di Andrea Vento (*)
Crescono le proteste popolari in Cile iniziate nei giorni scorsi a seguito dell’annuncio dell’aumento del costo del biglietto della metropolitana e brutalmente represse da esercito e polizia causando una ventina di morti, oltre a feriti, arresti, torture e stupri.
Venerdì scorso si sono svolte oceaniche manifestazioni a Santiago del Cile e nelle principali città con addirittura due milioni di persone che sono scese in piazza contro lo stato di emergenza, il coprifuoco e la repressione del governo Piñera ma con obiettivo ultimo di ottenere lo smantellamento dell’impianto neoliberista dell’economia causa di sofferenze e gravi squilibri sociali.
Forte è la richiesta di una assemblea costituente che superi la costituzione approvata da Pinochet durante la sua tristemente famosa dittatura e introduca un nuovo sistema sanitario e di istruzione gratuiti e accessibili per tutti, un modello pensionistico che garantisca la sopravvivenza agli anziani e una riforma fiscale che intacchi i privilegi del 10% della popolazione più ricca che oggi detiene il 60% della ricchezza nazionale con l 1% addirittura il 26.5% (dati Cepal). Infine, la questione del lavoro con aumenti del minimo salariale e delle tutele sindacali e il ritorno alla nazionalizzazione delle miniere di rame, principale risorsa del paese, in linea con quanto fatto dal governo di Unidad Popular di Salvador Allende.
Il presidente Piñera dopo aver inizialmente condannato e criminalizzato le proteste, oltre ad averle violentemente represse con l’esercito, ha prima chiesto scusa al paese per aver sottovalutato il profondo malessere sociale, e, dopo le manifestazioni, addirittura è arrivato a dichiarare che «la moltitudinaria, allegra e pacifica marcia di oggi, con la quale i cileni chiedono un Cile più giusto e solidale, apre grandi cammini di futuro e speranza». Dichiarazioni sorprendenti quanto tardive poiché la popolazione ormai chiede le sue dimissioni e a poco è valso il suo successivo annuncio di revoca dello stato d’emergenza, di richiesta di rinuncia rivolto ai ministri in carica e di apertura di una imprecisata «Agenda sociale» senza indicare precise modifiche strutturali dell’impianto economico.
Il popolo cileno acquisisce sempre maggiore forza rivendicativa e si ribella all’eredità neoliberista lasciata dalla dittatura e mai sostanzialmente modificata dai successivi governi in prevalenza di centrosinistra degli ultimi 30 anni, chiedendo a gran voce le dimissioni di Piñera le cui “mani sono sporche di sangue” e una assemblea costituente per voltare pagina col pinochetismo e col liberismo una volta per tutte.
(*) Il coordinamento del Giga – Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
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