di Piero Bevilacqua (da volerelaluna, 12-3-2025)
Nel suo appello su Repubblica Michele Serra ci esorta a mobilitarci per l’Europa. Un’Europa, si intuisce, isola di civiltà, contrapposta anche all’America, che d’improvviso cessa di essere il nostro punto di riferimento, la “più antica democrazia dell’Occidente”, e diventa l’impero violento di Donald Trump. Come se Biden, che fino al suo ultimo giorno di presidenza ha inviato tonnellate di bombe a Israele, per sterminare il popolo palestinese, fosse stato il capo di un paese asiatico o africano. Un Continente in purezza, dunque, che Benedetto Croce avrebbe chiamato l’“Europa in idea”, una creazione fantastico-mitologica che astrae dalla storia e dalla realtà.
Di quale Europa parliamo? Quella che hanno in mente intellettuali da amaca, come Serra, è in realtà il distillato ideologico di un procedimento mentale ingenuo e mistificatorio. Allude all’Europa che sarebbe incarnata dalla nostra tradizione letteraria, dai monumenti poetici di Dante, Shakespeare, Goethe, Cervantes, o dalla bellezza elaborata per secoli da generazioni di pittori, da Giotto a Rembrandt a Picasso, dalle conquiste del pensiero filosofico, da Bruno a Cartesio, da Spinoza a Hegel.
Si dimentica in questo caso che queste supreme espressioni dello spirito umano, che hanno riscattato in effetti la nativa ferocia dell’homo sapiens, non solo sono frutto di una divisione sociale del lavoro fondata sull’oppressione di masse sterminate di lavoratori, come ben vide Walter Benjamin, ma hanno sempre coesistito con le strutture coloniali del potere europeo.
In verità se pretendiamo di esaltare il suo patrimonio storico, dovremmo ricordarci che il nostro Continente ha, per oltre quattro secoli, saccheggiato col proprio dominio coloniale i paesi di gran parte del globo. L’evento col quale facciamo iniziare, nel nostro spicchio di mondo, l’età moderna, la “scoperta dell’America”, è stata in realtà, come l’ha definita Tzvetan Todorov «il più grande genocidio dell’umanità».
Pochi europei colti sanno che le guerre, i saccheggi, le malattie importate dagli Spagnoli in America Latina, hanno sconvolto le demografie di interi paesi, dal Perù al Messico, i quali hanno impiegato secoli per recuperare i livelli di popolazione precolombiani. Nei secoli che son seguiti i maggiori Paesi d’Europa, l’Europa cristiana, quella che si vuole a fondamento dell’Unione, hanno messo in atto una delle più edificanti pratiche del processo di civilizzazione: la tratta degli schiavi.
Milioni di esseri umani strappati dai villaggi africani e venduti nelle varie colonie dei civilizzatori. Questo accadeva mentre Daniel Defoe scriveva il suo Robinson Crusoe, Baudelaire i Fiori del male, Van Gogh dipingeva le sue tele abbaglianti di colori impazziti, Pasteur scopriva i batteri nei cibi, avanzava insomma la nostra “supremazia” intellettuale e morale.
E le cose non vanno meglio se avviciniamo lo sguardo all’età contemporanea: nel ‘900 è l’Europa che scatena due guerre mondiali, quale continuazione delle antiche guerre di successione dinastica e di quelle sanguinosissime di religione, combattute sul suo suolo nei secoli precedenti. Il pensiero liberale e democratico e poi socialista – nostra indubbia gloria – si è dovuto far strada tra i massacri e a opera di minoranze. Se guardiamo a questo passato c’è da aver paura dell’avvenire.
Ma è evidente che Serra, come tanto giornalismo democratico mainstream (non necessariamente guerrafondaio), distilla il suo idealtipo dall’esperienza europea dei decenni che sono seguiti alla seconda guerra mondiale. È la democrazia come mito. Si tratta in realtà delle democrazie costituzionali, nate, come nel caso italiano, dalla lotta antifascista e dalla Resistenza, e affermatesi grazie alle conquiste sociali e nel campo dei diritti strappate negli anni ’60 delle masse lavoratrici.
È stata l’instaurazione materiale del welfare teorizzato nel New Deal di Roosevelt e da William Beveridge nel Regno Unito, che ha permesso di sperimentare a milioni di europei la democrazia. Ma si tratta di una esperienza storica di breve durata, perché le società precedenti (a parte le parentesi fasciste e naziste) erano di fatto colonial-liberali.
