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ASSEMBLEA NAZIONALE di LAVORO e SOCIETA’: PER UNA CGIL UNITA E PLURALE.

Per una CGIL unita e plurale

Contributo al dibattito congressuale

Questo è il contributo che vogliamo portare nell’innovativo percorso di ascolto che ci porterà al prossimo congresso della CGIL. Un congresso di confronto e unità sul merito sindacale, sui nostri assetti organizzativi, sulla natura confederale dell’organizzazione e il suo essere soggetto politico di rappresentanza sociale. Un congresso che dovrà vedere il più largo coinvolgimento delle iscritte e degli iscritti, per definire le strategie e le prospettive della CGIL. 

(Sul sito www.sinistrasindacale.it la registrazione audio degli interventi all’Assemblea nazionale del 28 febbraio)

 

La crisi si scarica sul lavoro

Da oltre dieci anni siamo in una fase di crisi del capitalismo e del modello sociale di sviluppo che investe il lavoro e gli aspetti economici, ambientali e climatici. Una crisi che concentra la ricchezza e centralizza il comando, che ha redistribuito su base mondiale le forze produttive e distrutto in Occidente (in particolare in Italia) una fetta importante del tessuto industriale, che ha portato a una sostanziale riorganizzazione del lavoro, producendo precarietà e impoverimento del lavoro subordinato e di ampi settori di quello autonomo.

Il lavoro va articolandosi in due grandi segmenti frutto dell’offensiva neoliberista, secondo un modello di governo sociale legato alla destrutturazione del tradizionale sistema di regolazione sociale dell’economia e alla diffusione della competitività come criterio fondamentale:

il lavoro precario subordinato destrutturato, sia esso dipendente che autonomo, a tempo determinato permanente, a part-time involontario, a progetto e a chiamata, flessibile, a rimborso di scontrini, povero, gratuito. Il popolo dei tirocini, degli studenti dell’alternanza scuola lavoro e dei migranti. Fattorini chiamati riders, le facce nascoste dei soggetti reali del capitalismo delle piattaforme, salari da fame e cottimo, algoritmi e neotaylorismo, partite Iva, e il lavoro povero nella logistica, cooperative spurie, lavoro nero, disparità salariale, di chi lavora quando c’è la chiamata, delle false partite IVA che socializzano tra loro i costi di produzione e gestione.

  il lavoro “stabile” a tempo indeterminato, spesso disperso nella polverizzazione delle unità produttive, quello della fabbrica-comunità dove sono esclusi il conflitto e la rappresentanza autonoma del lavoro, dove vige il principio di collaborazione, di fedeltà, di condivisione dei valori, dove tendenzialmente i rappresentanti dei lavoratori possono essere solo espressione di un sindacalismo aziendale. Un mondo a cui si appartiene in modo “provvisorio”, sottoposti al ricatto della perdita del posto di lavoro per discriminazione, per ristrutturazione, per cessazione di attività, per riduzioni di bilancio, per scelta di aziende e di multinazionali che spostano attività alla ricerca del profitto senza alcun vincolo sociale.

Il lavoro pubblico, svalorizzato, è investito in pieno da questo processo, sia perché cresce la fascia di prestazioni esternalizzate, privatizzate e precarizzate, sia perché la direzione di marcia è quella di estendere anche ai dipendenti pubblici, attraverso il licenziamento collettivo, la provvisorietà della condizione di “garantiti”.

 

 

Riunificare il mondo del lavoro, riprendere il controllo del tempo di vita e di lavoro

Riunificare le lavoratrici e i lavoratori precari con i lavoratori occupati dentro il “primo cerchio” delle aziende, quello del contratto a tempo indeterminato e dei diritti: questa è la sfida che la CGIL ha davanti. Dobbiamo essere in grado di rispondere a questa domanda che deve muovere l’azione sindacale quotidiana e di prospettiva strategica della CGIL, portando a compimento le politiche di inclusione, per estendere a tutte le lavoratrici e i lavoratori gli stessi diritti per via di legge e contrattuale, come proposto con la Carta dei diritti universali del lavoro.

In questi anni, il capitale ha piegato a proprio vantaggio la possibilità di ridurre la quantità di lavoro umano necessaria a produrre e distribuire le merci.

Abbiamo assistito a una riduzione di ore di lavoro lavorate medie attraverso la flessibilizzazione della forza-lavoro e allo stesso tempo a spremere i singoli lavoratori dilatando nel tempo della vita la prestazione lavorativa con orari più lunghi, l’estensione del lavoro festivo, forme di controllo e prestazione lavorativa a distanza anche fuori dal luogo di lavoro, utilizzando le nuove tecnologie che non sono mai neutre, il prolungamento dell’età pensionabile.

 

Il costo sociale di queste politiche è inaccettabile

Occorre ridurre l’orario di lavoro settimanale, riportare dentro regole condivise il lavoro festivo, abolire la Legge Fornero e introdurre un sistema flessibile di accesso alla pensione su base volontaria, rivedendo coefficienti e requisiti, così da tutelare il lavoro precario e riconoscere il lavoro di cura soprattutto femminile. Sono battaglie nelle quali la CGIL deve continuare la mobilitazione sulla piattaforma previdenziale per garantire a chi sta nel sistema contributivo una pensione con un tasso di sostituzione non inferiore al 60% della retribuzione finale. La pensione universale pubblica non deve essere sostituita da forme “integrative”, mentre la decisione sull’adesione a quest’ultime deve rimanere libera da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, consentendo anche l’opzione di destinare le forme integrative ad un aumento del montante Inps.

La separazione della previdenza dall’assistenza è fondamentale per assicurare a tutte e tutti i cittadini le condizioni per usufruire di politiche di sostegno durante tutto l’arco della vita, per esempio per assicurare agli anziani senza pensione un assegno sociale.

 

Continuare sulla linea di questi ultimi anni

La positiva stagione di iniziativa e di mobilitazione che la CGIL ha messo in campo in questi anni, le proposte strategiche per un diverso modello sociale e di sviluppo, come il Piano del Lavoro e la Carta dei Diritti, le parole nette e i giudizi inequivocabili che ha pronunciato non sono una parentesi ma una duratura ripresa di una autonomo protagonismo che deve caratterizzarci sul piano progettuale e di prospettiva negli anni a venire.

Tanto più in questa fase, nella quale le mobilitazioni che stanno emergendo nel vecchio e nuovo mondo del lavoro, nelle punte più avanzate dello sfruttamento (dalla logistica, all’economia dei “lavoretti”) dimostrano che la partita non è chiusa. I luoghi di lavoro e il territorio rimangono i terreni privilegiati sui quali spostare, indirizzare ed esercitare la nostra azione sindacale, per aumentare il nostro insediamento e la nostra rappresentatività.

 

Perseguire la coerenza delle politiche contrattuali

La CGIL è il sindacato della contrattazione. Negli ultimi anni si sono riconquistati importanti tavoli contrattuali, superate le chiusure e i disconoscimenti provenienti dal padronato e dal governo. Si sono conquistati accordi in difesa dell’occupazione e dei siti produttivi, conquistati dalle categorie i CCNL di molti settori e, dopo oltre 10 anni di blocco, riconquistati i CCNL dei 4 comparti del settore pubblico.

Abbiamo bisogno di una contrattazione innovata, inclusiva e di sperimentare nuovi perimetri contrattuali per l’applicazione dei CCNL.

Intervenire sull’organizzazione del lavoro, sui temi della sicurezza e della sostenibilità ambientale, individuare nuove forme di partecipazione e di coinvolgimento dei lavoratori alle scelte e allo sviluppo dell’impresa.

Contrattazione di categoria, contrattazione sociale e iniziativa generale sulla legislazione e le politiche pubbliche devono raggiungere l’obiettivo di promuovere la redistribuzione della ricchezza, oggi sempre più concentrata in poche mani.

In Italia rimane grave il problema salariale derivante dai minimi tabellari bassi e dal lavoro povero e frammentato, dai part time imposti.

Occorre una coerenza contrattuale che rimetta al centro il tema del salario diretto nella voce tabellare. Aumenti salariali reali e stabilità del posto di lavoro a tempo pieno e indeterminato sono, tra l’altro, l’unica vera base reale per il sostegno delle pensioni di oggi e di domani.

E’ necessaria una vertenza generale per l’aumento dei salari reali. Gli aumenti reali in busta paga non sono scambiabili con il welfare contrattuale, o peggio con benefit di varia natura. Con le politiche sostitutive del salario si rompe il rapporto tra la prestazione lavorativa e la retribuzione, si mortifica il lavoro intellettuale e manuale.

