di Rodrigo Andrea Rivas
“Vinceremo, vinceremo noi, i più semplici, vinceremo, anche se tu non lo credi, vinceremo”
Pablo Neruda, “Ode all’uomo semplice”
Recalcitranti fascisti definiscono la nuova strategia golpista. Senza Paparino Donald sembra più dura
Oggi Luis Arce ha assunto l’incarico di Presidente della Bolivia, per il quale è stato eletto grazie alla storica vittoria democratica del 18 ottobre scorso.
La notte di giovedì 5 novembre è scoppiata una carica di dinamite nella sede del Movimento al Socialismo (MAS) a La Paz mentre il presidente eletto era riunito col suo gruppo di lavoro.
In perfetta sincronia è iniziato una due giorni di blocchi stradali e scioperi a Santa Cruz, la provincia più ricca del paese e bastione dell’ultradestra, contro l’assunzione del governo da parte di Arce.
Intanto si moltiplicano le cerimonie pubbliche destinate a rompere il maleficio fatto cadere sul paese dalle oscure forze invocate da riti satanici indigeni e gli appelli a non riconoscere i risultati elettorali.
Gli organizzatori e realizzatori del golpe di Stato che portò alla destituzione e al tentativo di assassinio di Evo Morales hanno assunto queste forme attive per l’attuale fase. E hanno fretta di concretizzare, poiché Paparino Donald se ne andrà presto.
Golpisti, padrini e amici dei padrini
Nomi e cognomi dei golpisti boliviani sono arcinoti. Lo sono anche i nomi di coloro che hanno quantomeno facilitato il golpe: Luis Almagro, ex ministro degli esteri di Pepe Mujica e attuale segretario generale dell’OSA, ed il governo Trump, in particolare un tale Pompeo, personaggio assai caro al ministro degli esteri italiano.
A questo riguardo:
1. “Non è un mistero che, da tempo, gli americani dispensino giudizi positivi sul nuovo corso atlantista di Luigi Di Maio. Il sostegno riservato agli accordi di Abramo è stato molto apprezzato, così come le dure parole su Lukashenko e, naturalmente, è stata innanzitutto la franchezza con cui Di Maio a fine agosto si è rivolto all’omologo cinese Wang Yi a convincere gli americani a puntare tutte le fiches sul nuovo capo della diplomazia italiana.” (Milano Finanza, 14.10.2020, Di Maio è il politico italiano di riferimento degli Usa).
2. “Per esperienza personale posso dirle che con l’amministrazione Trump si lavora molto bene e con Mike Pompeo si è instaurato un legame di amicizia”. (La Stampa, 6-10.2020, Luigi Di Maio: “L’alleanza con il Pd paga e rafforza Conte. I soldi del recovery per sostenere le imprese”)
Solo di Maio e soltanto gli italiani in Europa hanno scoperto la bontà delle politiche di Trump?
Le urne nell’ottobre boliviano
Nelle ultime elezioni il MAS ha ottenuto il 55,11% dei suffragi, e cioè 3.394.052 voti, superando di 8 punti e di oltre mezzo milioni i voti ottenuti nel da Evo nel 2019.
Carlos Mesa è passato dal 36,51 al 28,83%, perdendo 8 punti e quasi mezzo milione di voti (1.775.953) sul 2019.
Curioso: con l’ipotetica frode organizzata dalla macchina dello Stato nel 2019, strampalata teoria adombrata persino da disorientati analisti progressisti probabilmente colpiti da insonnia, il MAS aveva ottenuto risultati molto più scarsi di quelli raggiunti un anno dopo, malgrado la repressione susseguita al golpe.
L’analisi disaggregato del voto evidenzia che i voti del MAS sono aumentati soprattutto in tre regioni: La Paz, Cochabamba ed Oruro, ossia nella regione andina e nelle valli dove si concentra l’identità aymara e quechua, il movimento indigeno-originario-contadino nocciolo duro del processo di cambiamento.
A Santa Cruz il MAS è arrivato secondo, ma il mantenimento della candidatura di Luis Fernando Camacho ha da una parte impedito una candidatura unitaria della destra, e dall’altra ha consolidato una rappresentanza propria del nucleo duro fascista, principale forza politica a Santa Cruz e aspirante a trasformarsi in forza politica nazionale.
Sono i due poli dello spettro politico boliviano destinati a scontrarsi a breve scadenza.
Le ragioni della sconfitta dei golpisti
Probabilmente per la prima volta nella storia, un golpe di Stato è stato sconfitto nelle urne dopo appena 12 mesi dalla sua realizzazione. Penso che questa sconfitta sia arrivata per 3 ragioni principali.
1. La cattiva gestione del governo dei golpisti.
Occupato il governo il 10 novembre 2019, i golpisti si sono impegnati in modo goffo e maldestro per consegnare celermente le risorse naturali ai capitali esterni e per privatizzare altrettanto celermente persino il prezzemolo.
I partecipanti a questa gara da centometristi zoppi hanno represso e assassinato o comunque molto maltrattato chiunque protestasse, e hanno depredato senza ritegno il denaro pubblico, compreso quello destinato all’acquisto di ventilatori per far fronte alla pandemia.
In altre circostanze, l’ambasciata statunitense avrebbe esercitato il suolo ruolo dirigente, ma la vicinanza con le proprie elezioni l’ha costretta a mollare la presa. Da ciò è derivato il caos interno al governo.
2. la cattiva gestione dell’economia, non solo a causa della pandemia.
Il crollo del PIL, meno 11%, e l’aumento della disoccupazione, dal 4 al 30%, ha portato la classe media urbana, che aveva giustificato il golpe nel 2019, a decidere nel 2020 di non votare Mesa e persino, pur se in percentuale minore, a votare per il MAS.
3. ma la questione più importante è la lunga storia della potenza plebea del popolo boliviano.
Scrive il sociologo boliviano René Zavaleta Mercado nel saggio “Consideraciones generales sobre la historia de Bolivia, 1932-1971” (in “América Latina: historia de medio siglo”, AA.VV., Siglo XXI, Messico, 1977):
“Gli storici osservano i paesi dalla prospettiva del presente e ciò non è necessariamente un errore, pur se, essendo ampiamente nota, la cosa è in sé poco interessante. Ma ogni paese vede sé stesso anche con gli occhi della propria memoria. In quanto tale, che il paese arresti la sua conoscenza ad un momento specifico del suo passato o lo mistifichi, non ha alcuna importanza sostanziale perché ciò che davvero importa è cos’è ciò che si crede di essere. (…)
I dottori di Charcas, i beneficiati dell’indipendenza, possono spiegarsi solo come la patologia di una classe superiore che, non avendo mai lavorato, si era abituata ad essere un asse delle cose semplicemente perché si.”
