di Marco Consolo – (Blog)
Nessuna sorpresa e nessun miracolo. In Cile vince il pinochetista Juan Antonio Kast, figlio di un profugo nazista tedesco scappato dai processi della post-guerra, con uno schiacciante 58,2 % (7.254.850 voti). Non ce l’ha fatta a rimontare Janette Jara, la sconfitta candidata della coalizione di centro-sinistra con il 41,8% (5.218.444 voti). Una differenza di più di due milioni di voti che non lascia spazio a dubbi.
Secondo i dati ufficiali del Servizio Elettorale (Servel), questo ballottaggio ha battuto il record di voti nulli e bianchi dal ritorno alla democrazia nel 1990. In totale, degli oltre 13 milioni di voti espressi, quasi un milione sono stati nulli e bianchi. In particolare, i voti nulli sono stati 779.988, pari a oltre il 5,8%, mentre i voti bianchi hanno raggiunto quota 164.627, pari all’1,23%. In altre parole, oltre il 7% dei voti è stato invalidato.
Inoltre, al voto non hanno partecipato 2.300.00 persone, con una partecipazione elettorale dell’85%.
Si consolida il fascismo
Il voto consolida le forze dell’estrema destra neofascista, frutto della convergenza politico-elettorale, in parte contraddittoria, di due correnti radicali del pinochetismo (quella di Kast e l’altra, ancora più a destra, di Johannes Kaiser). A loro si è accodata la cosiddetta “destra tradizionale” (oggi “moderata”), la cui candidata sconfitta al primo turno era Evelyn Matthei, figlia dell’ex generale golpista Fernando Matthei, già ministra ed ex sindaca di Providencia, un importante municipio di Santiago.
Nonostante la dura guerra interna in campagna elettorale tra le tre destre (divise al primo turno) [i], Kast è riuscito a mantenerne l’appoggio, oltre a quello del blocco sociale di riferimento, superando di gran lunga la somma aritmetica delle tre coalizioni: ha raddoppiato i voti ottenuti al primo turno, vincendo in tutte le 21 regioni che formano il Paese.
Da parte sua, Franco Parisi, il candidato che si era piazzato al terzo posto con il Partito della gente (con quasi il 20%) aveva fatto appello ai suoi elettori ad annullare la scheda. Un appello accolto solo parzialmente.
La “forza del cambiamento”
Anche in Cile, ha vinto il mantra della destra che si è presentata come “La forza del cambiamento” versus il continuismo dell’attuale governo in cui la comunista Jara è stata ministra del lavoro, nonostante abbia provato a smarcarsi in campagna elettorale.
Oltre al consolidato e storico anticomunismo, il cavallo di battaglia di Kast è stata la paura, l’insicurezza e l’odio viscerale per gli immigrati (in particolare i venezuelani), associati all’aumento relativo della criminalità, i cui dati sono però simili a quelli degli Stati Uniti e molto lontani da quelli di altri Paesi della regione.
Con un’inflazione di circa il 4% annuo, una disoccupazione registrata all’8,6% tra giugno e agosto 2025, il candidato pinochetista ha impostato il suo discorso sulla “situazione disastrosa” del Paese, accusando il Governo Boric di essere “il peggior governo della storia cilena” e di aver portato il Cile al baratro.
Il voto obbligatorio
Dopo la caduta della dittatura civile-militare di Pinochet nel 1990, Kast è il primo pinochetista che vince la presidenza ed ha il record di essere il Presidente più votato nella storia del Paese. Un risultato ottenuto anche grazie all’introduzione del voto obbligatorio (e dell’iscrizione automatica nel registro elettorale). Un’obbligatorietà che ha canalizzato lo scontento sociale nei confronti del governo di Gabriel Boric, la cui approvazione alla fine del mandato si aggira attorno al 30%. Gran parte dei nuovi elettori sono andati a votare solo perché il suffragio era obbligatorio e per non pagare la salata multa prevista. Molto probabilmente, il sorprendente 20% ottenuto al primo turno da Franco Parisi viene da questi settori, imbevuti di anti-politica travestita dallo slogan “né fascisti, né comunisti”, che aspirano alla scalata sociale sulla base di uno sfrenato individualismo, e che avversano ogni azione collettiva. A una prima lettura, nonostante l’appello di Parisi al voto nullo, il grosso dei suoi elettori sembra aver appoggiato Kast al ballottaggio.
Luci ed ombre del governo Boric
Quando nel marzo del 2022 era entrato in carica il governo Boric, il gruppo di giovani ex dirigenti studenteschi che si insediarono a La Moneda, dopo un breve passaggio parlamentare, portava in dote un misto di felicità, ingenuità e ansia, ma anche una totale inesperienza di governo. Venivano guardati con simpatia e c’erano molte aspettative sul loro operato e sul ricambio generazionale della politica cilena. Molte erano le promesse fatte sia durante la campagna elettorale, che nei loro anni al Parlamento.
