di Elisa Ferrero (Il Cairo)
Un breve aggiornamento alla vigilia del gran giorno delle elezioni. Nonostante delusioni e paure, è comunque un momento storico per l’Egitto. Tutto sembra quasi pronto, per quanto possibile, ma come al solito non manca la suspense. Tanto per cominciare, la Commissione Elettorale ha sospeso l’annuncio ufficiale dei risultati delle elezioni all’estero, previsto per ieri sera, per indagare sulle accuse di frodi nei seggi di Jedda e Riyad, che avrebbero favorito il candidato dei Fratelli Musulmani. A presentare queste accuse sono stati altri due candidati: Abdel Moneim Abul Fotouh e Khaled Ali.Tuttavia, i votanti all’estero sono stati solo 310.000, all’incirca. Dunque saranno le elezioni in patria, naturalmente, a decidere la partita, con 50 milioni di aventi diritto al voto. I seggi sono 351, ciascuno presieduto, come già successo nelle elezioni parlamentari, da un giudice incaricato. Questa volta saranno usate urne trasparenti, mentre non mancherà il solito inchiostro fosforescente per marcare il dito di chi ha votato.

Vi saranno molti osservatori, a quanto pare. I giornali hanno riferito che sono stati concessi 2859 permessi per i mass media (qualcuno su Twitter scherzava che il rapporto giornalisti-popolazione, in questi giorni, è di 2 a 1). Altri 9539 permessi sono stati distribuiti a 49 ONG locali, mentre 243 sono andati a tre ONG straniere soltanto. Jimmy Carter, ovviamente, è già al Cairo da ieri. Potrebbe trasferirsi direttamente in Egitto, visto la quantità di volte che è venuto a monitorare le elezioni. Infine, c’è naturalmente un forte dispiegamento di esercito e sicurezza.

E mentre gli ultimi indecisi (ma quanti sono!) stanno ancora pensando a chi votare, un rapido sguardo alle discussioni su Twitter fa capire che, sui candidati da eleggere, le famiglie sono estremamente divise. Meglio così. Salvo (improbabili) frodi dell’ultimo minuto, almeno non si vedrà nessun candidato vincere al 99,99% come ai tempi di Mubarak.

Dunque si parte, finalmente. Domani inizierà una nuova epoca, augurando agli egiziani che queste elezioni possano essere un primo passo, per quanto incerto ed esitante, verso un futuro di maggior libertà. Se la meritano.

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Il voto degli egiziani all’estero

21 Maggio – Oggi è iniziato il silenzio elettorale che precede il voto del 23 e 24 maggio. I vari candidati, ieri, hanno terminato le loro campagne di propaganda, ciascuno con la propria apoteosi organizzata ad hoc. Nel frattempo, sono giunti i risultati pressoché definitivi del voto degli egiziani all’estero. Rispetto alla mia ultima newsletter, il risultato è stato in parte ribaltato – come molti avevano previsto e temevano – dal voto dell’Arabia Saudita, dove si trova la maggior parte degli elettori egiziani all’estero. Chi si è aggiudicato il primo posto, alla fine, è Mohammed Morsy, candidato dei Fratelli Musulmani. Ha conquistato il 38% dei voti, seguito da Abdel Moneim Abul Fotouh con il 28%. In terza posizione si piazza la “sorpresa” Hamdeen Sabbahi, che ottiene il 15%. Quarto classificato è Amr Moussa (12%), mentre il fanalino di coda è Ahmed Shafiq (7%). I restanti candidati hanno guadagnato percentuali trascurabili.

Si possono fare due prime osservazioni a partire da questi dati. La prima è che il voto è stato, ancora una volta, decisamente islamista, visto che la preferenza degli elettori è andata, prima che a ogni altro, a Morsy e Abul Fotouh. Se però si toglie l’Arabia Saudita (dove il peso dei Fratelli Musulmani è forte, perché laggiù risiedono molti membri del movimento che avevano dovuto lasciare l’Egitto per sfuggire alle persecuzioni del regime), la situazione pare più varia (forse per una maggiore presenza di cristiani della diaspora?). Come si è visto nella precedente newsletter, se si escludono i paesi del Golfo, gli egiziani sembrano preferire Abul Fotouh.

La seconda osservazione è che, se Sabbahi e Abul Fotouh unissero le forze, forse potrebbero battere Morsy e i Fratelli Musulmani. Peccato, però, che nessuno dei due sembra essere disposto a collaborare con l’altro, con il risultato di disperdere i voti di molti rivoluzionari che si sono infine orientati verso questi due candidati.

Se invece analizziamo il voto per blocchi di paesi, vediamo che in Europa vince Abul Fotouh, seguito (in quest’ordine) da Sabbahi, Moussa, Shafiq e Morsy. Anche in Italia ha vinto Abul Fotouh, seguito però da Morsy, mentre il terzo classificato è Shafiq. Moussa arriva quarto e Hamdeen ultimo. Nella laica Francia vince (per pochi voti) Sabbahi, seguito da Shafiq e poi da Abul Fotouh. In controtendenza la Grecia, dove vince Moussa, e l’Olanda, dove vince Shafiq (ma perché??).

Altro spaccato del voto interessante è quello fornito dagli Stati Uniti: qui si notano differenze da città a città. In generale, il vincitore è Abul Fotouh, poi segue Moussa, quindi Shafiq, poi Sabbahi e infine Morsy. Tuttavia, mentre Washington, Chicago e Houston scelgono Abul Fotouh, New York e Los Angeles prediligono Shafiq, purtroppo.

In attesa di mercoledì, intanto, è già in corso una polemica sulle liste elettorali. Sarebbero piene di nomi di deceduti, come ai vecchi tempi. La Commissione Elettorale ha promesso che le avrebbe ripulite da tutti i morti, ma continuano ad arrivare denunce, l’ultima delle quali è giunta da parte di due sorelle famose: quella di Khaled Said e quella di Mina Danial, due ragazzi simbolo, martiri della rivoluzione. Magari potessero votare davvero!

Ma ciò che preoccupa di più è l’annunciata Dichiarazione Costituzionale complementare del Consiglio Militare, che dovrebbe giungere presto. Già si sono sollevate moltissime obiezioni. I generali oseranno davvero?

 

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