Da oggi il Parlamento egiziano è al completo. Infatti, si è tenuta oggi la prima seduta della neoeletta Shura, la Camera Alta, molto vagamente rassomigliante al nostro Senato (in realtà, mancano ancora i 90 “senatori” nominati dal Presidente della Repubblica). Nella sessione inaugurale si è proceduto al giuramento dei nuovi parlamentari, con i salafiti che hanno nuovamente giurato di rispettare la legge e la Costituzione dello Stato “a meno che queste non contrastino con la legge di Dio”, frase che ormai è diventata un ritornello, ripetuto dagli egiziani in ogni occasione con amaro sarcasmo. Infine, il professore Ahmed Fahmi, membro del partito Libertà e Giustizia, è stato eletto Presidente della Shura. Elezione scontata, dato che era l’unico candidato.
Nel frattempo, la Camera Bassa ha approvato ieri alcuni emendamenti alla legge delle elezioni presidenziali del 2005, in seguito sottoposti al vaglio della Corte Costituzionale, che avrà l’ultima parola. Se approvati, gli emendamenti consentiranno lo spoglio delle schede elettorali, e l’annuncio dei risultati alla presenza di rappresentanti di lista e osservatori, anche nei seggi minori, mentre prima le schede di tali seggi erano trasportate nelle sedi principali delle votazioni, con frequenti “incidenti di percorso”. La Camera Bassa, tuttavia, per ora non ha osato emendare l’importante e discusso articolo 28 della legge, che non permette di contestare le decisioni della Commissione Elettorale, il cui verdetto finale in materia di elezioni rimane pertanto inappellabile.
E intanto i candidati alla Presidenza temono sempre di più per la propria vita. Una riunione di sostenitori di Amr Moussa, con lui presente, è stata assaltata ieri da sconosciuti, nel governatorato di Sharqiya, con lanci di pietre a persone e automobili. Moussa ha accusato il Movimento 6 Aprile, ma questo ha negato di esserne responsabile. Ora, però, Moussa ha dichiarato di temere di essere assassinato e così per gli altri candidati, invitando il Consiglio Militare a proteggerli. Si sa che le elezioni presidenziali sono quelle che contano davvero e i pericoli sono più alti.
Oggi è stato anche il giorno dello sciopero nazionale degli impiegati dei tribunali che ha bloccato numerosi processi. Non quello di Naguib Sawiris, tuttavia, che si è concluso con un nulla di fatto, perché i suoi accusatori, secondo i giudici, non hanno elementi sufficienti per farlo processare. Sawiris, mesi fa, era stato denunciato da alcuni salafiti per un tweet scherzoso, al quale aveva allegato una vignetta di Topolino con la barba e Minnie con il niqab. Le sue scuse non erano bastate, anzi la compagnia telefonica di sua proprietà aveva dovuto subire, per vendetta, un forte boicottaggio che gli ha fatto perdere miliardi (chissà se è per questo che ora vuol venderla alla Francia?).
Ma non c’è solo la nuova censura salafita in Egitto, esiste anche la censura classica che ha sempre operato nel paese, oltre alla censura sociale naturalmente. Di recente ne ha fatto le spese un film che narra la storia d’amore tra una donna copta e un uomo musulmano. In questo non c’è nulla di illegale, nemmeno dal punto di vista della sharia islamica, ma la censura ha probabilmente ritenuto opportuno non dare la licenza di proiettare il film per rispettare la sensibilità (o sarebbe meglio dire suscettibilità) della società egiziana su tali argomenti (mi ricordo la collera dei cristiani nei confronti del libro Azazel di Yousuf Zidane). La censura, infatti, non taglia solo le scene di sesso nei film, ma si oppone anche alle opere che trattano di religione, sia cristiana sia musulmana, tabù pressoché inviolabile, perché potenziale causa di conflitti tra le due comunità. Ed è paradossale, perché al di fuori dei cinema la società non fa che parlare di religione, ma i paradossi sono all’ordine del giorno in Egitto.
Nella vignetta si vede un cavallo di Troia (il Wahhabismo), dal quale escono uomini barbuti e donne velate integralmente, mentre la Sfinge (l’Egitto e il suo islam tollerante) ha la bocca tappata. Nell’angolo in basso a destra c’è un uomo grasso e gongolante (l’Arabia Saudita) che in una mano tiene un ramoscello di ulivo (la religione), mentre nell’altra nasconde una bomba con la miccia accesa. Una vignetta che riassume il pensiero di molti egiziani.
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La Commissione Elettorale ha annunciato la data delle tanto attese elezioni presidenziali, quelle che contano. Si voterà il 23 e 24 maggio 2012, mentre l’apertura ufficiale delle candidature è stata anticipata all’8 marzo, due giorni prima di quanto precedentemente stabilito. Se ce ne sarà bisogno, i ballottaggi si terranno il 16 e 17 giugno, poi finalmente, il 21 giugno 2012, il vincitore sarà dichiarato Presidente e le forze armate usciranno – si spera – di scena.
La notizia è stata accolta con sollievo dalla maggioranza degli egiziani, che cominciano a intravedere la fine della lunga fase di transizione (della dittatura militare, secondo i giovani di Twitter, che non usano giri di parole). Purché i militari lascino davvero il potere, naturalmente, senza nascondersi dietro un candidato di facciata che possano manipolare a piacimento (molti hanno in mente il presunto patto di ferro tra islamisti e Consiglio Militare per dividersi Parlamento e Presidenza) e purché non accadano disastri né sul fronte interno, né su quello regionale (escalation in Siria, guerra Iran-Israele e chissà che altro) che possano essere causa o pretesto per deviare dalla traiettoria prestabilita. Sicuramente ora si apre un altro periodo delicato e movimentato.
Oggi si è anche aperta una cascata di nuove candidature. La prima new entry è Mamdouh Qutb, ex capo delle mukhabarat (intelligence militare), che va ad affiancarsi all’altro ex capo più recente Omar Suleyman (se questo confermerà la sua candidatura). La seconda new entry è molto meno sinistra: si tratta di Mona Prince, scrittrice e docente di letteratura inglese, appartenente alla generazione “giovane”, prima intellettuale e seconda donna (dopo la anchorwoman Buthayna Kamel) a candidarsi. E ci sta pensando anche Ahmed el-Meslemany, il giornalista di Dream TV che si vanta di aver scritto il discorso di Mubarak del 1 febbraio, quello che per breve tempo aveva commosso metà della nazione. Tuttavia, per poter ufficializzare la propria candidatura, tutti loro dovranno prima trovare il sostegno di almeno 30 parlamentari o raccogliere le firme richieste dalla legge. Il premio Nobel per la chimica Ahmed Zewayl, invece, ha confermato che non si candiderà.
Nel frattempo, è ripresa la sommossa degli studenti alla German University in Cairo, dopo che alcuni di loro sono stati sospesi con l’accusa di aver insultato i militari. A far loro compagnia sul fronte delle proteste ci sono ancora i lavoratori dei tribunali, che sono entrati nel secondo giorno di sciopero. La brutta notizia, invece, è lo scoppio di un vasto incendio nell’oasi di Siwa, roccaforte berbera al confine con la Libia. Il fuoco, probabilmente di origine dolosa, forse provocato da contrabbandieri, ha già bruciato 1.700 ettari di terra coltivata, con l’aiuto del terribile khamasin, il tipico vento primaverile che oggi ha portato una tempesta di sabbia fino al Cairo, causando numerosi disagi (e le precisioni dicono che durerà 72 ore).














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