Dove nasce la crisi di Stellantis

Non è colpa dell’elettrico. Il colosso ha ridotto gli investimenti e i modelli per tutelare i profitti.

Francesco Zirpoli* (da Il Fatto Quotidiano, 9 Dic 2024)

*Dirige il Centre for Automotive and Mobility Innovation della Cà Foscari di Venezia e l’osservatorio sull’Automotive italiano.

Le dimissioni anticipate di Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, hanno fatto scalpore soprattutto perché la sua buonuscita milionaria toglie ogni dubbio sul fatto che della crisi dell’auto ne stanno facendo le spese i lavoratori, che perdono il lavoro o vanno in cassa integrazione, e i cittadini, per i quali le auto sono ormai oggetti fuori portata economica e costretti a respirare aria mefitica, ma non le finanze dei manager dell’industria e i loro azionisti. Indigna, in particolare, che a fronte di un utile di 18,6 miliardi di euro di Stellantis nel 2023 e la conseguente impennata delle sue azioni e bonus milionari, solo un anno dopo si annunci una grave crisi e si batta cassa verso le finanze pubbliche per evitare altri sacrifici per i lavoratori e la filiera. Nel 2023, anno degli utili record, Stellantis invitava (licenziava?) i suoi lavoratori ad uscire dall’azienda: solo in Italia, dalla fondazione di Stellantis, ne sono usciti oltre 12.000. Le scelte di Stellantis hanno penalizzato in primis l’Italia,

nonostante l’enorme quantità di aiuti pubblici ricevuti dal nostro Paese. Il calo della produzione e il trasferimento all’estero dei centri decisionali, iniziata con l’acquisizione di Chrysler da parte di FIAT, ha subito una accelerazione con Stellantis: Torino perde i centri decisionali e di innovazione (a favore di Parigi) e l’Italia tocca il fondo in termini di volumi di produzione, pari a meno della metà rispetto agli inizi del secolo, ad un terzo della Spagna, e a meno di un sesto della Germania.

A farne le spese sono stati soprattutto i fornitori della filiera italiana esposti verso Stellantis, ma anche quella parte della filiera che nel tempo ha gradualmente diversificato prodotti e mercati rispetto al dominio Stellantis è ora in parte condizionata dalla contrazione degli ordini che provengono dall’area tedesca, anch’essa in crisi.

Da cosa dipendono i cali di produzione e vendite in Europa? Senz’altro da un’impennata dei listini (fenomeno che è cresciuto esponenzialmente dopo il Covid) e da un cambiamento spinto dai nuovi stili di vita e di consumo che, in Europa, stanno portando alla stagnazione della domanda.

Qual è il ruolo in questo quadro del passaggio all’elettrico? Se è indubbio che l’auto elettrica stia modificando il modo di progettare, produrre e sviluppare auto e, quindi, la competizione nell’industria del futuro, è altrettanto evidente che oggi a contrarsi sono le vendite delle auto endotermiche.

Altrettanto chiaro è il fatto che l’elettrico è l’unica tecnologia ad oggi efficace per rispondere alle esigenze improcrastinabili di riduzione delle emissioni nocive all’ambiente e alla salute. Lo scontro sull’elettrico è la conseguenza della resistenza da parte di alcuni produttori europei a investire per ridurre l’impatto ambientale e migliorare la salute dei cittadini, cui si associa la tendenza a investire sui segmenti di alta gamma e sulle motorizzazioni endotermiche, che garantiscono margini di profitto più alti.

Piuttosto che investire in tecnologia i costruttori europei hanno sistematicamente destinato notevoli risorse per condizionare le politiche di regolamentazione, forti anche dell’immenso peso socioeconomico e occupazionale che l’industria ha in Europa. L’attuale contingenza non fa eccezione.

L’arma retorica di indubbio successo di chi ha molto da perdere è quella di mettere in contrapposizione ambiente, salute e lavoro. Identificare il Green Deal europeo come la causa del declino conviene ai governi populisti e antieuropeisti e conviene anche ai petrolieri e ai produttori dell’industria più arretrati, che mal sopportano le restrizioni alle emissioni per gli investimenti che comportano.

