11 settembre, 15 anni dopo tutta l’ipocrisia dei complici del terrorismo

torrigemelledi Fulvio Scaglione – (da Linkiesta)

Il problema non è la retorica. Le grandi tragedie la contemplano, in un certo senso la pretendono. E gli attentati dell’11 settembre sono stati una grande tragedia contemporanea. Il vero, insopportabile guaio è l’ipocrisia, già sparsa a piene mani nei primi articoli di commemorazione.

Quindici anni fa, un gruppo di 19 terroristi (dei quali 15 con passaporto dell’Arabia Saudita), seguaci di Osama bin Laden e militanti di Al Qaeda, dirottò quattro aerei di linea negli Stati Uniti. Due furono lanciati contro le Torri Gemelle di New York. Uno contro il Pentagono, il ministero della Difesa Usa, a Washington. Il quarto doveva schiantarsi di nuovo a Washington, la capitale, sul Campidoglio (sede del Parlamento) o sulla Casa bianca (sede del Presidente). Cadde invece in un campo della Pennsylvania, grazie all’eroismo dei passeggeri e del personale di volo, che provarono a sopraffare i terroristi. Morirono in quel giorno, tra le 8,46 del mattino e le 17,21 del pomeriggio, 2.996 persone: i 19 terroristi e 2.977 innocenti. Altre 24 persone risultano tuttora disperse. Nove giorni dopo, il 20 settembre, il presidente George W. Bush proclamò la “war on terror”, la guerra al terrorismo, subito abbracciata da quasi tutti i Paesi del mondo.

Doveva essere lo sforzo internazionale per riscattare quelle morti, è stato un grottesco fallimento. Un solo dato: dal 2000 al 2016, i morti per atti di terrorismo, nel mondo, sono aumentati di nove volte. Com’è possibile che la parte del mondo economicamente più sviluppata, tecnologicamente più avanzata e militarmente più potente non sia riuscita, in quindici anni, a sbarazzarsi di questo fenomeno? Com’è possibile che in cinque anni sia stato sradicato il nazismo, in meno di un anno abbattuta la Serbia di Milosevic e in sei mesi disfatto l’Iraq di Saddam Hussein, e da più di due anni una coalizione di 70 Paesi non riesca a sconfiggere l’Isis?

La risposta è: non vinciamo il terrorismo islamista perché siamo suoi complici. Per essere più precisi: siamo grandi amici dei più tenaci e determinati finanziatori e sostenitori del terrorismo. Un po’ difficile, in queste condizioni, ottenere qualche risultato.

Non c’è alcun mistero. Basterebbe un minimo di onestà intellettuale. La voglia di guardare la realtà, un sano disgusto per la propaganda. E invece. Ieri su un importante quotidiano: si poteva leggere che «l’aiuto del regno (saudita, n.d.r) sarebbe fondamentale per fermare i terroristi dell’Isis e ricreare un po’ di stabilità in Siria e nell’intera regione». Questo perché il Parlamento Usa ha approvato una legge, cui Obama con ogni probabilità metterà il veto, per consentire ai parenti delle vittime dell’11 settembre di fare causa all’Arabia Saudita.

Peccato che su “fermare i terroristi” e stabilizzare la Siria la verità sia quella opposta: i sauditi e le altre monarchie del Golfo Persico (cioè, gli Stati che fino all’altro ieri definivamo “musulmani moderati”) sono da decenni gli ispiratori e i “padrini” del radicalismo islamico e del terrorismo. Quegli stessi che colpirono l’11 settembre, animarono la seconda guerra di Cecenia, diedero ai talebani i mezzi per impadronirsi dell’Afghanistan, hanno diffuso il wahabismo e le sue violenze in Asia, promossero le ondate di violenza sunnita nell’Iraq del dopo-Saddam, hanno fatto nascere l’Isis dalle ceneri di Al Qaeda.

Com’è possibile che in cinque anni sia stato sradicato il nazismo, in meno di un anno abbattuta la Serbia di Milosevic e in sei mesi disfatto l’Iraq di Saddam Hussein, e da più di due anni una coalizione di 70 Paesi non riesca a sconfiggere l’Isis? La risposta è: non vinciamo il terrorismo islamista perché siamo suoi complici.
Questa non è un’opinione. È un dato. Non ci credete? Leggete allora quel che scriveva l’autorevole think tank americano Council on Foreign Relations nel 2002, nel rapporto intitolato Terrorist financing (I finanziamenti ai terroristi) : «La rete globale di raccolta fondi di Al Qaeda si basa su una serie di charities, organizzazioni non governative, moschee, siti web, intermediari, facilitatori, banche e altre istituzioni finanziarie… Per anni, singole persone e charities con base in Arabia Saudita sono stati la più importante fonte di finanziamento di Al Qaeda.


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