di Karl G. Zanetta
A distanza di 6 mesi dall’insediamento del Governo Monti, è possibile dare un giudizio intellettualmente onesto della gestione della Farnesina da parte del Ministro Terzi? Naturalmente, 6 mesi sono pochi ma alcune cose, purtroppo, si possono già dire. Questi 6 mesi sono stati caratterizzati soprattutto da tre vicende, all’apparenza non connesse l’una all’altra, ma che presentano, in verità, un tratto caratteristico comune e di fondo: il personalismo eccessivo degli appartenenti alla struttura ministeriale, soprattutto nel suo vertice, e la loro grande difficoltà nella gestione e nella risoluzione dei problemi.
La prima vicenda da cui prendere le mosse è stato l’esplodere del caso del Console Generale d’Italia a Osaka, Vattani. Noto già da tempo per le sue simpatie neofasciste, mentre meno noti sono i meriti che lo hanno portato al grado di Ministro Plenipotenziario nel giro di circa 20 anni di servizio (conosciuti sono cioè gli incarichi ricoperti, ma non i risultati conseguiti in ogni fase della carriera), il figlio dell’ex Segretario Generale, Umberto Vattani, ha messo in grave imbarazzo il Ministero degli Esteri con le sue esibizioni canore di dichiarata fede fascista.
Varie sono le “anomalie” rilevabili all’esplodere del caso. Proviamo a individuarle: un diplomatico, ancorché in servizio in Italia (ma destinato a prestare servizio all’estero di lì a poco tempo) esibisce platealmente una fede politica estremista, violenta e incostituzionale. Come è possibile che venga fin dal principio selezionato un simile personaggio, peraltro tramite uno dei concorsi più difficili e complessi di tutta la Pubblica Amministrazione? Perché in un tale concorso non venivano e non vengono effettivamente valutate le attitudini psicologiche dei candidati a ricoprire incarichi difficili, pressanti e stressanti sia a Roma sia all’estero? E come mai è sempre possibile che riesca a vincerlo qualcuno che è sempre figlio di qualche diplomatico in servizio? È già desumibile, dunque, da questi elementi come la Farnesina rappresenti, dal punto di vista del personale che compone il Ministero, una casta. Una casta insensibile, quasi paradossalmente vista la sua missione prioritaria, ossia le relazioni con l’esterno, al rapporto col mondo che la circonda. Tutta ripiegata, viceversa, a trovare “soluzioni” ai problemi interni che si verificano costantemente proprio a causa delle personalità che la compongono, a discapito di ogni criterio di buona amministrazione, di buona gestione e persino contro il buon senso (basti pensare alla volontà di applicare a ogni costo all’interno della Farnesina la c.d. riforma Brunetta, disapplicata finanche dal Ministero della Funzione Pubblica che sta per presentare ora un progetto di legge che va finalmente in una direzione diversa da quella intrapresa da Brunetta, riforma relativa alla valutazione dei dipendenti pubblici e alla loro classificazione in fasce di rendimento; ciò contro ogni logica, specialmente se si tiene conto del fatto che la normativa in questione venne redatta a scopi propagandistici senza tenere in minima considerazione la complessità della struttura organizzativa della Pubblica Amministrazione italiana, e in un’ottica puramente punitiva degli impiegati in servizio).
Ovviamente, la rimozione del Console Generale d’Italia a Osaka, Vattani, era indispensabile non solo per motivi di ordine generale e ideale, ma anche per motivi immediati di ordine politico-pratico. Era ed è ipotizzabile, infatti, che le Amministrazioni di centrosinistra italiane (comuni, province e regioni), pur volendo collaborare con controparti giapponesi, non vogliano minimamente e legittimamente passare attraverso un ufficio diretto da un funzionario dichiaratamente fascista. Qui scatta un’altra anomalia: la rimozione di un console è un atto amministrativo, non politico (al contrario di quanto avviene per gli ambasciatori). Di conseguenza, l’atto di rimozione è impugnabile dinanzi alla magistratura amministrativa in punto di legittimità. Il che, difatti, è puntualmente avvenuto da parte di Vattani. Mentre il TAR del Lazio ha sospeso la procedura di richiamo a Roma, il Consiglio di Stato, valutando correttamente la situazione e soprattutto la necessità di tutelare gli interessi pubblici pregiudicati dalla permanenza di Vattani nel suo incarico, ha a sua volta sospeso la sospensiva del TAR, obbligando così Vattani al rientro a Roma.