Occorre non continuare a destinare nuove quote di salario al cosiddetto welfare aziendale e contrattuale, che sommandosi alla politica di defiscalizzazione e decontribuzione, mina alla base i sistemi universalistici di protezione e di inclusione sociale, contribuendo ad allargare le differenze tra chi lavora e chi è disoccupato o pensionato, e tra gli stessi settori deboli e settori forti del mondo del lavoro, consegnando questi ultimi alla subalternità aziendale.

Siamo contrari a qualsiasi ipotesi di salario minimo per legge: in Italia segnerebbe la sconfitta e il declino del sindacato confederale e della contrattazione nazionale di categoria. Storicamente nel nostro paese il salario minimo è quello dei contratti nazionali, con i minimi tabellari validi per tutti. Si tratta, invece di applicare l’art. 39 della Costituzione per estendere erga omnes la validità dei Ccnl sottoscritti dalle organizzazioni sindacali rappresentative, secondo gli accordi sulla rappresentatività che vanno, a loro volta, recepiti in legge.

Dobbiamo riuscire a rovesciare questa tendenza a un welfare di fatto privatistico e corporativo, abbandonando i bonus fiscali e contributivi e la defiscalizzazione del welfare contrattuale – che toglie risorse pubbliche al welfare universale – e riconquistando un adeguato e crescente finanziamento dello stato sociale universale.

La contrattazione sociale è uno strumento di affermazione di un modello di welfare pubblico inclusivo e partecipativo.

L’innovazione tecnologica è una grande sfida. Occorre essere incisivi con una contrattazione di anticipo, per governarla e indirizzarla, per non subirne le ricadute occupazionali, intervenendo e concentrandosi su alcuni campi: la riduzione dell’orario e la redistribuzione del lavoro, la formazione continua come pilastro della contrattazione per aggiornare le professionalità e far avanzare le conoscenze dei lavoratori,

L’evasione fiscale, in Italia, è classista, alimenta la diseguaglianza sociale e distorce ulteriormente i rapporti tra le classi, privando lo Stato delle risorse per diritti e stato sociale.
L’ipotesi della flat-tax e le continue politiche di riduzione delle tasse a pioggia, di cui hanno beneficiato e beneficiano rendite, capitali, lavoro autonomo, affossano il principio costituzionale della progressività delle imposte. Per questo va rilanciata una vera e propria vertenza fiscale, riproponendo la patrimoniale e la tassazione progressiva di ogni tipo di reddito, ritornando a una maggiore progressività.

Il controllo e la riduzione degli orari di lavoro a parità di salario sono un altro asse strategico della contrattazione e dell’azione sindacale, tanto più in rapporto alle nuove tecnologie che aumentano lo sfruttamento e riducono tendenzialmente la base occupazionale.

Lo stato sociale e il diritto all’inclusione – non del consumatore ma del lavoratore, pensionato, disoccupato, migrante, tutti come cittadini – sono il terreno principe di esercizio concreto della confederalità, anche attraverso l’estensione della contrattazione sociale per riaffermare il diritto all’istruzione, alla salute e alla prevenzione. Occorre investire nei settori e nelle infrastrutture della conoscenza, scuola università e ricerca, per invertire la rotta di definanziamento di questi anni. Per lo sviluppo del paese l’istruzione va garantita ed elevata come un bene comune e un diritto universale. L’alternanza scuola – lavoro dev’essere uno strumento didattico formativo e non di sfruttamento lavorativo. Il lavoro va sempre pagato.

La crisi ha solo nascosto la permanente tendenza all’aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro, ed è necessario sviluppare le politiche di prevenzione, i controlli e le ispezioni delle istituzioni pubbliche, il rafforzamento del ruolo e delle prerogative dei Rls e dei Rlst.

Di fronte a oltre 11 milioni di cittadini che non si curano più per i costi e il peggioramento del sistema pubblico, non è più rinviabile una piattaforma sulla quale aprire una vertenza sulla sanità pubblica e il diritto alla salute.

Vanno valorizzate le piattaforme di contrattazione sociale che vedono l’approccio confederale svilupparsi verso un legame fra il diritto al lavoro e al salario, con i diritti di cittadinanza e a un’esistenza dignitosa. Un approccio che inverta la tendenza delle politiche locali a rispondere alle problematiche sociali solo con misure di carattere emergenziale e assistenzialistico, come spesso avviene nella gestione dei problemi legati all’abitare, alla tutela dell’ambiente e alla sanità.

Una sfida aperta nella contrattazione e nel confronto con le istituzioni riguarda i temi ambientali: la necessaria riconversione ecologica delle produzioni, dei processi produttivi, dei sistemi di trasporto e delle infrastrutture, l’intervento strutturale per la difesa del territorio, la prevenzione e il ripristino di fronte al dissesto idrogeologico, alla cementificazione del territorio, alla politica di grandi opere infrastrutturali, spesso foriere di ulteriori danni all’ambiente e ai territori, già fortemente colpiti e minacciati da eventi “naturali” spesso amplificati per mancata prevenzione o dalle politiche dissennate di sfruttamento delle acque e dei suoli. Come al centro delle politiche industriali e infrastrutturali devono stare il risparmio energetico, la chiusura dei cicli ecologici e la riconversione industriale per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni e dell’aumento delle temperature nell’ambito degli obiettivi sanciti dall’Onu per lo sviluppo sostenibile e per impedire che i cambiamenti climatici decretino la morte stessa del pianeta.

 

Partecipazione delle iscritte e degli iscritti, delle delegate e dei delegati e collegialità dei gruppi dirigenti

La CGIL è un sindacato confederale che promuove la partecipazione e la militanza a tutti i livelli e rifiuta forme di leaderismo come quelle basate su elezioni primarie o assemblearismo. Collegialità e militanza sono due concetti che devono rappresentare il modo di agire di una rinnovata e diffusa pratica sindacale. Vanno evitati scontri tra strutture e/o derive personalistiche, mentre va difesa e valorizzata la dialettica interna, perché la linea politica generale si costruisce in base al confronto e all’apporto di tutti sull’analisi della realtà e alla capacità collettiva di individuare una linea coerente e condivisa.

La definizione programmatica, le scelte politiche, sociali, rivendicative e contrattuali saranno il terreno sul quale si determinerà la qualità del congresso, ma le scelte organizzative dovranno essere coerenti con l’impianto del Congresso stesso e con la natura programmatica della CGIL.

Le scelte organizzative e politiche, la dialettica interna camminano di pari passo con il ruolo centrale dei delegati e delle delegate sindacali (RSU o RSA), in una fase di trasformazioni nella quale a cambiare, oltre alle condizioni di lavoro, è anche la stessa natura dei lavoratori.

Le Rsu sono espressione del voto dei lavoratori e devono essere messe nella condizione di esercitare il loro ruolo, non lasciate sole nell’esercizio della contrattazione aziendale e nazionale, senza subordinarle, al contempo, a decisioni prese solamente dai gruppi dirigenti esterni ai posti di lavoro.

Le delegate e i delegati sindacali sono dirigenti a tutti gli effetti della CGIL, e questo comporta responsabilità. Molte le difficoltà che incontrano quotidianamente nell’esercitare il loro mandato, per i ricatti e i rapporti di forza non favorevoli. Devono perciò essere valorizzati e mai strumentalizzati; sono essenziali per il ruolo che ricoprono nel comprendere e intercettare i nuovi bisogni, per la nostra rappresentanza e rappresentatività, per il nostro insediamento e per accrescere il nostro tesseramento. E’ perciò fondamentale che siano messi nelle condizioni di partecipare attivamente e consapevolmente al dibattito interno. La loro presenza è decisiva per non disperdere il patrimonio di ideali e valori che deve essere trasmesso di generazione in generazione. Bisogna dedicare risorse alla formazione sindacale, perché il futuro gruppo dirigente della CGIL, a tutti i livelli, deve vedere la presenza di dirigenti provenienti dai luoghi di lavoro e non solo di dipendenti dell’organizzazione.

 

Rafforzare la confederalità e la piena autonomia della CGIL

Ci preme la riflessione su come siamo organizzati attualmente e se sia proprio questo a renderci difficile la ricomposizione orizzontale, camerale, confederale del Lavoro, unica possibilità di ricomporre nella dignità e autonomia di classe i due blocchi sociali nei quali si articola la vita lavorativa. Il tutto navigando in mare aperto, in un ambiente esterno totalmente ostile.

