crisi in germaniadi Ashoka Mody *
Mentre tutti gli occhi erano puntati sulla periferia dell’eurozona, i paesi centrali hanno subito un tracollo? La Bundesbank ha ridotto le sue previsioni per la crescita del PIL tedesco nel 2013 allo 0,4%, mentre la Banca Centrale dei Paesi Bassi prevede per quest’anno una contrazione del PIL olandese pari allo 0,5% e un’ulteriore contrazione nel 2014. Sembra quindi che la crisi dell’eurozona stia entrando nel terzo stadioDurante il primo stadio, iniziato nella primavera del 2008, il fulcro della crisi nordatlantica si è spostato dagli Stati Uniti all’eurozona, mettendo sotto pressione le banche dell’eurozona e aumentando le tensioni interbancarie.

Nella seconda fase, iniziata nell’estate del 2009, la crisi si è poi diffusa ai debiti sovrani facendo aumentare la preoccupazione degli investitori per l’eventuale pressione sulle finanze pubbliche determinata dalla necessità di sostenere le banche. D’altra parte, la debolezza dei debiti sovrani ha comportato grandi rischi, in apparenza, per le banche, rendendole infine inseparabili dai loro governi.

Nel corso della crisi, si è presunto (almeno finora) che i paesi centrali dell’eurozona sarebbero rimasti solidi e che avrebbero continuato a finanziare i governi periferici e le banche in difficoltà. Una presunzione del tutto plausibile in apparenza. L’Europa “a due velocità” era infatti diventata la nuova norma.

In particolar modo, la Germania si posizionava al di sopra delle parti. Dopo una prestazione economica decisamente forte nel 2010, all’inizio del 2011 il PIL tedesco era infatti al di sopra dei livelli della crisi, un risultato di certo migliore rispetto a quello degli USA. E proprio vista la sorprendente prestazione nel settore dell’occupazione tedesco, sembrava prospettarsi un nuovo Wirtschaftswunder.

Ma poi si è verificato un sottile cambiamento. Gli Stati Uniti, nonostante un ritorno decisamente lento alla normalità, hanno superato la Germania, e, in assenza di uno scoglio fiscale di lunga durata e della confusione sul tetto del debito, potrebbero portare avanti una ripresa sostenibile. A seguito della forte contrazione dell’economia tedesca nell’ultimo trimestre del 2012, oggi la questione principale per il paese è se riuscirà ad evitare una recessione tecnica (ovvero una contrazione economica protratta per due trimestri consecutivi).

L’Europa non ha un suo motore di crescita. All’inizio, infatti, l’effetto rebound in Germania è stato forte in quanto il commercio mondiale è cresciuto rapidamente a seguito di una caduta repentina. L’appetito vorace della Cina per le auto e le apparecchiature tedesche ha fornito la spinta necessaria alla Germania, mentre i suoi tradizionali partner commerciali in Europa rimanevano in difficoltà.

Ciò nonostante, da allora la crescita della domanda cinese è rallentata mentre le condizioni dei partner commerciali europei della Germania sono peggiorate. Le politiche di austerità fiscale nei paesi periferici hanno comportato infatti un taglio delle importazioni, pertanto anche gli stati che esportano verso i paesi periferici si trovano a loro volta a dover ridurre le loro importazioni, e così via. Questo moltiplicatore commerciale sta comportando un trascinamento verso il basso reciproco delle economie europee, mentre il resto del mondo ne sta subendo le conseguenze.

Le prospettive al ribasso per l’economia olandese sono altrettanto allarmanti. I Paesi Bassi si trovano al secondo posto, subito dopo la Germania, in termini di volume di credito elargito ai paesi periferici dell’eurozona tramite il sistema “Target 2”, ed è inoltre il più grande creditore in termini pro capite.

Gli economisti continuano a prospettarci un ripristino della crescita a partire dalla seconda metà del 2013. Ma i precedenti della pianificazione di questa ripresa sono stati finora scoraggianti. Nel suo libro The Signal and the Noise, Nate Silver, statistico americano, sostiene che le previsioni degli economisti rispetto a contesti che non hanno mai affrontato in precedenza sono meno credibili. Ed è questo il caso.

