di Elisa Ferrero (II Cairo)
Da oggi è ufficialmente aperta la registrazione delle candidature alle elezioni presidenziali, mentre partiti e forze politiche stanno ancora scegliendo chi sostenere. I Fratelli Musulmani, dopo aver inizialmente lasciato intendere che avrebbero appoggiato Hassan Mansour, presidente del Consiglio Consultivo, hanno fatto marcia indietro, dichiarando che aspetteranno fino ad aprile per rivelare quale sarà il loro candidato. Ci sono state diverse polemiche sul nome di Mansour negli ultimi giorni, soprattutto a causa del sospetto che possa rappresentare il candidato dell’accordo segreto tra militari e islamisti. Ma forse la prudenza dei Fratelli Musulmani nello schierarsi apertamente con lui è anche dettata dall’opposizione interna dei giovani del movimento (quelli che non ne sono fuoriusciti), i quali preferiscono sostenere Abdel Moneim Abul Fotouh. La Corrente Egiziana, partito fondato dai giovani dissidenti della Fratellanza, ha per parte sua già dichiarato il proprio appoggio a quest’ultimo.

L’8 marzo scorso, tuttavia, è stato il giorno della protesta delle donne. Come l’anno passato, la partecipazione non è stata altissima, solo qualche migliaio di donne (e uomini). Per fortuna, però, la manifestazione si è conclusa pacificamente, forse anche grazie alla protezione del cordone di uomini che l’anno scorso non c’era. Il corteo è partito alle quattro del pomeriggio dalla sede del sindacato dei giornalisti e, passando per piazza Tahrir, ha raggiunto il Parlamento blindato dalle forze di sicurezza, dove è esploso un coro di “Hurriya! Hurriya!” (Libertà! Libertà!). Poi, le organizzatrici, verso le 19, hanno dato l’ordine di tornare a casa.

La richiesta che ha caratterizzato la manifestazione delle donne di quest’anno è stata forte e chiara: una rappresentanza del 50% nell’Assemblea Costituente. Poiché le donne costituiscono la metà della società, qualsiasi quota di partecipazione inferiore a questa è inaccettabile. La paura, chiaramente, è che la nuova Costituente trascuri di inserire nella nuova Costituzione i diritti delle donne – anche quelli già ratificati dalla legge, ma così poco implementati nella realtà – specie se sarà lasciata in mano a una maggioranza islamista.

E gli slogan del corteo delle donne, infatti, hanno colpito duro sia i Fratelli Musulmani, sia i salafiti, sia i militari. “O Badia, O Badia, i diritti delle donne non ce li porterete via” – hanno gridato alla Guida Suprema dei Fratelli Musulmani. “No ai Fratelli Musulmani, no ai salafiti” e “Abbasso il governo militare!” – hanno urlato altre.

Ovviamente non erano presenti né le donne salafite, né le Sorelle Musulmane, le quali hanno idee un po’ diverse sulla questione della donna. La componente femminile del partito Libertà e Giustizia ha tenuto, nello stesso giorno, la sua prima conferenza. Il dibattito principale è stato sul Consiglio Nazionale per la Donna, da poco rinominato dal Consiglio Militare tra tante polemiche. L’aspetto più criticato è stata la nomina, come sempre arbitraria, di tale Consiglio, che i generali hanno scelto senza basarsi sulla consultazione con le associazioni delle donne. Il Consiglio per la Donna, a dire il vero, era generalmente considerato, dalle varie attiviste, soprattutto come uno strumento di promozione per la signora Suzanne Mubarak, piuttosto che come un apparato efficace di lotta contro la discriminazione delle donne. Nonostante ciò, alcune buone leggi sono state fatte, seppur non seguite da una valida campagna di consapevolizzazione della società, affinché queste leggi diventassero cultura generale. Per le Sorelle Musulmane di Libertà e Giustizia, tuttavia, queste leggi (ad esempio sul divorzio) minaccerebbero i valori tradizionali della famiglia, pertanto sarebbero tutte da rivedere. E qualcuna le attacca solo perché provenienti da Suzanne Mubarak, considerandole leggi del vecchio regime. Per tali motivi, la conferenza delle donne di Libertà e Giustizia ha chiesto lo scioglimento del Consiglio Nazionale per la Donna.

Non stupisce, quindi, che molte delle donne che hanno partecipato al corteo dell’8 marzo, sentano l’esigenza, innanzitutto, di una rivoluzione delle menti, dei costumi e della cultura (prima di tutto nelle donne stesse), che si spera sarà in grado di portarle, un giorno, a liberarsi anche del cordone protettivo di uomini che le accompagna regolarmente nelle loro manifestazioni. Non solo. Desiderano una rivoluzione che le porti a liberarsi della protezione maschile in generale, in ogni campo della vita quotidiana.

La lotta attuale e immediata, comunque, è per la nuova Costituzione. Il Centro Egiziano per i Diritti della Donna (ECWR) formerà un comitato parallelo alla Costituente, che scriverà il testo della nuova Costituzione come loro vorrebbero. Chissà se la Costituente ascolterà la loro proposta, così come le altre centinaia di proposte provenienti dalla società civile. Molto dipenderà da come la Costituente sarà formata.

