CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA
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Comunicato stampa
Ufficioso
n. 2024/57
Luglio 19, 2024
Conseguenze legali delle politiche e delle pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est
La Corte esprime il suo parere consultivo e risponde alle domande poste dall’Assemblea generale
L’Aia, 19 luglio 2024. La Corte Internazionale di Giustizia ha espresso oggi il suo parere consultivo sulle conseguenze giuridiche delle politiche e delle pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est.
Si ricorda che, il 30 dicembre 2022, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione A/RES/77/247, con la quale ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia di emettere un parere consultivo ai sensi dell’articolo 65 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia sulle seguenti questioni:
( a) Quali sono le conseguenze giuridiche della continua violazione da parte di Israele del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, della sua prolungata occupazione, colonizzazione e annessione del territorio palestinese occupato dal 1967, comprese le misure volte a modificare la composizione demografica, il carattere e lo status della Città Santa di Gerusalemme, e l’adozione da parte di Israele di leggi e misure discriminatorie correlate?
(b) Quale impatto saranno influenzate dalle politiche e dalle pratiche di Israele … hanno influenzato lo status giuridico dell’occupazione e quali sono le conseguenze legali per tutti gli Stati e le Nazioni Unite?”
Nel suo parere consultivo, la Corte risponde alle questioni poste dall’Assemblea generale concludendo come segue:
- la presenza continua dello Stato di Israele nei Territori Palestinesi Occupati è illegale;
- lo Stato di Israele ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza illecita nei Territori Palestinesi Occupati il più presto possibile;
- lo Stato di Israele ha l’obbligo di cessare immediatamente ogni ulteriore attività di insediamento e di evacuare tutti i coloni dai Territori Palestinesi Occupati;
- lo Stato di Israele ha l’obbligo di risarcire i danni causati a tutte le persone fisiche o giuridiche interessate nei Territori Palestinesi Occupati;
- tutti gli Stati hanno l’obbligo di non riconoscere come legittima la situazione derivante dalla presenza illegale dello Stato di Israele nei Territori Palestinesi Occupati e di non prestare aiuto o assistenza per mantenere la situazione creata dalla continua presenza dello Stato di Israele nei Territori Palestinesi Occupati;
- le organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite, hanno l’obbligo di non riconoscere come legittima la situazione derivante dalla presenza illegale dello Stato di Israele nei Territori Palestinesi Occupati; e
- le Nazioni Unite, e in particolare l’Assemblea Generale, che ha richiesto il parere, e il Consiglio di Sicurezza, devono considerare quali modalità precise e misure aggiuntive sono necessarie per porre fine alla presenza illegale dello Stato di Israele nei Territori Palestinesi Occupati il più presto possibile.
Ragionamento della Corte
Dopo aver concluso che essa è competente a pronunciare il parere richiesto e che non vi sono motivi validi per rifiutare di emettere un parere (paragrafi 22-50), la Corte ricorda il contesto generale (paragrafi 51-71) ed esamina la portata e il significato delle due questioni poste dall’Assemblea Generale (paragrafi 72-83).
La Corte valuta quindi la conformità delle politiche e delle pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati, come definite nella questione (a), con gli obblighi di tale Stato ai sensi del diritto internazionale. In particolare, l’analisi esamina in successione le questioni dell’occupazione prolungata, della politica di insediamento di Israele, dell’annessione dei Territori palestinesi occupati dal 1967, nonché dell’adozione da parte di Israele di leggi e misure correlate che sono presumibilmente discriminatorie (paragrafi 103-243).
Per quanto riguarda la questione dell’occupazione prolungata dei Territori Palestinesi Occupati, che dura da più di 57 anni (paragrafi 104-110), la Corte osserva che lo Stato che agisce in qualità di Potenza occupante ha, in virtù di tale status, una serie di poteri e responsabilità nei confronti del territorio sul quale esercita un controllo effettivo. La natura e la portata di questi poteri e responsabilità si basano sempre sulla stessa premessa, e cioè che l’occupazione è una situazione temporanea che risponde a una necessità militare, e che non può dar luogo a un trasferimento del titolo di sovranità alla Potenza occupante.
Secondo la Corte, il fatto che un’occupazione sia prolungata non modifica di per sé il suo status giuridico ai sensi del diritto internazionale umanitario. Pur essendo basata sul carattere temporaneo dell’occupazione, la legge che la disciplina non fissa limiti temporali che possano, in quanto tali, modificare lo status di un’occupazione. L’occupazione è l’esercizio da parte di uno Stato di un controllo effettivo su un territorio straniero. Per essere autorizzato, l’esercizio di un controllo efficace deve quindi essere sempre conforme alle norme sul divieto della minaccia o dell’uso della forza, compreso il divieto di acquisizione di territorio derivante dalla minaccia o dall’uso della forza, nonché il diritto all’autodeterminazione. Pertanto, è probabile che il protrarsi dell’occupazione abbia un impatto sulla giustificazione, secondo il diritto internazionale, della continua presenza della Potenza occupante nel territorio occupato.