Nell’aprile del 2010, il rapporto World Economic Outlook stilato dal Fondo Monetario Internazionale aveva prospettato una crescita annuale del PIL della Germania e dei Paesi Bassi pari all’1,8% nel 2013. Ad ottobre dell’anno scorso, il Fondo ha abbassato le sue previsioni per la crescita della Germania nel 2013 allo 0,9% e allo 0,4% per i Paesi Bassi. E, solo due mesi dopo, le banche centrali di entrambi i paesi hanno indicato che persino queste aspettative ridotte sono troppo ottimistiche. Chi può dire quindi se la seconda metà del 2013 porterà più speranza e positività?

Il procedimento di gestione della crisi europea è stato fondato sul principio di Rossella O’Hara “domani è un altro giorno”. Pur sapendo che posponendo le decisioni difficili si finisce solo per aggravare il problema, si pensa comunque, probabilmente, che ci sarà sempre una linea ferma di difesa. Ma ciò potrebbe tuttavia cambiare.

La terza fase della crisi dell’eurozona arriverà quando la forza dell’economia dei paesi chiave dell’eurozona verrà messa in dubbio. I dubbi sulle economie forti dell’eurozona indeboliscono infatti la credibilità della rete di sicurezza che ha finora sostenuto i paesi periferici europei.

La soluzione della crisi dell’eurozona tramite la Germania è sempre stata incerta da un punto di vista politico, ma potrebbe presto diventare anche economicamente insostenibile.

* già capo missione del FMI in Germania e Irlanda.

Fonte: Project Syndicate


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4 risposte a “Il terzo stadio della crisi europea: ora tocca anche alla Germania”

  1. Avatar Ulrico Reali

    COMPETITIVITA ED EFFICIENZE
    ( ITALIA E FRANCIA)

    La Fornero dice “Questa riforma (del lavoro) mette l’economia in condizioni di incoraggiare investimenti e competitività”.
    Ma sarà vero, o è solo il pensiero di un ministro dalle fatue illusioni ?

    L’ imperativo: che il sistema Italia divenga competitivo, nel Villagio Globale.

    Ma c’ é perdita di competitività, per alcuni prodotti italiani. Che sta succedendo ?

    Imprese che riducono, altre che si spostano nell ‘Est europeo, altre che hanno difficoltà a resistere. Sappiamo che la nostra competitività diminuisce. Il marchio Italia arranca. Importiamo merci meno costose o di migliore qualità, rischiamo di ridurre le esportazioni.

    Eppure la società italiana ha un ottimo prodotto , che tutti in Europa ci invidiano: la creatività e la flessibilità dell’ Italiano medio. Anche per questo motivo é iniziata un’ altra emigrazione. Di Italiani provvisti di buona formazione e di buone intenzioni. Molti di loro faranno fortuna in Europa e fuori, non riuscirebbero a farla in Italia. Vanno cioé in quei Paesi ove la società é organizzata, con meccanismi che girano piuttosto bene. Ove le strutture statali curano gli interessi del cittadino, con serietà e impegno, anziché ostacolarlo come in Italia. Ove le leggi sono applicate. Questa é la U.E., e noi siamo l’ eccezione.

    Il fattore primario della perdita di competitività italica che non é troppo considerato: la società che inizia a non funzionare, che é piena di inefficienze, di imprevisti, di pantani, di insuccessi a livello pubblico, di sopraffazioni al livello privato, di inaffidabilità. Tutto cio’ ha alcune cause, che potrebbero essere eliminate, se gli Italiani amassero riflettere agli eventi…..Nel sistema Italia un po’ di demagogia, molte chiacchiere, poco spazio ai fatti, alla riflessione; e la confusione sociale sembra recentemente aumentare.

    Gli imprenditori, certo, vorrebbero migliorare la loro competitività. Chissà che un giorno ci riescano ? Ma non certo nelle attuali condizioni sociali. Non potranno, senza una riflessione seria sulla divaricazione fra Italia ed U.E.

    Discorrendo con un altro emigrato a Parigi, facciamo il punto. La crisi in atto in Italia, conveniamo, potrà meglio essere combattuta se facciamo qualche paragone con il resto dell’ Europa. Dopo, sarà più facilmente possibile identificare qualche handicap di cui forse occorrerà liberarsi.

    Mi si dice “le nostre regole sono antiquate”. Rispondo: “Prima di dire che abbiamo delle regole, mostratemi che esse non stanno solo sulla carta, ma sono applicate”. Come é in genere nei Paesi della U.E.

