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“Che cos’è l’emigrazione: Scritti di Paolo Cinanni”. Presentazione il 2 Dicembre a Roma

che-cos-e-l-emigrazione-scritti-di-paolo-cinanniIn occasione dei cento anni dalla nascita di Paolo Cinanni, – militante comunista, partigiano, dirigente del movimento dei contadini del meridione d’Italia nelle lotte per l’occupazione delle terre improduttive e del latifondo, fondatore, alla fine degli anni ’60, della Filef (la Federazione Italiana dei Lavoratori Emigranti e delle loro Famiglie), assieme a Carlo Levi, Renato Guttuso ed altri sindacalisti, politici e intellettuali sensibili alle questioni dell’emigrazione italiana – la Filef ha realizzato un libro con una selezione dei suoi scritti ed interventi datati tra il 1969 e il 1973, recuperati dagli archivi della federazione.

SCARICA e Leggi l’E-book

INDICE del volume

 

Introduzione:

Rodolfo Ricci: Rileggere Cinanni – pag. 9

Giovanni Cinanni: Paolo Cinanni – 1916/1988 Un’esperienza di vita che tuttora vale – pag. 16

 

Scritti:

Sul referendum “ antistranieri “ in Svizzera – pag. 23

Da Sonnino a De Gasperi, il retroterra culturale di una tragedia voluta: gli ideologi dell’uomo-merce – pag. 27

La Politica Sociale della Comunità e l’emigrazione – pag. 33

Paolo Cinanni al Congresso internazionale sulle migrazioni della Fondazione Anna Frank – Amsterdam 1971 – pag. 39

L’emigrazione in Europa – pag. 54

L’emigrazione strumento di sfruttamento e subordinazione dei paesi mediterranei – pag. 67

Conseguenze economico-sociali dell’emigrazione – pag. 83

L’emigrazione calabrese e le possibilità d’intervento della Regione – pag. 95

Emigrazione e struttura della popolazione italiana – pag. 110

Estratti da “Emigrazione e imperialismo” – pag. 118

 

Note biografiche

Andrea Cinanni: Note biografiche su Paolo Cinanni – pag. 145


Il testo, “Che cos’è l’emigrazione: Scritti di Paolo Cinanni”, intende riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica e degli operatori sociali, culturali e politici, l’originale e rigorosa interpretazione che Cinanni, grande intellettuale del ‘900, allievo di Cesare Pavese,  dà dei fenomeni migratori, a partire da quello italiano.

Autore di famosi saggi, tra cui “Emigrazione e Imperialismo” e “Emigrazione e Unità Operaia”, Cinanni propone una lettura delle migrazioni interne ed internazionali attraverso alcune fondamentali chiavi di lettura, tra le quali: sviluppo/sottosviluppo, relazioni tra centri capitalistici/periferie,  da cui i flussi migratori sono determinati e che, allo stesso tempo, riproducono e amplificano in tempi storici molto lunghi gli squilibri da cui hanno origine.

In un momento in cui la questione migratoria dal sud del mondo è tornata al centro dell’attenzione mondiale ed in cui si assiste anche alla ripartenza di flussi emigratori di centinaia di migliaia di italiani verso l’estero, l’opera di Cinanni offre spunti di riflessione fondamentali sia per la questione migratoria in sè, sia per la posizione dell’Italia negli scenari europei e globali.

La presentazione si svolge nell’ambito del Programma di iniziative del CQIE (Comitato per le questioni degli italiani all’estero del Senato): “MIGRAZIONI: DA MARCINELLE A LAMPEDUSA. CAPIRE LA NOSTRA STORIA PER GUARDARE AL FUTURO” che si svolge dal 23 novembre al 2 dicembre 2016.

Il programma prevede gli interventi del. Sen. Claudio Micheloni, presidente del CQIE del Senato, dell’On. Francesco Calvanese,  presidente della FILEF e di Giovanni Cinanni. L’iniziativa è stata organizzata insieme Caterina e Andrea Cinanni, figli di Paolo.