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8 marzo in Egitto: la giustizia al contrario
Oggi è l’8 marzo, quest’anno più che mai festeggiato in Egitto, anche se piuttosto che una festa sarà l’inizio di una battaglia affinché la nuova Costituzione non dimentichi i diritti delle donne. Alle ore 16 è prevista una marcia dal sindacato dei giornalisti al Parlamento, dove sarà consegnata una lista con 100 nomi di donne eminenti da proporre per l’Assemblea Costituente. E ci sono altre iniziative, ma ne parleremo più avanti.

In attesa della marcia delle donne, l’arena degli aspiranti alla Presidenza si fa sempre più movimentata. I Fratelli Musulmani – forse – hanno finalmente trovato un candidato da sostenere: si tratta di Mansour Hassan, che attualmente presiede il Consiglio Consultivo ed è stato, in passato, ministro di Sadat. Anche il Consiglio Militare sembra favorevole alla sua candidatura, così come il Wafd, nel quale tuttavia esistono ancora divisioni sull’opportunità di sostenere lui o un altro. Potrebbe essere Mansour Hassan, allora, il famoso “candidato del consenso”, ricercato da islamisti e militari? Forse, ma il consenso non includerebbe le forze liberali e di sinistra.

I generali, invece, secondo il giornale al-Youm al-Sabaa, avrebbero esplicitamente chiesto a Omar Suleyman (l’ex capo dell’intelligence ed ex vicepresidente di Mubarak) di rinunciare alla corsa presidenziale. Non sono stati dati dettagli, per ora, sulle motivazioni di questa richiesta. Meglio così, comunque.

Un altro nuovo candidato è Abul Ezz el-Hariri, leader della colazione “La rivoluzione continua” ed esponente dell’Alleanza Popolare Socialista. Un candidato di sinistra, dunque, che si aggiunge all’avvocato Khaled Ali, già candidato.

Preoccupa, al contrario, l’intensificarsi delle intimidazioni e della repressione degli attivisti della rivoluzione. Ieri, dodici volti noti della rivolta sono stati denunciati alla magistratura militare (ma Tantawi non aveva detto basta ai processi militari di civili?): lo scrittore Alaa al-Aswany, Wael Ghonim (l’amministratore della pagina Facebook “Siamo tutti Khaled Said”), Nawara Negm (blogger e figlia di un celebre poeta), Mamdouh Hamza (portavoce del Consiglio Nazionale), George Ishaq (fondatore del movimento Kifaya), Sameh Naguib dei Socialisti Rivoluzionari, Buthayna Kamel (presentatrice tv, agguerrita rivoluzionaria e prima donna a candidarsi alla Presidenza), il noto giornalista televisivo Yousri Fouda e la presentatrice Reem Maged. Non hanno dimenticato quasi nessuno. Le denunce nei loro confronti sono state ben 712, con l’accusa di incitamento all’odio nei confronti del Consiglio Militare e tentativo di distruggere lo Stato. Wael Ghonim ha già annunciato su Facebook che denuncerà a sua volta i suoi accusatori per diffamazione.

Ma non è finita. L’attivista Asmaa Mahfouz, ben conosciuta anche in Occidente, è stata condannata ieri a un anno di carcere e a una multa di 2000 pound. Il suo accusatore (un personaggio che in passato ha già accusato il blogger Alaa Abdel Fattah ed altri attivisti) spiega, in un video, che gli amici della ragazza lo avrebbero picchiato con un bastone tra i 7 e i 15 cm (ho capito bene?), mentre lei lo insultava. Asmaa Mahfouz ha fatto sapere che non ha nessuna intenzione di rispettare la sentenza del tribunale, poiché motivata da ragioni politiche. Ha già preso un aereo per la Francia, dove resterà finché non riuscirà a far cadere le accuse.

Ciliegina sulla torta: l’unico poliziotto condannato (in absentia, tra l’altro) per l’uccisione di una ventina di manifestanti è stato assolto in appello. Secondo voi, che cosa dovremmo pensare a questo punto? La giustizia al contrario.

Oggi si è anche ripreso il processo sulle ONG straniere, alla presenza dei nuovi giudici. Dei 43 imputati solo 15 erano presenti: gli egiziani e un americano, l’unico che si è rifiutato di lasciare il paese per solidarietà con i colleghi locali. I giudici hanno chiesto che, la prossima volta, tutti gli imputati compaiano in tribunale. Sì, certo… Sono sicura che il 10 aprile, giorno al quale è stato infine aggiornato il processo, gli Stati Uniti e gli altri paesi riporteranno i propri attivisti in Egitto per farsi processare.

Intanto, anche la chiesa copto-ortodossa pare aprire ai Fratelli Musulmani. Ieri vi è stata la prima visita storica in cattedrale della Guida Suprema, Mohammed Badie, per salutare papa Shenouda di ritorno dagli Stati Uniti (dove si reca spesso per motivi di salute). Bene, benissimo, però speriamo che nessuna delle due parti dimentichi i giovani laici sui quali si sta abbattendo di nuovo la scure della repressione.

p.s: Nella vignetta: “No ai processi militari di civili”.


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