Per coloro che non lo sanno: col nome “doctores de Charcas” s’identificano gli ultimi generali dell’epoca della colonia. Pur se creoli, questi combatterono contro gli eserciti di Simón Bolívar e Antonio José de Sucre, ma, non appena la sconfitta dei colonialisti è apparsa irreversibile, sono diventati convinti indipendentisti e, ovviamente, hanno preso posto tra i vincitori.
Ritorno al presente: colpi di Stato e ribellioni
Il golpe del 2019 è stato il colpo di Stato numero 189 nella storia della Bolivia indipendente. Partendo dal 1825, la media è di 1,02 colpi di Stato annui.
Secondo il Premio Nobel di letteratura messicano Octavio Paz (1990), “i colpi di Stato in Bolivia sono attribuibili alla barbarie ereditata da caudilli ispanici d’impronta islamica”. M’incuriosisce assai il richiamo alla “impronta islamica” richiamata da Paz ben prima del diffuso utilizzo odierno, ma l’approfondimento richiederebbe occuparsi della storia spagnola ed europea. E interpreto la parola caudillo non nel senso indicato dal dizionario, e cioè leader, ma in quanto sinonimo di duce o di führer.
D’altronde, nella cultura politica spagnola il “caudillo” per eccellenza ha nome e cognome: Francisco Franco. E non mi pare si trattasse esattamente di un leader. Ma, soprattutto, la Bolivia non è solo terra di colpi di Stato. È sempre stata, anche, terreno fertile di ribellioni. E queste hanno lasciato tracce ancora più incancellabili.
Ad esempio, per quel che ne capisco, mi pare di poter dire che appartiene al patrimonio culturale di ogni boliviano il fatto che le piccole repubbliche sorte dalla ribellione di Tupac Katari (1781), dalle numerose insurrezioni dell’oriente boliviano e dalla rivoluzione paceña (di La Paz) nel 1809, non siano mai state sconfitte da nessuno.
Da non boliviano, mi pare che siano stati complessi politici territoriali che, sprovvisti da un nucleo egemonico, sono stati incapaci di risolvere da sé le problematiche del potere politico ma, contemporaneamente, hanno dato luogo a prassi capaci di dare forma ad una sorta di democrazia diretta per i tempi di guerra, dotata di una loro persistente logistica autonoma.
In questo senso, ma anche questo è un altro tema pur se più vicino, trovo similitudini con buona parte della complessa storia politica messicana riguardo la capacità di ribellione, la mancanza di un nucleo dirigente capace di egemonizzare i processi e la coscienza della ribellione impresa a fuoco. E, in modo diverso, perché finora non era stato luogo privilegiato di ribellioni, ritrovo similitudini col processo cileno in corso.
La coscienza di sé
Fino a metà del XX secolo lo Stato boliviano ha vissuto dello sfruttamento dei popoli indigeni. Assumendo in pieno la funzione di organizzatore delle aspirazioni delle classi dominanti, ha cioè vissuto in guerra permanente con il 90% dei suoi abitanti. Questa situazione ha iniziato a modificarsi solo in seguito al disastroso esito dalla guerra con il Paraguay (1932-35), la più importante e sanguinosa del Sudamerica nel XX secolo, combattuta dai due popoli in difesa degli interessi di due multinazionali petrolifere statunitensi convinte che Il Chaco fosse una ricca regione petrolifera.
Si tratta, naturalmente di un cambiamento molto relativo se, nel 2008, la Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH), poteva scrivere (CIDH, 2009, Comunidades cautivas: situación del pueblo indígena Guaraní y formas contemporáneas de esclavitud en el Chaco de Bolivia):
“In Bolivia abbiamo verificato la continuità delle condizioni di servitù per debito del tutto analoga alla schiavitù e al lavoro forzato (…) Gli indigeni del Chaco vivono in estrema povertà, sottomessi a punizioni tra cui frustate, incendi delle loro coltivazioni ed eliminazione dei loro animali”.
Nell’aprile del 1952 prendeva corpo una rivoluzione nazionalista. Dopo sanguinosi scontri di piazza nella capitale La Paz, condotti dalla federazione dei lavoratori delle miniere, a 127 anni dell’indipendenza la Bolivia si liberava dell’oligarchia e della schiavitù, istituiva il suffragio universale di tutta la popolazione adulta, nazionalizzava le miniere di stagno, promuoveva la scolarizzazione nelle campagne e decretava una radicale riforma agraria. Insomma, la Bolivia usciva dall’età feudale.
Ne seguivano tumultuosi anni segnati da molti tradimenti e dal trasformismo di vecchi rivoluzionari, finché, nel 1964, un comando militare destituiva il terzo governo del Movimento Nazionale Rivoluzionario (MNR) e portava al potere il generale René Barrientos Ortuño. In questa situazione comparirà qualche anno dopo la guerriglia diretta dal comandante Ernesto Che Guevara.
La coscienza, ormai matura, dei boliviani, si è nuovamente manifestata negli Anni ’90 nel corso delle marce indigene a difesa del territorio, nei primi Anni 2000, in difesa dell’acqua, e nel 2020 a difesa della democrazia.
La guerra dell’acqua come metafora benaugurante
Nel febbraio 2000, la Bolivia viveva sotto la dittatura del narcotrafficante Hugo Banzer.
Banzer era, va da sé, un protetto della Banca Mondiale. A istanza di questa, stipulava un contratto che privatizzava l’acqua di Cochabamba a favore del consorzio Aguas de Tunari, formato dalla multinazionale statunitense Bechtel, dall’impresa milanese Edison (controllata dalla municipalizzata AEM), dall’impresa spagnola Abengoa e da due imprese boliviane.
Quindi, promulgando appositamente la “Legge 2029”, il governo concedeva ad Aguas de Tunari il monopolio di tutte le risorse idriche, inclusa l’acqua usata per irrigare i campi e ogni altra risorsa idrica, anche se non precedentemente controllate dal consorzio municipale, denominato Servizio Municipale dell’Acqua Potabile e delle Fogne. Con la nuova legge la popolazione avrebbe dovuto richiedere un’autorizzazione persino per raccogliere l’acqua piovana. La sua legittimità fu contestata da un insieme di organizzazioni riunite nella “Coordinadora para la defensa del agua y de la vida” che diventerà protagonista della successiva “guerra dell’acqua”.