 

Clicca QUI per leggere e scaricare il programma della giornata del 2 dicembre.

Clicca QUI per leggere e scaricare il Programma completo delle iniziative “MIGRAZIONI: DA MARCINELLE A LAMPEDUSA. CAPIRE LA NOSTRA STORIA PER GUARDARE AL FUTURO”

oppure qui in versione HTML

migrazioni-da-marcinelle-a-lampedusa

 


Servizi Radio su:

Radio Art.1  e  Radio 24 – Il sole 24 ore 

 


Di seguito l’introduzione al volume di Rodolfo Ricci (coordinatore nazionale della Filef)

 

Introduzione al volume

Rileggere Cinanni

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Paolo Cinanni

Ricorrono i 100 anni dalla nascita di Paolo Cinanni (Gerace, 25 gennaio 1916 – Roma, 18 aprile 1988); calabrese, emigrato e figlio di migranti, combattente partigiano, militante comunista, dirigente delle lotte per la terra nel dopoguerra; sempre a fianco dei contadini meridionali anche nella loro forzata trasformazione in migranti nel corso di tutto il ‘900 e, anche per tutto ciò, fondatore, insieme a Carlo Levi, della Filef.

Nelle loro intenzioni la federazione doveva tutelarne i diritti e contribuire a formare una coscienza che – attraversando un lungo tempo storico, inframezzato dagli esiti peraltro negativi dell’unità d’Italia con l’accentuazione, anziché la riduzione, degli squilibri tra nord e sud –  recuperasse il protagonismo delle masse meridionali nella loro nuova funzione di operai emigrati delle grandi fabbriche del nord Italia e dei paesi nord europei e transoceanici, in una prospettiva di riscatto e unità di tutti i lavoratori.

Ma Paolo Cinanni è uomo di azione e anche grande intellettuale che si inserisce in modo originale nella tradizione meridionalista ed è anche una figura problematica all’interno della tradizione comunista: allievo di Cesare Pavese, si richiama a Gramsci ed applica le sue analisi delle identità nazionali anche ad aree territoriali sub-nazionali, come il Meridione italiano, rivendicandone, nel dopoguerra, la specificità e la necessità di un approccio non generico alla soluzione dei suoi problemi secolari; un approccio che si fondi sul rilancio della produzione agricola attraverso la sconfitta del latifondo e, quindi, sulla fine dei flussi migratori (qualcosa di molto, molto simile, abbiamo conosciuto, negli anni ’90 e 2000, nell’America Latina di Via Campesina, organizzazione contadina partecipata da migliaia di nipoti e bisnipoti di nostri emigrati); ma la sua visione non acquisisce il consenso necessario: il mancato successo della riforma agraria, la crescita dell’industrializzazione del triangolo industriale – che si avvale del trasferimento al nord di milioni di giovani meridionali -, implicano un progressivo calo di attenzione verso autonome ed endogene prospettive di sviluppo del meridione che, via via, vengono lasciate cadere.

Le sue idee vengono emarginate, ritenute per certi versi sconfitte dalla implacabile storia; dopo aver inventato gli scioperi alla rovescia con l’occupazione e la lavorazione immediata delle terre incolte (pratica adottata decenni più tardi nella realizzazione degli Asentamentos dei Senza Terra in lotta contro il latifondo brasiliano) e aver diretto il movimento contadino al sud, viene chiamato a Roma in una di quelle classiche operazioni di promozione “demansionata”; l’approdo alla Filef è dunque, in un certo senso, l’esito di una sconfitta interna al PCI che tuttavia Cinanni coglie come un’opportunità: quella di riprendere in mano la vicenda che ha segnato due decenni di impegno nella sua Calabria – dopo essere cresciuto ed essersi formato nella Torino degli anni tra il ‘26 e il ’45 -, riprendendo i fili del destino del mondo contadino in un momento in cui esso torna alla ribalta, questa volta, come mondo dell’emigrazione che reclama un suo protagonismo nello scenario nazionale e internazionale, cosa che in Italia accadrà in modo decisivo a partire dal 1966 per sfociare nell’autunno caldo del ’69.