Mentre oggi, com’è noto, molti presidi di democrazia vengono svuotati un passo dopo l’altro. È anche evidente che l’Europa di Serra e simili si identifica con l’Unione Europea sognata. Ma anche in questo caso l’edificio immaginario è senza fondamenti. Ricordo che il primo progetto dell’Unione Europea, quello elaborato dalla Commissione presieduta dal socialista Delors, nel 1989, si basava su alcuni principi fondativi che saranno confermati dal Trattato di Maastricht nel 1992.
Dovendo mettere insieme politiche economiche comuni di Paesi con economie diverse e adottare una moneta unica, il piano prevedeva la flessibilità salariale e la mobilità del lavoro, per eliminare le differenze di competitività tra le diverse regioni e Paesi della Comunità. E inoltre, quale altro pilastro fondativo, si prevedeva la piena liberalizzazione dei capitali e dei mercati finanziari secondo l’ondata di deregolamentazione che veniva dagli Stati Uniti e dal Regno Unito.
Come hanno ricordato Giulio Marcon e Mario Pianta, ricordando anche il ruolo del nostro Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia, poi presidente del Consiglio, poi Capo dello Stato e di Tommaso Padoa Schioppa: «Furono i banchieri a disegnare quell’integrazione europea e a portarvi la loro visione del mondo: il primato della finanza e della moneta, il monetarismo appena affermatosi in USA e Gran Bretagna, l’indipendenza delle banche centrali dalla politica, l’irrilevanza dell’economia reale e dell’occupazione, la necessità di subordinare il lavoro al capitale, l’indifferenza per la democrazia» (G. Marcon e M. Pianta, Sbilanciamo l’economia. Una via d’uscita dalla crisi, Laterza, 2013).
Dunque, fin da subito la precarietà del lavoro, che doveva colpire un trentennio di potere sindacale, era un progetto strategico dell’Unione, insieme alla libertà globale dei capitali. Il dilagare delle disuguaglianze, oggi precipitate a standard medievali, e la progressiva riduzione dello stato sociale, erano nel conto e sono state sistematicamente perseguite. Ma in questo processo di idealizzazione dell’esperienza storica reale e delle intenzionalità strategiche che l’hanno ispirata, si dimentica un fatto capitale: questa Europa politica è stata realizzata dalle forze della sinistra continentale.
Sono stati in molti a rammentarlo, oltre a Marcon e Pianta. Ricordava Serge Halimi, nella più documentata storia della disfatta delle forze popolari negli ultimi 30 anni: «Nel 1999, tredici governi di centrosinistra su quindici, socialdemocratici o socialisti, non sono riusciti – e non hanno neppure provato – a modificare di una sola virgola la linea neoliberista della costruzione comune con base a Bruxelles» (Il grande balzo all’indietro. Come si è imposto al mondo l’ordine neoliberale, Fazi, 2006).
Negli anni della fondazione dell’agenda neoliberista sono stati in grandissima parte governi di centrosinistra a governare l’Europa. Ai primi del Duemila l’ex dissidente russo Aleksandr Zinov’ev denunciava: «Oggi i socialisti al potere nella maggior parte dei paesi europei portano avanti una politica di smantellamento sociale che distrugge tutto ciò che di socialista c’era, appunto, nei paesi capitalisti».
È da questo dato che occorre partire se si vuole comprendere il corso storico attuale e scorgere l’Europa reale fuori dalle fumisterie ideologiche. Come hanno più volte indicato gli osservatori onesti, è stata questa politica a demolire progressivamente i pilastri della democrazia costituzionale postbellica, la sola breve stagione reale di democrazia in Europa. E poiché a condurla sono stati in prima fila le forze di sinistra (moderata), il carburante per la crescita delle formazioni di destra e neofasciste è stato particolarmente potente.
Oggi i partiti di destra sono protagonisti in Europa, come alla vigilia della seconda guerra mondiale, e in Italia governano. È perciò solo dentro l’orizzonte strategico dell’Unione che si comprende il declino italiano, il suo immiserimento sociale, l’autoritarismo crescente, l’andata al governo della Repubblica, dopo meno di 80 anni dalla Liberazione, dei nipotini del Duce: oltraggio storico alla Resistenza, ai nostri morti, alla Costituzione italiana. Oggi questa Europa, che ha lasciato esplodere una guerra in casa propria, concorrendo per tre anni a renderla più sanguinosa, ha lasciato che si consumasse un genocidio nel cuore del Mediterraneo, lo sterminio della popolazione di Gaza, ci offre la luminosa prospettiva di un riarmo generalizzato: perché le prossime generazioni tornino a scavare trincee nel suolo del nostro radioso Continente. E allora: è per l’Europa che dobbiamo mobilitarci o per la pace?














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