    Il dialogo allora si sposta: “Cerchiamo di capire perché gli Italiani sono l’ eccezione della U.E.. Seguono le regole quando …… il tempo é buono. Ma, se il tempo cambia……”.

    Con una seria riflessione, potremmo forse scoprire che abbiamo interesse a capire come fanno i Francesi a gestire in modo efficace e soddisfacente i macrosistemi, incluso il loro Paese. Anzi potremmo scoprire che ci sono molte cose ancora che dobbiamo imparare, prima di poter pretendere un giorno di applicare la costituzione, per tutti i cittadini, di facilitare gli imprenditori.

    Il tessuto sociale italiano

    Uno dei motivi per cui la società italiana funziona sempre meno (in talune regioni c’é oggi un’ evoluzione, purtroppo negativa): ognuno puo’ farsi la sua interpretazione personale delle regole. Severgnini ha scritto “tanti Italiani si fanno il proprio codice à la carte”. In tante situazioni sociali, la reazione del sistema alla richiesta del cittadino é, troppo spesso, imprevedibile. Quando non nulla. L’ inaffidabilità sociale italiana é in aumento, ormai.

    La mia valutazione: se le nostre regole fossero scritte come in Francia, chiare, precise, indiscutibili, metalliche, una sola interpretazione, allora gli Italiani forse le seguirebbero. Ma per poter arrivare a tanto, parecchie condizioni sarebbero necessarie. La prima: condannare ed estirpare il doppio linguaggio (in pratica, avvicinarsi all’ Europa). Il quale é una delle tante fonti della inaffidabilità sociale odierna. Occorrerebbe imparare che c’é una sola verità. E anche una sola giustizia. Sarà possibile ? Per ora no, bisognerebbe, io credo, prima eliminare la confusione. Il casino cioé. Ma non é la sola condizione, ce ne sono ben altre.

    Se la società italiana potesse essere avviata alla chiarezza di espressione (cristalclear), ne avremmo alcune conseguenze. Anzitutto nella vita sociale diminuirebbero i contenziosi. Manderemmo qualche avvocato a spasso, ma forse disintaseremmo i corridoi dei palazzi di giustizia. Quei corridoi ove oggi ci vogliono i semafori. La gestione dei contratti, privati o pubblici, sarebbe meno costosa. L’ interesse privato in atti d’ ufficio, ora diffuso mi sembra, sarebbe meno facilitato. Potremmo persino immaginare che i funzionari pubblici diventino responsabili. Oggi non lo sono, con la regolamentazione e il codice che ci ritroviamo. Nel sistema fiscale poi, per fare un altro esempio, si potrebbe eliminare la specialità italiana del condono, annuale o semestrale. Nelle assemblee infine, di qualsiasi tipo, parlamentari o condominiali, sarebbe più facile concordare delle conclusioni e delle linee di azione. Cioé fare come in Europa……..Molto meglio che litigare……

    Diverso il tessuto sociale francese ?

    In Francia, da tempo, lo stato é possente, efficiente e fornisce molteplici servizi di buona qualità al cittadino viziato (in Italia non ci sogniamo cose simili).

    La qualità dei servizi francesi poggia su una buona base: l’insalata di rigore, efficienza, selezione del merito, ricerca della verità oggettiva, serietà. Serietà non significa soltanto coerenza e impegno nelle attività economiche, ma anche nell’ applicazione della costituzione.

    Quando lo stato é efficiente, serio, rigoroso, preciso e puntuale, la costituzione si puo’ applicare nei riguardi di tutti i cittadini (ci piacerebbe arrivare anche noi a tanto ?). Tutti quanti soddisfatti di vedere i prori diritti rispettati ed applicati. Le sopraffazioni ci possono essere, ma non sono la regola. Cio’ non vuol dire che non ci siano problemi. I problemi sono altri.

    L’ “échec scolaire” é un problema nazionale. Da noi assurdità simili non succedono. La limitata capacità commerciale, la poca creatività, l’ insufficiente flessibilità, sono problemi citati dalla stampa francese. Ma sembra che, in questi ultimi campi, si facciano progressi.

    E il sistema di istruzione francese che fa cilecca da tutte le parti. Eppure, se si instaurasse una collaborazione fra Francesi e Italiani, sarebbe per noi facile mostrare cosa é e come funziona una pedagogia moderna. Come fare per avere anche in Francia più capacità commerciali.