E’ anche un’opportunità per fare i conti, da intellettuale, con le prospettive, presenti anche a sinistra, che vedevano l’emigrazione come un fenomeno ineluttabile che non poteva essere contrastato; e la trasformazione dei contadini del sud in operai di altri territori e per altri paesi, come un dato storico del capitalismo del dopoguerra che magari implicava un’accentuazione della battaglia politica essenzialmente sul versante dell’organizzazione operaia nel centro-nord; cosa che avrebbe dovuto trascinare l’intero paese (e quindi anche il meridione) verso la modernizzazione.

Per Cinanni, invece, questa scelta implicava conseguenze estremamente negative per l’intero paese e per il sud in particolare (e, da buon ecologo e attento sociologo, ne sottolineava anche il rischio sul piano eco-ambientale per i territori di partenza come per le grandi concentrazioni urbane metropolitane del nord afflitte da polluzioni e inquinamento); ciò era corroborato dagli esiti dei 100 anni di storia che già allora ci separavano dell’unità: il sud si era svenato cedendo “gratuitamente” al mondo milioni di emigrati e ciò che era rimasto, confermato anche da diverse successive inchieste parlamentari, era solo il sottosviluppo e il degrado.

Negli anni della Filef, quindi Cinanni riassume le sue tesi in modo organico e rigoroso in due famosi libri (Emigrazione e imperialismo-1968 ed Emigrazione e unità operaia-1974) che presenteranno per la prima volta una lettura scientifica delle cause e degli effetti delle migrazioni sia per i paesi di origine che per quelli di accoglienza.

I risultati di questo lavoro paiono ancora oggi, ineccepibili e sgombrano il campo, almeno da questo punto di vista, dalle letture paternalistiche o auto-assolutorie di buona parte della letteratura sull’emigrazione italiana fino a quel periodo.

In questo libro presentiamo una selezione di interventi di Cinanni tratti da “Emigrazione verso la crisi”, un volume collettaneo che ripercorre i primi 8 anni di vita della Filef (1967-1975) e fortemente improntati dalla sua analisi sui fenomeni migratori in generale, a partire da ciò che l’Italia aveva sperimentato fin dalla sua unità e che lo stesso Cinanni aveva conosciuto anche in prima persona.

A questa rigorosa analisi economica e politica, coerentemente marxista, fanno riferimento molti dei documenti e degli esiti congressuali della Filef nel suo primo decennio di vita; molti interventi degli altri fondatori della Filef, a partire da Carlo Levi, li fanno propri e li mutuano pur all’interno di linguaggi e approcci parzialmente differenziati, sia per la loro specifica formazione, sia per le diversificate esperienze di cui ognuno di essi è portatore.

Rappresentano anche il quadro di riferimento e di formazione politico-culturale per molti dirigenti dell’emigrazione all’estero, costituendo una base per quel processo che, secondo l’auspicio di Carlo Levi, doveva portare l’emigrazione italiana a diventare protagonista e attore all’interno del più ampio movimento dei lavoratori, una volta cosciente della propria storia e del proprio ruolo. Costituiscono anche le basi del famoso Libro Bianco sulla condizione degli emigrati e della successiva proposta di Statuto dei Diritti dei lavoratori migranti che la Filef presentò alla Commissione Europea nel 1973.

La lettura dell’emigrazione di Paolo Cinanni acquisì peraltro vasti riconoscimenti in ambito accademico e intellettuale non solo in Italia, come dimostrano le traduzioni sia di “Emigrazione e Imperialismo”- (1967)  che di “Emigrazione e unità operaia”- (1974), libri che diventano, in quegli anni, dei punti di riferimento fondamentali nel dibattito intorno alle migrazioni e per coloro che di esse si occupano attivamente.

