di Roberto Musacchio
Visto che ormai è evidente a tutti che le scelte politiche si fanno a dimensione europea, sarebbe necessario provare a capire se c’è una sinistra europea e che cosa fa. Quando si parla di sinistra europea la mente va naturalmente subito al suo aggregato più grande e corposo, quello che si ritrova nel Partito Socialista Europeo. Difficile prescindere dal dato che i socialisti sono stati una parte fondamentale della costruzione dell’Unione Europea, avendo tra l’altro, ai tempi della Commissione Delors, socialista, e quindi del momento decisivo di sua concretizzazione, una presenza in 13 governi su 15 dell’allora consesso di Stati partecipanti. Come è difficile sfuggire all’altrettanto concreta constatazione che oggi la presenza socialista nei governi della UE a 27 è ridotta ai minimi termini. Per questo la riflessione aperta in quel campo è di grande interesse.

Da ultimo sta circolando un documento dal titolo “ Per una alternativa socialista europea “, firmato da molte figure del PSE con l’esclusione dei leader di primissimo piano operativo. Il testo ne segue altri che hanno visto la luce in questi mesi passati. Dall’appello “ Change Europe “, che provava a raccogliere adesioni più a tutto campo, e dunque anche in altri settori verdi e di sinistre radicali. Ad appelli franco – tedeschi, legati all’ambito socialista e verde, prefiguranti cioè una qualche ipotesi di governo di centro sinistra per quei due Paesi e una qualche possibile relazione tra le loro possibili politiche future. Partiamo però dall’ultimo, che è tutto in casa socialista. “

Per una alternativa socialista europea “ può essere letto in tre parti. Una critica molto forte e radicale alle politiche di austerità, la cui responsabilità viene consegnata sostanzialmente alle destre. Una autocritica, ma anche una critica, sugli errori socialisti e in particolare sulla cosiddetta terza via. La proposizione di indicazioni alternative programmatiche, spesso per altro note, ma interessanti, dagli eurobond in giù, per una diversa idea d’Europa. Quello che però colpisce dell’appello è che manca il qui e oggi nella sua dimensione concreta e nella valutazione della sua portata.

Mi spiego. La domanda: “ come mai stanno passando provvedimenti di enorme portata che rendono strutturale la politica di austerità e modificano radicalmente di segno la natura della democrazia europea “ – fatica ad essere formulata e a trovare risposte. Eppure è una domanda ineludibile per chi critica a fondo l’austerità, si autocritica per il passato, prospetta un futuro diverso e intanto non riesce a fermare ciò che accade. Anzi, di più, in buona parte vi contribuisce ancora. Se vediamo all’insieme delle misure prese dalla governance europea, da Europlus, al Six pack, al Fiscal Compact, alle modifiche dettate per inserire nelle Costituzioni nazionali l’obbligo al pareggio di bilancio, al nuovo Two pack sulle regole per l’uso del “ salva stati “, è difficile ritrovare in atto una vera opposizione socialista.

Distingui verbali, anche forti, nel Parlamento europeo, ma poi via via più flebili nella articolazione concreta delle posizioni sui provvedimenti attuativi. Una internità a queste scelte operata da Zapatero in punto mortis del suo governo,con il pareggio di bilancio inserito in Costituzione. Via libera dai governi di grande intesa in Grecia e Italia. Si fa ora molto affidamento ai possibili cambi di governo in Francia e in Germania.

Ma è davvero così? In Francia Hollande ha realmente preso una posizione critica sul Trattato ma essa è però circoscritta ad una sua rinegoziazione, la cui natura è assai poco chiara. Intanto i socialisti francesi si astengono, e c’era anche un imput a votare a favore, all’Assemblea Nazionale sul cosiddetto salva stati. La situazione francese poi è diversa da quella cui si era pensato con i documenti socialisti e verdi di qualche mese va.

La lotta contro Sarkozy è molto dura; c’è una variante populista che incombe. Non a caso riemerge la classica union de gauche, con i comunisti che ritrovano slancio nella candidatura a presidente della repubblica dell’ex socialista Melanchon, capace di toni di sinistra che incontrano umori nazionali e popolari. In Germania poi la situazione va vista per quello che è e non per ciò che si vorrebbe.

Partiamo dai sondaggi elettorali che danno la CDU al 38 % abbastanza stabilmente, l’SPD al 26 %, i grunen alti, al 14%, ma assai meno del dopo Fukushima, la Linke al 9%, i liberali sotto lo sbarramento e i Pirati , vera novità della politica tedesca e non solo, invece stabilmente ben sopra. E il gradimento per la Merkel sta al 65%!