Promulgata la legge, il prezzo dell’acqua aumentava di oltre il 50% per i costi di rinnovo della rete idrica e le tariffe minime mensili diventavano di 20 dollari, in un paese in cui i salari si aggiravano intorno ai 100 dollari al mese. E perché, per i funzionari di Aguas de Tunari l’acqua è una merce come un’altra, il mancato pagamento portava alla sospensione del servizio.
A quel punto scendeva in piazza tutta la popolazione. La dittatura scatenava una feroce repressione provocando il ferimento di molti manifestanti e la morte di un giovane di 17 anni, Victor Hugo Daza. La morte del ragazzo scatenava l’ira popolare, che prendeva la piazza centrale della città e le vie adiacenti. Quando la polizia si dichiarava incapace di garantire la sicurezza del consorzio, la Bechtel lasciava il paese ed il governo annullava il contratto.
Una buona illustrazione di questa versione moderna della vittoria di David può trovarsi nel documentario canadese “The Corporation”.
Con l’anima piena di bandiere che avanzano, contro la paura, avanzano
Da oggi, tutto sarà piuttosto complicato per Luis Arce, e non solo per le attività golpiste, che continueranno e molto probabilmente aumenteranno.
Da Arce si attende non solo il recupero dell’economia, ma anche l’equilibrio tra le due forze che egemonizzano il processo di trasformazione boliviano in questa fase. Da una parte l’ex ministro degli esteri, attuale vicepresidente e presidente dell’Assemblea Legislativa Plurinazionale, David Choquehuanca; dall’altra Evo Morales, ritornato in Bolivia come capo politico del MAS. Dai loro accordi e disaccordi dipenderà in buona misura il buon esito del nuovo governo.
Il nuovo governo ha davanti un compito da far tremare i polsi: la ripresa economica, le trasformazioni in materia sanitaria, educativa e di riforma della giustizia, la costruzione di un sistema di comunicazioni su base pubblica e di una struttura di formazione politica adeguata alla difesa del processo di cambiamento, una riforma della polizia e delle forze armate che elimini definitivamente le tentazioni golpiste.
Inoltre, penso, a breve scadenza dovrà cercare alleanze regionali per creare la massa critica necessaria a meglio gestire lo sfruttamento razionale delle enormi risorse naturali del paese.
Penso in particolare al litio: si dovrebbero fare tutti gli sforzi per dare respiro ad una alleanza a tre, Bolivia, Argentina e Cile, che concentrerebbe la quasi totalità della risorsa.
Certo, bisognerà prima risolvere gli annosi problemi col Cile e disegnare un progetto che rispetti i vincoli ambientali ed i popoli stanziali. Nessuna di queste cose è semplice, ma le rivoluzioni devono porsi obiettivi che vadano oltre la pura amministrazione, per quanto brillante e produttiva. Tutto ciò deve esser fatto dopo che i tribunali abbiano giudicato, trasparentemente, i responsabili, materiali e intellettuali, del colpo di Stato e delle successive ruberie.
A proposito dell’anima piena di bandiere presa a prestito da Victor Jara, chiudo ricordando l’incipit di “Una storia fra due città” scritto da Charles Dickens nel 1859, che reputo contemporaneamente un buon auspicio e un ammonimento ai fratelli boliviani:
“Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione.
Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo tutti diretti a quell’altra parte.
A farla breve, gli anni erano così simili ai nostri, che alcuni i quali li conoscevano profondamente sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al superlativo.
Un re dalla grossa mandibola e una regina dall’aspetto volgare sedevano sul trono d’Inghilterra; un re dalla grossa mandibola e una regina dal leggiadro volto, sul trono di Francia”.
FONTE:
Rodrigo Andrea Rivas – 8 Novembre 2020
Trionfare nella vita non è vincere, ma rialzarsi ogni volta che si cade…
(José Mujica)
di Marco Consolo
Bolivia, la figlia prediletta del Libertador Simon Bolivar, ha appena dato una lezione esemplare al mondo. Con una alta partecipazione popolare (87%), la bella e schiacciante vittoria nelle urne del Movimento al Socialismo – Strumento Politico per la Sovranità del popolo (MAS-IPSP) con il 54,5% segna una secca sconfitta dei piani statunitensi nella regione, della strategia di utilizzo della screditata Organizzazione degli Stati Americani (OEA) come ariete contro i governi che non seguono i diktat a “stelle e strisce”, del Gruppo di Lima e dei latifondi mediatici globali. Ed è quindi di importanza strategica per la Bolivia, per l’America Latina e per il mondo intero. Provo a spiegarmi.
Qualche giorno fa, correva l’anniversario dell’ennesimo intervento militare statunitense. Il 19 ottobre del 1983, i marines sbarcavano nella piccola isola di Grenada, ed assassinavano il Presidente costituzionale Maurice Bishop. In quegli anni, era ancora viva la memoria (e la pratica) della lunga stagione dei colpi di Stato organizzati dalle ambasciate statunitensi in tutto il continente, con la complicità delle oligarchie “vende-patria” locali. In Nicaragua, il governo Sandinista iniziava a dover affrontare militarmente i “contras” (finanziati, addestrati ed armati dalla Casabianca) che seminavano morte e distruzione. In El Salvador, Guatemala, e Colombia le forze guerrigliere erano in piena attività.
Dopo la stagione dei golpe cruenti, degli orrori delle dittature civico-militari, e del famigerato Plan Condor, il continente è passato attraverso successive democra-ture (nè, nè) con l’applicazione un po’ meno brutale, “umanizzata”, delle stesse ricette neo-liberiste. Quelle politiche anti-popolari provocarono la resistenza dal basso, una lunga fase di accumulazione politico-sociale ed infine una contro-offensiva che fece vincere diverse elezioni ed accedere la sinistra al governo in molti Paesi. La prima vittoria fu quella di Chavez in Venezuela, seguita a ruota da molti altri (Brasile, Argentina, Bolivia, Ecuador, Uruguay, etc).
