese.
Le legislative, inoltre, hanno registrato una ulteriore sorpresa, che rende evidente, in qualche modo, un logoramento del kirchnerismo in settori opposti della società: l’avanzamento elettorale della sinistra, sia attraverso i partiti classisti, che delle aggregazioni della “nuova sinistra” sorta con la crisi del 2001. Il FIT (Frente de Izquierda de los Trabajadores), un fronte di partiti marxisti-troskisti che ha guadagnato consensi in questi anni nelle lotte operaie affrontando le burocrazie sindacali, ha raccolto il 5% dei voti ed è riuscito a collocare tre deputati nel Parlamento nazionale ed altri 10 rappresentanti nelle assemblee locali. Si tratta di un dato inconsueto nella politica argentina, sul quale è ancora difficile prevedere sviluppi.
Anche se la scelta di Axel Kicillof al fronte dell’Economia sembrerebbe orientata a riguadagnare i consensi a sinistra, il Governo ci ha tenuto a ribadire che non ci saranno cambiamenti nell’indirizzo economico generale. “Gli obiettivi sono la produzione, l’occupazione e la distribuzione del reddito. Non faremo cambiamenti improvvisi nell’economia”, ha segnalato Kicillof ai giornalisti, cercando di calmare i rumori che crea la nomina del ministro sostenuto dall’ala della militanza giovanile della “Campora”, e ha aggiunto ancora: “Non faremo nulla di dannoso per i lavoratori o per i datori di lavoro. Questo modello cerca di sostenere il mercato interno affinché le aziende abbiano buoni risultati e investano”.
Il biasimato marxismo del giovanissimo neoministro riguarda, a dire il vero, i suoi impegni accademici, che si sono orientati soprattutto sullo studio approfondito delle teorie keynesiane. Sostenitore convinto dell’interventismo dello Stato a guida dell’economia, nelle sue funzioni precedenti di Segretario di Politica Economica e Programmazione e Viceministro, aveva acquistato un alto profilo alla guida dei processi di ri-nazionalizzazione delle grande imprese privatizzate negli anni ’90 – come la compagnia aerea di bandiera Aerolineas Argentinas e la petroliera YPF -, con la promozione di larghi programmi di edilizia popolare (Pro.Cre.Ar.), con i suoi decisi interventi come rappresentante dello Stato nelle assemblee di azionisti o comitati di direzione di grandi imprese, come nella multinazionale italo-argentina Techint.
In ogni caso, la designazione mira soprattutto ad unificare la conduzione della gestione economica, dopo una fase caratterizzata da una successione di misure improvvisate e spesso contraddittorie, che riflettevano le dispute interne tra diversi segretari e sottosegretari dell’area economica e mettevano in evidenza il ruolo sbiadito del ex ministro Hernan Lorenzino.
Quest’ultimo – che aveva occupato gran parte del suo lavoro di gestione nelle trattative con i creditori internazionali e le pericolose richieste dei “fondi avvoltoi” -, è stato nominato alla guida della nuova “Unità Speciale per la negoziazione del debito estero”, incarico al quale dovrebbe aggiungere prossimamente quello di Ambasciatore presso la UE. Il nuovo compito di Lorenzino non è, come può apparire, un premio di consolazione per un ex funzionario fidato. Al contrario, sul terreno della negoziazione con i creditori esterni si preannuncia la svolta più significativa della nuova tappa: il ritorno agli organismi internazionali di credito come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale e l’abbandono della politica iniziata da Nestor Kirchner di “sdebitamento”, cioè liquidare i creditori con risorse proprie senza interpellare le organizzazioni finanziarie.
Negli ultimi anni l’economia argentina è entrata in un collo di bottiglia, il cui sintomo più grave è il restringimento del settore esterno e dell’offerta di valuta internazionale. Le riserve del Tesoro sono diminuite di oltre il 30% nell’ultimo biennio (da 47.600 a 32.000 milioni di dollari) e le ragioni principali sarebbero due: i pagamenti ai creditori internazionali che hanno partecipato della ristrutturazione del debito estero e l’importazione di petrolio e gas. Nel 2013, i pagamenti dei bond scaduti sono alla base del 75% del calo delle riserve internazionali, secondo quanto ha dichiarato la Presidente della Banca Centrale (anche lei in procinto di essere sostituita); per l’anno venturo le scadenze del debito saranno ancora maggiori.