Difficile pensare che vi siano le condizioni per una alternativa di centro sinistra che per giunta negli intenti di socialdemocratici e verdi dovrebbe escludere Linke e Pirati. A Berlino per il governo del Land è tornata la coalizione CDU-SPD. Il nuovo presidente della repubblica dovrebbe essere votato dagli stessi due partiti più liberali e verdi e, francamente, non è una figura particolarmente progressista. Soprattutto tutta la politica concreta, il rapporto con l’opinione pubblica non vede un grande contrasto rispetto alla vulgata dominante che la crisi è colpa dei “ fannulloni “ siano essi Greci o altri.

Difficile trovare una vera volontà di cambiare quel patto corporativo tedesco che alimenta esportazioni invasive e di fatto distrugge l’idea stessa della armonizzazione della UE, risultando una delle vera cause della crisi. Per chi pensa che sarà il cambio di governo in Francia e in Germania a permettere un cambio più generale, queste considerazioni dovrebbero invitare a qualche riflessione in più. Anche perché le misure di governance prese sono difficilmente riconducibili ad una parentesi.

Si è stabilizzata una forma di gestione che non è solo intergovernativa ma è fatta di un intergovernativismo separato da ogni relazione parlamentare, interconnesso con le strutture di governance della finanza, e che rende tendenzialmente irrevocabili le scelte fatte. Ciò che accade per la Grecia, l’imposizione di scelte, la richiesta a tutti i soggetti greci di dichiararle permanenti, la creazione di canali di gestione dei fondi e delle scelte fuori del controllo delle istituzioni greche, non è solo per la Grecia ma vale per tutti.

Nel Two pack, ora in approvazione, si prevede che le finanziarie vengano riviste dalla governance prima dell’approvazione parlamentare. Tutte funzioni per altro fuori dal metodo comunitario e dentro il nuovo metodo postdemocratico. Che in ballo ci sia la fine del modello sociale europeo del resto lo scrive chiaramente, e sul Wall Street Journal, Mario Draghi.

Il punto è che le borghesie europee sembrano aver raggiunto un loro punto di compromesso, intorno alla leadership tedesca, e subordinato al capitale finanziario. Naturalmente sono aperti punti non da poco. Si pensi alla lettera dei 12 per la crescita, ispirata dal duo Cameron- Monti, tutta filo liberalizzazioni, con cui per altro Monti si autonomizza dal mandato più mercantilista iscritto nel testo della risoluzione unitaria con cui la maggioranza in Italia aveva sdoganato la politica europea.

Probabilmente vi sarà una diversa impostazione franco- tedesca ma resta il fatto che il gioco è tutto nel campo borghese. Perché si è costruita una politica borghese nella crisi europea e nel rapporto con la globalizzazione e una capacità di unità dei soggetti che questa borghesia vuole rappresentare. Niente di tutto ciò si vede a sinistra, dove la riunificazioni dei rappresentati, a partire dai soggetti del lavoro, non è neanche tematizzata.

Ancora una volta si pensa di potersi affidare a soluzioni governiste senza porsi il tema del rovesciamento dei rapporti di forza reali. Lo stesso errore dei tempi in cui si pensò di governare la globalizzazione, senza comprenderne la natura. Ora il rischio è peggiore perché nella crisi la partita aperta è la scomparsa tout court del modello sociale e democratico europeo. Per altro le potenzialità di soluzioni governiste appaiono anche ridotte e probabilmente più circoscritte a compartecipazioni a grandi coalizioni.

Questo naturalmente non significa per me l’espunsione del tema governo dall’orizzonte della sinistra, ma la sua ricollocazione nell’ambito in cui storicamente è stato appunto a sinistra e cioè in quello di una costruzione di un nuovo rapporto di forza sociale, della ricerca di una egemonia che in questo caso è necessariamente a livello europeo. Per altro è il tema posto dai movimenti, che sono tornati a manifestarsi ad esempio in Spagna, dove qualcuno li aveva accusati di “ non morire per Zapatero “, che sembrano essere più avanti della politica.

Poche righe, perché richiederebbe un altro articolo, sulle altre sinistre. Solo per dire che sarà interessante vedere cosa accade loro in questa crisi, a partire dal voto in Grecia, se lo lasceranno fare, dove sono accreditate addirittura del 40%. Ma sapranno unirsi ? Sapranno darsi una politica efficace, capace di parlare anche alla discussione aperta nel campo socialista? Tutte domande che cercano risposte all’altezza.


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