di Paola Giaculli (Berlino)
Da oggi Gauck, difensore dei diritti civici nella Ddr, non è più il candidato unico alla presidenza tedesca, ma dovrà vedersela con Beate Klarsfeld, una pasionaria per la verità sui crimini del nazismo, tanto che si è meritata la definizione di “cacciatrice di nazisti”. La sua candidatura è stata avanzata ufficialmente oggi dalla Linke, il partito di sinistra tedesco. L’impatto mediatico è rilevante per una scelta di grande valore simbolico per la storia della Germania, e di grande attualità per l’ancora esistente ritrosia ad affrontare il passato e per il forte rigurgito di nazismo e razzismo nella società tedesca con tutte le difficoltà delle autorità a fronteggiare il fenomeno.
La vita di Klarsfeld, 73 anni, si legge come un thriller politico e le sue imprese sono state raccontate più volte già sul grande schermo. È riuscita insieme al marito francese Serge a inchiodare al banco degli imputati svariati criminali nazisti tra cui il “macellaio di Lione”, Klaus Barbie, capo locale della Gestapo, responsabile della deportazione di ebrei francesi, tra cui molti bambini mandati direttamente alla morte per gas ad Auschwitz.
Per scovare i criminali Beate non ha esitato a recarsi, a proprio rischio e pericolo, a partire dagli anni ’60, in America Latina, governata perlopiù da regimi dittatoriali che li proteggevano. Fece tappa anche in Siria, dove si era rifugiato come addestratore assoldato dai servizi, Alois Brunner, il vice di Eichmann, organizzatore della deportazione di ebrei da tutti i paesi occupati dai nazisti nei campi di sterminio, giustiziato poi a Gerusalemme in seguito al processo del 1961, su cui scrisse ampiamente Hannah Arendt in “La Banalità del male”.
Beate ha svolto indagini, fatto pressione sulle autorità dei vari paesi, incontrando molti ostacoli, che cercava di superare attirando l’attenzione dei media con azioni eclatanti. Barbie venne finalmente estradato in Francia dalla Bolivia nel 1983, dopo una decina d’anni di sforzi in tal senso, e condannato poi all’ergastolo. Nel frattempo, grazie alle insistenze dei coniugi Klarsfeld, si era arrivati all’accordo franco-tedesco che rese possibile lo svolgimento di processi per crimini commessi in Francia. Nel 1971 i coniugi tentarono di rapire a Colonia l’ex capo della Gestapo di Parigi Kurt Lischka, che lì viveva indisturbato. Lischka fu poi processato a Colonia per la deportazione di circa 40.000 ebrei dalla Francia. Condannato a dieci anni, ne sconterà solo cinque.
Beate si è battuta lungamente con le autorità tedesche e la procura di stato per l’avvio di indagini, accumulando, per i vari casi, con un lavoro estenuante, una mole impressionante di prove: no, non era proprio possibile che i crudeli assassini nazisti finissero in pace i loro giorni e addirittura in casa propria, in Germania, senza neanche il bisogno di cambiare identità, tanto era chiaro che sarebbero rimasti impuniti.
Questa era l’ispirazione alla base della missione dei Klarsfeld, anche vittime, per fortuna senza conseguenze, di due attentati, di cui uno ad opera di Odessa, la rete clandestina di ex SS, che aiutava tra l’altro la fuga di ex nazisti in America Latina. In Germania Beate è venuta alla ribalta nel 1968 con uno schiaffo, durante un congresso della Cdu, all’allora cancelliere cristiano-democratico Kiesinger, con un passato nazista al ministero degli esteri del Terzo Reich. “L’azione era stata ben pianificata” ricorda Beate, e fu un successo, “il giorno dopo era sulle prime pagine di tutti i giornali tedeschi e Kiesinger era smascherato“.
Le accuse di Beate a Kiesinger le erano costate in precedenza anche il posto di lavoro presso l’Opera giovanile franco-tedesca di Parigi. A giustificazione del suo gesto disse di non poter tollerare che uno dello stesso partito del criminale che aveva deportato il suocero a Auschwitz fosse diventato cancelliere. Beate si beccò un anno di carcere che però fu commutato in quattro mesi con successiva sospensione della pena, ma divenne subito il simbolo di “un’altra Germania”: erano gli anni delle rivolte studentesche e della ribellione dei giovani nei confronti di genitori e professori che avevano taciuto il crimine nazista, da responsabili diretti o da cittadini consenzienti.