Sul terreno delle politiche energetiche i governi kirchneristi hanno commesso il grande errore di consentire a lungo il modello di gestione della petroliera spagnola Repsol, fino a poco proprietaria dell’azienda nazionale YPF, che ha portato al disinvestimento e alla necessità di importare combustibili. Il paradosso è che l’Argentina è oggi tra i principali paesi per quantità di riserve: si tratta però di petrolio e gas non convenzionale (shale oil e shale gas), depositato in profondità nella porosità della “roccia madre”, il cui sfruttamento richiede sofisticate tecnologie (il fracking per la trivellazione orizzontale della roccia) e investimenti enormi di capitali . La rinazionalizzazione di YPF nel 2012 (espropriazione del 51% del pacchetto azionario) è stato un passo decisivo per l’indipendenza energetica – la meta che si è posta il Governo – ma risulta sterile senza il soccorso dei capitali internazionali. Ciò spiega la contestata decisione, presa subito dopo, di associarsi con la trasnazionale americana Chevron per lo sfruttamento del giacimento di Vaca Muerta (Neuquen- Patagonia), nonostante il pessimo curriculum e le sanzioni per inquinamento ambientale in Ecuador, e malgrado le proteste di molti settori della società civile locale (territori vicini, popoli originari, ambientalisti, ecc) a causa dei rischi che questa tecnica di produzione pone all’ ecosistema e alle loro vite.
Il ruolo di Hernan Lorenzino si preannuncia perciò centrale e strategico per aprire il rubinetto dei finanziamenti. La sua agenda porta, al primo luogo, i negoziati con il Club di Parigi (un debito con governi esteri di sei miliardi di dollari nella sua origine, entrato in default nel 2001), la soluzione delle controversie giudiziarie nel tribunale internazionale del CIADI, la prosecuzione della battaglia con i fondi avvoltoio nei Tribunali di New York (domanda di 1,3 miliardi di dollari), tutti passi necessari per agevolare la strada per la ripresa dei rapporti con le organizzazioni di credito internazionale.
Chi è Guillermo Moreno, che presto vi troverete come consigliere economico nell’ambasciata a Roma? Per l’opposizione, la figura più urticante dell’era kirchnerista: famoso per i suoi atteggiamenti autoritari, per le provocazioni da bullo di strada contro gli svariati agenti economici con i quali si è trovato a combattere per l’applicazione delle sue tante misure di gestione quotidiana dell’economia (il controllo dei prezzi per contenere il forte processo inflazionistico, le restrizioni al mercato di valute, i freni alle importazioni, ecc). Per i settori più duri del kirchnerismo, è l’uomo che ha impegnato la sua vita nella militanza, un funzionario instancabile e integerrimo, un “patriota” da ringraziare – come hanno fatto giorni fa tramite i manifesti con i quali hanno tappezzato il cuore della city.
Moreno è stato un soldato del kirchnerismo e del suo modello di sviluppo, fondato sull’incentivo al consumo popolare al fine di generare lavoro ed inclusione sociale, anche a costo di un’accelerazione preoccupante dell’inflazione che ha portato gli argentini, inevitabilmente, verso la tesaurizzazione in dollari, ripetendo una consuetudine molto radicata in una società colpita da troppe crisi della moneta e dell’economia.
All’inflazione, il Segretario ha risposto con il commissariamento dell’Istituto Nazionale di Statistiche (2007), costringendolo a modificare gli indici e aprendo un conflitto che è arrivato ad una sanzione da parte del FMI. Ha cercato anche, con scarso successo, di stabilire diversi sistemi di prezzi massimi ed interventi nella commercializzazione dei diversi generi.
Moreno è stato anche tra i principali fautori delle misure del “ceppo al dollaro”, ovvero le restrizioni imposte dal 2011 all’acquisto della valuta statunitense e il divieto del suo uso abituale nel mercato immobiliare. L’obiettivo era arginare la fuga di capitali dal circuito finanziario e la dollarizzazione dell’economia, ma il risultato è stato l’apertura di un mercato parallelo (il dollaro blue, dove la valuta statunitense è quotata circa un 60% in più del prezzo ufficiale) e la stasi del mercato de compravendita di immobili. Tuttavia, l’instancabile Segretario è ancora più famoso per le sue minacce verbali agli agenti economici che hanno ostacolato la sua gestione e per i suoi durissimi interventi contro il gruppo mediatico Clarin, il quale – non c’è dubbio – ha molto contribuito nella costruzione del “mostro Moreno”.