Ma mobilitarsi nelle piazze o dibattere in Parlamento non significa saper governare, un compito affatto facile. Da subito il governo Boric ha iniziato a sbattere contro il muro dei rapporti di forza reali, della differenza tra stare al governo ed avere il potere (economico, mediatico, militare, etc.), del conflitto con i poteri forti che da sempre gestiscono il Paese come se fosse il loro “fundo”, il loro ranch di campagna.
A settembre 2022 il governo era già in caduta nei sondaggi, e la schiacciante vittoria del No alla proposta di nuova Costituzione della Convenzione costituzionale (con il 61,8% di No, contro il 38,1% del Sì) non ha certo aiutato. Nel tentativo di cambiare rotta, il governo aveva aperto alle forze della ex-Concertaciòn di centro-sinistra che entra nel gabinetto.
Nel marzo 2023, poco prima di un altro rimpasto di governo, il governo Boric subì un duro colpo: la Camera dei deputati aveva bocciato la madre di tutte le riforme, quella fiscale, che avrebbe dovuto portare risorse fresche per realizzare una diversa politica pubblica. Con quella bocciatura, svanirono le speranze del governo di apportare cambiamenti profondi con le risorse necessarie.
Tuttavia, nonostante l’assenza di una propria maggioranza parlamentare, il governo è riuscito a far passare alcune leggi importanti, come le 40 ore lavorative, l’aumento del salario minimo, la riforma delle pensioni da fame. Ma, allo stesso tempo, la lista di sconfitte e soprattutto di errori commessi in questi 4 anni occuperebbe diverse pagine. Di fatto, le richieste sociali e politiche della “rivolta sociale” del 2019 sono ancora senza risposta.
Anche se, come sempre, sono diversi i fattori che hanno contribuito al risultato, non c’è dubbio che quelle sconfitte ed i molteplici errori hanno aperto la strada all’ascesa della destra più reazionaria di José Antonio Kast, che alla sua terza avventura presidenziale è riuscito a vincere.
Il tallone d’Achille della comunicazione
Tra le note dolenti, ancora una volta c’è la comunicazione. I mezzi di comunicazione nati e sopravvissuti nella battaglia alla dittatura, con il ritorno alla democrazia paradossalmente sono stati costretti a chiudere, uno dopo l’altro. Anche nei governi del centrosinistra ha dominato il noto adagio liberista “la migliore politica di comunicazione è che non ci sia”. In tutti questi anni, poco o nulla è stato fatto per rafforzare la comunicazione pubblica (non di governo) o i media comunitari. Al contrario. Oggi, la concentrazione mediatica (veri e propri latifondi della disinformazione di massa), insieme all’uso aggressivo delle “reti sociali” e del “Big Data” hanno contribuito enormemente alla vittoria di Kast. Mentre le destre hanno imparato da tempo il valore gramsciano della “battaglia culturale”, viceversa le sinistre brancolano nel buio dell’approssimazione di fronte all’avanzata dell’egemonia culturale reazionaria. Ma oltre al piagnisteo, in questi 35 anni poco si è fatto per riempire un vuoto storico.
Il difficile compito di governare
Al di là del trionfalismo di queste ore, quello di Kast non sarà un cammino in discesa. Il primo problema è quello della formazione del governo e la scelta delle forze che ne faranno parte. Kast parla di un “governo di emergenza” che si insedierà l’11 marzo 2026. Ma il Partito Repubblicano non ha esperienza di governo, né gli alleati alla sua destra, i nazional-libertari di Kaiser. Gli unici settori con esperienza sono quelli della destra tradizionale di Chile Vamos (UDI, RN) e i fuoriusciti a destra della Democrazia Cristiana, che da tempo hanno dato vita ad altre organizzazioni alleate a Chile Vamos. Il governo Kast ha bisogno di tutti i voti possibili in parlamento ed è probabile che, oltre a qualche “tecnocrate”, queste forze occuperanno diversi ministeri. Per il momento, rimane l’incognita del Partito Nazional Libertario di Kaiser, che potrebbe rimanere fuori dalla coalizione per avere le mani libere e condizionare il governo dall’esterno, visto che ha bisogno dei suoi voti in parlamento.
Un parlamento senza maggioranza
Il secondo problema è che, durante il suo mandato alla Moneda, Kast dovrà affrontare un Parlamento senza avere la maggioranza, con una sostanziale parità al Senato e con due deputati in meno per avere la maggioranza alla Camera (76 su 155). Uno scenario che ha dovuto affrontare il governo Boric, in buona compagnia di quelli della Colombia, del Brasile, dell’Honduras e dell’Uruguay. Di certo, non mancherà qualche trasformista che passi dall’altra parte, e Kast ha già iniziato la “campagna acquisti”. Ma, per il momento, a parte la legislazione ordinaria, non sembra facile che raggiunga i 4/7 dei voti necessari per cambiare la Costituzione di Pinochet, ancora in vigore, modificata parzialmente dai governi successivi di centro-sinistra della Concertaciòn.
