Exxon Mobil sconfitta dal Venezuela

exxondi Tito Pulsinelli (Caracas)

La multinazionale riceverà solo il 5% delle sue esorbitanti pretese – Nazionalizzare non è espropriare.

Per la nazionalizzazione dell’industria e dei giacimenti petroliferi decretata da Chàvez, la multinazionale nordamericana Exxon Mobil pretendeva 20 miliardi di dollari. Dovrà accontentarsi di 1,5 miliardi, di cui 900 milioni furono già depositati tempo addietro dal Venezuela. Ha deciso così il tribunale di arbitraggio internazionale (CIADI), respingendo la richiesta spropositata, o rispondente unicamente ad una logica di pirateria finanziaria, che spinse la Exxon ad esigere persino il congelamento preliminare dei beni e delle risorse appartenenti alla multinazionale statale venezuelana PDVSA. Dopo aver incassato un altro rifiuto del CIADI, la Exxon abbassò le sue pretese a quota 12 miliardi.

In sostanza, la multinazionale Exxon non è riuscita nel suo intento di metter mano sulla riserva monetaria del Venezuela. Cade il ricatto “giuridico”, paravento di una vera e propria arma di dissuasione per qualsiasi paese che sovranamente nazionalizza con risarcimento equo. L’intento di assimilare la nazionalizzazione con l’espropriazione è caduto nel vuoto: Exxon ottiene solo il 5% delle irrealistiche richieste iniziali. Cosa che avrebbero potuto ottenere sette anni fa, se avessero negoziato con realismo e serietà.

Si sa, purtroppo, della voracità incontrollata di questi dinosaurimultinazionali che -avvalendosi del braccio armato mediatico- scelgono la viadello scontro frontale e della destabilizzazione. Le notizie economiche false e tendenziose diffuse dalla narrativa economica (genere  fiction) riguardanti il Venezuela, non hanno prodotto il tracollo finanziario auspicato dal latifondo mediatico internazionale e dall’indotto locale.

Il Venezuela non tornerà all’ovile del FMI (1) perchè non ne ha alcun bisogno, grazie alla cospicua riserva monetaria e ai fondi sovrani binazionali con la Cina e la Russia. Nelle viscere del suo territorio è presente la prima riserva mondiale di petrolio e la maggiore riserva continentale di gas. Inoltre, a differenza della Germania e altri paesi d’Europa, Chàvez riuscì a riportare in patria i lingotti della riserva aurea.

Gli Stati Uniti e Regno Unito dovettero restituire i lingotti che custodivano neicaveaux delle loro banche centrali, a titolo di “garanzia” per presititi da lungo estinti. Dulcis in fundu: le miniere d’oro sono proprietà della nazione, pertantosalimentano direttamente il Banco centrale venezuelano che -come in 9 altri paesi del mondo- non è privato ma pubblico.

La guerriglia economica, il boicottaggio aperto delle multinazionali dei farmaci, alimenti e aviazione, hanno finora creato sensibili disagi e inedite difficoltà alla popolazione, tuttavia largamente insufficienti per coinvolgerla artificialmente nei codificati scenari delle “rivoluzioni colorate”. All’indomani della morte di Chàvez, l’accelerazione della destabilizzazione monetaria è stata la politica palese del potere esterno e dall’elite endogena. Obiettivo che ha cozzato contro il muro della coscienza politica e civile della maggioranza e dell’unione civico-militare. Obiettivo mancato in questo 2014, visto che con l’omicidio politico del deputato bolivariano Robert Serra, passano direttamente alla fase disperata del terrorismo più scellerato.

 

(1) Anche l’Argentina esce a testa alta dallo scontro con i “fondi avvoltoi”. Goldmans Sachs e FMI scendono a più miti consigli, ed accettano sostanzialmente le condizioni da tempo proposte dal governo di Buenos Aires per il pagamento del debito estero

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