Sull’articolo del NY Times che riconosce il pieno coinvolgimento americano in Ucraina

STORIA DELL’ABBRACCIO MILITARE TRA USA E KIEV

(RICCARDO ANTONIUCCI su Il Fatto Quotidiano) – Un articolo del NYT fa luce sul pesante coinvolgimento degli Usa nella guerra per procura, che va molto al di là del semplice invio di armi. Il centro decisionale delle operazioni era in Germania, ed erano gli americani a scegliere gli obiettivi, a pianificare le operazioni belliche. Gli americani decidevano, e gli ucraini e russi morivano.

Concludere la guerra in Ucraina per gli Stati Uniti significa molto di più che interrompere gli aiuti militari o siglare un accordo sulle miniere. Il coinvolgimento Usa nella guerra è più profondo dei 66,5 miliardi di armamenti inviati o della condivisione di intelligence: il Pentagono, e la Nato, sono “la spina dorsale delle operazioni militari ucraine”. La constatazione è del New York Times, che in un lungo articolo, basato su un anno di lavoro e 300 interviste, ieri ha ricostruito la storia dei rapporti tra Usa e Kiev dall’invasione russa del 24 febbraio 2022 a oggi. Una relazione che una fonte del quotidiano ha riassunto così: “Fanno parte della catena di morte”.

Gli obiettivi. Usa erano chiari dall’inizio, assicurano le fonti del quotidiano: usare gli ucraini per “infliggere un duro colpo alla Russia”, ma anche condurre un esperimento di warfare, innovando l’approccio “boots on the ground” usato in Iraq e Afghanistan verso un modello di guerra a distanza, o per procura. Il rapporto diventerà col tempo sempre più stretto, ma comincerà a sfaldarsi a metà 2023 per effetto di divergenze strategiche e scontri interni alla leadership ucraina.

“Noi stiamo combattendo i russi, voi no. Perché dovremmo ascoltarvi?”, si racconta disse agli americani il colonnello Oleksandr Syrsky al primo incontro. Ma Washington mise sul piatto munizioni, informazioni sui russi e sistemi anticarro portatili Javelin, poi le batterie d’artiglieria Howitzer. Soprattutto, mise in piedi la task force “Dragon” tra generali Nato e di Kiev: il centro di comando era nella base militare Usa di Wiesbaden, in Germania. Il cuore della partnership era il rapporto tra il generale ucraino Zabrodskyi e quello americano Donahue, leader delle forze speciali americane in Medio oriente (con il supporto dei partner Nato). “Ogni mattina”, racconta il Times, “gli ucraini e gli americani si riunivano per esaminare i sistemi d’arma e le forze russe e determinare i bersagli più redditizi”. La task force indicava dove erano i russi, non come aveva ottenuto l’informazione; per evitare di ammettere un coinvolgimento diretto, invece che di “bersagli” si parlava di “punti di interesse”. Da maggio 2022 si vedono i primi risultati nel Donbass, a Mykolaiv e Zaporizhzhia, poi nella prima controffensiva, mentre ritmo e qualità delle forniture aumenta e si passa dagli Howitzer agli Himars e ai tank. “Siamo diventati una piccola parte del vostro sistema”, dirà Zabrodskyi ai colleghi.

Poi arrivano i primi fallimenti, si allargano le divergenze strategiche tra ucraini e statunitensi e le rivalità interne al governo di Zelensky, culminate con la rimozione del capo delle forze armate Valery Zaluzhny per ragioni politiche. La “killing machine” si inceppa. Gli ucraini soffrono il controllo paternalistico degli americani, gli americani non capiscono perché i loro consigli sono ignorati. Su Kherson, racconta il Times, Zelensky ordina ai suoi generali di dare priorità alla riconquista della città, mentre il piano Usa andava per gradi. Lo stesso succede col disastroso tentativo di tenere Bakhmut. Washington elabora obiettivi misurati e raggiungibili, Kiev cerca “vittorie” simboliche e comincia a nascondere le sue intenzioni agli alleati, man mano che diventa più autonoma nell’uso delle armi. E chiede sempre più supporto.