Per rispondere all’ondata “progressista”, iniziò la contro-offensiva imperialista in tutto il continente, ma questa volta con modalità diverse. A Washington fu ribattezzato “soft power”, “smart power”, ma tradotto in italiano si trattava di riconquistare egemonia e controllo nel “cortile di casa” con golpe di nuovo tipo: golpe istituzionali, parlamentari, mediatici, con la guerra giudiziaria (Lawfare) e una guerra multi-dimensionale. Iniziarono proprio in Bolivia, nel 2008, con il tentativo fallito di “balcanizzazione” e secessione delle regioni ricche della “media-luna”. Poi in Honduras, in Ecuador (senza riuscirci), in Paraguay ed in Brasile con Dilma Rousseff.
L’ultimo golpe riuscito, in ordine di tempo, è stato quello in Bolivia del 2019, quando il governo Morales, nonostante la limpida vittoria elettorale, fu accusato strumentalmente di brogli e spodestato. Il golpe, organizzato a Washington, ebbe l’appoggio delle multinazionali dell’energia (a partire dall’”ecologico” Elon Musk e dalla sua Tesla) e dell’ Organizzazione degli Stati Americani (OEA) con il suo etero-diretto Segretario Luis Almagro, vero e proprio coordinator, per conto terzi, delle destre latino-americane.
Oltre ad una repressione spietata, in questi mesi i golpisti hanno fatto l’impossibile per disfarsi di Evo Morales e del Movimento al Socialismo. Hanno tentato di illegalizzare il partito e i suoi principali candidati, tra cui lo stesso Evo, costretto all’esilio in Argentina e impossibilitato a presentarsi al Senato. Hanno assassinato, denunciato ed incarcerato dirigenti sociali e politici (alcuni ancora rifugiati in ambasciate), chiuso le radio comunitarie filo-MAS, minacciato ed arrestato i giornalisti, etc.
Un golpe inefficace
Ma quel sanguinoso colpo di Stato dello scorso ottobre non è servito a mettere a tacere la volontà di cambiamento del popolo boliviano. Né sono serviti gli omicidi, la militarizzazione del Paese, la repressione e le minacce.
Non è servito neanche il viaggio del Ministro degli Interni golpista, Arturo Murillo, che a fine Settembre è andato alla sede dell’OEA e al Dipartimento di Stato di Mike Pompeo, per prendere ordini e ricevere l’appoggio necessario per impedire al MAS di tornare al governo.
Non è servita la grancassa dei latifondi mediatici internazionali che, senza arrossire di vergogna, hanno appoggiato sfacciatamente i golpisti con l’appoggio del bombardamento nelle “reti sociali”.
Il popolo boliviano ha parlato forte e chiaro. La Bolivia ha iniziato a recuperare la democrazia, sparigliando le carte truccate della Casabianca.
Foto: http://www.noticiasrhodeisland.com
Contro la geopolitica “dell’odio e della paura”, dall’opposizione quel blocco sociale campesino-operaio-popolare ha resistito al golpe, si è riorganizzato dal basso ed è riuscito a vincere il braccio di ferro politico-elettorale. E lo ha potuto fare grazie alla “densità sociale” di un’organizzazione capillare, anche nelle estese zone rurali del Paese.
In quel blocco sociale hanno giocato un ruolo chiave i popoli originari, (mal chiamati “indigeni”) vera e propria spina dorsale del MAS. Hanno resistito con dignità e orgoglio, coscienza, ed organizzazione come risultato dell’accumulazione politica di anni di lotte.
La lezione è stata chiara per i masisti: si può perdere il governo, ma se c’è un partito che ha radici reali nella popolazione, lo si può recuperare.
La campagna delle destre a favore del MAS
Bisogna riconoscere che i golpisti, nelle loro varie articolazioni, sbagliando strategia politica hanno aiutato molto il MAS: con una gestione economica disastrosa, scandali di corruzione ai più alti livelli, una repressione brutale ed indiscriminata che ha colpito anche settori non direttamente vincolati al MAS e, negli ultimi mesi, una drammatica incapacità di gestione della pandemia del Covid-19 che ha tragicamente colpito il Paese.
Più le destre golpiste rinviavano la convocazione delle elezioni, più le loro opzioni si indebolivano grazie alla corruzione dilagante, alla loro politica suprematista, al linguaggio razzista e di odio verso i popoli nativi, i loro simboli e la loro cultura. Parliamo di un Paese in cui la minoranza bianca è ampiamente minoritaria, ma che sin dai tempi della Colonia, detiene la ricchezza e le leve del potere.
In questo contesto, la società boliviana tutta (compresi i settori di ceto medio che avevano voltato le spalle al MAS) ha avuto il tempo di mettere al confronto i 14 anni di stabilità di un processo che ha cambiato il volto della Bolivia. Un progetto di Paese con al centro i bisogni della maggioranza esclusa, che ha nazionalizzato le risorse naturali, iniziato ad industrializzare il litio, ridistribuito ricchezza e portato i popoli originari ad occupare il Palacio Quemado ridando loro la dignità, dopo secoli di sottomissione ed abusi. Giorno dopo giorno, si comparava il governo dei golpisti con quelli del MAS.
Per finire, la strategia del MAS ha usato poco le reti “sociali” e molto il “porta a porta”, per parlare dei problemi del presente, come crisi sanitaria, disoccupazione, riattivazione economica, etc., più in sintonia con parte del ceto medio impoverito che aveva smesso di votare per il MAS.
Fotos: Indymedia Derechos Humanos
Tutte rose e fiori ?
Naturalmente, come in tutti i veri processi di trasformazione, ci sono state luci ed ombre, contraddizioni ed errori, oggetto di critiche feroci da parte di alcuni settori, che oggi tacciono con un silenzio assordante, appellandosi ad una “neutralità” che fa acqua da tutte le parti. Ma al di là degli attacchi strumentali, è evidente la necessità di riflessioni profonde e auto-critiche su ciò che sono stati i governi del MAS, per non tornare a commettere gli stessi errori, recuperare il consenso eroso ed ampliare la partecipazione popolare democratica.
La nuova leva di dirigenti dichiara di voler riorganizzare il MAS che, negli ultimi anni di Evo, era stato sussunto nel governo, perdendo un profilo autonomo.
In queste elezioni, Luis Arce ha superato il 47% ottenuto dall’ex Presidente nelle elezioni del 2019 e ha eguagliato lo storico voto ottenuto da Morales nel 2005 (53%), quando è diventato il primo esponente dei popoli originari a vincere la presidenza e ha dato inizio al “proceso de cambio”. I voti ottenuti garantirebbero anche la maggioranza nei due rami del parlamento.