Ancor prima di essere autonomi, siamo soli.

L’unità sulla linea confederale e nei rapporti interni alla vita dell’organizzazione è un bene primario. Unità basata sul senso di appartenenza e sul reciproco riconoscimento. Unità da valorizzare e realizzata con le assemblee di ascolto dei nostri iscritti, sul Piano del Lavoro, sulla Carta dei diritti universali, sulla raccolta di milioni di firme per trasformare la Carta in legge di iniziativa popolare e per proporre i tre referendum sui voucher, sulla responsabilità in solido e sull’art.18, sul No al referendum costituzionale. E con i momenti di mobilitazione che abbiamo costruito: dalla manifestazione del 17 giugno contro lo scippo referendario del Governo, a quella del 2 dicembre a sostegno della nostra piattaforma sul lavoro e le pensioni, fino alle manifestazioni del 10 e del 24 febbraio contro ogni insorgenza fascista e razzista.

Le nuove sfide che abbiamo di fronte rendono necessaria una discussione profonda.

E’ indispensabile rompere gli steccati, favorire il confronto aperto delle idee e delle esperienze, produrre una cultura nell’agire sindacale in grado di coinvolgere e far crescere le delegate e i delegati.

Bisogna contrastare le tentazioni e le pratiche leaderistiche, rinvigorire la collegialità sulle decisioni e rafforzare l’unità e il senso di appartenenza, innovare l’organizzazione rafforzando la sua natura confederale e plurale.

Occorre restituire autorevolezza al gruppo dirigente, a tutti i livelli, alla ricerca una leadership collettiva e plurale che combatta il burocratismo.

Un’organizzazione che fa del pluralismo di genere e della valorizzazione dei migranti una leva per il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze nella società e nel lavoro, perché lo riconosce e lo vive al suo interno.

Il riconoscimento della differenza di genere è valore fondante della nostra organizzazione, e la lotta delle donne contro le discriminazioni, le violenze e i soprusi che avvengono nella società, in famiglia e in tanti luoghi di lavoro è una questione che riguarda tutti noi, a partire da una nuova consapevolezza e da nuovi comportamenti degli uomini, nella CGIL e nella società.

 

Una CGIL unita e plurale attraverso le aggregazioni programmatiche

Il pluralismo delle idee, delle opinioni e delle posizioni sindacali è risorsa vitale per un’organizzazione democratica come la CGIL. Un patrimonio – pratico, teorico e di regole – che esalta e non mortifica i processi unitari, senza ricorrere all’unanimismo o a un’idea monolitica e burocratica di organizzazione.

Un pluralismo delle idee, delle posizioni e delle culture sindacali che, proprio perché “confederale”, condivide e rafforza il legame tra territori, categorie e generazioni.

Abbiamo definito e normato statutariamente i pluralismi congressuali. Va aperto il confronto su come oggi ridefinire, riconoscere il pluralismo delle idee e delle pratiche nella costituzione e nella scelta dei gruppi dirigenti, degli esecutivi, mentre va contrastata l’idea che si possa tornare a pluralismi basati su “cordate” o sull’appartenenza partitica, anziché sull’adesione programmatica.

La confederalità è stata, in tutta la lunga storia della CGIL, il valore che ne ha garantito unità e coesione democratica. La deriva, di fatto corporativa, della frammentazione categoriale è, dal punto di vista organizzativo, il pericolo principale per questa capacità della Confederazione di affrontare in autonomia lo scontro generale e il confronto con il padronato e i governi.

 

Spazio e ruolo della sinistra sindacale

Vogliamo per nostro conto anche contribuire a ricostruire – con tutte e tutti coloro che vorranno condividerlo – un nuovo e rinnovato pluralismo di maggioranza “di sinistra” che riaffermi in CGIL un punto di vista marxista e di classe organizzato, per una CGIL di proposta e di progetto, vertenziale e rivendicativa, in un contesto di scontro tra capitale e lavoro.

Un punto di vista che contrasti l’ideologia della fine della storia, riaffermando la storicità e trasformabilità, quindi, delle formazioni economico-sociali, che riaffermi l’utilità anche per l’iniziativa sociale e sindacale, di una idea di società diversa e migliore.

 

La CGIL protagonista per una società alternativa

Vogliamo una CGIL che rilanci con determinazione e continuità la battaglia sulle pensioni, la sanità pubblica, i servizi socio-sanitari, educativo/scolastici, culturali e assistenziali, cioè quello che deve garantire l’accesso universale ai diritti di cittadinanza e che dovrebbe essere pubblico e gratuito, la riduzione dell’orario di lavoro, la buona occupazione, la lotta alla precarietà, l’articolo 18, gli ammortizzatori sociali, contro la “buona scuola” e per la Pace.

Occorre rafforzare la battaglia politica e culturale per l’affermazione di politiche di pace e cooperazione internazionale.

Il quadro internazionale è caratterizzato da crescenti tensioni e conflitti, commerciali e armati, con un inedito ma pervasivo confronto/scontro tra vecchie e nuove potenze, che alimenta in continuazione nuove guerre “locali”.

In questo quadro, il necessario rilancio di un “europeismo dei popoli” deve con chiarezza denunciare e respingere le politiche securitarie e xenofobe di molti governi e delle stesse istituzioni europee, che costituiscono l’altra faccia della medaglia delle feroci politiche di austerità e neoliberiste.

Un rilancio dell’unità europea può avvenire solo con un radicale cambiamento di tutte le sue scelte politiche fondamentali, a partire dai trattati economico-finanziari come quelli di Maastricht e il fiscal compact, dagli accordi commerciali quali il Ceta, il Ttip e quelli imposti ai paesi del Nord Africa, fino alle politiche della “fortezza Europa” che schiera i militari e le navi di Frontex per impedire l’arrivo dei profughi e dei migranti, o porta la guerra in Libia, in Niger e in altri paesi africani per stabilire un nuovo dominio neo-coloniale a vantaggio delle principali multinazionali del continente.

 

La questione migrazioni è centrale

Le migrazioni sono un dato strutturale delle società e i flussi di oggi sono i frutti amari di guerre e conflitti, di carestie e di disastri ambientali, di espropriazione delle terre.

Di scelte fatte dalle multinazionali e dalle forze economiche con la complicità di molti governi e l’assenza delle istituzioni internazionali e europee.

La CGIL è per affermare il diritto a migrare, secondo i principi della Dichiarazione universale dei diritti umani, e deve richiedere la cancellazione degli accordi realizzati con paesi dove vengono violati i diritti umani degli immigrati come ad esempio la Libia e la Turchia. Come vanno cancellate le leggi discriminatorie come la Bossi-Fini e le recenti Minniti-Orlando che favoriscono la clandestinità, lo sfruttamento, l’emarginazione e il dumping lavorativo.

Occorre regolarizzare i migranti presenti in Italia privi di permesso di soggiorno, ottenere la riforma del diritto di cittadinanza per il riconoscimento dello ius soli per chi è nato e cresciuto in Italia.

La CGIL deve, coerentemente, prevedere la presenza plurietnica nei suoi gruppi dirigenti a tutti i livelli, per rispondere sia agli obiettivi di rappresentanza del mondo del lavoro che di rappresentazione in senso plurietnico della società.

Su questi temi occorre una battaglia culturale anche tra le iscritte e gli iscritti, a partire dai luoghi di lavoro, per debellare la penetrazione di esaltazione identitaria, di opinioni xenofobe e razziste, per rilanciare la solidarietà e l’unità dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, indipendentemente dalla loro origine e dal loro credo politico e religioso, per la difesa e l’estensione dei diritti sociali e civili di tutte e di tutti.

Una CGIL protagonista, dunque, come lo è stata in questi anni, uscendo dalla difensiva con le autonome elaborazioni strategiche come il Piano del lavoro e la Carta dei diritti, promuovendo le mobilitazioni generali, sostenendo l’azione contrattuale delle categorie e raccogliendo le domande e i bisogni provenienti dai settori della società e dai luoghi di lavoro.

Una CGIL del futuro, non subalterna all’agenda dettata dai governi o da altri, in difesa della democrazia e dei diritti generali.

Vogliamo continuare ad essere soggetti attivi di una rappresentanza sociale più ampia, protagonisti di una nuova stagione di elaborazione e di mobilitazione generale nella quale tante differenze si uniscano in una proposta di alternativa sociale basata sull’inclusione, sulla dignità e il valore del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori.