A metà del 2023 gli Stati Uniti cominciano a preoccuparsi dei rischi di una escalation con la Russia: è storia il lungo dibattito sulla possibilità di colpire obiettivi in territorio russo con missili a lungo raggio occidentali, o intorno ai caccia F-16. L’ultimo “affronto”, l’incursione ucraina nella regione russa del Kursk, nell’agosto 2024: Kiev non ha informato Washington, racconta il Times, pur usando le armi Usa per l’operazione. L’amministrazione Biden ormai agli sgoccioli scelse di non trarre conseguenze. L’irritazione è sedimentata e si è amplificata con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump e con il cambio di rotta strategica rispetto ai rapporti con la Russia e al proseguimento del conflitto. Fino a esplodere nello Studio ovale un mese fa, probabilmente. Ma l’intreccio militare-industriale tra i due Paesi è ancora un nodo da sciogliere per Trump, mentre si scava faticosamente la via di un negoziato di pace.

Il commento allo stesso articolo sul NY Times, di Francesco Dall’Aglio (da FB)

Abbiamo già detto che non si tratta di un articolo sorprendente, perché la sostanza era già nota: almeno a noi che non ci siamo informati sul conflitto da Linkiesta e similari, e non ci siamo bevuti la storiella di Davide contro Golia e dell’underdog che inchioda lo squadrone sullo 0-0 e lo porta ai supplementari. Però ci sono dei dettagli interessanti, oltre che per chi si interessa di minuzie e di cronologie, soprattutto per chi cerca di capire in che modo gli USA (perché il NYT, non ce lo dimentichiamo, è un giornale statunitense) intendono raccontarsi il conflitto e venire a patti con quella che, se non è una sconfitta, non è di certo una vittoria.

La prima considerazione è in realtà una domanda: perché questo articolo viene pubblicato ora? È una domanda alla quale ovviamente non possiamo dare risposta, perché non siamo né l’autore né l’editore. Possiamo al limite proporre delle ipotesi, dalla più innocente (è uscito ora semplicemente perché è pronto ora) alle più maligne (avvelena i pozzi per Trump, sperando di irrigidire la posizione russa; è una “character assassination” di Zelensky, o di Zaluzhny, o di Syrsky, o di tutti e tre; e cose simili), e vediamo se da ulteriori analisi dell’articolo ne usciamo con le idee più chiare.

Prima considerazione: gli USA hanno fatto un lavoro straordinario, o meglio gli USA sono straordinari. La loro intelligence è precisissima, le loro armi micidiali, le loro tattiche perfette. Non hanno sbagliato nulla né nei modi né nei tempi, dosando le escalation e muovendosi sempre sul filo della massima efficacia e del minimo rischio per sé. Chi immaginava magari di leggere un pezzo critico sull’impegno statunitense deve ricredersi immediatamente: non c’è nessuna critica, solo lodi. Gli unici a uscirne non solo puliti, ma decisamente bene, sono gli USA, o meglio i dem, perché alla fine è arrivato Trump a guastare tutto. Oddio, in realtà tutto era già un po’ guastato, a pensarci meglio. Questa necessità di “dosare le escalation”, ad esempio: perché, se tutto era perfetto? Dover mandare sempre più armi, più potenti, di gittata maggiore; dovere autorizzare attacchi anche sul territorio russo, non solo su quello occupato; dovere spostare i “consiglieri militari” (che immagine da Vietnam) da Kiev alla linea del fronte, sempre senza farli combattere per carità: perché, se tutto era perfetto, la vittoria non è arrivata?

Seconda considerazione: se la vittoria non è arrivata non pensiate che sia merito dei russi. In tutto l’articolo non c’è mai l’idea che i russi, ogni tanto, abbiano risolto le cose a loro vantaggio, abbiano avuto magari per caso una buona idea e l’abbiano eseguita. Anche Bahmut, alla fine, è stata una mezza vittoria ucraina, anche Mariupol, così come le ritirate da Cherson e Kharkiv sono presentate come disfatte inimmaginabili e torna persino a far capolino la “battaglia di Kiev”, quella che non si è mai combattuta ma che comunque i russi hanno perso ritirandosi (era il famoso “gesto di buona volontà” quando pareva che si potesse rabberciare un accordo a Istanbul, ma pazienza, passi pure la sconfitta a Kiev).

