di Alexander Ricci
Questa settimana hanno destato scalpore le parole del Commissario europeo, Günther Oettinger, in merito alla crisi costituzionale in atto in Italia. È veramente triste constatare come si sia creato tanto baccano per “nulla”. Chiunque può constatare quanto le parole del Commissario siano state travisate, prima di tutto, dal giornalista che ha condotto l’intervista e, successivamente, dai media, che hanno fatto dell’intervento un vero e proprio affare diplomatico.
La realtà è un’altra: Oettinger ha detto cosa si aspetta per il futuro. Nulla di male, perciò. Semmai è sull’ennesimo uso sconsiderato del termine “populista” – ormai divenuto un vero e proprio prezzemolo del linguaggio mediatico – che ci si dovrebbe soffermare. Ma questa è un’altra storia.
Detto ciò, fare dell’intervento di Oettinger un evento fuori dal comune, o straordinario, “implica” anche altro: ostacolare la presa di coscienza per cui la crisi italiana va interpretata come “europea”. Che quella in atto sia una “crisi di sistema politica” per il Belpaese, è condivisibile. Al di là di questo, però, lo scontro Mattarella-M5S-Lega rappresenta lo squarciamento del velo di Maya di un certo europeismo ingenuo e “innocente”. Non è l’Europa che è al centro della crisi italiana. È l’Italia a essere diventata, al pari della Grecia nel 2015, il nuovo emblema della crisi dell’Europa.
Per questo motivo bisognerebbe abbandonare la paura che gli scossoni italiani possano provocare danni al progetto europeo. Semmai è vero il contrario. L’Europa, per essere salvata, va “dibattuta”, non “difesa”. Affermare, oggi, di essere “per l’Europa” alla luce di quanto sta avvenendo in Italia (e quindi, ancora una volta, nell’Europa stessa), non vuol dire nulla.
Chi attacca i cosiddetti “populisti” per puntare di nascosto a un’uscita dall’Euro o dall’Unione senza spiegare le conseguenze – e senza spiegare come si intende cambiare questa Ue – è altrettanto colpevole e “populista”. Senza contare che, probabilmente, non ha capito perché si è arrivati fin qui: la retorica di un’Unione europea come progetto di pace, libero scambio, stato di diritto e occasione di crescita non fa più presa su molti strati della popolazione. Qualcuno potrebbe dire che è una questione di “condizioni materiali”.
Siamo di fronte a una crisi sistemica dell’Ue, ce lo dimostrano anche gli articoli e le riflessioni di giornalisti, politici e tecnici all’estero (caso Oettinger a parte, ovviamente). Sul tanto (ingiustamente) denigrato Der Spiegel, si può leggere un’analisi critica delle colpe del duo Merkel-Macron di fronte all’avanzata dei “populisti” (sì, ancora loro) in Italia. Ekathimerini scrive del legame tra quanto sta avvenendo a Roma e l’uscita dal bailout di Atene. Politico analizza il ruolo di Mario Drahi negli ultimi 10 anni di integrazione. El Pais raccoglie interventi di economisti italiani e spagnoli confrontando quello che sta avvenendo nei due Paesi mediterranei. La vicepresidente del Gruppo S&D al Parlamento europeo, Maria João Rodriguez, intervistata da Euractiv, parla della necessità di non «imporre l’attuale assetto dell’Eurozona» sul Belpaese. L’economista tedesco, Hans Werner Sinn, sostiene che l’Italia uscirà comunque dall’Euro. Paul Mason ha sottolineato i legami tra Italia e Brexit.
Se si allarga lo sguardo e si osserva il quadro da una prospettiva progressista, indipendentemente dal governo tecnico-politico che si sta formando Roma, l’attuale crisi italiana potrebbe sortire un effetto positivo sulle dinamiche europee. I compromessi sul futuro dell’Eurozona e dell’Ue che i governi raggiungeranno nel corso del mese di giugno saranno deboli e affatto risolutivi dei problemi che affronta il Vecchio Continente. In questo contesto, lo shock italiano obbliga tutti gli attori a riflettere sul destino e la natura dell’Ue. Proprio come avvenne in Grecia nel 2015, con la differenza che, allora, le elezioni del Parlamento europeo si erano appena svolte (2014). In altri termini, la crisi italiana potrebbe tirare la volata a una battaglia per l’Europa di cui tutti abbiamo bisogno. Il velo di Maya, oramai, è stato squarciato.
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