 

Roma, 28 febbraio 2018

 

Primi firmatari:

  1. Botti, CD nazionale CGIL, M. Brotini, Segreteria CGIL Toscana, N. Atalmi, Segretario Generale SLC Treviso, M. Balzarini, Segreteria regionale CGIL Lombardia, A. Beltrani, Segreteria regionale FP Marche, L. Brusa, FP nazionale, C. Caiazza, CGIL nazionale, A. Ferraro, Segreteria regionale SPI Marche, A. Gambillara, Segretario Generale FLAI Veneto, A. Giannelli, Segreteria regionale FLC Puglia, G. Giannini, Segreteria nazionale FLC, D. Ingrillì, CGIL Messina, S. Kane, Presidenza CD nazionale, G. Lacoppola, Segreteria CdLM Firenze, M. Madeo, Segreteria regionale SPI Lombardia, C. Mandreoli, Segreteria CdLM Milano, N. Minchillo, Segreteria regionale FP Lombardia, G. Mininni, Segreteria nazionale FLAI, A. Montagni, FILCAMS nazionale, E. Palumbo, Segreteria nazionale FILCTEM, E. Petrosino, Segreteria CdLM Torino, P. Righetti, Segreteria regionale CGIL Veneto, R. Rossi, Segretario Generale CdLT Lucca, L. Sasia, Segretaria Generale FILCAMS Cuneo, L. Tartaglia, Spi nazionale, L. Terruzzi, Segretaria regionale FLC Lombardia, A. Zonta, Segretario Generale FLC Friuli Venezia Giulia

 


 

ASSEMBLEA NAZIONALE:

PER UNA CGIL UNITA E PLURALE

promossa da LAVORO SOCIETA’

 

ROMA 28 FEBBRAIO 2018

 

Relazione introduttiva

Giacinto Botti, Referente nazionale L.S.

 

Care compagne, cari compagni,

 

abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini della grande manifestazione di sabato a Roma, delle migliaia di democratici e antifascisti, degli uomini e delle donne della CGIL presenti in massa. Ci voleva. Dopo i tragici fatti di Macerata e la sequela di provocazioni fasciste e xenofobe, l’errore politico del governo e delle istituzioni di equiparare la necessaria risposta democratica alle squallide parate neofasciste, dopo gli opportunismi elettoralistici di una politica più attenta a un pugno di voti che ai valori costituzionali, possiamo ripartire da qui, continuando a raccogliere firme e consenso intorno all’appello “Mai più fascismi. Mai più razzismi” per creare un fronte permanente sul piano valoriale, culturale e politico. Questa assemblea nazionale, aperta al confronto e alla partecipazione di altre esperienze di sinistra sindacale, è promossa da” Lavoro Società, sinistra sindacale di maggioranza congressuale”, come l’abbiamo denominata e indicata nell’atto costitutivo consegnato alla Presidenza del Comitato direttivo nazionale della CGIL nel settembre del 2014. L’obiettivo, coerentemente perseguito dal congresso fino ad oggi, era non disperdere il patrimonio storico di una sinistra confederale collettivamente organizzata, di contribuire, all’interno della maggioranza congressuale, alla dialettica democratica con proposte di elaborazione, di critica, di dissenso, nel libero confronto e nel pluralismo delle idee che le nostre regole statutarie garantiscono.

Voglio ringraziare tutti voi per la significativa partecipazione a questa assemblea, in particolare il nostro segretario generale Susanna Camusso per la sua presenza e per il contributo che porterà in chiusura della prima parte dei nostri lavori, voglio ringraziare la compagna partigiana Tina Costa dell’Anpi che interverrà dopo l’introduzione.

In questi anni siamo stati, e continueremo ad essere almeno sino alla fine del prossimo congresso, un’aggregazione organizzata, non minoritaria nella prassi e nell’elaborazione, animata da spirito unitario e leale senso di appartenenza alla CGIL. Oggi siamo, insieme ad altre esperienze, in un percorso aperto di costruzione di una sinistra sindacale più ampia, e il nostro  futuro lo decideremo insieme dopo il congresso.

Questa assemblea conferma la giustezza della nostra scelta. Il riconoscimento  ottenuti in CGIL per la serietà e la coerenza del nostro agire, la presenza nell’ambito dell’organizzazione, l’apprezzamento verso il nostro periodico, uno strumento di identità ma aperto al confronto e a tanti contributi – e a questo proposito permettetemi di rivolgere un particolare ringraziamento al nostro grafico e curatore, Mirko Bozzato, alla giornalista Frida Nacinovich, al direttore Riccardo Chiari e al nostro compagno Poldo Tartaglia – sono risultati non scontati, da rivendicare e riconoscere.

Tutto questo ci ripaga delle difficoltà incontrate, della durezza dello scontro, delle amarezze di patti politici non mantenuti, di riconoscimenti negati e valorizzazioni mancate. Abbiamo avuto ragione. Oggi posso dire, come referente nazionale, che Lavoro Società in CGIL – grazie a voi, alle e ai dirigenti, alle delegate e ai delegati che di questa esperienza sono la linfa vitale – è, ancora oggi, un patrimonio collettivo, una risorsa propositiva del pluralismo programmatico. In ogni occasione nazionale, dalla conferenza d’organizzazione al referendum sulla piattaforma previdenziale, sino al referendum costituzionale e al confronto su pluralismo e democrazia d’organizzazione abbiamo esercitato il nostro ruolo con coerenza e da concreti sostenitori della linea dell’organizzazione, cosa che non sempre abbiamo visto fare ad altri, consegnando all’insieme dell’organizzazione il nostro contributo di proposte e di idee.

Questo volevo innanzitutto dire aprendo l’assemblea, che per noi è un punto di arrivo e di partenza, e nella quale decideremo come affrontare collettivamente in mare aperto, senza steccati, autoreferenzialità e primazie, il percorso che ci porterà al XVII Congresso. Un’assemblea che vede la partecipazione significativa delle compagne e dei compagni della Toscana, che hanno compiuto in questi ultimi anni una diversa esperienza rispetto alla nostra, e che saluto con affetto. Insieme proponiamo, nel percorso innovativo delle assemblee che precederanno il prossimo congresso CGIL, non un documento congressuale, ma un contributo aperto alle adesioni individuali, intitolato non a caso “Per una CGIL unita e plurale”, che sarà distribuito nel pomeriggio con le prime firme e che chiediamo a tutti voi di sottoscrivere. L’obiettivo è di stimolare la partecipazione nel percorso di ascolto – confronto pre-congressuale nelle assemblee, e sta alla responsabilità del gruppo dirigente creare le condizioni affinché si realizzi un maggiore coinvolgimento di delegate e delegati, spesso assenti e poco protagonisti della discussione, cogliendo ciò che da lì uscirà per costruire il documento congressuale.

Il contenuto di merito sindacale del nostro contributo mi consente di non soffermarmi in questa introduzione su tutte le questioni, e di partire da quella per noi centrale: la difesa della nostra Costituzione.

La CGIL, per storia e natura, non è mai stata indifferente né rassegnata al degrado populista e all’avanzare del razzismo e del fascismo nella società e anche nei luoghi di lavoro, ormai non più luoghi di coesione e di solidarietà come li avevamo conosciuti. Il problema politico e sociale dell’immigrazione è oggetto di becere strumentalizzazioni politiche da parte di spacciatori di illusioni e untori di paure. E’ una catastrofe culturale che arriva da lontano.

Siamo un paese che non ha mai fatto i conti con il ventennio fascista, con le stragi e i servizi deviati, con una corruzione e una collusione mafiosa che inquinano lo Stato. Xenofobia, razzismo e fascismo sono facce della stessa medaglia, portano tutte alla deriva democratica, all’imbarbarimento della società. Il montare della marea nera fascista, dell’odio razziale, della xenofobia, del razzismo si è affrontato con troppa accondiscendenza e sottovalutazione, permettendo che penetrasse nelle istituzioni, nei luoghi di lavoro, nella testa di un pezzo del nostro popolo.