Gli interventi qui riproposti e che Cinanni pubblicò sul mensile della Filef “Emigrazione”, costituiscono una sintesi non strutturata, ma efficace, delle idee presenti già nei libri citati e certamente hanno una funzione più divulgativa, organizzativa e di orientamento.

Stupisce – e per certi versi inquieta – nel rileggerli, l’attualità del suo approccio in un momento in cui la questione migratoria è tornata di estrema attualità, non solo mediatica, nelle sue cause ed impatto anche geopolitico e nei suoi effetti all’interno dei paesi di arrivo, in grado di determinarne e spesso mutarne il quadro politico, mentre continuano purtroppo a restare del tutto sottovalutati o ignorati gli effetti sui paesi di partenza.

Le “narrazioni sul tema” che oggi abbiamo di fronte sono infatti sapientemente orientate a far percepire le grandi migrazioni come un fattore naturale ed epocale, a collocarle all’interno della coppia, apparentemente alternativa, di “accoglienza/integrazione” vs “rifiuto/xenofobia”, senza che vi sia – o emerga – un’ adeguata comprensione del loro carattere strutturale (sia per quelle extracomunitarie, sia per quelle interne al quadro nazionale e continentale), in un ambito sistemico caratterizzato dalla compresenza di sviluppo e sottosviluppo (o stagnazione), da aggressioni neocoloniali e neoimperialistiche e, allo stesso tempo, rimanendo all’ Europa, dalla crescita di differenziali produttivi tra paesi e dallo sfaldamento, ovunque, dello stato sociale, processi nati molto tempo fa e intensificatosi con l’ultima grande crisi economica.

A questo proposito è significativo verificare come i potenziali destini tra i paesi centro europei e quelli della costa mediterranea, alle prese con la dinamica degli “spread” e dei differenziali di produttività su cui è stata costruita la UE liberista, fossero, per Cinanni, assolutamente evidenti e prevedibili già quasi mezzo secolo fa, sulla base di una analisi dei flussi migratori interni alla CEE.

Paolo Cinanni, in queste pagine, ci parla infatti di “spread” storici di lungo periodo, che possono essere utili a comprendere molte delle dinamiche e delle involuzioni politiche con cui abbiamo a che fare.

Tra questi, appunto, l’emigrazione è quello principale, in grado di mostrare gli effetti del “libero mercato” su grandi territori e interi paesi, quando a regnare sono i liberi movimenti di capitali e di merci e, solo al loro seguito e in subordine, quelli delle persone; quando cioè non sono previste, anzi sapientemente evitate, politiche positive di “riaggiustamento strutturale” effettivo e di compensazione tra aree in surplus produttivo e aree in deficit, sia all’interno di singoli stati nazionali, sia all’interno di una comunità di stati come presume di essere la UE.

Colpisce quindi leggere, in diversi passaggi tra i tanti densi di significato storico e politico, come il collasso dell’edificio europeo fosse già prevedibile a fine anni ’60, sulla base di una semplice analisi dei flussi migratori (quindi anche demografici) che, da oltre un secolo e dalla fine della seconda guerra mondiale in particolare, avevano assunto una direzione precisa ed univoca.

All’interno di questi sommovimenti, l’Italia, il più grande paese di emigrazione dopo la Cina, aveva scelto da tempo e in forma strutturale, la via del deflusso – “concordato con i paesi più ricchi” – di manodopera e di popolazione per “diminuire la tensione sociale”, vale a dire per mantenere intatto il potere di classi dirigenti che avevano da conseguire un progetto di conservazione degli assetti sociali dati e/o incapaci di disegnare un paese diverso, anche autonomo – e “democraticamente sovrano” -, si potrebbe anche dire.