Sbilanciandoci fin d’ora in una previsione, è possibile ipotizzare che, alla fine, la magistratura riconoscerà la legittimità del richiamo. Ma sarà interessante osservare quanto segue:
1) quale sarà l’esito della procedura disciplinare intentata a suo carico (circa la quale solo di recente si è appreso che la Commissione di disciplina sarebbe pronta a irrogare, una volta ottenuta la firma del Ministro Terzi, la sanzione della sospensione dal servizio per 6 mesi);
2) a quale ufficio in Italia sarà assegnato al suo rientro il diplomatico in questione;
3) entro quanto tempo verrà riassegnato a una sede all’estero e dove. Senonché, va rilevato che, quale che sia la sanzione disciplinare, essa non solo non avrà più alcun effetto ai termini di legge dopo due anni dall’irrogazione, ma anche che essa non avrà ad ogni modo alcun effetto pratico utile e rilevante in senso negativo nei confronti di Vattani (se non la perdita di qualche posto nel bollettino diplomatico e la perdita dello stipendio per il periodo della sospensione), il quale è già arrivato al grado più alto della carriera diplomatica, a parte il grado di Ambasciatore di carriera (al quale oggi egli non avrebbe potuto ambire data la sua recente promozione), grado però per il quale potrà comunque concorrere in futuro, magari quando le acque saranno più calme e gli effetti della sanzione non saranno più giuridicamente rilevanti
Sarebbe, inoltre, interessante chiedersi se la Farnesina abbia compreso, dopo un caso simile, la necessità di procedere ad alcune riforme. È anomalo ad esempio il meccanismo di assegnazione all’estero dei funzionari che si basa unicamente sull’esigenza di coprire i posti vacanti. Il meccanismo dovrebbe avere una matrice, invece, tipicamente politica sul piano procedurale. L’assegnazione dovrebbe fondarsi non solo sul fatto che il posto sia libero, ma principalmente sulle specializzazioni e sulle competenze del candidato al posto vacante, il quale dovrebbe essere sempre nominato con atto politico del Consiglio dei Ministri indipendentemente dall’incarico (Ambasciatore o Console, giacché anche in quest’ultimo caso le sue lettere patenti sono sempre firmate dal Presidente della Repubblica e dal Ministro degli Esteri), sottoponendo la nomina all’esame delle commissioni parlamentari competenti, le quali dovrebbero disporre del potere di interdire la nomina dopo l’audizione del candidato al posto con un voto negativo preso a larga maggioranza. Già questo dovrebbe bastare a migliorare il processo di selezione e a impedire che gli atti di nomina e rimozione siano impugnabili dinanzi alla magistratura amministrativa.
Si tratta, però, di una via che la Farnesina non riuscirà a intraprendere, sia per una complessiva carenza di doti di valutazione prospettica che contraddistingue purtroppo i suoi gestori, dovuta al fatto che il lavoro amministrativo si basa sulla soluzione dei problemi presenti e non sull’organizzazione del futuro e che molti di loro smettono di studiare dopo aver vinto il concorso (come se guadagnarsi lo stipendio senza impegnarsi anche successivamente fosse una legittima compensazione della fatica fatta per vincere il concorso), sia perché troppo impegnati nelle loro baruffe interne e nella cura della propria carriera. Ricordiamo, tra l’altro, come il meccanismo di selezione del personale, dall’ingresso alle nomine ai gradi più alti, avvenga per auto-replicazione del modello dominante. Per avanzare, cioè, bisogna entrare in una “cordata” in cui chi sta in alto tira su chi sta più in basso. E chi sta in basso fa, certamente, il lavoro più pesante per consentire a chi sta in alto di avere il tempo di mantenere i suoi contatti politici. È noto, d’altronde, come il Ministro degli Esteri Terzi sia legato all’ex Ambasciatore Fulci, la cui presenza all’interno della Farnesina, assieme a quella dell’Ambasciatore Vattani, è ancora avvertita, se non addirittura temuta.
In tutta questa girandola di anomalie, ve ne è poi un’altra possibile che non è stata rilevata nella vicenda del Console Vattani e che, stranamente, non è stata tuttora fatta notare da Vattani stesso. Nella Pubblica Amministrazione italiana vige infatti il principio della separazione tra politica e amministrazione. Ne segue che gli atti di avvio del procedimento disciplinare e di rimozione dall’incarico all’estero avrebbero dovuto giocoforza essere avviati, a norma del Testo Unico sul Pubblico Impiego, dal Direttore Generale per il personale. Per contro, a quanto risulta dalle dichiarazioni tanto del Ministro Terzi quanto dell’ex Segretario Generale Massolo, i procedimenti sono stati avviati su istruzioni del Ministro, il quale per legge sarebbe tenuto soltanto a elaborare l’indirizzo politico senza essere coinvolto nella gestione diretta del personale.