Arce, per molti anni Ministro dell’ Economia dei governi di Evo, nei suoi primi discorsi da Presidente ha sottolineato il suo impegno a “…lavorare per tutti i boliviani, dando vita ad un governo di unità…. Queste elezioni stanno dando certezza al popolo boliviano. Ci sarà un rilancio delle attività economiche che beneficeranno la micro, piccola, media e grande impresa, e anche il settore pubblico e tutte le famiglie boliviane che hanno vissuto per undici mesi nell’ incertezza”.
Anche il vice-Presidente eletto, David Choquehuanca, è persona nota. Dirigente sindacale della Confederación Sindical Única de Trabajadores Campesinos de Bolivia (CSUTCB), aymara come Evo Morales, è stato Ministro degli Esteri dei governi di Evo dal 2006 al 2017. Fra il 2017 e il 2019 è stato Segretario Generale dell’Alba-TCP (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América- Tratado Comercial de los pueblos) un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica nato in contrapposizione alla strategia USA dell’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe), in seguito ridisegnata.
E a proposito di integrazione continentale, la Bolivia ha annunciato la ripresa dei rapporti diplomatici con Cuba e Venezuela. Potrebbe tornare nell’ALBA, provare a rivitalizzare le moribonde UNASUR e CELAC e creare un asse che includa oltre ai Paesi dell’ALBA anche Messico e Argentina, sminuendo il peso specifico della stessa OEA.
E da domani ?
La parte più difficile viene ora ed il nuovo governo ha molte sfide davanti a sé.
Foto: http://www.farodiroma.it/
Quest’anno di crisi ha alimentato vecchie e profonde ferite e fratture nella società boliviana a partire dal razzismo e la lotta tra le regioni, in particolare tra la ricca “mezza-luna” all’Oriente e l’altopiano e l’occidente dei popoli nativi. Sono ferite che dovranno lentamente cicatrizzarsi.
La priorità è fare fronte alla pandemia e rimettere in sesto l’economia, messa in ginocchio dai golpisti, e poter così soddisfare i bisogni di base, salute e lavoro innanzitutto.
In secondo luogo, la dittatura ha violato i diritti umani in tutte le aree possibili; salute, integrità fisica, accesso al lavoro, istruzione, diritti civili e politici. Ripristinarli è un compito non facile, ma improcastinabile.
Per non parlare della necessità di giustizia per gli assassinati, i feriti, e i prigionieri politici, per tentare di sanare le ferite provocate dal governo de facto.
Importantissima è la lotta alla criminalità organizzata ed al narcotraffico, cresciuti al riparo dei golpisti, che corrompe e destabilizza in diverse zone del Paese.
Sicuramente, uno dei temi più sensibili e difficili sarà il rapporto con le FF.AA. e la polizia, che hanno avuto un ruolo importante prima nel tradimento al governo costituzionale, e poi nella repressione post-golpe. L’accertamento delle responsabilità, depurazione e castigo sono conditio sine qua non per la pacificazione.
Chi governa a La Paz dovrà poi mettersi d’accordo con i Cambas di Santa Cruz e soprattutto con il suo settore privato. Santa Cruz è il motore dell’economia boliviana del futuro, per l’energia, per l’agrobusiness, per attrarre investimenti. Luis Fernando Camacho, rappresentante dell’ultra-destra, non è riuscito a sfondare in nessun dipartimento, ma si è trincerato a Santa Cruz e sarà il probabile sostituto del governatore Costa.
America Latina alla riscossa ?
Il vento di riscossa che viene dalla Bolivia avrà quindi un forte impatto in tutto il continente e può condizionare positivamente i prossimi mesi di lotte sociali ed anche le importanti scadenze elettorali. Andiamo con ordine.
E’ sotto gli occhi di tutti che le destre al governo, lungi dal risolvere i probemi sociali, li aggravano, in America Latina come in Europa. Le ricette avvelenate del FMI e della Banca Mondiale peggiorano le contraddizioni sociali e non sono certo in grado di garantire stabilità, pace sociale, agibilità democratica. Al contrario, puntualmente dove governano le destre, prima o poi sale alla ribalta la ribellione popolare contro le politiche anti-popolari neo-liberiste. La realtà ha la testa dura.
In queste settimane, perfino il piccolo Costa Rica (Paese che non ha una grande tradizione di mobilitazioni di massa) è sceso in strada contro le misure dettate dal FMI al governo locale, costringendo il governo a fare marcia indietro su diversi punti.
In Cile il prossimo 25 ottobre ci sarà la seconda spallata ai governi delle destre. Sarà una data storica, con un referendum che potrebbe aprire la strada al cambio della Costituzione di Pinochet, appena ritoccata dai governi di centro-sinistra, ma rimasta intatta nei fondamentali. Come si ricorderà, dal 18 ottobre 2019 il Paese ha vissuto una enorme mobilitazione sociale con una brutale repressione da parte del governo Piñera. Senza la mobilitazione di massa, sospesa solo temporaneamente per la pandemia di Covid 19, non si sarebbe mai ottenuto questa importante scadenza.
Domenica scorsa, nell’anniversario dell’inizio delle proteste, una grande manifestazione ha segnato il ritorno della ribellione sociale nelle piazze di Santiago. E purtroppo anche della repressione, con un saldo tragico di una persona uccisa dalle forze di polizia, 580 arresti e un giovane manifestante buttato giù da un ponte dai Carabineros (avete letto bene) qualche giorno prima, che fortunatamente non è deceduto.
Ma il popolo cileno non pare disposto a tornare indietro. La vittoria dell’opzione “Apruebo” è scontata e diversi personaggi della destra sono saliti sul carro per non rimanere isolati. Il vento boliviano non può che aiutare da una parte l’opzione per il cambio della Carta Magna, e dall’altra il voto per una “Convenzione Costituzionale”, con rappresentanti interamente eletti dal voto popolare.
In Colombia, da settimane la popolazione è scesa in piazza contro il governo Duque, a difesa delle condizioni di vita e di lavoro, contro il non rispetto dell’Accordo di pace con la guerriglia delle FARC-EP da parte del governo, contro gli omicidi di ex-guerriglieri e dirigenti sociali, e la repressione indiscriminata. In queste ore è arrivata nella capitale Bogotà la “Minga”, una mobilitazione “indigena e popolare” che, dopo aver percorso centinaia di chilometri, arriva nella capitale accolta dai movimenti sociali urbani. E il 21 ottobre c’è stato uno sciopero generale in tutto il Paese “per la vita, la democrazia, la pace, e la richiesta di misure economiche di emergenza”.