Il fatto che negli anni della crisi epocale (2008-2016), il flusso di emigrazione italiana (stavolta mediamente ben più qualificata della precedente) sia ripreso a tassi vicini a quelli degli anni ’60, conferma in modo inquietante le tesi di Paolo Cinanni. Come anche la riduzione drastica degli arrivi (da immigrazione extracomunitaria da lavoro) e invece l’esplodere parallelo di arrivi di profughi e asilanti per i quali il bel paese è ormai solo, ed essenzialmente, la prima sponda europea da raggiungere in un contesto internazionale caratterizzato da un caos crescente che mette sotto stress innanzitutto i paesi periferici e mediterranei della UE.

Ma se confrontiamo i progetti demografici di un paese, come la Germania, che ritiene di dover fare entrare sul suo territorio nei prossimi decenni almeno 10 milioni di lavoratori per contenere il suo deficit demografico (e riprendendo Cinanni, per valorizzare al meglio la sua ampia disponibilità di capitale, nonché per contenere, secondo prassi secolare, il costo del lavoro che le assicura da tempo un predominio sul versante dell’export) e il nostro paese che, al contrario, secondo l’ultimo rapporto Svimez 2015 rischia, negli stessi decenni, – ovvero da ora al 2050 -, di assistere alla desertificazione del meridione, con una riduzione potenziale di circa 5 milioni di residenti, ci ritroviamo in un contesto già conosciuto, quello di cui appunto parla questo nostro maestro; di una sorta di ritorno al futuro dopo soli tre decenni in cui pensavamo di essere ormai un paese di immigrazione, ammesso, quindi, nel club dei paesi ricchi del nord Europa.

Un altro importante ausilio che può dedursi da queste pagine è un contributo ad una corretta riflessione sulla questione del rapporto tra globale e nazionale (e tra nazionale e territoriale) e, per quanto riguarda lo scenario europeo, anche alle ipotesi di permanenza o di uscita dall’Euro o dalla UE, un dibattito che mostra una notevole confusione, sia sul piano analitico che su quello delle prospettive. Da questo punto di vista, il rigore di Paolo Cinanni può aiutarci a porre in termini più solidi la discussione, laddove, dalle sue pagine, sembrerebbe necessaria una rilettura della storia del nostro paese dall’unità in poi e non solo, come spesso accade negli ultimi tempi, limitatamente ai decenni che vanno dai ’70 ad oggi, caratterizzati dall’irruzione del neoliberismo.

Allo stesso modo è interessante l’indagine sulle grandi borghesie locali e sul loro tendere a trasformarsi in elites transnazionali e della rendita, fenomeno che nella storia sembrerebbe essere già accaduto più volte, soprattutto nelle aree e nei territori la cui competitività sistemica è decrescente. Poi, la questione dell’”unità operaia”, cioè di classe, che è il permanente richiamo di Cinanni, certamente una questione non semplice, anzi divenuta ben più ostica di quanto non lo fosse in quegli anni, anche per la sua necessaria traduzione ad un livello transnazionale e in un contesto in cui è stata già abbondantemente distrutta sul piano nazionale…

Infine, fa riflettere che, partendo da un fenomeno economico-sociale come l’emigrazione, emergano con semplicità ed evidenza, tutta una serie di questioni attualmente relegate al – o controllate dal – più astruso e inaccessibile dibattito economicistico; è questa una delle ragioni, forse, per cui si assiste allo stallo che abbiamo di fronte: perduta la memoria di un’accorta intelligenza sociale (e dunque politica) come emerge dalle pagine di Cinanni, ciò che regna è l’egemonia specialistica, spesso vana e di difficile trasmissione, anche nei suoi esiti migliori e meno controllati dall’egemonia main stream che pervade le leadership e, a cascata, le opinioni pubbliche mediatizzate, ovunque collocate.

Lo “straordinario Cinanni”, come pensavamo di intitolare questo breve libro, andrebbe quindi ripreso e di nuovo letto e diffuso, a partire dalle sue opere più importanti, ormai – forse non casualmente – introvabili. Buona lettura.

