di Franco Trapani
E si muore anche se si è stati un campione tale da partecipare alle Olimpiadi. E se sei etiope e se sei donna, se sei stata una così sfortunata partecipante agli antichi giochi che non sei riuscita ad importi contro i tuoi antagonisti, come richiede il mercato delle nuove Olimpiadi liberiste, allora muori di sete e di fame mentre cerchi di approdare laddove speravi di trovare una goccia d’acqua dolce, un tozzo di pane o, almeno,  in una pietosa carezza, quel calore umano che ti aiutasse al momento dell’atroce morte. Morir di sete e morir di fame, un orribile modo di morire a vent’anni.

E noi, invece, noi benestanti di questa società europea occidentale, noi oggi come ieri non siamo più capaci di offrire né un sorso d’acqua dolce, né un tozzo di pan secco e men che mai una mano solidale a chi sta morendo prosciugata da un sole implacabilmente nemico e ladro di vita. Al massimo noi avremmo potuto dare una distaccata elemosina e, con ciò metterci a posto per sempre la coscienza.

Noi benestanti oggi siamo tutti così: incapaci.

Non nascondiamoci la verità: in queste morti, troppi morti e tutte eguali, c’è chi cerca uno spiraglio d’umanità nel suo simile, ma dall’altro lato della stessa scena, ci siamo noi, come in uno specchio.

Sì noi, sì noi tutti, tutti noi liberisti alla Ayn Rand o meno, ma anche noi ex social-comunisti d’ogni tipo e colore. Sì tutti noi che a queste tragedie abbiamo fatto il callo e non vediamo, non sentiamo né capiamo i fatti che incrociamo.

Oggi tutta la nostra parte, tutti noi insieme, credenti in una qualsiasi religione o atei, colti o ignoranti, maschi o femmine, formiamo una sinistra in fuga disordinata dai nostri ideali, inseguiti da un mondo liberale o liberista o libertarista che ci ammalia e ci conquista con i suoi modi di adulare e bastonare fatto di promesse e di cose. Promesse alle quali noi facciamo finta di credere e gadget che ci attraggono e ci perdono rendendoci schiavi.

Ma non schiavi che potrebbero sempre accarezzare il momento di una libertà avvenire, meglio dire servi, anzi servili comodi, stupidi idioti, ben felici, spesso, d’essere asserviti a quel mondo.

Come ci siamo ridotti male tutti noi cari compagni, tutti. Mentre molti ci abbandonano, gli operai sostengono un padronato che li affama e li riempirà di malattie mortali. E nella tragedia che incombe i loro rappresentanti stanno lì a cercare un inesistente equilibrio tra salute e servitù. I figli e i nipoti di quei potenziali compagni ci hanno tradito:  e stanno inebetiti tra un Gramsci dimenticato o mai letto in una mano e la frusta o la mannaia del carnefice nell’altra.

Non sanno per chi decidere, ma c’è sempre chi colpire più in basso, qualcuno più piccolo o più mite o comunque diverso per nazionalità e provenienza su cui sfogare con rabbia i proprii limiti e le proprie frustrazioni. Non avranno mai il coraggio civile di sostenersi l’un l’altro nelle loro baracche senza acqua né luce e di farsi sparare addosso, cadendo a decine.

Poche chiacchere e sentimentalismi.

Dopo una secolare storia di sfruttamento di tutto il mondo e dopo averne lasciato gli avanzi ai capitalisti e ai figliastri semicivilizzati di un socialismo traviato, oggi noi a questo basso ruolo servile siamo decaduti: fare i carnefici al soldo dei ricchi.

Se vogliamo cambiare le cose, ma nei tempi lunghi o lunghissimi e senza facili entusiasmi, abbiamo solo una strada da percorrere: lasciare la città dei faraone e riprendere un faticoso ritorno alla terra tradita, in una peregrinazione di nuova cultura e di antichi ideali.

Ciò che ci misero, di pratico e duro, gli Stalin e i Lenin, non è bagaglio utile e sano. Non conterrà acqua per strada, ci porterà ancora odio, dolori e morte.

Dobbiamo avviarci per una strada tutta nuova e tutta nostra, tanto nelle difficoltà a percorrerla che nella felicità di raggiungerla.

Noi e i nostri morti, noi e le nostre vittime, noi e i nostri nuovi compagni, noi ed i nostri ideali. Almeno potremo almeno sperare una vita nuova con inizio diverso ed opposto. Solamente da un primo germe di unione solidale potrà nascere il nuovo, ma nello stesso tempo il germe sarà portatore del vecchio nucleo universale. Che è poi il nostro stile di essere veramente di sinistra.

Anche la morte per sete e per fame di una donna che non potrà mai più sperare in niente e in nessuno, anche quel funerale non celebrato, potrebbe diventare l’occasione di una rinascita.

Invio sconsolati saluti ai pochi sopravvissuti maestri e ai molti compagni perduti: che rimangano dove stanno, a servizio, se la loro felicità consiste solo in questo.

Invio a tutti i miei saluti sperando che qualcuno cominci a cambiare ed aspettando che cambi il mondo. Mi scuso per le iperboli e le metafore.

