Nel complicato tentativo di districarci o cercare di comprendere gli eventi che si succedono sempre più rapidi a livello mondiale e nell’epicentro imperiale americano, proponiamo i due articoli di Salvatore Cannavò sul Fatto Quotidiano del 20/11/24. Il primo ripercorre il perimetro del partito della guerra, con i suoi noti esponenti neocon che hanno definito, secondo Jeffrey Sachs (i cui interventi abbiamo più volte ospitato su questo blog), gli ultimi 30 anni di imprese militari americane, tragiche quanto fallimentari sotto il profilo dei risultati, ma ottime dal punto di vista del caos in cui è stato portato l’ordine internazionale; il secondo tenta di illustrare la figura di Tulsi Gabbard, giovane 43 enne, chiamata da Trump a dirigere l’apparato dell’Intelligence americana, che si presenta come pacifista e ipercritica della stagione aggressiva iniziata con Bush e proseguita senza alcun problema dai successivi leader democratici (Clinton, Obama, Biden).
Da Biden una mossa sconsiderata voluta dal partito della guerra

Jeffrey Sachs, direttore del Centro per lo Sviluppo sostenibile della Columbia University, analizza il partito della guerra statunitense da decenni. Nei suoi scritti ha messo in risalto come, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, nel dicembre 1991, si affermi negli USA una volontà di potenza a cui dà voce soprattutto la corrente neocon, dei neoconservatori, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto governare il mondo come unica superpotenza incontrastata.
Una figura di primo piano di questa corrente è stata Dick Cheney, il vicepresidente (di fatto la testa operativa) dell’amministrazione Bush jr. dal 2001 in poi. Cheney è l’uomo di maggior potere di una corrente che formalmente prende le mosse nel 1997 quando Robert Kagan e William Kristol fondarono il PNAC (Project for a New American Century), classico think tank per un progetto imperiale americano, tra i cui membri troviamo pezzi pregiati delle amministrazioni Bush come Paul Wolfowitz, ex vicesegretario alla Difesa, James Woolsey e Donald Rumsfeld.
La moglie di Robert Kagan è Victoria Nuland, che avrà un ruolo epico durante i fatti ucraini del 2014 (famosa la sua affermazione “Fuck Europe”) e che fino all’anno scorso ha servito nell’Amministrazione Biden come Sottosegretario di Stato per gli Affari Politici. E Dick Cheney, con la figlia Liz, sono stati i pilastri della campagna presidenziale di Kamala Harris. “L’idea centraledei neocon è che gli USA debbano avere il dominio militare, finanziario, economico e politico su ogni potenziale rivale di ogni parte del mondo”, scriveva poche settimane fa Jeffrey Sachs.
Lo abbiamo sentito di nuovo ieri, dopo la decisione di Biden di autorizzarele operazioni missilistiche contro Mosca, dando così vita a una nuova fase della guerra. Quando gli ricordiamo che il “partito della guerra” è all’opera dai primi anni 90, domandando quali siano stati i passaggi cruciali, snocciola gli eventi e le date delle tante guerre che oggi appaiono dimenticate, ma hanno segnato il volto del mondo: “Il partito della guerra – spiega Sachs – si è impegnato in conflitti senza sosta. La lista è incredibile: Serbia, Afghanistan, Siria, Libia, Yemen, Sudan, Ucraina, Palestina. Ma si è anche impegnato in operazioni segrete di regime change come quelle avvenute in Siria (Sachs non crede molto alla realtà dell’opposizione anti-Assad, ndr ) e in Ucraina (riferendosi ai moti di piazza Maidan del 2014) e poi ancora in sanzioni economiche unilaterali e quindi illegali a livello internazionale, nell’espansione della NATO, in attacchi terroristici (Nord Stream), nella complicità in genocidi (Gaza). È una triste storia di una struttura segreta ubriaca di potere, ma che porta a un fallimento dopo l’altro”.
E allora gli domandiamose questo “partito della guerra” di Washington sia al lavoro per sostenere la decisione presa da Biden e in che modo si muoverà non appena Trump si insedierà alla Casa Bianca. Sulla presidenza Trump, in politica estera, l’economista della Columbia offre un giudizio aperto, perlomeno riguardo all’Ucraina: “Credo che Trump cambierà direzione sull’Ucraina e sarà in grado di farlo. Avrà l’opinione pubblica dalla sua parte”.
Mentre sulla decisione di Biden di autorizzare gli attacchi missilistici a Kiev, la risposta non ha alcuna esitazione: “La decisione costituisce uno choc sconsiderato da parte di un uomo anziano che presto lascerà l’incarico. Probabilmente è stata presa dai suoi consiglieri falchi”. E quindi si torna al mondo neocon di cui Biden si è circondato a cominciare dal Segretario di Stato Antony Blinken. Anche Sachs pensa che la decisione di Biden sia un modo per “creare difficoltà alla nuova presidenza Trump”. E quando gli chiediamo cosa pensa delle nomine di quest’ultimo, risponde secco che “la più importante è quella di Tulsi Gabbard. Se questa reggesse, sarebbe di enorme importanza. Il Deep State sta combattendo duramente contro di lei”.
(Salvatore Cannavò, Fatto Quotidiano 20 Nov 2024)
La pacifista Tulsi Gabbard