 

Rodolfo Ricci

(Coordinatore nazionale della Filef)

Discussione

6 pensieri su ““Che cos’è l’emigrazione: Scritti di Paolo Cinanni”. Presentazione il 2 Dicembre a Roma

  1. “Produzione quasi ferma”
    Italia superata da India e Corea del Sud
    Il rapporto dell’associazione degli industriali: «Paese schiacciato tra recessione violenta e ripresa lenta» (CdS)
    Ecco perché ……. :

    EMIGRARE DA UN PAESE PATRIGNO….

    1861. Con l’unificazione del regno d’Italia, i diversi staterelli pre-esistenti si mutarono, formalmente, in un’ unica società nazionale. La reale pratica instaurata (e di ciò non si parla) fu un po’ diversa…… Se lo stato unico che fu creato 150 anni fa avesse subito la stessa “ costruzione di una struttura europea” (fondazione di una società nazionale) che hanno gli altri stati dell’Europa occidentale, avremmo oggi uno Stato (con la S maiuscola) di tutto rispetto, il quale avrebbe le seguenti caratteristiche :
    – vita politica e rapporti sociali basati su valori positivi (chiarezza, coerenza, efficienza, onestà, dirittura, rigore, responsabilità, realismo, valore, rispetto reciproco, merito e impegno), Valori che sono considerati nel resto dell’Europa occidentale come i componenti necessari di un vero Patto Sociale, quasi cani pastori che sorveglino il gregge (la società). Peyrefitte chiama tale scenario “Società della Fiducia”.
    Tale quadro sociale non è mai esistito nella società italiana, anche se si è finto per lungo tempo di avvicinarsi ad esso. Negli ultimi 60 anni gli Italiani si sono abituati a sospettare (e nell’ultimo decennio i sospetti degli osservatori attenti hanno avuto conferme) l’esistenza di poteri nascosti che trattano e cercano di condizionare nell’ombra le decisioni del potere formale delle istituzioni. Questo Doppio Scenario è confermato dalle evoluzioni sociali, che mostrano la diffusione nel parlamento e nella vita pubblica della …….. doppiezza. La doppiezza è ovvia, facile in un Paese che non ha un Patto Sociale funzionante, né istituzioni efficaci a livello europeo. Esempi ? Troppi politici annunciano programmi e decisioni (sceneggiate) per il popolo (esse spesso rimangono tali, cioè non seguono conferme), ma patti ed inciuci sono definiti nell’ombra, legati a tornaconti di persone o di combriccole. Siamo divenuti, nella vita sociale, l’eccezione dell’U.E., per il Doppio Scenario…..Alcuni cittadini del mezzogiorno si lamentano, in troppe occasioni, che lo stato non c’è. Il suo simulacro invece ogni tanto appare, specie nei discorsi, mentre molti suoi ufficiali organizzano nell’ombra evoluzioni nascoste.
    Mentre il Doppio Scenario nelle istituzioni fino allo scorso secolo era poco notato, in quanto i tornaconti privati erano curati e difesi nell’ombra, ormai essi vengono spesso alla luce del sole, talora conditi dalla salsa “corruzione + lassismo”. Va notato che la Corte dei Conti ha fatto recentemente una valutazione preoccupante del costo per il Paese della corruzione diffusa…..
    Già nella storia troviamo le origini lontane delle evoluzioni negative, che son divenute oggi più visibili :
    – Nitti, premier molti anni fa, fu intervistato. Alla domanda, se si poteva sperare che un
    giorno il Paese avrebbe avuto solo buongoverno, ecco cosa disse a Luigi Barzini :”Gli
    Italiani sono stati ubriacati di bugie dai politici, per 150 anni”.
    Le combriccole ed i poteri nascosti sembrano essersi di recente estesi o aver acquisito più poteri, complice il lassismo diffuso nelle istituzioni. Più istituzioni hanno peggiorato il loro funzionamento, finché la società ha visto i diritti dei cittadini e la qualità dei servizi loro dovuti peggiorare …. Il quadro attuale : i diritti dei cittadini sono realizzati…., se e quando possibile, ma nei sacri testi essi sono chiari ! Double Scenario obblige!