Per quanto riguarda la politica israeliana in materia di insediamenti (paragrafi 111-156), la Corte ribadisce la sua affermazione nel suo parere consultivo del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche dellacostruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, vale a dire che gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e il regime associato sono stati istituiti e continuano ad essere istituiti in violazione del diritto internazionale. La Corte prende atto con profonda preoccupazione delle notizie secondo cui la politica di insediamento di Israele è aumentata dopo il suo parere consultivo del 2004.
Sulla questione dell’annessione dei Territori Palestinesi Occupati (paragrafi 157-179), la Corte ritiene che il tentativo di acquisire la sovranità sui territori occupati, come si riflette nelle politiche e nelle pratiche di Israele a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, è contrario al divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali e al suo corollario, il principio di non acquisizione di territorio con la forza.
La Corte ha poi esaminato la questione delle conseguenze giuridiche dell’adozione da parte di Israele delle leggi e delle relative misure discriminatorie (paragrafi 180-229). Conclude che un’ampia gamma di leggi e misure adottate da Israele nella sua qualità di potenza occupante trattano i palestinesi in modo diverso per motivi specificati nel diritto internazionale. La Corte rileva che tale disparità di trattamento non può essere giustificata sulla base di criteri oggettivi e ragionevoli o di un legittimo obiettivo di interesse generale. Di conseguenza, la Corte è del parere che il regime israeliano di restrizioni generali nei confronti dei palestinesi nei Territori Palestinesi Occupati costituisca una discriminazione sistematica fondata, tra l’altro, sulla razza, sulla religione o sull’origine etnica, in violazione degli articoli 2, paragrafo 1, e 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, dell’articolo 2, paragrafo 2, del Patto internazionale sui diritti economici, e l’articolo 2 della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
La Corte passa poi all’aspetto della questione (a) riguardante gli effetti delle politiche e delle pratiche di Israele sull’esercizio da parte del popolo palestinese del suo diritto all’autodeterminazione. (punti 230-243). A questo proposito, la Corte è del parere che, a causa delle politiche e delle pratiche di Israele, che sono già in corso da decenni, il popolo palestinese è stato privato del suo diritto all’autodeterminazione per un lungo periodo di tempo, e qualsiasi ulteriore estensione di tali politiche e pratiche mina l’esercizio di tale diritto in futuro. Per queste ragioni, la Corte ritiene che le politiche e le pratiche illegali di Israele violino il suo obbligo di rispettare il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.
Per quanto riguarda la prima parte della questione (b), la Corte affronta la questione se e, in caso affermativo, in che modo le politiche e le pratiche di Israele influenzino lo status giuridico dell’occupazione, alla luce delle norme e dei principi pertinenti del diritto internazionale (paragrafi 244-264).
A questo proposito, la Corte considera innanzitutto che la prima parte della questione (b) non è se le politiche e le pratiche di Israele abbiano un impatto sullo status giuridico dell’occupazione in quanto tale. Piuttosto, esso riteneva che la prima parte della seconda questione riguardasse il modo in cui le politiche e le pratiche di Israele incidevano sullo status giuridico dell’occupazione e, per estensione, sulla legittimità della permanenza di tale Stato come potenza occupante nei territori palestinesi occupati. Tale liceità deve essere valutata alla luce delle norme e dei principi del diritto internazionale generale, compresi quelli della Carta delle Nazioni Unite.
In questo contesto, la Corte è del parere che l’affermazione della sovranità di Israele su alcune parti dei Territori Palestinesi Occupati e la loro annessione costituiscano una violazione del divieto di acquisizione di territori con la forza. Questa violazione ha un impatto diretto sulla legittimità della continua presenza di Israele come potenza occupante in detto territorio. La Corte ritiene che Israele non abbia alcun diritto alla sovranità su alcuna parte dei Territori Palestinesi Occupati e non possa esercitare poteri sovrani in esso a causa della sua occupazione. Né le preoccupazioni di Israele per la sicurezza possono prevalere sul principio del divieto di acquisizione di territori con la forza.
La Corte osserva inoltre che gli effetti delle politiche e delle pratiche di Israele e il suo esercizio della sovranità su parti dei Territori Palestinesi Occupati costituiscono un ostacolo all’esercizio da parte del popolo palestinese del suo diritto all’autodeterminazione. Tali effetti includevano l’annessione da parte di Israele di parti dei Territori Palestinesi Occupati, la frammentazione dei Territori Palestinesi Occupati, che ne ha minato l’integrità, e le pratiche di Israele di privare il popolo palestinese
il godimento delle risorse naturali di detto territorio e la sua ingerenza nel diritto delle persone a perseguire liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
La Corte ritiene che gli effetti delle politiche e delle pratiche di Israele sopra descritte, che includono la privazione di lunga data del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, costituiscano una violazione di questo diritto fondamentale. Questa violazione ha un impatto diretto sulla legittimità della presenza di Israele come potenza occupante nei Territori Palestinesi Occupati. La Corte è dell’opinione che l’occupazione non possa essere utilizzata in modo tale da lasciare la popolazione occupata in un limbo e nell’incertezza a tempo indeterminato, privandola del suo diritto all’autodeterminazione e integrando parti del suo territorio nel territorio della Potenza occupante.