…………………………………

Nella foto:
Samia Yusuf Omar, la più grande di sei figli di una famiglia di Mogadiscio cresciuta, come i suoi fratelli, in povertà. Nel 2008, questa ragazza piccola e gracile, partecipò alle Olimpiadi proprio in rappresentanza della Somalia. Figlia di una fruttivendola e di un uomo ucciso da un proiettile d’artiglieria, questa ragazza era riuscita con molti sacrifici a partecipare alla gara dei 200 metri femminili di Pechino 2008. Da testimonianze di un gruppo di naufraghi, Samia è morta durante una traversata del mediterraneo nel tentativo di sbarcare in Italia per poi raggiungere Londra per partecipare alle ultime olimpiadi.


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4 risposte a “E SI MUORE….”

  1. Avatar Franco Di Cagno
    Franco Di Cagno

    Caro F. Trapani, concordo in pieno colle tue iperboli e metafore. Quando si manifestano i sentimenti non hai a disposizione che esse. Il descrivere ragionando lascia le coscienze come sono. Assopite nell’accordo. Tranquille se contrariate.
    Mi ha colpito in particolare il passaggio sui nuovi carnefici. Aggiungo, di tutte le età dai 18 in sù. Da brividi, perchè numerosi, nel loro farneticare la morte.
    Sono contento d’averti incontrato. Come lo sono stato l’altro giorno conoscendo Silvano Agosti, che parlava della forza dell’amore per rendere più azzurro il nostro pianeta, azzurro già di suo. L’ho incontrato per caso, come qui accade, leggendo non so più cosa sul blog di Grillo.
    Ti saluto, caro compagno. E mi permetto di segnalarti che Gesù Cristo si esprimeva per lo più in parabole. Il ragionare ha a che fare con le cose dure, forse perchè rinsecchite nella forma scelta; pratiche, da in-seguire.

    1. Avatar Francesco Trapani

      Caro Franco, ometto i soliti riti delle convenzioni, anche se mi costa qualcosa perché c’è sempre il rischio di sembrare brutale o evasivo, e ti dico solo grazie di cuore.
      Mettere insieme, esemplificando, i carnefici e Gesù è la provocazione che mi porti e che devo sinceramente accusare di non saper risolvere: due opposte visioni della realtà esigerebbe una sintesi o tradizionale: quella di un padre celeste, celeste amore come forse sosteneva Silvano Agosti che tu citi per quel colorare il nostro terriccolo pianeta di speranza e serenità. Oppure quella di un animalismo indifferente e cieco. Forse, a questo punto la cultura, non il nozionismo, potrebbe essere la risposta. Ma…
      Quando dovessi mai avviarmi a capire la chiave di queste contraddizioni, mi farò sentire e spero di trovarti ancora per cercare di avere, da te, un’altra spinta.
      Saluti, Franco Trapani