    Le conseguenze, ormai diffuse e visibili, sono rovinose per l’economia. Lo stato che finge di svolgere bene i suoi ruoli (mentre il parlamento è sede di litigi, non di soluzioni, a fronte di emergenze ripetute), tira in realtà colpi bassi all’economia ed all’occupazione. Le efficienze e l’affidabilità delle istituzioni, dalla fine guerra, sono calate sempre più, senza che nessuno proponesse le correzioni necessarie per risolvere il problema. Dove sta l’inghippo ? Eccolo: sia i dipendenti pubblici (mal gestiti) che i politici non sono sottoposti ad alcun controllo efficace. L’immobilismo italiano recente è figlio di tale scenario. Esso genera occasioni perdute e perdita di occupazione.
    Quali le conseguenze ?
    Il settore produttivo di un Paese che sta ormai nelle ultime posizioni delle classifiche europee rende imperativa la scoperta della realtà sociale, finora ignorata: le istituzioni non sono il supporto, l’accompagnamento (come in tanti Paesi europei ben gestiti) per l’economia e gli imprenditori; ne sono invece spesso l’ostacolo.
    Gli investimenti degli imprenditori, invocati dai politici, non si vedono. Ma ci possono essere imprenditori disposti a investire, nel Paese che non garantisce la certezza del diritto, la selezione dell’eccellenza,l’efficienza di servizi e le gestioni corrette dell’amministrazione pubblica ?
    La disoccupazione in un contesto simile non potrà essere combattuta (salvo le chiacchiere politiche che si fermano alle dichiarazioni ; sembra essere in un regime di “dikiarazia”).
    Come reagisce la società ? Primo, l’aumento della emigrazione (non più operai come 100 anni fa, ma laureati che partono con il computer nella borsa, verso Paesi che non siano patrigni). Secondo, essa soffre della crisi sociale ben visibile, mentre le istituzioni sempre meno offrono ai cittadini la realizzazione dei loro diritti e sempre meno hanno funzionari capaci….Come conseguenza, i rapporti sociali, non più facili, navigano talora, più che in una società, in una melma fangosa, ove tutto può accadere, e dove l’efficienza dei servizi è un valore dimenticato. E la certezza del diritto ? Quella esiste, sicuro, ma sulla carta. Se poi si vuol realizzare nella realtà un diritto, cosa che la società fangosa non ti permette di fare, puoi trovare sempre un padrino o un politico che ti aiuta.
    Quanto agli sprechi di risorse e di tempo, di uno stato che male funziona, essi sono in aumento, senza che a nessuno venga in mente di eliminarli. Le conseguenze ? Essi hanno avuto due effetti, durante gli ultimi 60 anni almeno :
    a) l’ emigrazione su citata; b) la spinta del Paese a costruire nuovo Debito Pubblico, il quale continua ad aumentare, visto che non si pensa a contromisure per combattere/eliminare gli sprechi. Non ho ancora sentito un politico dire l’ovvio “Per annullare gli sprechi è necessario far funzionare le istituzioni come nei Paesi avanzati d’Europa : con professionalità e selezione corretta si può fare !”
    In un gregge, se spariscono i cani pastori, il pastore fa enormi tentativi per gestire le pecore, tenerle insieme. Nello Stivale, gli Italiani,” pecore anarchiche”disse Prezzolini, vanno ognuno in direzioni diverse. Infatti i cani pastori della società – i valori positivi – non ci sono più, gettati alle ortiche su iniziativa di qualche politico cialtrone e furbastro. Il Paese è divenuto ingestibile, inefficiente. Il “ flop” di molte attività economiche fa si che l’emigrazione, valvola di sfogo di un Paese patrigno, continui ad aumentare.