In Brasile, il 15 novembre si voterà per le amministrative in 5000 municipi, e la sinistra cerca di riorganizzarsi e mobilitare le piazze per riprendere in mano le città più importanti, a partire da Sao Paulo, Rio de Janeiro e Porto Alegre. Dalla vittoria di Bolsonaro, infatti è mancata una forte ed unitaria mobilitazione di piazza che potesse mettere all’angolo il governo. Bolsonaro ne ha tratto vantaggio, e nonostante la drammatica situazione sanitaria dovuta alla pessima gestione (e anche grazie ad elemosine puntuali), il mini-Trump negazionista appare ancora saldo in sella, con l’appoggio del capitale finanziario, delle FF.AA., delle potenti sette pentecostali e dei latifondisti dell’agro-business.
In Venezuela, il prossimo 6 dicembre si vota per le elezioni politiche in una scadenza decisiva per battere l’opposizione e recuperare la maggioranza del parlamento. Nonostante i gravi danni economici e sociali causati dal bloqueo statunitense e della UE, il Venezuela bolivariano resiste grazie alla coscienza, alla mobilitazione popolare costante, all’unione civico-militare che ne garantisce la difesa ed alla solidarietà internazionale.
In Ecuador, dopo una durissima battaglia legale, e anche grazie alla mobilitazione nelle piazze, l’organizzazione politica che fa capo all’ex-Presidente progressista Rafael Correa potrà correre per le elezioni presidenziali del prossimo anno. Anche qui, la “guerra giudiziaria” ha prodotto l’esilio di Correa (con più di 20 processi farsa a suo carico) e messo in carcere, con accuse inconsistenti, diversi dirigenti della Revoluciòn Ciudadana, a partire dal Vice-Presidente Jorge Glas. Come si ricorderà, prima della pandemia, vi erano state imponenti mobilitazioni popolari, sospese anche per il virus. A Quito, nelle settimane scorse, sono stati gli studenti a riguadagnare le piazza, dando una scossa al Paese intero. E a febbraio 2021 ci saranno elezioni presidenziali e politiche.
E l’onda lunga potrebbe coinvolgere anche il Perù, come incentivo per l’unità a sinistra, per disputare le presidenziali nell’aprile dell’anno venturo.
Difficile prevedere se la vittoria del MAS avrà qualche incidenza sulle incombenti elezioni statunitensi, dove però molti democratici già attaccano Trump per i suoi fallimenti nei tentativi di “regime change”, rovesciando i governi scomodi.
L’America Latina riprende il cammino della contro-offensiva popolare
Non c’è dubbio, però, che lo scenario latinoamericano è complicato per tutti.
Per i settori progressisti, visto che a differenza degli anni passati in cui erano maggioritari nei governi del continente, oggi la loro presenza è di gran lunga più debole.
Ma anche le forze conservatrici hanno un futuro complicato. I loro think-tank strategici hanno un progetto globale (basta vedere le manifestazioni contro la “dittatura sanitaria” e “per la libertà” in diversi Paesi) e cercano di impedire l’avvento dei governi progressisti o la stabilità dei processi di trasformazione da loro guidati. Ma non sono in grado di offrire nulla di nuovo alle loro società, in un momento in cui lo stesso FMI e la Banca mondiale si spingono a consigliare tasse sui più ricchi per ridurre la povertà. Il progetto delle classi dominanti e delle forze conservatrici non riesce più a incantare i popoli per dar loro speranza.
La narrazione neo-liberista è in crisi e l’egemonia delle classi dominanti si concretizza grazie al restringimento degli spazi democratici, all’odio, alla paura manipolata ad hoc dai grandi media e tramite le “reti sociali”.
Viceversa, le diverse forze dei movimenti, delle sinistre plurali (nazionaliste, progressiste, rivoluzionarie), in base alla loro esperienza di opposizione e di governo, hanno ancora un capitale politico che permette loro di essere credibili e poter aspirare a guidare i diversi Paesi, nonostante gli errori commessi. Una scommessa per i sostenitori del “socialismo del 21° secolo”.
Quando tutto sembra più difficile, un vecchio proverbio aymara ci ricorda che “Qhiph nayr uñtasaw sarnaqaña”: “Viviamo guardando il passato per vivere il presente e proiettare il futuro”.
L’America Latina riprende il cammino della contro-offensiva popolare.
FONTE: http://marcoconsolo.altervista.org/la-bussola-boliviana/
di Alessandro Fanetti
Adesso l’America è, per il mondo, nient’altro che gli Stati Uniti: noi abitiamo in una sub-America, un’America di seconda classe, difficile da identificare. È l’America Latina, la regione delle vene aperte.
Eduardo Galeano
Il continente americano è, oramai da secoli, una fedele rappresentazione delle disuguaglianze esistenti nel mondo. Contributo fondamentale a tale situazione viene offerto dalla contemporanea esistenza di “due mondi” opposti:
l’ “opulenza” statunitense
lo sfruttamento subito dall’area a sud del Rio Bravo
“Chiediamo che le istituzioni e i processi democratici della Bolivia siano rispettati”. Recita così il manifesto firmato da oltre 100 esperti internazionali in economia e statistica, che fanno “un appello all’OSA affinché ritiri le sue dichiarazioni fuorvianti sulle elezioni, che hanno contribuito al conflitto politico e sono state una delle ‘giustificazioni’ più utilizzate per portare a compimento il colpo di Stato militare”. Continua a leggere
di Rodrigo Rivas
“Va tutto benissimo signora marchesa.
Ma, ecco, bisogna che vi dica signora marchesa,
che venendo a sapere di essere rovinato,
non appena si ricuperò della sua sorpresa,
il signor marchese si è suicidato.
Dopo avere accatastato i suppellettili ha rovesciato le candele e dato fuoco a tutto il castello
che si è consumato dal basso in alto.
E, poiché il vento soffiava, l’incendio si è propagato velocemente alle scuderie e,
in un attimo,
la vostra giumenta è morta.
Ma, oltre questo, signora marchesa, va tutto benissimo,
tout va très bien”.