Tulsi Gabbard potrebbe essere la nomina più problematica di Donald Trump. La 43enne di origine samoana, di religione induista, maggiore dell’esercito, veterana dell’Iraq, già deputata al Congresso per le Hawaii, è infatti quella maggiormente odiata dall’establishment votato alla guerra globale permanente.
La sua nomina a capo di tutta l’intelligence ha inquietato un mondo che ha subito preso a catalogarla come una “risorsa russa”, epiteto che le affibbiò Hillary Clinton. Proprio ieri il New York Times ha pubblicato una inchiesta dal titolo “Come Tulsi Gabbard è diventata una delle preferite dei media di Stato russi” dovendo però specificare che “non è emersa alcuna prova che abbia mai collaborato (Gabbard, ndr) in alcun modo con le agenzie di intelligence russe”.
A Gabbard, in realtà si rimproverano dichiarazioni: quella del febbraio 2022: “Questa guerra e questa sofferenza avrebbero potuto essere facilmente evitate se l’amministrazione Biden e la NATO avessero semplicemente riconosciuto le legittime preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza”. Quelle in Siria, contro l’ipotesi di bombe su Damasco e sul regime di Bashar al-Assad, quelle contro il regime change in Libia o Venezuela.
Ma la sua storia è più sorprendente. Nel 2012 fu eletta deputata del Partito Democratico e, come scriveva Gleen Greenwald, da allora “è stata assertivamente indipendente, eterodossa, imprevedibile e polarizzante”. Gabbard era una democratica radicale con rigide posizioni antiguerra che la rendono anomala tra i dem. E infatti nel 2016, dopo essere stata proiettata alla carica di vicepresidente del Comitato Nazionale Democratico, decide di sostenere Bernie Sanders contro la regina dell’ establishment, Hillary Clinton.
Le sue successive dimissioni furono condite dalla polemica contro i “brogli” della presidente del CND, Debbie Wasserman Schultz, amica di Clinton, brogli rivelati poi dalla fuga di mail su Wikileaks. L’appoggio a Bernie Sanders era sbandierato con la “ferma convinzione che dobbiamo porre fine alle politiche interventiste e di regime change che ci sono costate così tanto”. Dopo la sconfitta di Sanders votò comunque per Clinton contro Trump.
Nel 2019 Sanders ricambiò il sostegno difendendo Gabbard dall’accusa, mossa dalla stessa Clinton, di essere una candidata fantoccio della Russia: “Tulsi Gabbard ha messo a rischio la sua vita per difendere questo paese” scrisse Sanders, “le persone possono non essere d’accordo su delle questioni, ma è scandaloso che si possa suggerire che Tulsi sia una risorsa straniera”.
Nel 2020, Gabbard si presenta alle primarie Dem ed è lei che nel dibattito del luglio 2019 mette in difficoltà Kamala Harris sulle iniziative giustizialiste prese quando era Procuratrice in California. Nel 2022 però abbandona i Dem: “Non posso più rimanere nell’attuale Partito Democratico che è ora sotto il completo controllo di una cricca elitaria di guerrafondai”.
Si sposta, con una buona disinvoltura, su Trump fino a essere tra le oratrici del comizio al Madison Square Garden. La nomina a capo dell’intelligence è quindi uno choc. Secondo fonti del New York Times è una “strada che porta a Putin” e che mette a rischio le stesse fonti dell’intelligence USA nel mondo. Lei continua a dirsi fortemente anti-guerra: accusò anche l’omicidio dell’iraniano Qasem Soleimani ordinato da Trump come “atto di guerra illegale e incostituzionale”. La situazione si annuncia movimentata.
(Salvatore Cannavò, Fatto Quotidiano 20 Nov 2024)














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