di Massimo Demontis (Berlino)
In Germania la differenza di reddito tra lavoratori aumenta ancora e in modo netto. Usando le parole dello Spiegel online, cresce l’ingiustizia nelle retribuzioni. Ce lo dice l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, un organismo internazionale di studi economici con sede a Parigi al quale aderiscono 34 paesi.
Nel suo ultimo rapporto sulle prospettive dell’occupazione in Germania, presentato oggi a Parigi, l’OCSE pur elogiando il calo della disoccupazione della prima potenza industriale europea ha messo in evidenza l’altra faccia della medaglia del “miracolo” economico tedesco:
– Il numero dei disoccupati di lungo periodo, scrive l’Ocse nel suo Employment Outlook 2012, rimane critico
– le differenze di reddito tra lavoratori (salari e stipendi) si allargano in modo allarmante e di conseguenza qui cresce l’ingiustizia
– sempre meno impieghi sono regolati da un contratto collettivo di lavoro
– la quota di reddito nazionale composta da salari, stipendi, altre prestazioni aggiuntive e prestazioni sociali è nettamente diminuita dal 67 per cento degli anni ’90 all’attuale 62 per cento ed è un altro segno della crescente disparità nelle retribuzioni.
Pur elogiando la lotta alla disoccupazione, la sua riduzione negli ultimi cinque anni e le riforme “strutturali” (antesignane della crisi) del mercato del lavoro della Germania, l’Employment Outlook dell’Ocse dice poco sulla qualità dell’occupazione creata e sul make up delle statistiche di disoccupazione.
Buona parte del miracolo economico – escludendo la posizione leader della Germania nella ricerca e negli investimenti in innovazione e il riposizionamento delle aziende nel mercato globalizzato -, è anche figlio di un mix crescente e preoccupante di cosiddetti minijobs, di lavori sottopagati e altri tipi di rapporti di lavoro che non rientrano nei contratti collettivi. Al punto che la quota di occupati con contratto collettivo è scesa dal 72 al 62 per cento e spesso il contratto collettivo non viene esteso a tutte le aziende di un settore.
A questo dato vanno aggiunti tutti gli occupati che, pur avendo un contratto regolato da un contratto collettivo, sono oggetto di una serie di clausole in deroga al contratto collettivo per cui gli aumenti retributivi rimangono talora inferiori a quelli di settore.
Si può quindi concludere che anche nel paese guida dei cosiddetti virtuosi, il profitto si crea in buona parte a prezzo della riduzione dei diritti di chi lavora. Non è una novità. Ma se ne parla poco in Europa.













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