La vicenda dell’ILVA di Taranto e le istituzioni serve di interessi privati
di Simone Rossi (Londra)
L’esperienza di questo blog (Resistenza Internazionale) e del gruppo alle sue spalle ebbero inizio un anno e mezzo fa con un appello a sostegno degli operai di Mirafiori e del sindacato FIOM, unico a sostenerli nell’opposizione alle condizioni di lavoro imposte dalla dirigenza FIAT. All’epoca i partiti politici e le istituzioni risposero con indifferenza, o addirittura si schierarono a fianco dell’uomo in maglioncino, motivando la propria posizione con il fatto che avere lavoro è già qualcosa di cui esser grati in tempi di crisi ragion per cui era necessario accettare sacrifici e condizioni inumane pur di tenerlo. Un principio, quello dei sacrifici, che lorsignori non sanno applicare a sé stessi però.

A distanza di quasi diciotto mesi ecco nuovamente i novelli paladini del lavoro all’opera. A Taranto, la magistratura è intervenuta a tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini avviando delle indagini sulle attività dello stabilimento siderurgico ILVA, sulla base di dati e prive che mostrerebbero una palese violazione delle norme ambientali e di quelle a difesa della sicurezza sul lavoro. Con ricadute negative sulla salute pubblica dei tarantini e sull’ambiente circostante la città. Dopo aver inizialmente indagato la dirigenza aziendale, all’ILVA è stato imposto il sequestro della produzione, probabilmente interpretato come l’unico modo per bloccare l’attivitá inquinante fino all’avvenuta regolarizzazione degli impianti. In un mondo dove regnasse il buon senso sarebbe un atto dovuto da parte della magistratura a fronte della violazione di una o più leggi; non in Italia. Dopo le prime proteste dei lavoratori, in qualche modo comprensibili, abbiamo assistito ad un attacco contro l’operato della magistratura tarantina, con una veemenza che non vedevamo da tempo; segno che sono stati pestati piedi grossi. Dopo gli interventi di giornalisti sono intervenuti alcuni esponenti di PDL e PD, ormai due facce della medesima medaglia, ed il messianico presidente della Regione Puglia, Vendola. Tutti a difesa dei posti di lavoro, tema che hanno dimostrato di avere sinceramente a cuore sinora, ed a spergiurare che l’azienda inquina meno che in passato e che la proprietà dell’azienda ha piani di risanamento. Sono parole al vento di fronte alle perizie effettuate su richiesta della procura e le immagini registrate dai carabinieri al di fuori dagli stabilimenti, ma che rischiano di sovrastare i fatti nel baccano mediatico scatenato a favore della famiglia Riva, con la nobile scusa di preservare l’impiego di circa ottomila persone.

In questa vicenda i più scomposti sino ad ora si sono dimostrati i membri dell’Esecutivo, i cosiddetti tecnici, acclamati al governo come i salvatori della patria ma di fatto esecutori materiali di un progetto politico per conto terzi. Con buona pace per la separazione dei poteri il Ministro della Giustizia ha richiesto copia degli atti del procedimento; una decisione che rientra nelle prerogative del ministro suona come un monito, un avvertimento in stile mafioso non dissimile dalle ispezioni cui ci abituarono Castelli, Mastella ed Alfano. Del resto il buon esempio arriva dal capo che, mentre è in vacanza, invia due dei suoi picciotti, tali Clini e Passera, a conversare con il procuratore, verosimilmente a presentargli “una proposta che non può rifiutare” come nei film statunitensi su Cosa Nostra. Infine, compostezza e pacatezza si è distinto il sottosegretario Catricalá, quello divenuto a suo tempo famoso come tutore degli interessi (in conflitto) di Berlusconi, affermando, senza tema del ridicolo, che l’Esecutivo avrebbe sollevato un conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale perché l’intervento della magistratura interferirebbe con la politica industriale del Governo. Tralasciando che servirebbe un rabdomante per trovare uno scampolo di politica industriale tra gli atti dei “tecnici”, sarebbe interessante comprendere perché il Governo abbia messo in campo una strategia industriale che preveda il compimento di reati ambientali e contro la salute pubblica, non tenendo in conto le leggi dello stato.