Ray Ventura et ses collégiens, “Tout va très bien, Madame la marquise”, 1935
di Gennaro Carotenuto
Il golpe in Bolivia, con l’appoggio del sistema mediatico, ha abbattuto una dittatura che esisteva solo nelle fake news, ed è stato costruito per rappresentarsi come istituzionale e democratico, anche se “golpe democratico”, tanto più con i morti in strada e l’UNHCR che accoglie i rifugiati, è un ossimoro irricevibile.
Riassumiamo molto sinteticamente. La prima parte è stata costruita a partire dalla stigmatizzazione, distruzione dell’immagine, demonizzazione di Evo Morales, trasformato (qui la sua character assassination) in una specie di mostro for export, l’autocrate, il narcoindio (se non è razzista l’espressione “narcoindio”…). Rappresentato Evo Morales come il nuovo male assoluto, il secondo passaggio è stato far passare un governo legittimo come illegale (i presunti brogli che, nella sua preveggenza, la OEA ha denunciato da prima che accadessero e smentiti da fonti ben più autorevoli) e liberarsene con la violenza. Era il golpe che non c’è, almeno per i grandi media. Continua a leggere
Pubblichiamo la traduzione di un articolo di Alvaro Garcia Linera, vicepresidente della Bolivia ora in esilio con Evo Morales in Messico.
Come una densa nebbia notturna, l’odio percorre voracemente i quartieri della classe media urbana tradizionale boliviana. Rossi gli occhi di ira. Non gridano ma sputano, non reclamano, ma impongono. I loro canti non sono di speranza e fratellanza, ma di disprezzo e discriminazione contro gli indigeni. Montano sulle loro moto o SUV e all’ uscita dei locali del divertimento notturno o delle università private vanno a caccia degli indigeni sollevati, rei di avergli tolto il loro potere. Continua a leggere
di Alessandro Visalli
Snodi.
Il 24 febbraio 1965 ad Algeri, ad un’importante conferenza afro-asiatica, Ernesto Che Guevara[1] pronunciò un forte discorso[2] che probabilmente finirà per mettere in moto gli eventi che gli costeranno la vita. In esso, dopo gli scontri che si erano verificati nei cinque anni precedenti nel governo cubano intorno alla linea dello sviluppo industriale, il rivoluzionario argentino esortò con la sua tipica determinazione i popoli sottosviluppati a combattere contro colonialismo, neocolonialismo e imperialismo, che per svilupparsi ne determinano il sottosviluppo[3]. Continua a leggere
di Rodrigo Rivas
Scrivere sulla situazione latinoamericana oggi cercando di evitare luoghi comuni e diffusi fideismi non è semplice. Comunque ci provo, pur sapendo che il punto di partenza e l’analisi sono sempre discutibili.
Due chiarimenti metodologici:
di Giovanni Bruno
Marx 201. Ripensare l’alternativa è il titolo del bel convegno, estremamente ricco e variegato, che si è svolto a Pisa da mercoledì 8 a venerdì 10 maggio. Si è trattato di una tre giorni, con nove sessioni di discussione, organizzata da Alfonso Maurizio Iacono, filosofo e professore ordinario dell’Università di Pisa, e da Marcello Musto, uno tra i più significativi studiosi attuali di Marx su scala internazionale: l’idea fondamentale è stata quella di ripercorrere e recuperare alcune definizioni del pensiero di Marx, a partire da categorie e tematiche fondamentali, “depurandolo” dalle incrostazioni derivanti dalle interpretazioni e dalle piegature storico-politiche novecentesche dei molteplici marxisti e marxismi, per tornare alle radici del suo pensiero. L’altro aspetto che ha caratterizzato il convegno è la volontà di coniugare la dimensione politica con quella teorico-scientifica, mettendo in relazione le analisi e la visione della storia di Marx con alcuni della variegata galassia dei movimenti e delle forme di resistenza al dominio del capitale che si sono manifestate in questo scorcio di inizio XXI secolo. Continua a leggere
9/12/07 Salon Blanco: Banco del Sur.
Pubblichiamo questa impietosa analisi di Daniele Benzi (da sinistrainrete.info), auspicando una discussione aperta sull’America Latina (e non solo).
Defeat is a hard experience to master: the temptation is always to sublimate it.
Perry Anderson, Spectrum
La vittoria elettorale di un fascista nel più grande e popoloso paese dell’America latina, un ex capitano omofobo, sessista e razzista, appoggiato dall’esercito, dalle chiese evangeliche, dai proprietari terrieri e adesso anche dal capitale finanziario, che ha già ricevuto quasi 50 milioni di voti al primo turno, sarebbe un ulteriore passo verso l’abisso in Brasile.
La trasfigurazione di un mai ben chiarito “socialismo del XXI secolo” in una cleptocrazia pretoriana in Venezuela, paese ormai sull’orlo del collasso e che rischia seriamente un’invasione e/o una guerra civile qualora certe trame geopolitiche, sociali o finanziarie fuori controllo del governo la rendessero conveniente (o necessaria), è una tragedia per chi ha accompagnato, criticamente, l’evoluzione del processo bolivariano. Continua a leggere
In un’Europa drammaticamente allineata alla linea guerrafondaia del trio Trump, May, Macron, emergono alcuni leader politici che continuano a portare avanti alcuni concetti fondamentali come il rispetto del diritto internazionale e la salvaguardia della pace. Una circostanza non scontata visto il clima neomaccartista che si è venuto a creare sulle due sponde dell’oceano Atlantico.
Tra questi vi è sicuramente il laburista inglese Jeremy Corbyn. Lo storico esponente della sinistra britannica già prima dell’attacco quando iniziava a risuonare l’eco dei primi tamburi di guerra aveva ammonito le potenze occidentali dal non compiere atti unilaterali e contrari al diritto internazionale, oltre che al buon senso. Continua a leggere
di Jean-Luc Mélenchon
Si traduce un articolo di Jean-Luc Mélenchon, leader del movimento “La France Insoumise“ che richiama con forza l’attenzione sul peso mondiale dei preoccupanti recenti accadimenti antidemocratici e non di rado anticostituzionali dell’America Latina. È bene non dimenticare anche la “disattenzione” istituzionale dei singoli paesi europei e dell’Unione Europea nelle sue diverse istanze. L’Italia non fa eccezione, ed anzi nel caso del Brasile ha oggettivamente dato un aiuto alla eversione istituzionale con l’estradizione nel 2015 del banchiere italo-brasiliano Henrique Pizzolato per decisione del ministro della giustizia nonostante il parere contrario di tutti i gradi della magistratura (notizie su questa vicenda sono facilmente rintracciabili on line). T.I. Continua a leggere
Recensione di Serena Campani
Il continente americano. L’America Latina, Andrea Vento, Giga Autoproduzioni, 2017, pp 36, contributo libero.