Anche il fallimento della controffensiva ucraina dell’estate 2023 (su cui torneremo nella terza considerazione, eccome se ci torneremo) non è minimamente dovuto alle abilità difensive russe. Il loro ruolo nel conflitto è quello di andare in giro senza meta e senza saper che fare, facendosi cannoneggiare nel frattempo senza riuscire a opporre resistenza per via dell’altrui superiorità di cui al punto uno. In realtà però una volta il nostro autore si sbilancia: dopo “la ritirata di Kiev” i russi riorientano l’asse dei loro attacchi dal nord al sud e all’est. Secondo gli statunitensi ci avrebbero messo mesi, e invece lo fanno in due settimane e mezzo. Il che, nonostante il tono generale dell’articolo, qualche brividino a chi un minimo ne capisce di cose militari lo fa venire. E infatti agli USA è venuto, visto che hanno deciso in tutta fretta di mandare gli M-777.

Terza considerazione: ma se gli americani sono eccellenti e i russi incapaci, come mai non si è vinto? Molto semplice, è colpa degli ucraini, ed è ovvio che alla fine sarebbe stato così. Il quadro che ne fa Entous è impietoso, quasi peggio di quello che fa dei russi considerando che gli ucraini gli stanno simpatici: perché non è un problema militare, è un problema politico che ha rovinato tutto.

Dopo la luna di miele del 2022 e i grandi successi ottenuti, la leadership ucraina, sia quella militare che quella civile, comincia a diventare presuntuosa, supponente, ingrata (come direbbe Trump), e invece di obbedire senza fiatare alle decisioni statunitensi su quali bersagli colpire, dove e perché, pretende di fare di testa sua.

Si intestardisce a colpire il ponte di Crimea e gli USA alla fine glielo fanno fare, così capiscono che la cosa non è fattibile; si intestardisce a resistere a Bahmut mandandovi le unità migliori quando il piano americano era invece quello di riservarle all’offensiva verso sud, per isolare la Crimea; si intestardisce a sbarcare i marines a Krynky, dove non servono a niente e vengono tutti eliminati; e infine, approfittando dei pochi giorni di vuoto di potere al quartier generale USA dovuti al passaggio di consegne tra vecchio e nuovo comandante, organizza l’invasione dell’oblast’ di Kursk della quale gli americani, manco a dirlo, non sapevano niente e che li amareggia moltissimo, ma evidentemente non al punto da ritirare il sostegno che anzi aumenterà ancora di più, specialmente nelle convulse ultime settimane della presidenza Biden quando saltano tutte le linee rosse e si autorizza la qualunque, tanto ormai è andata.

Strano che gli USA non ne sapessero niente, strano davvero, con tutta la loro prodigiosa intelligence in aria e sul territorio: ma del resto, poverini, non sapevano nemmeno che l’Ucraina aveva i mezzi per colpire la Moskva, loro si erano limitati a segnalarne la posizione, come potevano immaginare? E poi un quadro tremendo delle ripicche e delle gelosie reciproche tra Zelensky, Zaluzhny e Syrsky, del loro tentare di farsi le scarpe a vicenda che ha fatto sì che tutto il meccanismo perfettamente oliato alla fine andasse in malora. Alla fine di tutto l’articolo è questo quello che resta: potevamo vincere, hanno rovinato tutto, Biden ha fatto benissimo, forse la situazione si poteva ancora salvare nonostante gli ucraini ma poi ci si è messo di mezzo Trump e ora è finita veramente. Ma se ci aveste ascoltato, se ci aveste fatto fare…


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Una replica a “Sull’articolo del NY Times che riconosce il pieno coinvolgimento americano in Ucraina”

  1. Avatar gattapazza

    Molto, molto interessante, anche perché i media completamente omologati non fanno passare approfondimenti seri.

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