Se le leggi ad personam di Berlusconi, le politiche dei presunti tecnici, le loro gaffe, le vicende oscure intorno alla presunta trattativa tra Stato e Mafia non sono state sufficienti, la questione dell’ILVA, giocata sul futuro degli operai e dei cittadini tarantini, conferma che quella che una volta era una repubblica democratica, oggi è “Cosa Loro”.


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4 risposte a “Un Paese che è Cosa Loro”

  1. Avatar Pietro
    Pietro

    Direi che e’ diventata cosa loro da qualche decennio….
    Lunica cosa con cui non sono d’accordo e’ la frase che dice che tutti i partiti politici hanno accolto con indifferenza la vicenda di Mirafiori. Io insieme a Rifondazione Comunista e la FdS ero ai cancelli in quei giorni. Non c’erano gli altri forse. Non c’era SEL ne’ il PD. (che sorpresa) E li la FIOM torinese fece un errore grossolano per mano di Airaudo: si schiero’ con Fassino alle elezioni. Lo stesso Fassino che disse che marchionne stava facendo bene ed aveva ragione. E i lavoratori ringraziano.

  2. Avatar Simone Rossi

    Buon giorno a tutte ed a tutti.
    Devo dare atto al mio amico Pietro di non esser stato preciso nell’articolo. I principali partiti non hanno mosso un dito in sostegno degli operai di Mirafiori (e neanche degli altri stabilimenti), ma i militanti della Federazione della Sinistra di Torino hanno costruito un presidio di solidarietà nel gennaio 2011. Inoltre tanto Diliberto, quanto Ferrero, segretari dei due principali partiti della Federazione, si sono sempre espressi contro i piani dell’ad di FIAT.

  3. Avatar massimo angrisano
    massimo angrisano

    Il testo di Simone Rossi è del tutto condivisibile. Purtroppo anche in questo caso Vendola ha perso una buona occasione per dimostrare che si può governare senza essere subalterni. Aggiungerei che nel deserto della acqiescenza ai padroni e al governo di padroni e finanzcapitalisti resistono ancora la FIOM e il manifesto.

  4. Avatar cambiailmondo

    RIVA finanziava BERSANI. VENDOLA inchiodato all’ILVA. E la FIOM ?