Una marea nera che avanza nelle periferie, nei luoghi del disagio, della marginalità, tra chi vive nella precarietà di vita e di lavoro, subisce ingiustizie e paga il prezzo della crisi, delle politiche liberiste europee e delle scelte economiche e sociali dei governi italiani. Non a caso dall’inizio della crisi strutturale dell’economia capitalistica del 2008 si registra un nesso stretto tra le politiche liberiste e di austerity e l’ascesa delle destre xenofobe e nazionaliste. I cambiamenti nella struttura economica, per dirla con Marx, c’entrano molto con l’avanzare dei populismi e dei nazionalismi. E’ dalle politiche e dalle condizioni sociali che occorre ripartire. Non è efficace la lotta ai fenomeni degenerativi se contemporaneamente fai pesanti restrizioni ai bilanci pubblici e allo Stato sociale, aumentando le diseguaglianze, se fai politiche sul lavoro che aumentano precarietà, riducono diritti e conquiste del movimento dei lavoratori.

Così non lo fermi quel vento di destra che sta trovando nuova forza in questa vergognosa, insensata campagna elettorale giocata sulla paura e contro gli immigrati. E non è solo la preoccupante e becera influenza di Salvini su un centrodestra a trazione lega, ma anche la pochezza di un movimento falsamente aclassista ma contrario al movimento dei lavoratori come i 5 stelle, che hanno individuato i “taxi del mare” e il sindacato tra i problemi del paese. Un vento non adeguatamente contrastato da una sinistra di governo che per paura dell’impopolarità ha perso, con i valori, la sua identità e l’anima. Si sono sdoganati il linguaggio e le pulsioni razziste, individuando l’immigrazione come il male del paese e una bomba sociale, un problema di ordine pubblico e di tenuta democratica.

Idee fatte proprie da un ministro degli interni che ha cavalcato l’onda di destra pensando di domarla ma facendosi sopraffare, che ha criminalizzato le Ong e le associazioni umanitarie, costringendole a negare la loro missione di salvare vite umane. L’imperativo era ridurre gli sbarchi a qualsiasi costo, negando a tanti esseri umani la speranza di un accesso sicuro per la salvezza, consegnandoli agli scafisti libici e alla segregazione in luoghi di abuso e di tortura. Per noi è stata una scelta imperdonabile. Contemporaneamente abbiamo assistito a una politica governativa pusillanime: si è affossata per opportunismo elettorale la legge sulla cittadinanza, la “ius soli”, e si è abbandonata la battaglia per l’abolizione dell’odioso e inefficace reato di clandestinità introdotto dalla legge Bossi-Fini, mentre l’ipocrisia dell’ “aiutiamoli a casa loro” si è tradotta in un prezzo umano e politico inaccettabile. E’ un’onda nera che non puoi cavalcare o assecondare da sinistra, perché porta via tutto ciò su cui si regge uno Stato di diritto e dissolve la natura politica e l’essenza della sinistra. Occorre combatterla sventolando le nostre bandiere e la nostra cultura, con la mobilitazione pacifica, la forza della ragione e i valori della nostra Costituzione repubblicana. Destra e sinistra non sono categorie superate, come non è vero che il fascismo è cosa del passato, morto per sempre. I fascisti esistono ancora ed è bene chiamare fascista un fascista. Come è bene, in applicazione della nostra Costituzione repubblicana, che gruppi e formazioni che si ispirano al fascismo siano sciolti per legge.

Il 4 marzo andremo a votare con una pessima legge elettorale imposta peraltro da un PD autolesionista. La politica è una maionese, un frullato indigesto a un pezzo sempre più consistente di popolo. Personalismi esasperati, leadership deboli, partiti di proprietà, il Pd di Renzi, la Lega di Salvini, i 5 stelle di un ex comico, Forza Italia di un impresentabile pregiudicato.

Il fortino delle fedeltà non reggerà all’urto della realtà e alle contraddizioni della società.

La CGIL può rivendicare di essere un’altra cosa rispetto a  queste derive politiche.

Sappiamo che la politica non è tutta uguale, ma se questa differenza non viene percepita, se la sinistra perde identità e non trasmette la sua differenza, a prevalere è il distacco, il qualunquismo e la fuga dal voto. Il 60% di chi si astiene è un lavoratore subordinato. L’astensione e l’antipolitica sono i prodotti della cattiva politica. Da tempo come CGIL denunciamo la frattura tra la società reale e la politica, e sentiamo la solitudine delle persone che rappresentiamo e delle tante che incontriamo ogni giorno. Da tempo abbiamo indicato con preoccupazione il pericolo di un’uscita dalla crisi da destra, in mancanza di risposte sociali ed economiche alternative di sinistra. E abbiamo avvertito chiaramente la disaffezione verso la democrazia rappresentativa, sottovalutata per arroganza e irresponsabilità. Non bastano gli interventi caritatevoli dei bonus, i pannicelli caldi degli 80 euro o il reddito di inclusione perché non intaccano la struttura, non riequilibrano le distanze tra i ricchi e i poveri, non redistribuiscono in modo strutturale ricchezza verso il basso e il lavoro dipendente. Occorre uno sforzo di analisi, un’interpretazione diversa su quanto sta avvenendo nel paese, in Europa e a livello globale.

Lavoro e diseguaglianze sono in cima alle preoccupazioni degli italiani e vanno aggrediti con proposte strutturali, con un’idea di società e di sviluppo, di lavoro alternativi, come abbiamo indicato nel nostro Piano del lavoro e nella Carta dei diritti.

I nodi risalgono a quando sin dagli anni ‘80 la forbice della ricchezza si è allargata, come rivelano i dati macroeconomici, e la crisi di questi anni ha solo peggiorato la situazione. Abbiamo ormai diseguaglianze insopportabili di reddito, nell’ accesso ai servizi pubblici e privati, nell’aspettativa di vita, nell’istruzione, nella salute, nel diritto al lavoro, nella condizione lavorativa, nella retribuzione salariale e nella qualità di vita sociale.

Penso che l’eguaglianza nei diritti, nelle condizioni e nelle possibilità sia uno dei temi strategici del nostro congresso e dovrebbe esserlo anche per qualsiasi forza politica di sinistra.

Noi riconosciamo il ruolo dei partiti e delle forme associative e rifiutiamo il populismo demagogico dell’uomo solo al comando. C’è un diffuso populismo di varia natura. E che cos’è il populismo se non mettere insieme lo scontento il rancore sotto una parola d’ordine generalista, semplificata e interclassista, per conquistare consenso e voti? Populismo è l’idea di un popolo buono e di una politica cattiva, l’insofferenza verso qualsiasi “istituzione” di rappresentanza e l’intolleranza per i corpi intermedi. E’ la voglia di “rottamare” il vecchio per far posto a un presunto, “miracoloso” nuovo, semplificando i problemi che ci affliggono.

Sappiamo che dopo il 4 c’è il 5 marzo. Potremmo trovarci in uno scenario nuovo, di ricomposizione e scomposizione del quadro politico, per nulla favorevole a noi e a chi rappresentiamo. E macerie, confusione, nuove divisioni a sinistra, mentre i problemi del mondo del paese richiedono risposte. Mai come ora le elezioni rappresentano una grande incognita in termini di esito, di partecipazione al voto e di possibilità di avere un governo del paese. Abbiamo assistito a una campagna elettorale ingannevole e irresponsabile, costruita da una destra impresentabile e pericolosa, su illusioni e scommesse irrealizzabili, sulla paura, sull’immigrazione e la sicurezza. Il tema del lavoro, appena citato strumentalmente e i nodi cruciali, i limiti storici del paese rimossi. Mentre la sinistra di governo, in forte difficoltà con la sua rappresentanza, in metamorfosi e con un’identità smarrita e recisa, non ha messo in campo un’alternativa; nessuna idea di futuro, di società e di democrazia, nessun orizzonte capace di dare risposte credibili, di guidare una società frantumata, divisa e assuefatta alla ferocia qualunquistica. Nessuna strategia per far ritornare il lavoro tema centrale e soprattutto nessun ripensamento delle leggi e delle scelte economiche e sociali che hanno isolato il mondo del lavoro e operato per la disintermediazione, cioè il disconoscimento delle rappresentanze sociali del lavoro. Di scelte che hanno posto al centro il mercato e l’impresa, riducendo i diritti, ampliando con la precarietà di vita e di lavoro il senso di solitudine in particolare delle donne e delle nuove generazioni. Si è devastato l’ordinamento giuridico del lavoro, distruggendo alcune conquiste storiche del movimento operaio a partire dall’articolo 18. Dovrebbe pur dire qualcosa se Confindustria interviene in difesa degli interessi d’impresa, e chiede che non si reintroduca l’art. 18 e non si tocchino il jobs act e la legge Fornero. Quella legge Fornero che va abolita perché ha creato profonde ingiustizie e rappresenta una vera e propria bomba sociale rispetto al futuro delle nuove generazioni.