Il continente americano. L’America Latina è un opuscoletto di 36 pagine, realizzato dal Prof. Andrea Vento, docente di Geografia Economica a Pisa presso L’Istituto Tecnico Commerciale A. Pacinotti. Continua a leggere
di Andrea Vento (estratto dalla pubblicazione “L’America Latina”)
Pubblichiamo l’interessante saggio di Andrea Vento parte di un lavoro più ampio che presentiamo integralmente in home page, molto utile per un quadro storico e attuale della situazione latino americana. (Copertina QUI) (Testo integrale QUI) Continua a leggere
Rafael Correa in un’intervista a Ryan Dube, del Wall Street Journal, risponde sull’America Latina, sull’ Ecuador e sul Venezuela: “Lo peor que tiene America Latina es su burguesía ignorante, entreguista, esnobista y antidemocratica”. (La cosa peggiore dell’america latina è la sua borghesia, ignorante, mediocre, subalterna e snobista, violenta e antidemocratica. (…) L’oligarchia venezuelana (…) in confronto, quella ecuadoriana è un gruppo di carmelitani scalzi). Continua a leggere
di Giovanna Martelli (*)
L’intervento di Mario Giro, sul Venezuela, pubblicato nei giorni scorsi mi ha stimolata nella riflessione. Mario Giro narra di una situazione paradossale e confusa in Venezuela in cui solo l’intervento diretto di Papa Bergoglio ha avuto la capacità – un mezzo miracolo come lo definisce Giro – di far ripartire le trattative tra il governo di Maduro e l’opposizione in un Paese che comunque “lentamente scivola nell’anarchia istituzionale”. Continua a leggere
di Marco Consolo (Santiago)
Evo Morales non potrà ripresentarsi alle elezioni del 2019. Domenica 21 febbraio gli elettori boliviani sono stati chiamati a votare su un referendum per una modifica dell’art. 168 della Costituzione (che limita a 2 mandati la rielezione di Presidente e Vice-Presidente). La sua approvazione avrebbe permesso a Evo di ripresentarsi nel 2019. Ma così non è stato. Continua a leggere
di Laura Margottini (da Il Fatto Quotidiano del 28-9-15)
Documento riscrive la storia della repressione anticomunista in Sudamerica – Al processo di Roma contro i presunti torturatori di una ventina di italiani, l’avvocato Martin Almada mostra una lettera in cui due militari si scambiano informazioni sulla “situazione sovversiva” in America Latina. Finora si era ritenuto che il famigerato progetto di collaborazione fra le dittature latinoamericane – supportato dalla Cia e costato 40mila morti – fosse terminato negli anni Ottanta Continua a leggere
di Marco Consolo (Città del Messico)
Agli inizi di Agosto si è riunito a Città del Messico il Foro di Sao Paulo, il consesso della sinistra latino-americana nelle sue ampie sfumature. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando nel 1990 in Brasile uno sparuto gruppo di partiti e movimenti diede vita a questo importante consesso. In tutto il continente c’era solo un partito di sinistra al governo (e al potere), il Partito Comunista di Cuba. Oggi, 25 anni dopo, in più di 10 paesi sono al governo i partiti che ne fanno parte. Continua a leggere
A handout picture made available by the Bolivian Information Agency (ABI) shows Pope Francis (C) being welcomed by members of the local community as Bolivian President Evo Morales (R) looks on, upon his arrival at El Alto Airport in El Alto, Bolivia, 08 July 2015. Pope Francis is in Bolivia as part of his Latin American tour from 05 to 12 July 2015. EPA/BOLIVIAN INFORMATION AGENCY HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES
(ANSA) – Al secondo raduno mondiale dei movimenti popolari nella Bolivia di Evo Morales
“Abbiamo bisogno, e vogliamo un cambiamento”. “Parlo di problemi comuni a tutta l’umanità”. Questo sistema non regge, gli umili lo hanno capito prima degli scienziati. “L’ho detto e lo ripeto: terra casa e lavoro sono diritti sacri”. E ancora: no alla economia del dio denaro, agli interessi di chi saccheggia la madre Terra, al neocolonialismo e al monopolio della ideologia dei media. Un Papa, seppure latinoamericano, che partecipa a un incontro mondiale dei movimenti popolari nello Stato plurinazionale della Bolivia, dopo aver ospitato il primo in Vaticano, è un evento. L’ accoglienza che ha ricevuto è significativa e impressionante. Le parole che ha detto suonano come un manifesto ‘aideologico’ per una “Patria Grande” quanto il mondo. Il Papa sogna davanti ai movimenti popolari i modi per vincere le sfide dell’umanità: gli interessi dei potenti, dice sono “globali, non universali”. Continua a leggere
Por Emir Sader, Buenos Aires (da www.pagina12.com.ar)
La novedad en los ciclos migratorios es su inversión en las relaciones de Europa con América latina. Desde que empezó la crisis internacional del capitalismo, en el 2008, bajó el número de inmigrantes latinoamericanos hacia Europa, un número significativo de ellos retorna a sus países de origen y –la novedad más grande– surgió una nueva ola de inmigración europea hacia América latina. Continua a leggere
di Marco Consolo (Santiago del Cile)
Con il ballottaggio di domenica 3 maggio, in Bolivia si è concluso il processo delle elezioni amministrative iniziato lo scorso 29 marzo. Le elezioni, che hanno coinvolto circa 6 milioni di persone, rinnovavano le cariche dei 9 dipartimenti (regioni) e dei 339 comuni. Il partito Movimento al Socialismo- Strumento Politico della Sovranità del Popolo, (più conosciuto come MAS) del presidente Evo Morales, è stato ratificato come la principale forza politica del Paese, ma ha subito alcune sconfitte importanti. Continua a leggere
di Carlo Lambiase (l’Avana, 12.04.2015)
La settima Cumbre de Las Américas è appena finita e Panama ritorna alla sua vita quotidiana. I grandi scheletri urbani restano in attesa di un completamento edilizio che forse arriverà quando la crisi economica passerà e quindi il raddoppio del canale sarà completato e i biglietti verdi ritorneranno a circolare in abbondanza tra i casinò e tra i mille traffici che qui erano di casa fino a qualche anno fa. Continua a leggere