    E’ proprio vero, follow the money, segui la pista del denaro e tutto si chiarirà. LE FESTIVITA’ hanno portato, sulla vicenda Ilva, la notizia, divulgata dal Fatto, del finanziamento diretto dell’industriale Riva a Pierluigi Bersani. Si, proprio l’attuale segretario del Pd, che nel periodo in cui riceveva il finanziamento di 98.000 euro (2006-7) era ministro dello sviluppo economico. Cifre e rendicontazioni ufficiali, niente di oscuro o di non certificabile. Solo che se nel 2007 il finanziamento diretto di Riva a Bersani poteva passare inosservato oggi è qualcosa che si nota come un grattacielo in un giardino. Il significato politico, inutile girarci intorno, è pesante: il ministro dello sviluppo economico riceveva finanziamenti dal proprietario di una azienda che avrebbe dovuto controllare.C’è quindi da chiedersi quali controlli, tra il 2006 e il 2008, il ministro Bersani ha attivato nei confronti delle acciaierie Ilva. Impianti su cui l’Organizzazione mondiale della sanità aveva denunciato la grave pericolosità dal ’97 (epoca, anche quella, di governo di centrosinistra). Cosa faccia Bersani oggi, a fronte di una fabbrica che “produce” oltre mille morti l’anno, lo sappiamo: ha chiesto l’intervento del governo “formale e informale” nei confronti della sentenza del Gip di Taranto e un atteggiamento che “rassicuri gli investitori esteri in Italia”. Evidente mente, per Bersani, i Riva devono venire anche dall’estero. Quello che sta accadendo è di una chiarezza cristallina: da un lato Ilva sta producendo ogni tipo di ricorso possibile contro la procura di Taranto, e il provvedimento di sequestro di una fabbrica che produce un numero di decessi record in Europa, dall’altro il governo si sta attivando per delegittimare la sentenza sull’Ilva. Chi parla di mediazione istituzionale sull’Ilva dovrebbe tener quindi conto che il governo è da una parte sola. LA POSIZIONE DI VENDOLA, presidente della Puglia, è di conseguenza impiccata ai comportamenti del Pd. Non può inimicarsi il maggiore alleato nazionale e locale, specie dopo un’accordo elettorale raggiunto, e quindi non ha margini di manovra nel confronti di un finanziatore storico e certificato del segretario Pd: il proprietario dell’Ilva, Felice Riva. Vendola ha fatto quindi di necessità virtù: ha dichiarato che l’Italia “non può rinunciare all’acciaio”. Parole che contrastano perlomeno con la seconda “e” di Sel che starebbe per ecologia. Ora, i verdi tedeschi, che sono stati anni al governo, non è che hanno chiuso le acciaierie. Ma nemmeno hanno fatto in modo di far colare l’acciaio a prescindere da, non diciamo centinaia di morti all’anno come a Taranto, piani di riduzione delle emissioni inquinanti semplicemente impensabili in Italia. Tra le tante parole rilasciate dal presidente Vendola manca poi lo scopo che si prefiggono le istituzioni locali pugliesi. Esiste un piano particolareggiato della regione Puglia per la riduzione dei decessi, per portarli a zero, entro quando? L’impressione è che più si entra nel dettaglio e nella realtà più le narrazioni di Vendola franano. Anche perchè il sequestro della procura di Taranto è frutto di una ordinanza, al momento, che rende difficili fantasiose mediazioni. Infatti il ministro Clini si è lamentato anche della facoltà dei magistrati di poter giudicare sui materiali da adoperare nel possibile “risanamento”. Segno che i margini di aggiramento dell’ordinanza del gip al momento sono pochi. Ma Clini è il ministro che, al telefono, è stato definito “nostro” dai dirigenti dell’Ilva. Uno di questi è stato arrestato per tentativo di corruzione di un perito del tribunale di Taranto. E tra tutte queste dichiarazioni sull’acciaio e sugli investitori esteri nè il governo nè la regione Puglia hanno speso una parola sui comportamenti dell’Ilva. Va detto che Clini e Vendola un’accordo l’hanno trovato. Sul finanziamento all’Ilva “per la bonifica” di oltre 300 milioni di euro a carico dello Stato e con il contributo economico della Regione Puglia. C’è un dettaglio di non poco conto: pare proprio, a meno di clamorose smentite, che in quest’opera di bonifica non ci sia un’euro dell’Ilva. Se è così siamo in aperta violazione dell’art. 174 del Trattato Ce e del Decreto legislativo n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente) che prevede l’obbligo di intervento economico dell’inquinatore. Obbligo che c’è ameno, come ha detto Clini, attribuire le cause di quello che sta accadendo adesso solo a un periodo precedente all’Ilva. C’è un ultimo aspetto da non trascurare: Vendola è ufficialmente sotto