In una tale situazione, il compito del Governo, nella nuova fase, è il riassetto delle principali variabili economiche. E’ da mesi che si sta procedendo ad una lenta svalutazione del peso, cercando di colmare progressivamente il divario tra mercato ufficiale e parallelo e di resistere alle pressioni degli esportatori e dei gruppi concentrati a favore di una grande svalutazione.
Per fermare la fuga di dollari, si attendono maggiori imposizioni sul turismo degli argentini all’estero, che ha raggiunto grandi proporzioni grazie alla possibilità di utilizzo della carta di credito (al cambio ufficiale), raggirando così le restrizioni di acquisto della localmente pregiata banconota statunitense.
Per Kicillof, l’Argentina ha bisogno di generare più valuta estera per sostenere la crescita. In dichiarazioni con i giornalisti ha rifiutato la possibilità di una svalutazione – come domandano i mercati – o di una scissione dei tipi di cambio (dollaro importazione, turistico, ecc) – come parevano profilare le decisioni economiche disordinate degli ultimi tempi. Le sfide del presente sono “la produttività, la competitività e l’accesso ai mercati internazionali, in condizioni complesse dell’economia globale”, dichiara con tono pacato il nuovo ministro. Riguardo all’inflazione si propone di “lavorare accuratamente sulle catene di valore, analizzando costi e appropriazione dei benefici. E’ una questione importante, perché da una parte c’è il produttore primario, spesso un piccolo produttore, che riceve una retribuzione molto bassa, e dall’altro il consumatore, che deve avere un prezzo ragionevole”.
Tuttavia, il ruolo centrale nella fase che si inaugura sembra essere riservato a Jorge Capitanich, il nuovo Capo di Gabinetto. La sua nomina è già un forte segnale di cambiamento. In primo luogo per i suoi saldi rapporti con i settori più tradizionali del peronismo, in quanto membro della rete federale di Governatori ed ex Capo Gabinetto del Presidente E. Duhalde, nell’era pre-kirchnerista. Dopo, per il protagonismo con il quale si presenta, assumendo spazi finora riservati alla figura unica e spesso ingombrante della Presidente Cristina.
“Dobbiamo rispettare e far rispettare ciò che la Costituzione prescrive nell’articolo 100, cioè che il Capo di Gabinetto è il capo dell’amministrazione del Paese “, ha dichiarato minuti dopo il suo giuramento, mostrando la sua intenzione di diventare il motore della gestione quotidiana del governo, mentre Cristina, costretta a rallentare per motivi di salute, indicherà le linee generali dalla residenza presidenziale.
“Approfondire il modello”, “dialogare con tutti i settori ” e rafforzare il ruolo dello Stato come “regolatore” della società di fronte agli ” interessi corporativi “, è l’agenda che gli è stata affidata dalla Presidente. Gli obiettivi sono “generare crescita economica, opportunità di lavoro, condizioni di certezza e prevedibilità per gli investimenti pubblici e privati e preservare il potere d’acquisto dei salari “.
Spicca anche il suo impegno diretto nella gestione economica, essendo anche lui economista e vista la centralità di questa materia nella tappa che sta iniziando. Dello stesso indirizzo di Kicillof, ha sottolineato che “lo Stato deve avere la capacità di intervenire e mettere regole per governare per tutti”, mettendo un freno agli “interessi corporativi o particolari” e intervenendo nelle catene di valore “affinché nessun furbo si appropri del surplus degli altri”.
Ciò che emerge in forma chiara è un tentativo di cambiamento nella forma e nei toni della comunicazione ufficiale, fino a poco fa monopolizzata dal discorso non di rado infuocato della Presidente Cristina e dalle sfuriate del Segretario Moreno. In un’Argentina fortemente divisa da odi e simpatie politiche, dalla “guerra” tra amici e nemici del governo, si evidenzia la ricerca di un nuovo tono conciliatore con la società e di riprendere il dialogo con i media.
Questo difficile compito – sul quale si giocano tra due anni le possibilità elettorali di una qualche forma di peronismo kirchnerista – tocca al Capo Gabinetto, che si è proposto in questi giorni alla guida del “Tavolo di Dialogo Sociale” e si è impegnato a convocare regolari “conferenze stampa” con tutti i giornalisti, una pratica che il Governo aveva sostituito con gli atti e le mobilitazioni di massa di Cristina.
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