  2. Avatar rosalba rita
    rosalba rita

    Caro Franco, grazie per il tuo articolo facciamo crescere l’indignazione,
    LAVORATORI UCCISI, PRECARI E DISOCCUPATI SUICIDI, MORTI SUL LAVORO
    SIAMO IN GUERRA. NON BASTA INDIGNARSI, ESPRIMERE SOLIDARIETÀ E CONDOGLIANZE ALLE FAMIGLIE, CONDANNARE. PER NON SUBIRE LA GUERRA DEI PADRONI E DELLE LORO AUTORITÀ, BISOGNA ORGANIZZARSI E LOTTARE PER VINCERE!
    Angelo Di Carlo è morto. Disoccupato, precario da anni, si era dato fuoco l’11 agosto davanti a Montecitorio, davanti alla sede della Camera dei Deputati di quella “Repubblica fondata sul lavoro” che è restata sulla carta, dove oggi Monti proclama apertamente che “il posto di lavoro fisso è una monotonia” e la Fornero che “il lavoro non è un diritto, ma un premio per chi obbedisce e si sacrifica”: per chi sacrifica se stesso, i propri figli, il territorio in cui vive, come a Taranto!
    Nell’Italia dei Monti, dei Marchionne, dei Riva, dei Ratzinger si muore per mancanza di lavoro e si muore di lavoro. Chi perde o non trova lavoro è nei guai, resta senza niente. Chi un lavoro ce l’ha, deve lavorare sempre di più, sabato e domenica, notte e giorno, con sempre meno tutele in materia di sicurezza (“un lusso che non possiamo più permetterci”): il lavoro è una condanna, lacrime e sangue per avere sempre meno garantito il futuro per sé e per i figli, una roulette russa in cui si esce di casa la mattina e non si sa se si ritorna la sera. E se non fai come dice Marchionne, lui chiude, se non obbedisci, ti licenzia e assume un altro: di disoccupati ce ne sono sempre in coda. Questo è il lavoro in un paese capitalista, nell’Italia reale. E’ su questa base che i Monti e i Marchionne contano di rilanciare il paese, l’economia, i consumi, la società. E se la direzione del nostro paese resta in mano loro, il futuro che si prospetta è già scritto e ben leggibile.
    La strage di minatori alla Lonmin di Johannesburg mostra di cosa è fatto il “grande sviluppo economico” dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che la borghesia nostrana esalta come modello, quali sono le condizioni a cui secondo i Marchionne i lavoratori devono rassegnarsi se vogliono continuare a lavorare in nome del profitto, della competizione mondiale, della globalizzazione. Mano libera ai grandi monopoli nazionali e internazionali su terre, miniere, risorse, uomini e donne per produrre materie prime alimentari o industriali per il mercato mondiale, per le grandi opere dettate dalla speculazione finanziaria, per sfruttare giacimenti di minerali o di combustibili, per la deforestazione, per costruire zone industriali speciali e installazioni militari. Il risultato è che cresce un’economia mercantile e capitalista nuova con una “classe media” benestante di agenti padronali, di piccoli capitalisti, di funzionari e di tecnici, il PIL aumenta, le entrate dei governi aumentano di contro a una maggioranza della popolazione sfruttata all’osso e più miserabile di prima.
    “Un lavoro utile e dignitoso per tutti” è la base per rimettere il nostro paese sulla via della civiltà e del progresso. Utile: per produrre e realizzare quello che serve realmente alle famiglie, alla vita collettiva, alla tutela e al miglioramento dell’ambiente, al progresso in ogni campo della vita sociale. Dignitoso: sicuro, rispettoso della salute, dell’integrità e della sicurezza dei lavoratori. Per tutti: perché c’è un sacco di lavoro da fare, c’è bisogno del lavoro di tutti, italiani e immigrati, per far funzionare le scuole, gli ospedali, tutti i servizi pubblici che sono cronicamente sotto organico, per rimettere e mantenere in sicurezza il territorio, per sviluppare la ricerca e/o l’applicazione di nuove energie pulite, per tenere aperte le aziende che i capitalisti chiudono o de localizzano, per riconvertire ad altre produzioni quelle inutili o dannose, per recuperare gli stabili in disuso e i quartieri degradati delle grandi città.
    E’ qualcosa che non ha niente a che fare con la “ripresa” o la “crescita” economica discussa in ogni vertice internazionale, promessa da ogni governo borghese, invocata dalle grandi associazioni padronali come Confindustria. Non lo faranno né Monti né qualsiasi altro governo voluto o gradito ai poteri forti. Né gli aspiranti salvatori della patria alla Montezemolo & C. che si spacciano per paladini dei “capitalisti che producono”.
    Lo possono fare solo le organizzazioni operaie e popolari instaurando un loro governo d’emergenza, deciso a finalizzare tutta la vita del paese a fare veramente e finalmente dell’Italia “una Repubblica fondata sul lavoro” e a passare sopra agli interessi dei ricchi e del clero, alle loro abitudini, relazioni e norme per realizzare questo obiettivo.
    Di fronte alla morte di Angelo Di Carlo e alla strage di minatori della Lonmin non basta indignarsi, esprimere solidarietà e condoglianze alle famiglie, condannare. Siamo in guerra, bisogna organizzarsi e agire di conseguenza.
    Per non subire la guerra dei padroni e delle loro autorità, bisogna organizzarsi e lottare per vincere!
    Nella situazione attuale fare appello al buon senso e alla ragionevolezza dei Monti e dei Marchionne non serve a niente, di più è complicità con i crimini di cui sono responsabili nel nostro come negli altri paesi.
    Non basta neanche cercare di costringerli a fare qualcosa per rimediare alla disoccupazione, alla precarietà, al lavoro nero, al nuovo schiavismo e ai mille altri effetti della crisi generale del capitalismo: al massimo possiamo ostacolare o rallentare la loro opera di distruzione degli uomini, delle attività produttive, dell’ambiente e delle relazioni sociali, ma finché il coltello dalla parte del manico resta in mano a loro non riusciremo a invertire la rotta disastrosa su cui ci hanno messo.
    Un governo d’emergenza che abbia al centro del suo programma e della sua azione la realizzazione della parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti” è la prospettiva che abbiamo di fronte per fermare, da subito, le morti per disoccupazione, precarietà e lavoro, per garantire a ogni famiglia una vita dignitosa. I Landini, i Cremaschi, i Leonardi, i Bernocchi, i De Magistris e quanti oggi hanno ascolto, seguito, prestigio e fiducia tra i lavoratori e le masse popolari hanno la possibilità e quindi la responsabilità di promuovere la mobilitazione per costruirlo. Qui e ora. Cosa aspettano?
    La realizzazione della parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti” è la base per la realizzazione di ogni altro obiettivo di risanamento e miglioramento della situazione. Dalla mobilitazione per la realizzazione di questa parola d’ordine bisogna partire per migliorare realmente la sicurezza, la coesione sociale, l’igiene pubblica, la salute mentale e fisica, la difesa dell’ambiente, per incrementare la cultura e la solidarietà, per mettere fine o almeno limiti al degrado morale, intellettuale e sociale, per migliorare la partecipazione della massa della popolazione alla vita politica e sociale, per ogni movimento di progresso.

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