Nessun serio richiamo alla devastante e classista evasione ed elusione fiscale che alimenta la disuguaglianza sociale riducendo le risorse per i beni comuni e il welfare, distorcendo ulteriormente i rapporti tra le classi sociali. Nessun accenno alla mancata redistribuzione della ricchezza come denunciato nel rapporto OXFAM sui pochi, l’8,5%, che detengono la ricchezza complessiva a livello mondiale e italiano. Questione che la CGIL deve rilanciare ribaltando il concetto, non efficace e perseguibile, del pagare meno per pagare tutti e riaffermando il “pagare tutti per pagare meno”, insieme al rilancio della patrimoniale e della tassazione progressiva di ogni tipo di reddito.

La mancata redistribuzione è un ostacolo a un maggiore equità, ma anche alla mobilità sociale, al diritto all’accesso e all’istruzione e all’aumento reale degli stessi salari. Alle proposte della destra come la flat-tax e l’ulteriore condono fiscale, si contrappongono quelle del Pd di riduzioni delle tasse a pioggia – esemplare quella demagogica di abolire il canone Rai – che vanno nella stessa direzione. Così l’evasione in questo paese diventa virtù, affossando il principio costituzionale della progressività delle imposte. Nella campagna elettorale il peggioramento  delle condizioni di vita sociale delle persone viene rimosso; ambiente, prevenzione, beni pubblici e comuni, universalismo, trasporto pubblico, servizio sanitario nazionale, diritto all’abitare, scuola pubblica, lavoro e sua qualità, salari più bassi d’Europa non sono mai stati presi in seria considerazione e non sono mai diventati temi centrali.

Una mediocrità disarmante, slogan illusori e demagogici, gossip e recriminazioni, incompetenza e pressappochismo annullano il ruolo positivo della politica e svuotano i partiti. E sul voto del 4 marzo mi permetto di esprimere un mio personale pensiero. Noi siamo liberi e non indichiamo collettivamente preferenze di voto, nel rispetto dell’autonomia e delle scelte personali di ognuno. Credo però che sia importante andare a votare per arginare il pericolo della destra razzista e xenofoba, e perché noi siamo per la partecipazione al voto e all’esercizio di un diritto costituzionale. Sempre. Quanto al voto utile, penso che tutti i voti indirizzati alla sinistra siano oggi utili alla democrazia, e che l’unico regalo certo alle destre siano state in questi anni le politiche liberiste e le scelte economiche in favore del mercato e dell’impresa dei governi tecnici e dei governi Renzi e Gentiloni. L’alternativa da costruire è prima culturale che politica, come fu tra gli anni ‘60 e ’70. La CGIL non può sottrarsi da questo difficile contesto politico, e deve aprire, nel percorso congressuale, un confronto dirimente anche sull’autonomia, che non può essere intesa come separatezza o indipendenza, e su quali rapporti e interlocuzioni sono possibili con il governo, la politica, i partiti. Non siamo autosufficienti, e difficilmente la CGIL potrà fare a meno di forti relazioni sociali e di una sinistra che abbia al centro del suo progetto e della sua azione il lavoro.

L’Italia, e anche l’Europa, sono dentro una preoccupante crisi della democrazia rappresentativa. Un’Europa ancora chiusa nelle sue ricette liberiste, nelle politiche di austerità, con i rischi di implosione per i venti di destra populisti e nazionalisti, rimane il problema. Occorre rilanciare la CES per conquistare quell’Europa sociale, politica e dei popoli che ancora non c’è. Guerre commerciali, guerre guerreggiate, guerre ai migranti, commercio d’armi, affari lucrosi per le multinazionali sono l’altra faccia della medaglia delle politiche neoliberiste di austerità lacrime e sangue della UE. Dietro la retorica dei valori comunitari le istituzioni europee e molti governi dei paesi membri hanno continuato ad erigere nuovi muri per impedire l’accesso di profughi e migranti, fino ai vergognosi accordi con la Turchia di Erdogan e la Libia e fino alle nuove avventure militari neocoloniali nei paesi africani. Membro della Nato ed alleato al contempo della Russia, la Turchia di Erdogan sta giocando un ruolo aggressivo di potenza regionale, unendo alla durissima repressione interna di qualsiasi opposizione, l’inasprimento della storica oppressione, interna ed esterna delle ormai secolari aspirazioni all’autonomia e all’autodeterminazione del popolo curdo, al quale vogliamo esprimere tutta la nostra vicinanza e solidarietà. In assenza di un ruolo politico dell’Europa, la CGIL deve continuare a essere in prima fila nel contrastare i conflitti, gli interventi militari dell’Italia negli altri paesi, come quello ultimo in Niger, riaffermando i valori fondanti della Costituzione italiana: il ripudio della guerra, la lotta per la Pace, la coesistenza tra nazioni e popoli, contro il terrorismo, i fondamentalismi e la barbarie di oggi.

Siamo un paese senza memoria, e l’indignazione dura i giorni della cronaca. Come quando accade l’ennesimo femminicidio. Per questo è importante che non venga mai meno il forte impegno della CGIL contro la violenza sulle donne.

La diseguaglianza di genere che ancora prevale in tanti luoghi di lavoro e nella società mette le donne in una condizione di ricatto, a rischio di soprusi e di molestie, come ha sperimentato oltre un milione di loro. C’è la necessità di un’organizzazione del lavoro e della vita sociale che sia più a misura delle loro istanze. Nel mondo migliore che vogliamo c’è bisogno di riparare alle ingiustizie contro le donne, dalla Fornero e da una previdenza che ha parificato l’età pensionistica, alle discriminazioni salariali e professionali, dal disconoscimento del lavoro di cura, a fronte di una riduzione dei servizi pubblici, alle discriminazioni che ancora le penalizzano.

Siamo anche un paese che non investe sulla salvaguardia del territorio, e sprofonda nella mancata prevenzione ambientale. Ogni evento naturale diventa catastrofe, spesso per responsabilità diretta dell’uomo. Si piange il giorno della tragedia, politica e istituzioni  promettono di prevenire e di non permettere più abusi e poi non cambia nulla. Siamo un popolo capace di grandi gesti di solidarietà, ma vorremmo vivere in un paese con uno Stato che desse il meglio di sé non nei disastri ma nella prevenzione.

Un paese nel quale si continua anche a morire, oltre 1000 lavoratori ogni anno, ad ammalarsi sui luoghi di lavoro nel disinteresse della politica e del padronato. Si muore non per fatalità ma per mancata prevenzione, incuria, colpevole leggerezza, mancati investimenti e controlli, sfruttamento e aumento dei carichi di lavoro, per la ricerca del profitto da parte di un padronato irresponsabile che continua a vedere prevenzione e sicurezza come un costo e non un investimento. E’ una parte consistente del nostro sistema industriale, composto di medie e piccole aziende, ad essere in ritardo nell’innovazione e poco propenso a quella responsabilità sociale tanto decantata e poco praticata. Confindustria, e trasversalmente la politica, tendono a scaricare sul lavoro dipendente e sui diritti le proprie responsabilità dei ritardi e dell’arretratezza del paese rispetto alla competizione di mercato.

Sappiamo che il rallentamento storico della produttività che ci impoverisce è di sistema, e non ne sono certo responsabili i lavoratori, i loro diritti e loro bassi salari. Manca da tempo una seria politica industriale, di difesa e di sviluppo del nostro sistema produttivo, di investimenti pubblici e privati. Nodi storici legati alla scarsa capacità di innovazione tecnologica che ha investito il settore manifatturiero e dei servizi. Da una disincentivazione allo studio e alla formazione, da una domanda che non premia la specializzazione. Imprese che non sanno valorizzare le competenze necessarie all’innovazione, che pensano a far crescere i profitti e non investono. La sfida dell’inclusione e la lotta alle diseguaglianze e alla precarietà, in un paese diseguale, per condizione e potenzialità tra Nord e Sud, tra uomini e donne sono fatte di molte cose. La prima è il lavoro che manca, o che si trasforma in nuove forme di schiavismo, la seconda è l’eguaglianza nel diritto e nelle opportunità. Per noi lo sviluppo non è crescita del Pil, ma un processo di allargamento delle libertà, dei diritti, del benessere socio-economico diffuso, della qualità della vita delle persone.

