di Rodolfo Ricci
Ieri il PD ha emanato la sua Carta d’Intenti in chiave elettorale, destinata essenzialmente a definire i paletti per le future alleanze. Si tratta di un testo breve che, per la natura delle parole, parole e ancora parole infarcite di contraddizioni logico-proposizionali, i componenti del Circolo di Vienna, Wittgenstein in primis, avrebbero potuto utilizzare per scrivere un trattato memorabile contro la metafisica. Parole che si spendono (e si spenderanno a fiumi) in vista delle prossime consultazioni, ma il cui obiettivo principale era quello di legare mani e piedi a tutti coloro che accetteranno un’alleanza di governo con il PD.
Con questa bozza di programma, inoltre, il PD si presenta sullo scenario internazionale come il più valido e zelante candidato all’attuazione del programma di gestione della crisi – lacrime e sangue -, per il prossimo ventennio e quindi come l’interlocutore privilegiato dei poteri transnazionali (e nazionali) per la nuova governance in versione autoritaria della modernizzazione neoliberista, rivista e corretta alla luce del fallimento del neoliberismo dogmatico ed ortodosso datato 2007-2008.
Per comprendere gli obiettivi reali della leadership Piddina, basta andare alla fine del documento, al punto 10, in particolare, dal titolo “Responsabilità”, in cui si definiscono gli impegni che ogni componente della futura alleanza di governo dovrà inequivocabilmente rispettare nella prossima legislatura, una volta raggiunta la vittoria (cosa che è tutta da decidere).
Vi si dice, tra l’altro, che:
la costituzione, stabilità e coesione della compagine di governo implica di
• “assicurare il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro;
• appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona.”
Ed aggiunge che: “I democratici e i progressisti s’impegnano altresì a promuovere un “patto di legislatura” con forze liberali, moderate e di Centro, d’ispirazione costituzionale ed europeista, sulla base di una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni.
Concludendo con: “Noi – i democratici e i progressisti (tra cui si annovera l’UDC, mentre viene radiato l’IDV di Di Pietro ritenuto eccessivamente polemico, nda) – questa volta non inviteremo a sognare (abbiamo da offrirvi solo dolori e sacrifici, nda). Insieme con il Paese che resiste e vuole ripartire apriremo bene gli occhi e ascolteremo. Assumeremo degli impegni. Discuteremo con la società consapevole i traguardi di un’Italia da rifare. Siamo pronti e non siamo soli. Siamo convinti di avere cose da dire, e soprattutto molte cose da fare. Per l’Italia, bene comune.”
Si tratta per chi non lo avesse ancora capito, dell’ancoraggio ferreo della prossima legislatura, agli obiettivi già assunti con l’approvazione del Pareggio di Bilancio in Costituzione, del Fiscal Compact e dell’ESM, che peraltro, varranno, a meno che non siano “eventualmente ricontrattati” (cosa del tutto improbabile già nelle intenzioni), non solo per il prossimo quinquennio, ma, come noto, per i prossimi 20 anni.
In pratica, il nuovo governo a guida PD, dovrà realizzare questi impegni, punto.
Tutti i precedenti 9 titoli che si susseguono con encomiabile sforzo linguistico di convincimento delle plebi, sottolineando l’improbabile differenza tra un presunto centro destra e un presunto centro sinistra pronti alla guerra elettorale, sono, alla luce di questi ultimi paragrafi, una evidente manipolazione giocata sulle debolezze di lettori ed elettori. Promesse degne di quelle sottoscritte da tal Berlusconi nel lontano anno 2000 nello studio televisivo di un certo Bruno Vespa. Anzi, peggio, perché non siamo in pieno trend di crescita da indebitamento, ma in pieno trend di recessione da austerità.
Non vi è infatti alcun dettaglio su quali e dove saranno reperite le immani risorse necessarie per attuarle, dal momento che dal 2013, il paese (i cittadini che lo abitano) dovrà tirar fuori, oltre ai 100 miliardi all’anno per il servizio sul debito pregresso, altri 50 miliardi all’anno per assolvere gli impegni del Fiscal Compact (rientro nel 60% del debito totale), altri 15 e passa per il varo dell’ESM, oltre ad x miliardi per le altre manovre congiunturali che si aggiungeranno, ecc. ecc..
E’ anche un po’ inquietante l’espressione finale “discuteremo con la società consapevole” i traguardi dell’Italia da rifare. Ci si appella infatti ai movimenti, all’associazionismo di base, ecc., ma solo se “consapevoli”. Ad essere rigorosi, ci sarebbe da aspettarsi che saremo consultati anche noi, ma il vocabolo è qui usato in senso inverso, come da prassi e in coerenza con l’intero testo che è un esempio esemplare, per l’appunto, di aggressione al principio di realtà e, come già detto, alla logica.
Il documento si intitola infatti “Italia, bene comune”. Ci vuole davvero tanto, troppo coraggio !!
Bene, oggi, il grande narratore Niki Vendola, ha aderito alla proposta, in modo più che convinto, anche se, ha lamentato, avrebbe preferito qualche ostracismo in più contro il “neoliberismo”, che nel testo, appare un po’ di sfuggita.
Notoriamente il leader di SEL, (acronimo da rimodulare a piacere), è avvezzo alle lettere e predilige i proclami coinvolgenti in grado di scatenare nell’animo dell’uditorio, sentimenti di rinnovato vigore e slancio verso ampi e progressivi orizzonti.
Il documento, che al di là delle maligne critiche di cui sopra, è scritto abbastanza bene e tiene il tono della novità, ha il solo difetto di porre nelle ultime righe le cose essenziali, quelle che nelle scatole dei medicinali sono note come “AVVERTENZE” ed “EFFETTI COLLATERALI”.
Forse Niki è stato folgorato dal titolo, e non le ha lette, o forse,raggiunto l’obiettivo postosi fin dall’inizio della sua performance politica su scala nazionale, si è sentito pago e soddisfatto, tanto più che res sic stantibus, qualsiasi sia la natura ideale del prossimo parlamento, dati i vincoli dell’”Europa” che molto chiede e nulla dà, non vi è alcun effettivo e concreto spazio di manovra, dunque, avrà pensato, meglio sedervi al coperto in qualche decina di uomini piuttosto che agitarsi contro i mulini a vento dalla scomodissima posizione di extraparlamentari sottoposti al vento e alle intemperie.
Fatto sta che il primo del mese di Agosto del 2012, un altro equivoco è finalmente – e definitivamente – caduto. Un altro elemento di chiarezza è stato conseguito. E non è poco, per il tempo che corre.
Come sempre, la storia ci dirà se fu vera gloria, o, per essere più precisi, se la scommessa dei due narratori e parolieri, è stata azzeccata. Stando ai commenti che corrono in rete, pare proprio di no.
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Leggi la Carta d’Intenti del PD













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