In Francia, dove Beate risiede con il marito Klarsfeld, ha ricevuto i più alti riconoscimenti, tra gli altri, da parte del presidente Mitterand, il primo ad ammettere le responsabilità del collaborazionismo francese nella deportazione degli ebrei, non in ultimo grazie alle insistenze di Beate. In Germania è stata considerata in passato una guastafeste, nel migliore dei casi osservata con quella diffidenza che si riserva a chi si ritiene non difenda la “patria”. Di recente Klarsfeld ha ricevuto il riconoscimento di ufficiale della Legione d’onore da parte di Sarkozy, mentre in Germania una richiesta, su istanza della Linke, del riconoscimento corrispondente, la croce d’onore, le è stata rifiutata senza spiegazioni dal ministero degli esteri e dall’ufficio del presidente della repubblica.
Nata a Berlino, si trasferì poco più che ventenne in Francia, dove conobbe Serge, l’avvocato da cui avrà una figlia e un figlio, anch’essi avvocati impegnati nella causa dei genitori. Beate Klarsfeld ha sempre sostenuto la causa d’Israele, e si è impegnata contro l’espulsione di rom dalla Germania, in modo particolare dopo i pogrom all’inizio degli anni ’90, dove ha manifestato con ebrei francesi contro un accordo tedesco-romeno che a loro dire ricordava quello che prevedeva l’espulsione di ebrei e rom dalla Francia degli anni ‘40. Ancora nel 2006 si è scontrata con l’allora direttore delle ferrovie tedesche Mehdorn per aver negato lo spazio nelle stazioni ferroviarie tedesche a una mostra, già allestita in Francia su “11.000 bambini: alla morte con le ferrovie del Reich”. Secondo Mehdorn una stazione non era l’ambiente idoneo a manifestazioni simili.
A pochi giorni dalla commemorazione delle dieci vittime di una serie di omicidi neonazisti – soprattutto turchi – per cui si è deplorata l’incuranza, se non la corresponsabilità delle autorità e dei servizi tedeschi, è significativo che Beate venga proposta per la guida di questa repubblica che, a quasi settanta anni dalla fine della guerra fa ancora a fatica, a parte l’impegno ammirevole di qualche storico, a produrre un’analisi seria e sistematica sul suo passato, e soprattutto sulla permanenza di nazisti negli apparati di stato nella Germania del dopoguerra. Non è un caso che il razzismo, la radice più brutale alla base del nazismo, non sia stato mai seriamente debellato e riaffori soprattutto in momenti di tensione. Alcuni studi parlano di circa 150 omicidi razzisti dalla riunificazione tedesca del 1990 a oggi, ma ancora manca l’ammissione che il razzismo è un fenomeno strutturale, insito nella società tedesca. Un esempio: un terzo degli intervistati di un sondaggio effettuato lo scorso anno vorrebbe “rimandare a casa gli stranieri” se il lavoro venisse a mancare. Rivelatori anche i pregiudizi sempre presenti nei confronti dell’inefficienza dei popoli del sud (ora leggi Grecia). Non basta una commemorazione (voluta per altro dall’ex presidente Wulff), afferma l’Associazione contro il razzismo, ci vuole una politica mirata a dare uguale dignità a tutte e tutti e alle culture diverse da quella tedesca.
“Non voglio essere la candidata anti-Gauck” dice Beate, “lui ha difeso i diritti nella Ddr e io la verità sui crimini nazisti nella Germania dell’ovest”. Beate è una candidata indipendente, e vede la sua candidatura, che ha accettato con entusiasmo, come un riconoscimento al suo impegno. Si preannuncia una bella gara, riaperta grazie alla Linke, come si legge in qualche blog. Nella community e ormai anche in molti giornali si è infranto il consenso granitico iniziale intorno a Gauck, che tra l’altro viene accusato di banalizzare l’olocausto, equiparando nazismo e comunismo. Il suo concetto di libertà risulta astratto: “la libertà senza pari opportunità vuol dire libertà dei privilegiati”, gli rimprovera il giovane filosofo popolare Richard David Precht, sulla scia di quanti criticano la sua scarsa sensibilità sociale e gli attacchi ai movimenti’. Klarsfeld potrebbe per questo anche attrarre consensi dagli scontenti soprattutto tra i Verdi, in cui esponenti in vista hanno apertamente criticato la scelta di Gauck. Anche un esponente dei movimenti civici nella Ddr, Hans-Jochen Tschiche, pastore protestante come Gauck, parla della nomina come di “un onore che non si merita”, aggiungendo che “nella Ddr non è mai stato all’opposizione”.













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