Il programma del governo Kast
Dal prossimo 11 marzo 2026, il Cile cambia totalmente registro. Per quanto riguarda l’economia, l’agenda neo-liberista delle destre al governo promette politiche di “austerità e aggiustamento strutturale”, le stesse che in questi decenni hanno approfondito le diseguaglianze sociali e peggiorato le condizioni di vita di milioni di persone nel mondo intero. In campagna elettorale, Kast ha parlato di un aggiustamento fiscale di 6 miliardi di dollari nei primi 18 mesi del suo mandato, senza mai dare dettagli su cosa taglierà. Nel mirino ci saranno drastici tagli alla spesa sociale ed un approfondimento del modello economico dei Chicago Boys installato “a sangre y fuego” durante la dittatura di Pinochet. Un modello le cui radici sono rimaste sostanzialmente intatte nella lunga e inconclusa transizione cilena. Dalla fine della dittatura, anche se è migliorata la redistribuzione, l’enorme concentrazione della ricchezza in poche mani è rimasta invariata. E non sono cambiati di molto i rapporti di forza imposti dal governo civile-militare nato dal golpe del 1973, rafforzati dalle successive coalizioni di governo, sia di centro-sinistra, che di centro-destra.
Sul versante sociale, è scontato l’attacco ai diritti dei lavoratori (con un’ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro e dei contratti), ai diritti ottenuti dalle donne (a partire dalla limitata legislazione sull’aborto per tre cause), il tentativo di espulsione dei circa 300.000 migranti “irregolari” (molti dei quali venezuelani) ed un atteggiamento di chiusura verso la comunità LGTB.
Sul piano internazionale, il governo cileno approfondirà il rapporto subordinato con Washington (mai messo in discussione) nel quadro della nuova “dottrina della sicurezza nazionale” di Trump. Oltre a frammentare ulteriormente l’unità continentale, Kast dovrà mettere un freno ai rapporti con la Cina, da tempo primo partner commerciale del Cile e con il quale è stato firmato un trattato di libero commercio nel novembre 2005.
A parte l’allineamento con gli Stati Uniti, Kast è un fedele alleato di Israele. In passato, ha presieduto il gruppo parlamentare di amicizia Cile-Israele e si è speso a difesa delle forze di occupazione, anche durante l’ultimo genocidio in Palestina. Nonostante ciò, una parte importante (e ricca) della più grande comunità palestinese fuori dal modo arabo (circa 500.000 persone) ha votato per il candidato pinochetista.
In conclusione
Il fantasma di Pinochet sta per entrare dalla porta principale del palazzo presidenziale de La Moneda, questa volta in carne ed ossa e doppio petto azzurro. Lungi dal chiudere la lunga transizione cilena in senso democratico, con questo voto si è chiuso da destra il ciclo politico post-dittatura. Riemergono i vecchi fantasmi. Il Cile non è l’unico Paese a dover affrontare questo cambio di fase, che somiglia molto all’Argentina, ma non solo. La sfida per le forze progressiste e le sinistre cilene è enorme. Il vento di destra si è trasformato in una tempesta che riconfigura i tasselli del mosaico del potere mondiale.
Non basta l’unità di un fronte anti-fascista, fortemente indebolito dal voto e dalle compatibilità del sistema e del modello. Ci sarebbe bisogno di una vera e propria rifondazione di pensiero e azione delle sinistre politiche e dei movimenti, che ridefinisca un “progetto Paese” dove le grandi maggioranze si possano riconoscere.
Ci sarebbe bisogno di una capacità di comunicazione e di una diversa narrativa, con al centro una proposta concreta di lotta e di futuro governo. Una proposta che sappia “innamorare”, coinvolgere e ridare fiato alle indebolite organizzazioni sociali territoriali, alle forze sindacali, al movimento femminista, quello ambientalista, etc.
Non da ultimo, sarebbe auspicabile una rinnovata attenzione al resto del continente e un’articolazione internazionale (anche come governi “progressisti”) che è clamorosamente mancata negli ultimi anni.
Una sconfitta di questa portata richiede una profonda riflessione autocritica. Di fronte alla crescente aggressività e all’offensiva imperialista della Casabianca, l’ossessiva moderazione di alcuni governi “progressisti” della regione non fa altro che aiutare la riproposizione di un ciclo reazionario e neo-fascista a lungo termine. Il “progressismo” light finora è stato convinto di poter avanzare immettendosi nell’ “autostrada del centro”, quasi fosse una sorta di “categoria dell’anima”. Peccato che, in America Latina come in Europa, l’idea di governare in maniera più efficiente l’esistente e di far funzionare il modello, ha prodotto i risultati che sono alla vista.
Ci sarà tempo per un’analisi più approfondita. Oggi il fascismo festeggia nelle strade e nelle piazze del Cile.
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[i] https://marcoconsolo.altervista.org/cile-le-destre-allarrembaggio/
FONTE: https://marcoconsolo.altervista.org/cile-un-pinochetista-a-la-moneda/













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