Siamo un paese che accumula ritardi con una bassa scolarizzazione e un alto abbandono scolastico. Occorre non tagliare ma investire sulla qualità del sistema educativo, nell’istruzione, nella ricerca, nella scuola e nell’università pubbliche. Noi continuiamo a credere che la scuola pubblica sia nata per formare i cittadini, le persone prima ancora che i lavoratori. Vogliamo che l’alternanza scuola-lavoro sia un percorso didattico e non un periodo di prova di lavoro e di sfruttamento come spesso avviene. L’istruzione deve tornare a essere un bene pubblico e un diritto universale.

E il paese non si sviluppa se lascia indietro un Sud che non cresce. Per milioni di persone questo significa diseguaglianza e povertà, disoccupazione insostenibile per le nuove generazioni. Si paga un prezzo altissimo per una politica economica e sociale tampone, per una classe dirigente che ha fallito, spesso in raccordo con i potentati locali, le clientele e piegata alla criminalità.

Mentre le nuove forme di organizzazione del lavoro, l’intervento delle nuove tecnologie rendono necessario un ripensamento delle politiche sui tempi di lavoro.

L’innovazione tecnologica è una  grande sfida. Contrattare, intervenire sulla condizione lavorativa, sull’organizzazione del lavoro è indispensabile per sottrarre alle aziende, alle multinazionali la piena decisionalità sulle forme e l’intensità dei processi produttivi.

Misure di riduzioni del tempo di lavoro affiancate da una riforma del diritto del lavoro garantirebbero margini di autonomia nella contrattazione dell’organizzazione del lavoro riducendo il comando unilaterale delle aziende sulle condizioni materiali dei lavoratori.

Ridurre e controllare gli orari, intervenire sull’attività lavorativa, sulle condizioni di vita e di lavoro delle persone dev’essere un nostro obiettivo strategico.

La possibilità di lavorare 28 ore settimanali, con riduzioni di salario e compensazioni, rispetto alle attuali 35 conquistata dall’IG Metal dà spazio e tempo alla vita quotidiana, agli affetti, all’assistenza dei familiari o al riposo, alla cura di sé. Una flessibilità degli orari non al servizio dell’impresa e della produttività ma dei bisogni di vita sociale e personale. Una conquista di valore, culturalmente contro corrente, mentre la crisi economica, l’uso disumano e distorto di nuove tecnologie e algoritmi hanno progressivamente ridotto diritti e tutele del lavoro, e minato il senso di appartenenza collettiva dei lavoratori. Disumanità e forme di schiavismo sono caratteristiche del moderno scontro tra capitale e lavoro improntato a una concezione padronale dei rapporti umani, come se nel dare lavoro a una persona si acquisisse anche la proprietà della sua vita. Non è un caso che le morti sul lavoro siano considerati dal padronato un prezzo da pagare alla produttività d’impresa.

Il controllo a distanza del sistema produttivo e dell’attività del lavoratore, con strumenti vari (cercapersone, geolocalizzatori, microchip e braccialetti) è diffuso nei centri e nelle attività commerciali, nei call center, nell’industria manifatturiera. La “robotizzazione” e la “digitalizzazione”, se non governate e non compensate dalla riduzione e dal controllo degli orari e dell’attività lavorativa, spazzeranno via più posti di lavoro di quanti ne creeranno.

Le nuove tecnologie possono essere una straordinaria risorsa ma sono spesso finalizzate alla cinica logica del sistema capitalistico del profitto a qualsiasi prezzo. Qui sta la ragione sovrastrutturale di quanto sta avvenendo nel mercato del lavoro e nei luoghi di lavoro, del bisogno di controllo totale dei processi di produzione, con lo sfruttamento intensivo della forza lavoro. L’industria 4.0 è una realtà che guardiamo con interesse, ma occorrono anche relazioni sindacali avanzate e non preistoriche. In tanti  luoghi di lavoro, a noi anche sconosciuti,  i lavoratori percepiscono miseri stipendi, lavorano in nero e senza diritti come abbiamo visto nella vergognosa vicenda dei Call center di lavoratori pagati 30 cent all’ora. Quello non è lavoro da esaltare nei dati statistici ma schiavismo vergognoso. Non sono eccezioni ma la punta di un sistema favorito da quel jobs act che ha posto al centro le esigenze dell’impresa e del mercato, liberalizzato il controllo a distanza con i nuovi strumenti tecnologici e cancellando con l’articolo 18 il diritto universale a non essere licenziati senza “giusta causa”. Si sono stracciati anni di conquiste e ciò che era alla base dello Statuto dei lavoratori del 1970.

Perciò alcuni di quei politici che si scandalizzano per il braccialetto ad Amazon sono ipocriti, perché sono anche gli stessi che hanno pensato e votato le leggi che hanno peggiorato le condizioni di vita e di lavoro.

La CGIL è il sindacato della contrattazione. Negli ultimi anni si sono riconquistati importanti tavoli contrattuali, superate le chiusure e i disconoscimenti da parte di governo e padronato. Si sono conquistati accordi in difesa dell’occupazione e dei siti produttivi, le categorie hanno rinnovato i CCNL di molti settori e, dopo oltre 10 anni di blocco, si sono riconquistati i CCNL dei quattro comparti del settore pubblico.

Abbiamo bisogno di una contrattazione innovata, inclusiva e di sperimentare nuovi perimetri contrattuali per l’applicazione dei CCNL. Intervenire sull’organizzazione del lavoro, sulla sicurezza e la sostenibilità ambientale, individuare nuove forme di partecipazione dei lavoratori alle scelte e allo sviluppo dell’impresa.

Contrattazione di categoria, contrattazione sociale e iniziativa generale sulla legislazione e le politiche pubbliche devono raggiungere l’obiettivo di promuovere la redistribuzione della ricchezza, oggi sempre più concentrata in poche mani.

In Italia rimane grave il problema salariale derivante dai minimi tabellari bassi e dal lavoro povero e frammentato, dai part time imposti.

 

Occorre una coerenza contrattuale che rimetta al centro il tema del salario diretto nella voce tabellare. Aumenti salariali reali e stabilità del posto di lavoro a tempo pieno e indeterminato sono, tra l’altro, l’unica vera base reale per il sostegno delle pensioni di oggi e di domani.

E’ necessaria una vertenza generale per l’aumento dei salari reali e il confronto con Confindustria per il nuovo modello contrattuale e sulla rappresentanza deve avere questo obiettivo, respingendo il tentativo da parte padronale di continuare su un modello di compressione dei salari con automatismi che indeboliscono la contrattazione.

Gli aumenti reali in busta paga non sono scambiabili con il welfare contrattuale, o peggio con benefit di varia natura. Con le politiche sostitutive del salario si rompe il rapporto tra la prestazione lavorativa e la retribuzione, si mortifica il lavoro intellettuale e manuale. Siamo contrari a qualsiasi ipotesi di salario minimo per legge: in Italia segnerebbe la sconfitta e il declino del sindacato confederale e della contrattazione nazionale di categoria. Storicamente nel nostro paese il salario minimo è quello dei contratti nazionali, con i minimi tabellari validi per tutti. Si tratta, invece di applicare l’art. 39 della Costituzione per estendere erga omnes la validità dei CCNL sottoscritti dalle organizzazioni sindacali rappresentative, secondo gli accordi sulla rappresentatività che vanno recepiti in legge.

Vanno valorizzate le piattaforme di contrattazione sociale che coniughino  il diritto al lavoro e al salario con i diritti di cittadinanza e a un’esistenza dignitosa, con un approccio confederale che inverta la tendenza delle politiche locali a rispondere con misure emergenziali e assistenzialistiche, come spesso avviene per i problemi legati all’abitare, alla tutela dell’ambiente e alla sanità. Di fronte a oltre 11 milioni di cittadini che non si curano più per i costi e il peggioramento del sistema pubblico, non è più rinviabile una piattaforma sulla quale aprire una vertenza sulla sanità pubblica e il diritto alla salute.

Un’altra sfida aperta nella contrattazione e nel confronto con le istituzioni riguarda i temi ambientali: la necessaria riconversione ecologica delle produzioni, dei processi produttivi, dei sistemi di trasporto e delle infrastrutture, l’intervento strutturale per la difesa del territorio, la prevenzione e il ripristino di fronte al dissesto idrogeologico, alla cementificazione del territorio, alla politica di grandi opere infrastrutturali, spesso foriere di ulteriori danni all’ambiente e ai territori, già fortemente colpiti e minacciati da eventi “naturali” spesso amplificati per mancata prevenzione o dalle politiche dissennate di sfruttamento delle acque e dei suoli.

