di Luca Celada (Los Angeles)
Il 2012 e’ stato l’anno in cui l’Italia e’ tornata e ad essere esportatrice “netta” di emigrati, effetto del rallentamento dell’immigrazione da altri paesi e soprattutto del costante aumento di gente, soprattutto giovani, che se ne vanno. Una statistica, rilevata dal recente rapporto sulle migrazioni redatto dal Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità), che fotografa meglio di tante altre la contingenza economica, certo, ma che riflette piu’ profondamente su un paese arroccato su modelli sociali insostenibili al punto che un numero sempre piu’ consistente di ragazzi trova ormai come unica prospettiva di miglioramento l’abbandono fisico del territorio nazionale. Il dato che completa il quadro di una nazione in guerra coi propri figli e’ naturalmente l’agghiacciante 35% di disoccupazione giovanile. Su esodo (ed esodati) e il suo significato approfondito ragiona qui con molti spunti azzeccati Rodolfo Ricci su cambialmondo, qui la notizia e’ ripresa da Marta Abba’ dalla redazione online di Vorrei, ma il fenomeno e’ abbastanza lampante da essere ampiamente commentato anche all’estero. Qualche giorno fa William Black sull’edizione USA di Huffington Post ha lanciato la provocazione in cui ringraziava l’Italia per l’esportazione di cotanto giovane talento e forza lavoro verso il suo paese pregando ironicamente di non smettere e scrivendo in parte: “l’austerita’ e’ una attacco violento alla produttivita’ dell’Italia, ai suoi giovani e ragazzi (…) la massiccia disoccupazione che sta provocando sta spingendo le migliori speranza e per il futuro del paese ad abbandonarlo”.
Le politiche antirecessionarie post-liberiste hanno sicuramente avuto una nefasta influenza su una sitazione che ha strangolato fino alla disperazione le prospettive di lavoro per i giovani e normalizzato aberrazioni dilaganti come il tirocinio pernenne, il lavoro gratis e l’endemico sfruttamento generazionale contro il quale i ragazzi in rete cercano di coalizzarsi in community come nofreejobs. Altro che valore costituente della repubblica, l’attacco al lavoro e’ diventato il sopruso fondamentale, il peccato originale da cui discendono una moltitudine di iniquita’ sociali – in questo senso l’attuale esodo e’ il prodotto ultimo di generazioni di malgoverno e, viene da dire, malformazioni antropologiche.
L’argomento come si dice “e’ caldo” tanto che che il corriere della sera vi ha dedicato un convegno tenuto all triennale con special guestLorenzo Jovanotti il quale da temporaneo residente di New York ha corroborato: recentemente in quella citta’ si vedono effettivamente in giro un sacco di italiani in piu’ «fuggiti via, con la speranza e la voglia di costruirsi un futuro». Ma a scanso di equivoci lui pur con qualche preoccupazione per la situazione generale, assolve il paese da cui il titolo celebratorio con cui l’intervento e’ stato postata sul sito del giornale: “Jovanotti promuove l’Italia. Mi ha dato tanto, ho fiducia in lei”.
Una performance buonista ancorata dallo stesso direttore De Bortoli, piena di implicito paternalismo che qualche anno fa si sarebbe potuta chiamare “per voi giovani”. Jovanotti pur rilevando il “poco spazio” lasciato ai giovani (l’ammirato Renzi ad esempio che, ricorda, infatti ha perso le primarie) ammette che in fondo lui pero’ ha avuto molto dal paese, pieno di difetti ma cosi amabile in fondo, proprio per quei suoi vizietti fra cui menziona con nostalgia (ricordando i tempi negli scout e il padre impiegato in Vaticano) “l’ipocrisia cattolica”, tutta italiana e in fondo innocua – come una merenda di nutella . Ah questa Italia! Incorregibile, si’, ma in fondo cosi’ simpatica e Jovanotti spazia in altri settori a torto bistrattati: il giornalismo ad esempio perche’ no. C’e crisi? Beh pero’ c’e pur sempre il corriere.it con la sua «terza colonna che tutti guardano, quella di notizie strane. Perchè io a leggere il sito del New York Times» – confessa – «faccio fatica». Eh si’, a chi lo dici. Per fortuna che col corriere ti puoi aggiornare tutti i giorni su cosa combinano Belen e la Canalis e la Minetti perche’ quegli elitisti del Times si ostinano a non occuparsene .
E pensare che c’e’ chi ravviserebbe nella triste regressione del giornalismo italiano in gossip miscelato a tradizionale sudditanza politica, uno dei piu’ macroscopici e pernicosi effetti del ventennio berlusconiamo – forse perfino parte di quel generale degrado professionale per cui appunto molti giovani decidono di puntare altrove il proprio futuro. Non impedisce a Jovanotti e corriere di regalarci l’obliquo elogio di questo paese da cui pero’ per qualche motivo c’e un fuggi fuggi generale.
Avendo in qualche modo anticipato l’attuale onda di emigrazione, a noi sorge il dubbio che c’entri invece qualcosa proprio il groviglio di nepotismo, corruzione e clientelismo che affligge la geronto-oligarchia italiana in questo suo crepuscolo, aggravato dalla crisi economica ma in realta’ frutto di vizi fisiologici mai risolti, legati a difetti arcaici, questi si’ assai italiani. Una malformazione strutturale che si cristallizza in particolare nell’odierno svilimento del valore del lavoro , un esautorazione delle nuove generazioni ad opera delle caste che perpetuano in ogni campo professionale lo stesso modello di piramide invertita del privilegio che caratterizza la concezione italiana del potere.
Una situazione di cui anche la sinistra e corrseponsabile per essersi battuta, in questo paese di intoccabili corporazioni e di genuflessione congenita, non contro le roccaforti del privilegio ma bensi’ contro la meritocrazia. Si’, questa insidia forestiera da combattere nel nome di un presunto egualitarsmo virtuoso mentre tutto attorno dilagavano raccomandazioni, figlismo e veline parlamentari. Un errore di calcolo che contribuisce a spiegare la sconfortante rassegnazione, la stasi politica, il distacco culturale che si respira oggi nel paese, come anche l’attrazione per sistemi sociali che con tutti i difetti mantengano una ragionevole misura di rispetto per il lavoro, di proporzione fra impegno e risultato: di meritocrazia.
La parte migliore ad esempio dell’esperimento americano che ha introdotto una mobilita’ sconosciuta nelle societa’ borghesi europee. A noi fuoriusciti che assistiamo da lontano allo sfascio ci sembra piuttosto chiaro che c’entri un po’ anche tutto questo se Jovanotti a Manhattan incontra un sacco giovanotti compatrioti. Gli capiterebbe lo stesso anche a Parigi, Londra, Toronto, Sydney, Rio, e tutte quelle citta’ diventate meta di quelli, sempre piu’ numerosi, che al paese il voto lo danno con le valige.
FONTE: http://www.lucacelada.com/content/?p=1349
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