Sorgono allora spontaneamente alcuni dubbi e alcune domande:
1) si può supporre che Terzi si sia trovato a fronteggiare una doppia pressione, una esterna (particolarmente del PD, che sostiene il Governo Monti) e una, anche solo psicologica, interna (in considerazione della figura dell’Ambasciatore Vattani);
2) in questa tenaglia, Terzi è intervenuto direttamente quando forse avrebbe dovuto piuttosto astenersi dal farlo (su quali disposizioni di legge si fonda esplicitamente un simile intervento?);
3) poiché Vattani junior e i suoi legali non hanno sollevato l’argomento, è lecito ipotizzare che vi sia stata un’intesa tacita volta a mettere in rilievo, ora, il protagonismo di Terzi per far salve le sue apparenze politiche ma a salvare, in seguito, Vattani, quando le acque si saranno calmate? Anche da un caso del genere, comunque, dovrebbero trarsi alcuni insegnamenti specialmente in relazione alla revisione del principio di separazione tra politica e amministrazione in un Ministero come la Farnesina, i cui funzionari svolgono necessariamente un ruolo politico, diretto o indiretto che sia, e che ha bisogno di cure costanti provenienti dal mondo politico per correggere alcuni meccanismi che si sono, con ogni evidenza, inceppati da tempo.
Un altro triste momento che ha contraddistinto la gestione Terzi è stata la vicenda dei due fucilieri di marina detenuti in India. Non si può colpevolizzare Terzi per aver provocato la vicenda, ma la sua gestione ha sollevato dubbi e polemiche. Anche questo evento mette a nudo alcuni difetti organizzativi e strutturali tipici dell’Italia di oggi: da una legislazione in materia di pirateria concepita, alla stregua di molte altre leggi, in modo assai approssimativo e superficiale dal Parlamento (senza stabilire, tanto per dire, la linea di comando in una nave privata su cui vengono imbarcati funzionari pubblici armati) a un Ministero che non si preoccupa di concludere neanche un accordo con gli Stati che si affacciano sull’Oceano Indiano per proteggere i propri convogli mercantili e i militari a bordo. Ciò posto, non si rammenta tuttavia una parola del Ministro Terzi sul fatto che due pescatori indiani abbiano comunque perso la vita, tant’è vero che, stando al suo comportamento, non si capirebbe alla fine nemmeno perché i nostri militari siano detenuti in India. Pervicace è stata la sua volontà di chiudere la vicenda sembra pagando immediatamente dei risarcimenti ai familiari delle vittime, mostrando con ciò mancanza di considerazione nei confronti delle vittime e della loro dignità oltreché nei confronti di un popolo, come quello indiano, uscito dalla colonizzazione, in accelerato sviluppo economico e pieno di senso di rivalsa nei confronti dei paesi ex coloniali. Oltretutto, dei pagamenti “ex gratia” sono stati effettuati ai familiari delle vittime, nella speranza che in tal modo venisse subito chiuso il contenzioso. Al contrario, la Corte del Kerala ha proseguito, come era lecito prevedere, nel procedimento penale (ma alla Farnesina lo sanno che neanche in Italia un pagamento di danni, nel caso di un reato di omicidio, avrebbe impedito la prosecuzione dell’azione penale? Forse il sistema legale indiano è diverso, ma ciò non significa che la valutazione sul da farsi non avrebbe dovuto essere effettuata alla luce degli elementi giuridici a disposizione e della situazione politica del posto). Verrebbe allora da domandarsi: sulla base di quale titolo di legge sono usciti quei soldi? Da quali fondi sono usciti i pagamenti “ex gratia”, che altro non erano comunque che dei risarcimenti mascherati formalmente da donazione? Come sono transitati dall’Italia all’India questi fondi e su quali conti? Sono stati effettuati pagamenti in contanti? Non si tratta di quesiti oziosi; la normativa italiana prevede difatti che i pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni, ivi comprese le amministrazioni all’estero, sopra i 1.000 euro debbano per forza essere fatti tramite banca onde evitare la formazione di provviste di fondi extra bilancio, fenomeni di evasione fiscale, possibilità di corruzione e così via. Altra domanda: si tratta di fondi soggetti a rendicontazione alla Corte dei Conti e non essendo stato raggiunto lo scopo ultimo che ci si era prefissi, ossia la liberazione dei due militari detenuti, sarebbe possibile parlare di sperpero illegittimo di denaro pubblico e richiedere ai responsabili la restituzione del denaro già trasferito in India?
