Andiamoci piano con “la pace”

“Il fatto che Marwan Barghuthi non sia stato liberato rappresenta un’ombra gigantesca sulle reali intenzioni di Israele di percorrere un percorso realmente virtuoso”

di Pietro Soldini

Il cessate il fuoco a Gaza è una gran bella notizia, soprattutto considerando che le bombe cadono a senso unico sul popolo palestinese, uomini donne e bambini, tutti civili, colpendo ospedali e campi profughi.

La notizia della riapertura del valico di Rafah per la consegna degli aiuti umanitari è altrettanto bella ed è la prova che fino ad oggi gli aiuti erano bloccati e che i canali ufficiali, al contrario di quello che sosteneva la Meloni, non funzionavano. Adesso, oltre agli aiuti, dovranno poter entrare tutte le organizzazioni umanitarie e le agenzie dell’ONU che erano state costrette ad andarsene dai diktat dell’esercito occupante.

Anche la liberazione degli ostaggi è una gran bella notizia, un incubo che finisce per i sopravvissuti e per le loro famiglie: vale per gli ostaggi israeliani, ma vale anche per i prigionieri palestinesi, rinchiusi nelle carceri israeliane, da più o meno tempo, spesso accusati genericamente di terrorismo, senza prove e senza giusto processo. Dovrebbero essere quasi 2.000 quelli che saranno liberati; sono tanti, ma pur sempre una minoranza rispetto ai 10.000 palestinesi imprigionati in Israele.

Fra quelli che rimangono in carcere c’è Marwan Barghuthi, un leader storico del popolo palestinese, il legittimo e naturale successore di Arafat. È in carcere da 23 anni, senza che siano stati provati specifici e soggettivi crimini o atti di terrorismo da lui commessi. È in carcere essendo il leader più popolare e riconosciuto di Al-Fatah, che è stata per lungo tempo la organizzazione paramilitare dell’OLP, che proprio con Barghuthi aveva molto attenuato la scelta della lotta armata. Il fatto che lui non sia stato liberato, così come veniva richiesto non solo da Hamas ma anche dai Paesi Arabi mediatori (Egitto, Turchia, Arabia Saudita e Quatar) – perché ritenuto un indispensabile interlocutore, protagonista di un processo di costruzione di uno Stato palestinese e di un nuovo assetto del Medio Oriente che comprenda il diritto del popolo palestinese – rappresenta un’ombra gigantesca sulle reali intenzioni di Israele di percorrere un virtuoso processo di pace.

È scontato che un accordo di pace lo firmino i belligeranti, coloro che hanno combattuto una guerra; quindi dichiarare, come ha fatto la Meloni, di essere “complice di pace”, è un’ammissione di colpa, essendo pedissequamente dalla parte di Trump e di Netanyahu. È vero che Trump ha esercitato una mediazione per fermare il conflitto, ma è altrettanto vero che Trump è stato anche l’artefice dell’acutizzarsi del conflitto e del rigurgito terroristico di Hamas, avendo propiziato i famigerati “accordi di Abramo” al tempo del suo primo mandato presidenziale, incentrati su interessi macroeconomici con i Paesi del Golfo, che tagliavano fuori totalmente, e definitivamente, il popolo palestinese.

Se l’obiettivo, malcelato, che sottintende al cosiddetto piano di pace, è quello di riesumare, tali e quali, gli accordi di Abramo, abbiamo l’impressione che la pace non ci sarà. In ogni caso, se c’è stato un ruolo dell’Italia in questo Piano di Pace, ci deve essere spiegato, perché non si è visto nessun atto formale e sostanziale.

Altra cosa è invece attribuire un merito al grande movimento di protesta che si è dispiegato nel corso dei mesi, in tutto il mondo, raggiungendo, con la missione politico-diplomatica ed umanitaria, pacifica e non violenta, della Global Sumud Flotilla, il massimo dell’efficacia. Infatti, è risultato molto più chiaro ed esteso lo stato d’isolamento di Israele e, contrariamente alle accuse mosse dalle destre e dalla stessa Israele alla Flotilla (“colpevole” di “aiutare Hamas”), in realtà la sua azione ha indebolito Hamas ed ha dato la sensazione alla popolazione palestinese di ricevere molto di più dalla solidarietà internazionale di quanto potesse offrire la protezione della lotta armata.

Mentre i ragazzi della Flotilla mettevano coraggiosamente a rischio i loro corpi, per far cessare il genocidio, la Meloni li attaccava e li criminalizzava, sostenendo le azioni criminali di Netanyahu ed accusando le proteste delle piazze di seminare odio. Semina odio chi semina morti, non chi alza uno striscione, sia pure sbagliato.