Alla luce di quanto precede, la Corte esamina poi la questione della liceità della permanenza di Israele nei Territori Palestinesi Occupati (paragrafi 259-264).
La Corte ritiene che le violazioni da parte di Israele del divieto di acquisizione di territori con la forza e del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione abbiano un impatto diretto sulla legittimità della continua presenza di Israele come potenza occupante nei Territori Palestinesi Occupati. Il continuo abuso da parte di Israele della sua posizione di potenza occupante con l’annessione e l’imposizione di un controllo permanente sui Territori Palestinesi Occupati, così come la continua privazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, viola i principi fondamentali del diritto internazionale e rende illegale la presenza di Israele nei Territori Palestinesi Occupati.
Questa illegalità si applica all’intero territorio palestinese occupato da Israele nel 1967. Questa è l’entità territoriale in cui il governo palestinese ha imposto politiche e pratiche volte a minare e ostacolare la capacità del popolo palestinese di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, estendendo al contempo la propria sovranità su vaste aree del popolo palestinese in violazione del diritto internazionale. I Territori Palestinesi Occupati nella loro interezza sono anche il territorio in cui il popolo palestinese dovrebbe poter esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione e la cui integrità deve essere rispettata.
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La Corte ha concluso che le politiche e le pratiche di Israele a cui si fa riferimento nella questione (a) violavano il diritto internazionale. La continuazione di queste politiche e pratiche costituisce un atto illecito continuo che impegna la responsabilità internazionale di Israele.
La Corte ha anche concluso, in risposta alla prima parte della questione (b), che la presenza continuata di Israele nei Territori Palestinesi Occupati era illegale. Esamina quindi le conseguenze giuridiche delle politiche e delle pratiche di Israele di cui alla domanda (a) e, ai fini della questione (b), le conseguenze giuridiche dell’illegalità della continua presenza di Israele nei Territori Palestinesi Occupati, per Israele, per altri Stati e per le Nazioni Unite (paragrafi 267-281).
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Il sig. SALAM, presidente, ha allegato una dichiarazione al parere consultivo; La sig.ra SEBUTINDE, Vicepresidente, allega la sua opinione dissenziente al parere consultivo; Il giudice TOMKA allega una dichiarazione al parere consultivo; I giudici Tomka, Abraham e AUrescu allegano al parere consultivo una dichiarazione del loro parere congiunto; il giudice YUSUF allega il suo parere separato al parere consultivo; Il giudice XUE allega una dichiarazione al parere consultivo;
I giudici IWASAWA e NOLTE hanno allegato pareri separati al parere consultivo; i giudici NOLTE e CLEVELAND hanno allegato una dichiarazione congiunta al parere consultivo; La sig.ra CHARLESWORTH e il sig. BRANT, giudici, allegano dichiarazioni al parere consultivo;
I giudici Gómez ROBLEDO e Cleveland aggiungono pareri separati al parere consultivo; Il giudice TLADI allega una dichiarazione al parere consultivo.
Una sintesi del parere consultivo è contenuta nel documento intitolato « Sintesi 2024/8 », al quale sono allegate le sintesi delle dichiarazioni e dei pareri. La presente sintesi e il testo integrale del parere consultivo sono disponibili sulla pagina del caso sul sito Internet della Corte.
Sul sito Internet della Corte sono disponibili anche precedenti comunicati stampa relativi al presente procedimento.
Nota: i comunicati stampa della Corte sono redatti dalla cancelleria solo a scopo informativo e non costituiscono documenti ufficiali.
La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite (ONU). È stata istituita nel giugno 1945 dalla Carta delle Nazioni Unite e ha iniziato la sua attività nell’aprile 1946. La Corte è composta da 15 giudici, eletti per un mandato di nove anni dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ha sede presso il Palazzo della Pace a L’Aia (Paesi Bassi). La Corte ha una duplice missione, vale a dire, da un lato, di risolvere, conformemente al diritto internazionale, le controversie giuridiche che le sono sottoposte dagli Stati e, dall’altro, di fornire pareri consultivi sulle questioni giuridiche che le sono sottoposte dagli organi e dalle agenzie delle Nazioni Unite del sistema delle Nazioni Unite debitamente autorizzati a farlo.
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Sig.ra Monique Legerman, Primo Segretario di Stato della Corte, Capo del Dipartimento: +31 (0)70 302 2336 Sig.ra Joanne Moore, Addetto all’informazione: +31 (0)70 302 2337
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