Poco conta che studi indipendenti prodotti da università pubbliche come l’università Ca Foscari di Venezia con il Center for Automotive and Mobility Innovation e l’osservatorio TEA dimostrino come l’impatto dell’elettrificazione sul tessuto produttivo italiano non sarà particolarmente significativo e che esistono margini di crescita della componentistica legata al drivetrain elettrico.

Fa comodo convincere lavoratori e cittadini che i “responsabili” del declino sono i tecnocrati europei e le loro regole, perché depotenzia la rabbia verso i governi nazionali, incapaci di politiche di sviluppo industriale, e le imprese, ree di non aver fatto gli investimenti necessari.

Le evidenze empiriche di chi studia il settore mostrano, invece, che i paesi europei, storicamente all’avanguardia dell’innovazione in un settore strategico come l’auto nonostante la dipendenza dalle materie prime, per la prima volta dal secondo dopoguerra hanno perso la leadership tecnologica, soprattutto verso i paesi asiatici.

Che l’Europa sia un ambiente economico iper-regolato è, inoltre, una caratteristica con cui i produttori europei hanno sempre fatto i conti, a volte avvantaggiandosi verso la concorrenza. La novità è che i player europei hanno investito in innovazione di prodotto e di processo meno e peggio di quelli asiatici. Il programma di riforme del “Fit for 55”, con lo stop ai motori endotermici nel 2035, ha svolto il ruolo di “sveglia” in Europa ed è forse, oltre che un piano necessario per la salute e l’ambiente, l’ultima chance per invertire la rotta e limitare il ritardo industriale accumulato.

La parabola di Stellantis, tutto sommato, dimostra proprio questo. Stellantis non è un’azienda decotta oggi, così come non era un campione di redditività con un futuro radioso nel 2023. I risultati negativi del 2024 originano nell’aver dilapidato il patrimonio di competenze, di prodotti di successo, di fiducia con i concessionari e con i lavoratori fieri di essere parte del World Class Manufacturing che la FIAT Chrysler di Marchionne aveva costruito negli Stati Uniti.

Un mercato che è storicamente servito a FCA come antidoto alla complessità della gestione in Europa e alla scarsa marginalità nel vecchio continente. La Stellantis di Tavares paga un orientamento al risultato di breve periodo, una panacea per gli azionisti, e l’assenza di investimenti in innovazione di prodotto e di processo che ha lasciato i lavoratori in cassa integrazione e il mercato orfano di prodotti di successo nei segmenti A e B, in cui Stellantis con il marchio FIAT era leader indiscussa. Un processo di discesa agli inferi che può essere invertito. È, tuttavia, indispensabile un rapido cambio di prospettiva.

La sostituzione di auto endotermiche con auto elettriche dovrebbe essere un punto acquisito, non il fine della trasformazione. La sostenibilità nella mobilità privata passa, infatti, per una riduzione significativa del parco circolante, del consumo di suolo ad esso collegato e per lo sviluppo di modalità di spostamento meno impattanti sull’ambiente. L’Italia e l’Europa potranno riguadagnare il ruolo di leadership mondiale se sapranno farsi portatrici di una nuova idea di mobilità.

Le risorse andranno orientate alla riconversione dell’industria nella direzione dello sviluppo della tecnologia software, delle telecomunicazioni e relative infrastrutture, della chimica per le batterie del futuro, dell’automazione e ottimizzazione dei processi di produzione, riciclo e riuso dei veicoli, ma anche sul piano dell’organizzazione dell’industria, dalla standardizzazione dei protocolli (anche per le infrastrutture di comunicazione e di ricarica), dello sviluppo di soluzioni innovative e piattaforme per il trasporto condiviso, privato e pubblico.

Queste sfide richiedono un nuovo patto tra tutti gli stakeholder europei. Ne saranno capaci? Il vero rischio per l’Europa è che nazionalismi e frammentazione nella rappresentazione degli interessi rallentino la costruzione di un nuovo consenso politico per rendere la visione europea sulla transizione verde un volano di sviluppo ambientale, industriale e sociale e uno strumento per fronteggiare la competizione internazionale.


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