inchiesta della magistratura pugliese per favoreggiamento in un concorso. Vicenda che, sul piano dell’immagine nazionale, può pesare specie se continua. Un presidente della regione in questa condizione cosa è? Un soggetto oggettivamente condizionato dalla magistratura o uno che cerca di sfruttare l’occasione Ilva per condizionarla? Ecco i danni dei partiti-personaggio, dove un uomo solo deve rimanere in piedi e fare tutto sennò crolla il partito perchè rimane privo di immagine. Evidentemente il berlusconimo ha tracimato ben oltre l’argine originario Intanto una intercettazione telefonica tra membri della famiglia Riva riporta questa frase, a commento delle richieste ufficiali di dati su quello che accadeva all’Ilva “vendiamogli fumo, diciamo che va tutto bene”. Ecco il profilo sociologico dei finanziatori dell’ex ministro Bersani oggi segretario del Pd. L’indispensabile alleato di Vendola, ci mancherebbe. LA POSIZIONE DELLA FIOM. La Fiom nazionale ha cominciato a differenziarsi dagli altri sindacati dell’Ilva sulla questione della contestazione alla magistratura tarantina. Posizione sensata visti i continui ricorsi che la stessa Fiom ha fatto alla magistratura impugnando gli atti discriminatori del gruppo Fiat (su Melfi, Pomigliano e la stessa Mirafiori) nei confronti del sindacato diretto da Landini. Non si può usare la via giudiziaria nelle vertenze e, allo stesso tempo, delegittimare la magistratura. Solo che la questione Ilva non riguarda più solo Taranto ma il funzionamento o meno dell’intera filiera italiana dell’acciaio. Ufficialmente la Fiom ha chiesto, da sola, che il gruppo Riva paghi il risanamento dell’Ilva. Ma bisogna vedere quanto un risanamento reale è fattibile, in quali tempi e modi, con uno impianto ormai vecchio di mezzo secolo. A questo va aggiunto l’evidente tentativo del gruppo Riva di usare la minaccia di chiusura della filiera italiana dell’acciaio per mettere all’angolo il sindacato di Landini proprio su Taranto. Inoltre c’è la situazione sul campo. Negli ultimi 15 anni la Fiom non ha mai indetto uno sciopero all’Ilva sull’inquinamento.Segno evidente quantomeno di un basso profilo tenuto da tempo proprio su quel territorio. L’ammissione del ritardo, sui temi del risamento ambientale (specie in presenza di un numero molto anno di vittime), non esenta però la Fiom dal problema del recupero di posizioni chiare, praticabili ed efficaci in materia. Questione non facile specie quando i referenti politici del sindacato di Landini sono sia il Pd che Sel. SCENARIO E FUTURO. La questione Ilva è il risultato di 20 anni di complessiva deregolazione dell’industria italiana: si è praticato il laissez-faire nei confronti del privato, mentre il pubblico non ha investito in ricerca, autorità reali di regolazione e su modelli di sviluppo che non fossero invasivi. I profitti sull’acciaio si sono giocati tutti non solo sui bassi salari ma anche sul differenziale di sicurezza interna ed esterna: ieri ce lo mostra la vicenda Thyssenkrupp di Torino oggi Taranto. La vicenda Ilva ci mostra anche come si siano trasformati i partiti: in cartelli elettorali dove rimane il rapporto diretto, finanziario con la grande industria mentre quello con le popolazioni è completamente sganciato. Si comprende come l’esito di avvicinamento al modello Usa sia ormai compiuto: grandi sponsor verso un partito e, per prendere voti, campagne spettacolo. Rispetto agli Usa mancano però le grandi autorità, ad esempio a protezione dell’ambiente come l’Epa. Se l’Italia costruisce i propri profitti grazie al differenziale di sicurezza si può star sicuri che queste autorità, se ci saranno, saranno solo una concessione simbolica o clientelare. Da considerare però l’effetto domino. Un partito, il PD, è legato materialmente ad una industria (il finanziamento esplicito ha un valore politico niente affatto da trascurare, esprime l’esistenza di una sponsorizzazione) i partiti alleati e sindacati di area devono tener quindi conto non degli interessi della popolazione (in questo caso, non morire) ma dei legami concreti di interesse che ha il partito più grande. Un insegnamento per le future vertenze e per il dopo 2013 se Pd e Sel governeranno con l’Udc? Una cosa è certa: se lo scenario politico rimane questo la soluzione Ilva verrà trovata al ribasso mentre lo schema di risoluzione delle emergenze sarà sempre simile a questo emerso con Taranto. Un effetto domino con risultati pessimi se non letali per la società italiana.

    Fonte: http://cobasorvietano.blogspot.it/

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