    Un sogno

    Ancora un esempio delle conseguenze della chiarezza, della reinserzione dei Valori spariti . Forse sarebbe scoraggiata l’ approssimazione, oggi troppo diffusa. Inoltre non avremmo più il primato europeo dei giorni di sciopero. Ma, sopratutto si potrebbe dire agli Italiani: le regole ora sono chiare, seguitele. Si potrebbe allora cominciare con la severità, buttando dalla finestra l’ impunità garantita.

    La società italiana potrebbe divenire affidabile. L’ economia ne guadagnerebbe.

    E solo un sogno, o potrà essere realtà ?

    Io credo che dipenda dalla maturità di una società. Nel senso che una società matura e responsabile sa rinnovarsi (anche per divenire europea).

    Riletterci su ?

    Italiani e Francesi, popoli cugini. Fratelli, non direi, siamo agli opposti. E se collaborassimo in qualche settore ?

    La mia conclusione

    Una collaborazione ben organizzata tra Italiani e Francesi potrebbe dare buoni risultati in Italia, in termini di miglioramento delle efficienze, che hanno un impatto sulle economie. Ai Francesi potremmo mostrare cio’ che sappiamo fare meglio. Ma, prima di pensarci, sarebbe necessaria una riflessione sugli inconvenienti specifici della attuale società italiana, sulle loro cause (per cui sono disponibile come relatore).

    La domanda più appropriata mi sembra: la società italiana é responsabile per capire l’ esigenza di una riflessione urgente, oppure é rassegnata alle attuali prospettive, che sono molto misere ? E rassegnata all’ espansione dei souks nazionali o cerca la trasparenza dei mercati europei ?

    Perché non attira l’ attenzione dei media distratti l’ impatto della perdita di efficienza (gli sprechi cioé) del sistema Italia sui conti pubblici e sulla competitività ? Non fa paura il rischio Argentina ? O ci sono poteri nascosti che preferiscono lo sbando, il disastro ?

    l’Espatriato
    ANGREMA@wanadoo.fr

    1. Avatar cambiailmondo

      Caro Ulrico Reali,

      dai tuoi innumerevoli commenti, ciò che si comprende è che non leggi gli articoli che poi commenti. Ora, dovresti cortesemente attenerti alle regole di correttezza che tanto citi: o fai dei commenti attinenti agli articoli entrando nel merito del contenuto degli articoli stessi, oppure, se continui a replicare solo le tue tesi, saremo costretti a sospendere i commenti.

      Non intendiamo riempire il sito di auto promozione tra l’altro con modi che sembrano ignorare del tutto i contenuti proposti. Sono quasi 100 i commenti che ti abbiamo approvato, quindi, come vedi non facciamo censura; confidiamo sulla tua comprensione.

      Red

      1. Avatar Ulrico Reali

        Provero’ a soddisfare la sua richiesta.

        Purtroppo ho un nemico : in materia di evoluzioni socio-politiche le valutazioni sono notevolmente diverse, In Italia e nel resto Europa. La chiamo sindrome Barzini perché fu lui a scoprirla.

        In pratica, quel che all’estero appare come un grosso problema, da affrontare subito (perché gli altri Paesi europei camminano), in Italia esso appare talora come un pretesto per chiacchiere incostruttive o per accuse.

        Sic stantibus rebus, mi limitero’. Ma vi esprimo ora un pesniero : se non capite in Italia quale enorme problema sociale avete (quello che porta la recessione e la disoccupazione), allora non ci saranno molte speranze.
        Coraggio, ma aprite gli occhi.

        Ulrico

      2. Avatar cambiailmondo

        Guardi, forse non si è reso conto che in questo blog ci sono decine e decine di persone che, come lei, scrivono dall’estero. Con valutazioni e indicazioni che sono diverse dalle sue. Scrivono dalle Americhe, dall’Asia, dall’Africa, da tutti i paesi europei, ivi compresa la Francia, ovviamente. La sua è una prospettiva specifica su cui abbiamo avuto modo di discutere, è una prospettiva che possiamo definire tecnocratica, molto simile a quella su cui si è esercitato, con grave insuccesso, il Prof. Monti.

        Lei sa che gli italiani all’estero sono generalmente molto stimati per la loro capacità di lavoro, di inventiva, ecc. Ne sono transitati in un secolo oltre 30 milioni. Quindi il problema non è di natura antropologica, ma forse come si diceva una volta, di ordine strutturale…. provi a fare un confronto tra il capitalismo francese, tedesco e quello italiano.

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