    Dopo la guerra, un paio di generazioni di governanti e dirigenti del parastato hanno abbassato la capacità di gestione dei macrosistemi (esempi, il Paese, l’Alitalia, la Sanità). Di conseguenza nuovi comportamenti si sono diffusi, in base alla (quasi) nuova mentalità del lassismo e impunità totali per gli uomini pubblici. In sintesi, essi hanno, fra l’ altro, provocato la sparizione del realismo sociale, sostituito dal doppio linguaggio. Il primo é infatti sparito dalle discussioni pubbliche. E sempre più esso é sostituito dalle promesse e dalla demagogia, trasmettitori TV aiutando. Si inizia a occuparsi delle esigenze della società con anni di ritardo. Per poi spendere altro tempo nei litigi politici prima di soddisfare le necessità….
    Il Paese é ormai sotto l’ imperio di sei dittatori: Confusione, Corruzione, Irresponsabilità, Lassismo, Rassegnazione, Gestione Allegra.
    Cosa pensano gli espatriati in Paesi avanzati nell’osservare il Paese patrigno che han dovuto abbandonare? Fra le cose più sorprendenti per molti di loro, si notano:
    – grigiore, vaghezza di programmi e del comportamento di personaggi pubblici,per manco di professionalità. Invece della chiarezza e di opinioni riflettute, troppo rapida mutazione delle stesse. Negligenza dei fatti reali nelle discussioni politiche, sostituiti spesso da accuse (non importa se senza prove). Talora doppio linguaggio del potere, che dice di voler fare, ma fa i fatti suoi……
    – rarefazione dei valori di base del patto sociale (è finito, ma trenta anni fa sembrava funzionare), in certi casi scomparsa degli stessi. Tutto, o quasi tutto, é ormai permesso. Il rigore, la coerenza, la precisione, l’ impegno, la verità dei fatti, li lasciamo ai Francesi o ai Tedeschi….. Noi ci teniamo il doppio linguaggio (esiste nella U.E., cosi diffuso, solo in Italia). Chiediamoci perché le suddette qualità non ci sono state insegnate dalla Pubblica dIstruzione, la quale si é curata, si, dell’ istruzione; ma non dell’ educazione…….
    – vita sociale caratterizzata da: frequenti incertezze, difficoltà di costruire, gestire, trasformare i corpi sociali. Ciò non deve troppo sorprendere, se nella società tutto é confuso o cambia dall’oggi al domani (flessibilità a 360°), vista la rarefazione dei punti di riferimento….
    – frequenti alterchi o lotte fra parti avverse (o alleate) in politica, le quali sembrano quasi indicare che molti politici danno priorità alle lotte di potere piuttosto che alla gestione del Paese (che sarebbe in teoria il loro ruolo). Poche differenze nei comportamenti quindi, rispetto all’ epoca dei Principati, quando le lotte fra principi nascevano per litigiosità o incapacità di comportamenti costruttivi.
    – progressiva scomparsa dell’obbligo di rispettare legge e regolamenti. Emergenze in alcune istituzioni e servizi pubblici. Il lavoro di prima qualità tende a scomparire nelle istituzioni (o è già scomparso ?).
    In tale confusione sociale, cosa fanno i politici ? Parlano (lo fanno dall’epoca di Ciampi) di riforme delle istituzioni. Ma saranno le istituzioni, cosi poco efficienti, capaci di fare le riforme necessarie e cambiare il comportamento confuso degli Italiani nella vita sociale ? Qui sta il problema centrale: l’attuale mentalità arretrata, non costruttiva, diffusa nella vita sociale, è incompatibile con lo sviluppo economico (ma è compatibile con l’emigrazione)……..
    Può un Paese stare in piedi, se nel Ballo delle Maschere Politiche non esiste rispetto per la verità ?
    Sic transit gloria Italiae !
    Ulrich Realist
    (disponibile a presentare il Problema Sociale Italiano)

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    Pubblicato da Ulrico Reali | 16/11/2016, 16:09

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