Se si afferma che i massacri compiuti da Israele in Palestina sono “autodifesa”, allora si può dire che Hamas rappresenta la resistenza del popolo palestinese. Sono due affermazioni sbagliate, con la differenza che la prima affermazione è sbandierata ai quattro venti da tutto il sistema mediatico informativo e dalle massime autorità istituzionali, mentre la seconda è relegata in qualche striscione anonimo di giovani palestinesi che assistono al genocidio del loro popolo e potrebbero avere, con qualche giustificazione da comprendere, un’alterazione della rabbia all’interno di manifestazioni oceaniche, che hanno altre parole d’ordine. I responsabili della prima affermazione, che reputiamo molto più grave, pretenderebbero non tanto una presa di distanza, ma una censura ed una repressione forzosa dei responsabili della seconda: e poi vorrebbero addirittura intestarsi il merito di aver favorito il processo di pace. Incredibile.

Ma anche la posizione dei vari commentatori dei risultati elettorali, che hanno disinvoltamente riesumato una frase di Nenni (“piazze piene ed urne vuote”), oltre che fuori luogo, è di una superficialità sconcertante: che rapporto, infatti, ci può essere stato tra quelle piazze e le elezioni regionali? Risulta forse a qualcuno che il movimento che ha riempito quelle piazze si fosse candidato? O che i partiti e gli aspiranti candidati Presidenti avessero convocato ed organizzato quelle piazze? Assolutamente no. Nella migliore delle ipotesi i partiti, ma anche gli stessi sindacati, si erano accodati.

Ma c’è di più. Occorre proprio essere affetti da miopia grave per non vedere la composizione di quelle piazze; che, per la prima volta, molto oltre lo stesso 1968, sono composte da giovani studenti di ogni ordine e grado. E come si fa a non associare questo enorme fenomeno nuovo, al fatto che gran parte di quegli studenti non ha 18 anni, e quindi non vota?

Era stato già così per il movimento ambientalista di Greta Thumberg (‘Fridays for future’), composto da giovanissimi che si battono per la salvezza del pianeta e per la giustizia ambientale.

Se si volesse prendere sul serio il monito di quelle piazze piene e di quelle urne vuote, occorrerebbe con coraggio fare assumere a questi giovani una maggiore responsabilità, consentendo di farli votare a sedici anni per ringiovanire e rinvigorire la nostra democrazia malata.

Infatti, il segnale più preoccupante che arriva da quelle elezioni è che nelle Marche ha votato il 50% dell’elettorato ed in Calabria appena il 43%: se ci fosse stato il quorum del referendum, quelle elezioni sarebbero risultate nulle.

Tornando al cosiddetto “Piano di pace” ed ai suoi punti critici, è difficile riscontrare vero sollievo oltre il ‘cessate il fuoco’, perché nei venti punti dell’accordo non compare alcun accenno alla fine del blocco navale sul mare di Gaza, che è una potente arma d’isolamento e limitazione di libertà per i palestinesi. Perché il ritiro parziale dell’esercito israeliano entro la linea gialla, fa sì che oltre il 50% del territorio della Striscia rimarrà sotto il controllo militare di Israele.

Inoltre, nessun riferimento viene fatto all’attività pregressa, presente e futura di colonizzazione della Cisgiordania, né ai territori occupati dal 1967. Così come ci si impegna genericamente a garantire che i palestinesi presenti e sopravvissuti alla guerra possano restare nel loro Paese, ma senza minimamente accennare alla possibilità che possano rientrare in patria, se non tutti, almeno una parte dei profughi palestinesi che sono sparsi per il mondo.

Infine, c’è il nodo più spinoso che riguarda il governo di questa transizione che potrebbe essere molto lunga, addirittura infinita. Non è accettabile che si possa configurare una sorta di protettorato degli USA, o della Nato, ma neanche del cosiddetto Occidente. Né è accettabile che la forza di pace comprenda paesi che non abbiamo riconosciuto lo Stato di Palestina, riconoscimento che non può che essere una condicio sine qua non per definire il requisito di neutralità.

L’Italia, ad esempio (che non ha riconosciuto lo Stato di Palestina), non dovrebbe essere nel contingente di Peacekeeping. Purtroppo, anche su questo punto del riconoscimento, l’accordo è molto ambiguo, mentre si tratta di un punto dirimente. Occorre riflettere bene sul significato di questo passaggio: non è detto che l’ipotesi di “due Popoli due Stati”, che si sarebbe dovuta realizzare sin dal 1948, sia la soluzione migliore nella prospettiva di pace; magari potrebbe risultare ad un certo punto migliore la soluzione di uno Stato unitario e plurale, democratico e laico dove tutti i cittadini israeliani e palestinesi abbiano gli stessi diritti. Ma è comunque necessario, diciamo pure obbligatorio, passare attraverso il riconoscimento giuridico dello Stato Palestinese, per colmare un’ingiustizia, per correggere un’asimmetria, per dare pari dignità, autorità e sovranità ai due Popoli.

Come si può notare, sono tanti i terreni sui quali la lotta del movimento pacifista e della Global Sumud Flotilla deve continuare a cimentarsi. Si potrebbe immaginare una prossima missione, questa volta di terra, indirizzata a conquistare un tavolo d’interlocuzione con l’ONU. Per sollecitarlo a riprendersi lo spazio che gli compete e stimolarlo ad un’azione forte di ripristino della legalità e del diritto internazionale.

FONTE: https://www.progetto-lavoro.eu/andiamoci-piano-con-la-pace/


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