Dobbiamo dare continuità alla mobilitazione del 2 dicembre a sostegno della nostra piattaforma sulla previdenza, abolire la Legge Fornero e introdurre un sistema flessibile di accesso alla pensione su base volontaria, rivedendo coefficienti e requisiti, così da tutelare il lavoro precario e riconoscere il lavoro di cura. La pensione universale pubblica non deve essere sostituita da forme “integrative” e la separazione della previdenza dall’assistenza è fondamentale per assicurare ai cittadini le condizioni per usufruire di politiche di sostegno durante tutto l’arco della vita, per esempio per assicurare agli anziani senza pensione un assegno sociale.

Il prossimo congresso CGIL, come tutti i congressi, è il momento più alto della vita e della prospettiva dell’organizzazione.

Come Lavoro Società non siamo interessati alle vere o presunte cordate che, secondo il gossip giornalistico si starebbero delineando, poco sul merito e molto sugli assetti di potere, o ai fantasiosi scontri programmatici e a quale candidato alla segreteria generale possa garantire una CGIL del futuro più riformista, meno isolazionista, autarchica e autosufficiente di come secondo loro sarebbe stata in questi anni.

Per noi la CGIL arriva al suo Congresso nazionale forte di una stagione impegnativa e difficile che l’ha vista protagonista di mobilitazioni sui vari fronti, spesso da sola a reggere l’urto di uno scontro con scelte del governo che si ponevano contro il mondo del lavoro e i suoi diritti.

Mobilitazioni, iniziative, raccolte di firme, assemblee, conquista di contratti nazionali, impegno in difesa della Costituzione hanno caratterizzato e qualificato sul piano sociale e politico l’autonomia e la qualità della proposta. Siamo usciti dalla difensiva aprendo una nuova fase, e abbiamo tenuto in un contesto di crisi globale e di scontro radicale tra capitale e lavoro. Una stagione nella quale abbiamo dovuto affrontare anche la nefasta politica della disintermediazione, l’attacco al sindacato confederale. Non ci siamo isolati ma abbiamo dato forza alle nostre radici, recuperando speranza nel futuro e credibilità, e indicando la strada di un’impegnativa fase vertenziale e negoziale sul terreno sociale e su quello contrattuale, presentando piattaforme per la conquista di significativi CCNL.

Queste scelte sono per noi un patrimonio unitario e di qualità della proposta, la base di confronto per un congresso unitario, aperto e di prospettiva. Siamo partecipi e protagonisti di un processo di riunificazione e di rinnovamento della sinistra confederale che vuole misurarsi, prima ancora che sui gruppi dirigenti e sugli assetti di potere, sulla linea politica, sulle prospettive e sui programmi, in un congresso non di routine ma che dovrà essere innovativo, partecipato e unitario, nel quale delineare l’assetto strategico e identitario della CGIL del futuro.

La definizione programmatica, le scelte politiche, sociali, rivendicative e contrattuali saranno il terreno sul quale si determinerà la qualità del congresso, ma le scelte organizzative dovranno essere coerenti con l’impianto del Congresso stesso e con la natura programmatica della CGIL.

Le scelte organizzative e politiche camminano di pari passo con il ruolo centrale dei delegati e delle delegate sindacali, che incontrano quotidianamente grandi difficoltà nell’esercitare il loro mandato per i ricatti e i rapporti di forza non favorevoli, e che sono dirigenti a tutti gli effetti della CGIL, con la responsabilità che ciò comporta. Devono perciò essere valorizzati e mai strumentalizzati; sono essenziali per il ruolo che ricoprono nel comprendere e intercettare i nuovi bisogni, per la nostra rappresentanza e rappresentatività, per il nostro insediamento e il nostro tesseramento. La loro presenza è decisiva per non disperdere il patrimonio di ideali e valori che deve essere trasmesso di generazione in generazione. Bisogna dedicare risorse alla formazione sindacale, perché il futuro gruppo dirigente della CGIL, a tutti i livelli, deve vedere la presenza di dirigenti provenienti dai luoghi di lavoro e non solo di dipendenti dell’organizzazione.

Le nuove sfide che abbiamo di fronte rendono necessaria una discussione profonda e una nuova cultura nell’agire sindacale.

Fare oggi il “mestiere” di sindacalista è una scelta di vita che comporta esperienza e responsabilità, richiede uno sforzo di realismo nell’esercizio della contrattazione che è altra cosa dell’accettazione o della rassegnazione alla realtà.

Bisogna contrastare le tentazioni e le pratiche leaderistiche, rinvigorire la collegialità sulle decisioni e rafforzare l’unità e il senso di appartenenza, innovare l’organizzazione rafforzando la sua natura confederale e plurale. Occorre restituire autorevolezza al gruppo dirigente, a tutti i livelli, alla ricerca una leadership collettiva e plurale che combatta il burocratismo.

Il pluralismo delle idee, delle opinioni e delle posizioni sindacali è risorsa vitale per un’organizzazione democratica come la CGIL. Un patrimonio – pratico, teorico e di regole – che esalta e non mortifica i processi unitari, senza ricorrere all’unanimismo o a un’idea monolitica e burocratica di organizzazione.

Un pluralismo delle idee, delle posizioni e delle culture sindacali che, proprio perché “confederale”, condivide e rafforza il legame tra territori, categorie e generazioni.

Va aperto il confronto su come oggi ridefinire, riconoscere il pluralismo delle idee e delle pratiche nella costituzione e nella scelta dei gruppi dirigenti, degli esecutivi, mentre va contrastata l’idea che si possa tornare a pluralismi basati su “cordate” o sull’appartenenza partitica, anziché sull’adesione programmatica.

Un’organizzazione che fa del pluralismo di genere e della valorizzazione dei migranti una leva per il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze nella società e nel lavoro, perché lo riconosce e lo vive al suo interno.

La confederalità è stata, in tutta la lunga storia della CGIL, il valore che ne ha garantito unità e coesione democratica. La deriva, di fatto corporativa, della frammentazione categoriale è, dal punto di vista organizzativo, il pericolo principale per questa capacità della Confederazione di affrontare in autonomia lo scontro generale e il confronto con il padronato e i governi. L’unità sulla linea confederale e nei rapporti interni alla vita dell’organizzazione è un bene primario.

La CGIL è una confederazione fondata sul principio democratico di rappresentanza plurale, sulla dialettica politica e sul reciproco rispetto, sul senso di appartenenza e di lealtà verso l’organizzazione e non su quello della fedeltà a qualcuno, o a gruppi di potere e cordate non meglio definiti. Questo tratto plurale e di autonomia è stato e sarà la forza di un’organizzazione che ha attraversato il Novecento e continua oggi a rappresentare milioni di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, e la parte socialmente più debole del paese. Vogliamo una CGIL che rilanci la sua azione vertenziale sul terreno sociale con priorità precise; nuovo welfare, riforma fiscale, salute e prevenzione, centralità del servizio pubblico sanitario, istruzione e previdenza pubbliche, pensioni di oggi e del futuro. Che rilanci l’obiettivo della redistribuzione del lavoro e della ricchezza, questioni di merito attuali e di prospettiva.

La CGIL è capace di parlare al popolo senza scadere nel populismo, di difendere gli interessi del paese senza scivolare nel nazionalismo e nel protezionismo, di rappresentare gli interessi del mondo del lavoro, di una classe, senza rifugiarsi nel corporativismo, nell’aziendalismo. Siamo una Confederazione, un soggetto collettivo di rappresentanza sociale senza uomini soli al comando e con dirigenti che vengono eletti e non incoronati. In CGIL non si usa recidere le proprie radici e la propria storia, e le generazioni si incontrano, si riconoscono e si sostengono, non si rottamano.

Ma la CGIL è anche molto altro, un’organizzazione laica, un soggetto politico di rappresentanza che ha come riferimento la Costituzione, un luogo dove chi è solo può sentirsi a casa, in un collettivo di uomini e di donne, in un  presidio di valori, di democrazia e di civiltà. Nell’attuale deriva culturale ha difeso e ridato senso alla parola progresso, legandola ai principi di eguaglianza, giustizia e solidarietà.

C’è bisogno di un pensiero alto, di programmi e di scelte che ripropongano ideali, prospettive, di una lotta costante, coerente e di lunga durata per far avanzare chi è indietro, senza voce e diritti, senza un futuro degno. Per rendere tutte e tutti uguali nei diritti e nelle possibilità. Per ricostruire un orizzonte del cambiamento, dell’utopia del possibile. C’è bisogno della CGIL.

Grazie dell’ascolto e buon lavoro

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