Va rimarcato poi come non uno straccio d’idea “originale” sia uscito dalla Farnesina, a parte quanto detto ora (e cavarsela coi soldi non è certo un’idea originale), su come far rientrare in Italia i militari in questione. Provare quantomeno a rivolgersi al Consiglio di Sicurezza sulla base del Capitolo VI dello Statuto delle Nazioni Unite? Provare a rivolgersi alla Corte Internazionale di Giustizia, considerato che l’India ne accetta, in linea di principio, la giurisdizione? Niente di tutto ciò. Dopo l’esplodere del caso, il Ministro Terzi si è persino presentato in India con una delegazione di imprenditori, tra cui Colaninno della Piaggio, come se nulla fosse accaduto. In fondo, il business è quello che conta al mondo d’oggi e, in più, con le nostre ambasciate e i nostri consolati a corto di fondi non potevamo non sostenere le imprese italiane all’estero, nella speranza che sponsorizzassero le attività delle nostre rappresentanze per le quali non c’è più un euro. Il tutto a dispetto della nostra dignità nazionale, della dignità di altre amministrazioni statali coinvolte, come il Ministero della Difesa, e della dignità delle vittime.
Sarà un caso, dopotutto, che non un’idea sia uscita dalla Farnesina se i funzionari non studiano, sono impegnati tutto il tempo nelle proprie baruffe o a curare la propria carriera e a formare cordate di parenti e amici?
Da ultimo, a proposito di risse interne, la nomina di Terzi, ovverosia di un diplomatico di lungo corso (peraltro non simpatico a molti all’interno e di cui non si ricordano contributi intellettuali di rilievo), avvenuta a quanto pare su pressione degli Stati Uniti che volevano, dopo Berlusconi e preoccupati dalla nomina di Monti che anni prima, come Commissario UE alla concorrenza, aveva colpito la Microsoft, un uomo che garantisse la posizione filo-atlantica dell’Italia (non è mai stato rivelato di cosa abbiano parlato e chi abbiano contattato Monti e Napolitano nelle lunghe ore trascorse insieme al Quirinale prima che fosse letta la lista dei Ministri, né d’altronde Monti ha mai spiegato le ragioni che lo hanno indotto a proporre a Napolitano la nomina di Terzi), avrebbe scatenato una violenta contrapposizione interna tra i funzionari, come se fosse in atto un regolamento di conti portato avanti dal Ministro per fatto personale, ancorché tale situazione conflittuale sia stata smentita dalla Farnesina. Il Ministero degli Esteri, nel suo complesso, ha pagato le conseguenze di un simile conflitto, essendo ormai da mesi all’attenzione degli organi di stampa per questa vicenda. Ultimo in ordine di tempo ad andar via è stato il Segretario Generale della Farnesina, Massolo, che in origine era parso anch’egli candidato alla poltrona di Ministro e poi è stato sorprendentemente “scavalcato” appunto da Terzi.
Lo stato penoso in cui versa oggi la Farnesina, aggravatosi dall’arrivo di Terzi, spicca ancor di più se si pensa che, dopo la nomina di Visco a Governatore della Banca d’Italia al posto di Saccomanni, non una mosca è volata all’interno di Palazzo Koch, che non è affatto finito all’attenzione della stampa per un conflitto tra funzionari come quello in corso alla Farnesina.
Per uscire da questa situazione, va ancora una volta sottolineato che occorre che la politica faccia il proprio mestiere, ponendo maggiore attenzione alle nomine, a partire da quella stessa del Ministro degli Esteri, e lavorando alla riorganizzazione dell’edificio ministeriale nel cui quadro inserire nuovi meccanismi di selezione del personale sia al momento iniziale sia nelle fasi successive di carriera. Tali meccanismi sono ormai squalificati poiché non sono in grado di garantire che accedano al servizio diplomatico soltanto persone di provata fede democratica, rappresentative dei valori costituzionali e capaci di far sempre primeggiare l’interesse generale sul proprio interesse personale.
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