di Oriella Savoldi (Rio de Janeiro)
E’ finita Mercoledì 13 l’Assemblea sindacale svolta a Rio de Janeiro in concomitanza con la Conferenza RIO+20, dove per tre giorni i rappresentanti di 66 sindacati provenienti da tutto il mondo hanno animato un intenso dibattito. La discussione ha fatto un bilancio della situazione dei lavoratori e delle lavoratrici di tutto il mondo e, dopo aver confrontato visioni, letture e attese, si è conclusa con un Documento condiviso.
La convinzione diffusa che ha attraversato il dibattito consiste nel ritenere la crisi come una occasione per aumentare la partecipazione dei movimenti sociali e determinare un cambiamento nell’attuale modello di sviluppo. Protezione sociale, inclusione e redistribuzione sono state le parole più riprese: indicano obiettivi da realizzare, senza i quali lo sviluppo non può considerarsi sostenibile.
La green economy, termine molto dibattuto soprattutto dai rappresentanti latino americani ed africani, non automaticamente significa affermare una economia all’insegna della sostenibilità sociale e ambientale.
In tanti Paesi sono le multinazionali a promuovere iniziative di green economy, che troppo spesso si rivelano come il paravento della Old economy, ovvero la continuazione sotto altra veste di attività definite predatorie. Ovvero, terre sotratte alla coltivazione locale per investimenti di green economy, che producono nuova miseria e povertà per le popolazioni locali.
Ha fatto discutere anche il mercato dei crediti verdi, introdotto con il Protocollo di Kyoto e ormai implementato. In molti Paesi – è stato detto – le multinazionali acquistano crediti verdi per poter continuare ad inquinare altrove e questo non produce alcun effetto in termini di riduzione delle emissioni.
La green economy, se non coniugata con la protezione e redistribuzione sociale non offre alcuna garanzia di sviluppo sostenibile. Più voci hanno denunciato come su questo punto permanga ancora molta timidezza.
La transizione dal modello attuale per una prospettiva di sviluppo realmente sostenibile ha bisogno di maggiore radicalità e deve saper avanzare attraverso la costruzione di alleanze.
L’attuale fase chiede anche al sindacato di ripensare il proprio ruolo: “O i sindacati scendono in campo con la volontà di porre fine – ad una politica di esclusione e mancata redistribuzione, oppure, – se non abbiamo nessun altro pensiero prevalente nel mondo, non abbiamo alcun output” ha affermato Rafael Freire (CSA) ricordando che occorre uscire dai propri confini e riconoscere che oggi siamo di fronte alla prima generazione in Europa che non ha gli stessi diritti dei genitori. “Un fatto che evidenzia come l’anima sociale europea sia andata in crisi e come, questo, lasci senza riferimenti i Paesi che ambiscono alla costruzione di un welfar sociale”.
Quanto al green job, per potersi definire tale, deve trattarsi di lavoro decente.
“Il consumo eccessivo di risorse naturali non permette la creazione di posti di lavoro verdi e tanto meno la promozione del lavoro dignitoso, perché gli impatti ambientali influenzano direttamente l’economia” ha ricordato Peter Poschen (OIL) nel presentare il Programma di Green Jobs Internazionale del Lavoro, di recente pubblicazione.
A maggior ragione va ricercata la costruzione di alleanze ampie contro lo sfruttamento della manodopera in tutto il mondo.
Nella discussione non è mancata da parte di rappresentanti brasiliani in attesa dei prossimi mondiali, la contestazione alla FIFA, per la mancanza di rispetto delle leggi sul lavoro e della sovranità paesi. La richiesta, davanti ad eventi sportivi internazionali, è stata quella di provare a costruire una risposta più coordinata e solida dal movimento sindacale e della società civile, per contrastare l’impatto nei paesi che ospitano tali eventi. Necessità da perseguire per affrontare le tante sfide che si presentano a livello locale, ma che per il loro carattere sovranazionale chiedono una lotta globale coordinata. Fra queste, non ultima, la difesa dei diritti degli immigrati.
Non è mancata la richiesta perventuta da un rappresentante dell’area asiatica, di declinare meglio la quantità di lavoro da rivendicare. La richiesta è scaturita dalla realtà di sfruttamento di lavoro minorile molto diffusa in Paesi di quell’area, ma non solo. Così come, è stata rivendicata la promozione di libertà e il riconoscimento di diritti per le donne, fra i quali, in primis, l’uscita dalla maggiore povertà.
IL dibattito si è concluso con la valutazione delle modifiche da apportare al Documento finale, emerse nel lavoro dei gruppi di discussione.
La capacità di confronto in chiusura è stata considerata dimostrativa della possibilità di parlarsi anche in presenza di posizioni differenti, capacità da mettere all’opera per la costruzione di alleanze quale presupposto di forza per combattere avversità e ostacoli al miglioramento delle condizioni dei lavoratori di tutto il mondo.
La Segretaria Generale del CSI-ITUC, Sharan Burrow, ha chiuso il tavolo finale evidenziando la necessità di attuare il Piano per la protezione sociale, come parte integrante dello sviluppo sostenibile, per l’accesso ai servizi pubblici di qualità, all’istruzione, e per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Questa rivendicazione viene ribadita nella Risoluzione finale adottata dall Assemblea: la richiesta ai governi è quella di riconoscere la protezione sociale quale diritto umano (Convenzione OIL 102 sulla sicurezza sociale e la Raccomandazione ILO 202 sui Piani nazionale di protezione sociale) e di estenderla.
La Risoluzione, disponibile a breve, sostiene inoltre l’introduzione della tassa sulle Trasformazioni Finanziarie a livello globale: i ricavi di tale iniziativa possono contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico, lo sviluppo e la ri-regolamentazione del settore finanziario.
In questa direzione va anche la proposta di destinare parte dei Fondi Pensione.
La richiesta ai Governi, in sintesi, è quella di prendere impegni concreti poichè l’umanità ha bisogno di un cambiamento radicale nella direzione dello sviluppo sostenibile, sociale e ambientale.
FONTE: http://www.cgil.it/













Lascia un commento